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02 febbraio, 2015

Se mai, il sole.

Se solo sapesse.
Se solo potesse.
Se solo potessi io.

Che bel sole che c'è.
E' già dal mattino che lo sai, Ci Sarà Il Sole, già dai colori, già dall'aria, già dal profumo, non so.
E' inverno secco e sembra primavera appena, me lo hanno detto le viole dell'aiuola.

Potesse il sole restare sempre lì dov'è. Potesse sempre essere una mattina come questa qua, una data tonda, zero due zero due, ma da quando guardo i numeri, da mai, credo, io e i numeri non andiamo troppo d'accordo, mi piace solo il nove, odio il sette, anche l'ottantotto non è male, già il fatto che li scriva in parola la dice lunghissima.

Ho voglia del sole di questa mattina e di tutto quello che mi porterà, ho voglia di questo mese sciocco che è febbraio, detesto il carnevale e ogni sua manifestazione più sottile, ma adesso ho voglia di questi giorni di luce chiara, nevicherà, dicono, e chemmimporta, dico io, se ha da nevicare lo faccia pure, sarà bello anche a febbraio.

Ho voglia di imparare delle cose nuove, a star tranquilla,per esempio, a fermarmi un pò, che lo dico sempre e non lo faccio mai, magari mi fermo nel senso che son seduta, ma i miei pensieri, quelli, come fai a fermarli.
Ho voglia di sentirmi come mi devo sentire, come mi merito di sicuro, come deve essere e come sarà.
Di sicuro.

Mi faccio dei promemoria, scrivo con la stilo e l'inchiostro viola, e il pennino spesso perchè è così che mi piace, scrivo bigliettini che mi appiccico un pò dovunque per casa, per ricordarmi di stare bene, per ricordarmi le cose belle che sono tante, per ricordarmi di me.
Che è la parte che mi dimentico più spesso.

Che nevichi, gràndini e faccia quello che più desidera al mondo, io resto qui a fare le mie faccende, i miei progetti, le mie idee bislacche che prendono forma, i miei scritti senza senso, le mie leggende quasi vere. Resto qui con i miei pensieri, filtrati il più possibile, con il filtro del thè, quello a forma di fragola, e quale sennò. Quello che resta è una bevanda gradevole, alla fine, che sa di arancia e cannella come il thè che preferisco,  e di cose passate che non fanno più male, di vecchie ferite dimenticate, di tristezze che non vorrei più vedere nemmeno da che parte sono voltate.

Non sarà la neve che verrà a farmi paura, non saranno i giorni difficili, gli attimi complicati o le cose storte a fermarmi, e se saranno storte  le raddrizzerò, non sarà il buio nel giardino, le ombre  o il gelo, non è di loro che avrò bisogno, non sono loro a farmi stare bene. 
Se mai, il sole.






29 gennaio, 2015

Ti faccio una torta.

La faccio per te.
Ci metto le uova, lo zucchero, sbatto velocissimo, ci metto pochissimo,  col Kitchen Aid è un attimo vero, che scoperta.
Che bella frase, Ti Faccio Una Torta. 
E' quel Ti che fa la differenza.
La faccio per te, solo per te, solo per dirti che ci tengo, che va tutto bene, che è solo per chi ami, per chi hai voglia di vedere, o rivedere, o per chi arriva da lontano, per vedere te.
Ti faccio una torta. Se ci pensi,  ha mille regali al suo interno.
Che non sono l'uvetta o la scorza di limone o la ricotta.
Sono i sorrisi che ci metti mentre la fai.

Ti faccio una torta di pensieri.
Belli, morbidi, di quelli che ti fa bene pensare. Coi pensieri pesanti le torte non si possono fare, bruciano subito nonostante vengano  sorvegliate dal vetro del forno.

Ti faccio una torta di cose belle.
Mescolo le cose belle che ho per te, bei sentimenti, un bel sorriso, magari una risata leggera, di quelle che non ne puoi fare a meno, le risate improvvise cancellano tutto, i magoni, le cose che non capisci e che non ti stanno in testa, i cambiamenti, che orrore le cose che cambiano, lascerei tutto sempre così com'è, fermo e immobile e invece va tutto così veloce e veloce, e mi gira la testa e mi fanno male gli occhi a pensarci, e mi dico che è giusto così, ma come vorrei che tutte le mie cose, quelle cui tengo di più, le più luminose, stessero sempre al loro posto, e il loro posto è vicino a me. E invece, quante cose non ho più.

Ti faccio una torta con le cose che ho, non è molto, ho aperto la dispensa e ci ho trovato una me che a volte nemmeno riconosco davvero, una me che si lamenta e si dà per vinta, e sta ferma invece di girare, e sta immobile invece di camminare, e guarda fuori, invece di fare, che dorme poco e dorme male, e sente rumori che non ci sono e scende a controllare le finestre e il giardino, è così bello questo giardino, come fa a farti paura.

Dopodomani, la torta la farò davvero, ci sarà un sacco di gente, un thè inglese, le mollettine per lo zucchero, le tazze belle, con la Patti e Biancaneve ci studiamo da giorni cosa fare, le tovaglie giuste, facciamo prove di dolci e accostamenti, sarà un bel sabato, per noi.

Nel frattempo, cerco di ritrovarmi, mi perdo mille volte e mille volte mi ritrovo, apro tutti i cassetti, chissà in quale sono, non sarà difficile, tolgo il burro dal frigo e accendo il forno, mi ritrovo subito, mi risollevo subito, se faccio una torta. 



18 gennaio, 2015

Giorni stesi.

Sono giorni scomposti.
Disordinati, a volte lentissimi, a volte tremendi, da quanto corrono, da quando dici, vabbè sono solo le 7 e invece, dopo cinque minuti è ora del pigiama. I giorni volano via, ma le sere sono lente sempre.
Ceniamo presto, qualche volta, per farle durare di più.
Per guardare un film senza schiattare di sonno sul divano, per parlare ancora con chi ci va, per leggere, o scrivere, o fare a maglia, o solo pensare, uscire sul terrazzo a guardare il cielo, cinque minuti soltanto, che fa un freddo ma un freddo,  le stelle d'inverno sono le stelle più belle, vien voglia di farne un cestino e regalarle, Le ho Prese Per te, oppure dire, Le Vedi Anche Tu?

Sono giorni come appesi ad asciugare, stesi nell'Abiurato Stendino, giorni che aspettano chissà cosa, che inutili sono le cose stese ad asciugare, son lì a fare niente, aspettano e basta, giorni che avrei voglia di mille cose e di nessuna in particolare, giorni che mi piacciono da subito e altri che invece li prenderei a schiaffi, gennaio è un  mese di rodaggio, come di allenamento per l'anno che sarà, si fanno progetti,  si studiano strategie, ma chi come me di strategie non ne sa nulla ha vita non semplice.

Sarò come sono.
Un pò sottosopra, non squilibrata come sembro, giudiziosa quando è il momento, incosciente con misura, se l'incoscienza si può dosare e credo non molto, benchè qualche volta un pò di incoscienza male non fa.
Scruto il cielo la mattina presto e la sera tardi, cerco ispirazione e coraggio mentre apro e chiudo le persiane, faccio volare via i miei pensieri più belli, che arrivino dove sanno, tengo vicino le persone che amo, sorrido tanto, cucino meno, scrivo poco.

Stendo i miei giorni ad asciugare, li stirerò con cura, appretto e acqua profumata, io li preparo per bene, che poi si inzàccherino nelle pozzanghere o ròtolino nella neve che m'importa, io li preparo carini, ben pettinati e profumati, facciano quello che vogliono, sono confusa e un pò felice, un pò sola qualche volta ma mi tengo insieme, mi racconto delle storie, invento giochi, mi compro fiori, camicie a righe e braccialetti, faccio la brava, scrivo capitoli di un libro infinito, mi piace così.


07 gennaio, 2015

Promesso.


Non saprei dire se è un bell'inizio, una bella fine, o un bel niente del tutto, come diceva mia nonna.
Quel che so è che è il sette gennaio duemilaquindici. E fin qui, nulla da dire.

Quello che non so è come sarà.
Quello che so è come lo vorrei.
Quello che so a metà sono le cose che posso fare per dargli un indirizzo, per insegnargli, a lui, al DuemilaESpingi, come deve fare per essere buono con me.
Non come suo cugino.

Ma ho dei verbi, qui, stamattina tardi, che non mi sono fermata da stamattina presto, non ho avuto tempo di mettere ordine nei pensieri, tanto era l'ordine da fare in questa casa, una casa con dentro un'altra casa, da ieri, e altre posate, altre lenzuola e altri tutto, una casa in un'altra casa è un delirio di cose, di vestiti leggerissimi, di conchiglie e di libri, che hai letto in un altro posto e ti ricordi anche dove. I libri li ami proprio, se ti ricordi anche dove eri quando sei stata parte di essi, e scrittrice e correttore di bozze, perfino un pò protagonista, se proprio ti ci innamori.

Ho dei verbi.
Al presente, per ora.

Disfo l'albero, tolgo la scritta NOEL dall'ingresso, i barattoli luminosi dal camino, le tende di stelle che mi hanno incantato per mille sere, attaccate alle finestre.

Raccolgo palline rosse e agrifoglio secco, fili argentati e nastrini dimenticati, e i bigliettini, anche, io li conservo tutti, li infilo da qualche parte e poi li ritrovo, magari a maggio, Natale 2014, Tanti Auguri Mà, Buon Natale Amore, e ogni volta, mi piace sempre.

Cambio l'assetto della cucina, siamo stati in mille in questa casa sterminata, saremo un pò meno, ci si  possono permettere piccoli cambiamenti, si sposta un tavolo, si gira il divano, sposto i mobili quando mi sento persa, sposto le stanze quando mi sento soffocare, funziona, certe volte, certe altre invece no.

Elimino cose superflue, barattoli senza coperchio, vasi di vetro ne ho una tonnellata, andrò alla campana fra poco e li butterò con forza, frantumandoli, fanno un bel rumore, una terapia, un calmante, ho bisogno di uno ancora più bravo, forse. Butto le ortensie secche, polaroid di un'estate che voglio dimenticarmi del tutto o quasi.

Cancello persone, numeri di telefono che non so nemmeno a chi e a chi cosa, riordino, faccio elenchi e  ToDoList, buoni propositi nemmeno uno, riprendo a correre, questo sì, il ginocchio ha smesso di farmi male senza farci nulla o quasi, mi taglierò i capelli, forse no, farò un corso di cucito, nemmeno quello, qualcosa mi inventerò.

E aspetto.
Il freddo, la neve, il vento che ci vuole il burrocacao se no è un guaio, le giornate che si allungano, le viole, le rose, la bicicletta e il cestino nuovo, il sole del giardino, la pioggia sui vetri, le ciliegie, la lavanda del frutteto, il grano, il glicine, e il mare. 

Ti ho aspettato DuemilaESpingi,
Ti ho preparato la camera degli ospiti, quella più bella che guarda la collina, dove ieri sera si vedeva una luna che toglieva il respiro. 
Starai bene qui.
Starò bene anch'io

Promettilo.
Me lo prometto.


06 novembre, 2014

Vivace.


Questi giorni, ancora non li ho capiti.
Non che mi sforzi.
Di solito, capisco le cose abbastanza in fretta, al volo, la mia maestra delle elementari, quando ci andò a parlare,  disse a mia madre che avevo un'intelligenza vivace. Tornò e lo disse a tavola. Si guardarono tutti sbigottiti.
Intelligente è intelligente, si leggeva nelle facce, ma quel vivace rovinava un pò tutto.

Non sono migliorata, mi sa, con gli anni.
E forse, sono rimasta solo vivace. E basta.

Sono giorni che, messi in fila sembrano belli. Presi ad uno ad uno sono uno sfacelo.
Inconcludente, ciarliera, distratta, ho tremila progetti e ne ho finiti solo due, il tavolo ingombro di fili, bottoni, fogli e penne, stilografiche e matite, e gomme, per cancellare, non mi piaceva scrivere a matita, adesso invece, che ne ho comprate manciate di tutti i colori possibili, invece, mi piace.
Volubile che sei.

Sono giorni che dovrei rimettere mano all'armadio, ho cominciato il lavoro improbo del cambio di stagione con largo anticipo, per far la figa, per dire, lo faccio in pochissimo, che ci vuole, in fondo, siamo quattro gatti, stavolta.
Non ho fatto bene i conti.
Non ho fatto bene i conti con me.
Che non sopporto sistemare, mettere ordine, o meglio sì, ci sono volte che mi acchiappa e sistemo cassetti e dispense e ripiani e tavoli, e dopo pochissimo sono di nuovo distrutti dal disordine, dalle cose impilate, dai libri, dai foglietti. Da me.

Cerco di finire i progetti che ho, quelli sui ferri, quelli della tovaglia di Natale, che viaggerà arrotolata verso una casa diversa da questa, e che là sarà usata, per la prima volta, chissà.
Sono giorni che, a disegnarli, non saprei da dove cominciare, se prendere i pastelli o no, il cielo non promette nulla di esaltante, nemmeno ad impegnarsi, e chi come me è Campione Mondiale di Azzurro Oltre la Nebbia, sa che fatica, in giorni così.

Mi ostino.
Resisto.
Vedremo.

Farò di questi giorni, giorni che si possano colorare a piacimento, come Roselline di terza, il più difficile, quello senza i quadretti.
Dell'ordine, vedrò di non farmene importare nulla.
La mia intelligenza vivace mi fa trovare il maglione che cerco anche sotto tonnellate di altri maglioni.
E una volta trovato, sentirmi felice e fiera  e ridermi da sola nello specchio.

L'armadio resta com'è.
Tempero i miei pastelli e mi metto a disegnare.
Noi vivaci, siam fatti così. 









23 ottobre, 2014

Aspetto.


arriverà il freddo.
quello da tre maglioni, le calze a righe pesanti, la sciarpa avvoltolata, gli occhiali che si appannano appena entri in casa. 
Il freddo vero, quello che ti gela i pensieri appena apri la finestra, quello del piumone fin sopra agli occhi, quello del thè al pomeriggio, per berlo, sì, ma anche per sentirne il profumo, il calore, abbracciando la tazza con la mano.

Che arrivi.
Vengo da 30 gradi e sole a picco, ma questo freddo non mi fa paura.
Anzi.
Ho una scorta di calze colorate da perdere la testa, le ho fatte io, Come, Fai La Calza? Eccerto, pochissimi al mondo sanno quanto è cool farsi le calze da sè.
Ho pronti sciarpe, e cappelli buffi, maglioni pesanti, copertine leggere da tenere vicino, da aggiungere se per caso, e il caso lo è spesso, magari quando è appena chiaro, e guardi fuori, controlli che ancora ci sia tempo per stare lì, e immagini in freddo fuori e pensi Ancora Cinque Minuti, e allora che siano cinque minuti regali, con un'altra coperta, così.

Raccolgo forze e progetti, ho imparato a non farmi più tante domande, tante menate, a non avere più certezze, se non quelle che ho più prossime, a non fidarmi, a non fare programmi, a divertirmi di più, ancora, con niente.
E a non avere paura.

Accolgo l'autunno e il freddo e le castagne, aspetto le noci dell'albero in fondo al sentiero, guardo l'uva dimenticata nei filari, le rose che ancora fioriscono nonostante tutto, e i gerani ormai da buttare, cosa ci metterò nei vasi sul davanzale, non so.

Aspetto il gelo, il vento forte, il freddo chiaro che piace a me, aspetto cose belle, pensieri dolci, aspetto il cielo tirato a lucido, aspetto di essere sempre io, aspetto me, aspetto di partire, aspetto di tornare, aspetto di capire.

Aspetto e basta.

Ci sarà modo, ci sarà tempo, cambierà tutto o non cambierà niente, non sarà facile o lo sarà, non sarà subito, non sarà un attimo, nel frattempo, vado avanti e aspetto, non penso e aspetto, sorrido e aspetto.





29 settembre, 2014

Piovigginando, sale.

Non si è fatta aspettare.
E' arrivata, di già.
Eppure, sono stati giorni di sole bello, con le foglie d'oro per terra, intorno alle panchine del Lingotto o lì vicino, sole chiaro che ti faceva dire che sì, forse era ancora un pochino estate, non certo luglio ma insomma, così.

La nebbia, alla fine, arriva sempre. 
A ridosso del mio compleanno, per questo mi piace sempre, anche se quest'anno è un compleanno un pò strano, ma sempre compleanno è.

Mi piace la nebbia perchè è mistero e meraviglia e sopra, attorno, dietro e in fondo puoi immaginarci quello che vuoi, farti dei viaggioni, come dicono i miei figli, inventare cose che vere non lo saranno mai, ma alla fine a chi importa, se anche solo a pensarle ti fanno stare bene.

Mi piace la nebbia perchè nasconde le cose che non vorrei vedere, qualche cattiveria, qualche delusione, e invece avvolge e fa più belle cose semplicissime, quelle che mi piacerà tenere vicino, che non smarrirò, che terrò sul comodino insieme all'acqua, alla sveglia ferma, ai libri, ai sogni spiegazzati, ai pensieri del mattino presto quando guardo fuori e non so mai se girarmi e ridormire o se stare lì a guardare la nebbia, il soffice che entrerebbe dalla finestra se solo avessi cuore di aprire, se solo avessi cuore di alzarmi da qui che fa già freddo e ci vuole forse una coperta leggera.

Di solito verso metà mattina il sole vince sulla nebbia, e il cielo che è rimasto nascosto fino ad ora, salta fuori in tutta la sua maestosa azzurrità.

Serviranno forza e vitamine, respiri lunghi e scrollate di spalle, di magoni non ne ho più voglia, ho mille cose da fare e col magone non si va lontano, si cerca ogni occasione per stare bene anche solo un pò, le foglie accartocciate che fanno quel bel rumore quando ci corri sopra, la luna di ieri sera che era una ciglia rosa su un foglio nero, sarà il mio compleanno per giorni e giorni, un pò qui e un pò lontano da qui, che bello sarà arrivare.

Intanto, aspetto il sole, che alla fine arriva, lo so, tra poco più di mezz'ora, minuto più, minuto meno, e piovigginando salirà, ma è nebbia secca questa qui e non pioviggina nemmeno, sale  e basta.
L'avrà vinta il sole.

e poi, la nebbia è un pò innamorata del sole, lo sanno tutti.
Per questo gli lascia fare sempre quello che vuole.









16 settembre, 2014

Piove cielo.








Piove sì.
Piove una pioggia d'autunno, di già, ma come, che c'abbiamo ancora la voglia di mare e i sandali flat in corridoio, questa casa è in ordinissimo, qualche volta mi verrebbe voglia di metterla a posto alla perfezione, ma sarebbe ancora più strana di quanto non la sia in realtà, e allora lascio volutamente qualcosa in giro, così, per non perdere l'abitudine.

Piove un sacco. Questa notte mi ha svegliato un delirio di vento e goccioloni sui vetri, che bel rumore la pioggia sulle finestre, quante volte l'ho già detto, che noiosa sarò mai.
Non lo dirò più, giuro.

Pioveva così forte che ho pensato Cade Il Cielo, non era temporale, quello lo conosco bene, era proprio solo pioggia fortissima e per questo rara, in una stagione così mite e lenta come questa, in fondo, l'estate non è stata che un lunghissimo autunno, mi pare.

Piove cielo.
Lo raccolgo e lo tengo lì.
Nelle tazze che mi regalano le mie amiche per darmi il buongiorno già di prima mattina e non farmi sentire tanto sola, lo raccolgo nei barattoli vuoti del caffè, così belli e lucidi che è un peccato mortale buttarli via.

Raccolgo il cielo e lo conservo, per quando mi sembrerà di non avere cielo da guardare, di non aver più pioggia da ascoltare.
Non sarà vero, non sarà vero mai.

Ci saranno sempre cose bellissime, forse nascoste e difficili da scovare, ma ci saranno sempre per me belle gocce sui vetri e profumo di foglie bagnate e colori rossissimi  e viola come quelli della vigna ieri verso sera. E cielo, cielo sopra, cielo da guardare, cielo da disegnare, cielo da raccontare.

Nessuno ha mai saputo come si fa a raccogliere il cielo che viene giù.
Io sì.
E questo fa di me la più sciocca fra le donne, la più visionaria, la più scentrata.
Però, mi fa bene.
Mi viene bene.
E allora, va bene.







27 agosto, 2014

Tengo il Segno.

Lo tengo sì.
Io non uso i segnalibri, uso le bandelle della copertina, tanto, leggo talmente in fretta che il segnalibro nemmeno serve.
Leggo tanto, sì.
Con i libri, vivo delle vere e proprie storie d'amore, quelle dei sedici anni, che ti tolgono il fiato e ti fanno ridere da sola nelle vetrine, o sugli specchietti delle macchine.
Li inizio sempre con prudenza, prima di sapere se mi faranno innamorare o no, e di solito è sì, io mi innamoro sempre dei libri che leggo, sempre, anche se poi alla fine non mi piacciono dico vabbè, mica mi può piacere tutto. Li inizio piano e poi mi faccio rapire, sequestrare, chiudere in uno scantinato fino a quando non ho finito, fino a quando ho letto anche i crediti, le biografia, di chi è il disegno in copertina, il prezzo.
Dopo, mi mancano.
Mi ritrovo a pensarli a giorni di distanza, a ritornare su quella frase, su quella scena, io i libri li vedo, me li mangio davvero, ci dormo vicino, non so dire, li tengo lì anche quando li ho finiti, sul comodino, di qualcuno mi ricordo dei capitoli interi, qualcuno l'ho riletto anche cinque sei volte, Ma Cosa Rileggi Non è Che Cambia,  una specie di malattia. Lo so.

Tengo il segno.
L'ho tenuto anche qui, mi ricordavo di aver scritto una cosa con questo titolo e l'ho scritta qui, sei anni fa, sei anni sono un sacco e pochissimo, a secondo da che parte stai.
Tengo il segno per tenere insieme me.
Per non cadere in pezzi, da un momento all'altro, come succede con il flan che devi portare a tavola, che è da rivista finchè è dentro al forno e poi, ai tuoi ospiti sottoponi uno spettacolo raccapricciante del flan che si accartoccia su sè stesso, come in un incantesimo malvagio, fatto da chissà chi.

Tengo il segno. Finora mi riesce.
Riordino cose, tengo in ordine di fuori per avere tutto in ordine di dentro, funziona così.
Riordino l'armadio dei piatti, le tazzine del servizio bello che non usiamo mai, le mille e mille tazze della colazione, i piattini raminghi, trovo un posto e una destinazione d'uso agli ultimi arrivati, un regalo di mia mamma il giorno del suo compleanno, mia mamma è l'unica al mondo che al suo compleanno i regali li fa agli altri. A me, sempre.

Tengo il segno e vado avanti, passo ore in libreria a scorrere i libri nuovi, a leggerne qualche pagina, ad annusarli, anche, guardo quelli nello scaffale dei libri usati e ci passo piano le mani sopra, come a voler capire da dove vengano, di chi sono stati, c'è tutta una storia dietro ai libri già letti,  ne ho comprato uno due giorni fa tutto sottolineato, un romanzo non si sottolinea, è sacrilegio, ma forse, l'ignota Cristina che ha scritto il suo nome a matita nella seconda di copertina, è squilibrata quanto me e in fatto di libri ha anche lei le sue manie.

Io non scrivo mai il mio nome sui libri.
Come a dire, è mio ma potrebbe essere di chiunque.
Nessuno però lo leggerà mai come lo leggo io.
E  lo dico piano, nelle pagine, a ogni libro che leggo.

Chissà se mi sente.




10 agosto, 2014

Certe mattine.


Certe mattine, non dormi più.
Cioè, dormiresti ancora, ma decidi che non ne hai più voglia e che la mattina è così bella per tornare a dormire, e che spreco sarebbe. 
Certe mattine sono più belle delle altre.
Certe mattine quassù, se c'è stato vento o non so per quale misteriosa ragione, se apri la finestra e guardi verso di là, verso le Colline Lontane, non verso quelle Vicine, si sente l'odore del mare. E del sole.

L'estate è una stagione bizzarra, questa qui più di tutte, puoi decidere come viverla, puoi dedicare tempo ad organizzarla fin nei dettagli più piccoli e insignificanti oppure non fare un bel niente, stare lì e decidere ogni giorno cosa farne, se scoprire un angolo della città di sera che ancora non avevi scoperto e camminare ciondolante con l'andatura da turista, fermandoti a leggere le targhe sulle case, le descrizioni dei monumenti, guardare in sù, come a Parigi. E mentre, chiacchierare e ridere piano. E fare progetti. Che quelli, proprio non mancano mai.

Certe mattine che non torni a dormire, stai lì davanti alla finestra spalancata, ascolti i rumori dell'alba, scruti il cielo e le nuvole, magari andrai a correre tra poco, non nello sterrato ma sulla strada, a guardare i giardini degli altri, schivare le irrigazioni, incrociare lo sguardo stralunato di qualche vicino che apre la finestra in quel momento sbadigliando e ti sorride MaDoveVaiAQuest'Ora.

Certe mattine sono preziose e bellissime, i figlioli sono sparsi un pò dovunque, più sparsi del solito, e presto saremo ancora più sparsi tutti ma non è tempo di pensarci, adesso, che già ci si è pensato tanto e pensare troppo fa rumore e non va bene.

Certe mattine si scende scalze in cucina, si prepara con gesti rassicuranti una caffettiera di media grandezza, che in questa casa ce l'abbiamo pure da mille, la caffettiera, e si sceglie il calibro a seconda di quanti siamo e preparare il caffè così non ha storia rispetto alla macchinetta, quella è per i caffè veloci, il caffè del mattino si fa in un certo modo, il rito non si deve esaurire nel rumore stupido di una macchinetta che fa grrrrrrr.

Certe mattine hai solo pensieri morbidi e sorrisi improvvisi e teneri, e meno male, dopo tanta pesantezza e tanta ansia e tanto stare male da non sapere da che parte fossi girata, ci sono momenti che a pensarli ti sembra di esserci di nuovo e allora smettila, non ci pensare più

Succede sempre così, nelle mattine che non torni a dormire, che prepari colazione per due soltanto, che cogli un'ortensia da far seccare, che andrai a correre tra poco ma che adesso stai lì, davanti alla finestra spalancata, pensieri lucidi e piccolissime gioie, lo senti? se chiudi gli occhi ti arriva l'odore del mare.




31 luglio, 2014

Ciao Ciao Luglio

Meriteresti che ti scrivessi minuscolo, come va fatto, i nomi dei mesi si scrivono in piccolo, ma io c'ho un pò la fissa delle maiuscole.
Luglio se ne va, con un sorriso di sollievo, con un pò di malinconia, con uno sguardo veloce a dire, ok, vattene, ciao e tanti saluti.
Non è stato un gran luglio.
Non è stato un gran luglio per nessuno.
Non è stato un gran luglio per me.
Salvo pochissime cose, il mio Giardino, le mie Ortensie, i Micini Paffutissimi che oggi si recheranno per la prima volta dal veterinario, il mio progetto che ancora nessuno o pochissimi sanno come si chiama e al quale lavoro e lavoro.
E i temporali.
Per il resto, lo zero assoluto.
Sono stati giorni in fila, pieni di promesse di cose belle, pieni di fogli scritti fitto stropicciati, appallottolati e gettati nel cestino della carta, anzi no, lì vicino, non ho la mira e nemmeno per sbaglio mi viene da fare centro, con la carta, mai nella vita, mai.
Di programmi fatti centomila volte, e centomila volte cambiati, aggiustati, rimaneggiati e poi cancellati del tutto.
Di cose non belle.
Di pensieri nemmeno.
Di belle sere, però. Qualcuna. 
Questo luglio mi ha frullata, mi ha portato sulle Montagne Russe e mi ha scaraventato a terra, ho le ginocchia sbucciate e la testa che ronza, mi ha shakerato, mi ha preso per le spalle e scosso, scosso forte, Oh, Ma Sei Scema O Cosa.
Questo luglio mi ha maltrattato.
Io maltratto lui.
Scrivendolo minuscolo.
Domani, un agosto lucente, al diavolo tutto, si riparte da zero, point à la ligne.
Sii buono agosto, sii buono con me.

20 luglio, 2014

Dei Giorni Immobili.

Scrivo da una finestra spalancata sulle colline, su un pomeriggio fermo di pioggia a tratti, di cicale.
Scrivo da una piccola festa, da una stanza colorata di verde acido, scrivo da un tavolo pieno di nastrini e cuoricini e bottoni, matite e pennarelli. E una stilografica.
E' una domenica lentissima di ritorni, di lavatrici che non asciugheranno, di progetti, pensieri, canzoni a memoria cantate piano, cose.
C'è un fascino speciale nei giorni d'estate che estate non è, quando il sole si è nascosto chissà dove, nei giorni fermi come questo, dove si fanno programmi che due giorni dopo non valgono più, dove hai sempre torto, dove nuvole e goccioloni sembrano essere la sola cosa plausibile, attuabile, certa.

Cercherò.
Da qualche parte ci sarà, lo troverò, vedrò di trovarlo, vedremo, vedremo, sono belli i verbi al futuro, farò, sarò, andrò, da qualche parte deve essersi nascosto, piova pure tutto quello che vuole, faccia un caldo feroce o un bel vento, o anche niente, andrò a buttare il vetro, mi attarderò sulla salitina verso casa, guarderò dalla parte della luna, non importa se sarà gigante o no, se sarà rossa o no, se piena o no,  se ci sarà oppure no, se sarà giorno o notte fonda, che mistero la notte quando è estate, troverò il modo, non posso avere torto, non voglio più avere torto, da qualche parte deve esserci, mi siederò sotto al nocciòlo, da lì vedo la città lontanissima,  il Duomo e le colline ancora più in là, che dopo c'è il mare.

Da qualche parte ci sarà. 
L'arcobaleno, intendo.
E allora, sarà bello aver avuto ragione.

11 giugno, 2014

Effetto domino


Faccio quello che posso.
Quello che riesco.
Un pò poco, in realtà. Raccolgo cocci, disinfetto ferite invisibili ma presenti, scopro debolezze che non credevo di avere, e, a tratti, una forza e una tranquillità preoccupanti, una specie di impallamento, se sto troppo ferma o troppo zitta o troppo calma, non è mai un bel segnale.
e' arrivata un'estate prepotente ma svogliata, non so dire, si cerca di pensare che tutto sia normale e tutto a posto, quando in realtà è tutto così confuso e incerto che non si sa da che parte voltarsi.
Si cerca di prenderla con filosofia.
E limitarsi ai primi danni, che nemmeno sono pochi.
Direi.

si decide in questo istante di smetterla di farla tanto lunga, di darsi un certo tipo di contegno, di raccogliere quel che c'è e farne buon uso, come quando rompi una collana, impossibile rifarla uguale e allora infila perline a casaccio, aggiungine di nuove, più colorate e più lucide. Trovarle non sarà difficile.

La scuola è finita.
La Liceale Innamorata vive questi primi giorni di libertà come si conviene, fra feste e piscine, con quei suoi occhi di mare più brillanti del consueto, il sorriso più trasognato di sempre, cuoricini a quintali su Whatsapp quando mi comunica spostamenti e cambi di programma.

E' tempo di esami per gli universitari, e camicie immacolate per l'occasione, Ho Rifiutato un 26, Era Facile, Voglio 30. I miei figlioli maschi sono la contraddizione, la bellezza, gli unici al mondo che sanno farmi ridere tanto, ma tanto, anche quando ho il cuore in pezzi, l'anima incerottata e mi raccontano in cucina, e mi fanno sentire chef pluristellata anche quando cucino distratta una pasta al pomodoro.
Si preparano valigie e progetti.
Troppi, forse.

Ce la metterò tutta.
raccoglierò forze e sentimento, ammucchierò per bene tutte le mie intenzioni migliori, la forza che sono stufa di avere, il controllo, la maturità anagrafica, il mio ruolo in questa casa e in questa famiglia.
Ce la farò.
Nel frattempo, mi organizzo con piccolissimi accorgimenti.
Una sera con le amiche, domani, come da tantissimo non facciamo più, previsti tacchi dodici e mojiti, ma come, la strada di dove andremo è tutta ciottoli e prato, ma non importa. Rientro previsto forse per le 22. Qualcuno azzarda le 22,30. E già, ci sembrerà di aver fatto follie.
Mi farà bene.

Faccio esperimenti su di me, sono cavia di me stessa, un topo da laboratorio, gli esperimenti vanno fatti più e più volte, alla fine, con le provette giuste, gli elementi giusti, riescono sempre.
Mi risolleverò.

Primo tentativo al mondo di effetto domino. Al contrario.

Si.PUòFaRe.

29 maggio, 2014

La Cretina Ortensia.



Il suo nome non le piaceva.
Troppo altezzoso, troppo altisonante. Complicato.
La Cretina Ortensia viveva nell'aiuola delle ortensie, e dove se no?, ed era quel che si dice una testa matta. Accanto a lei, la siepe delle ortensie più anziane e più giudiziose l'avevano più volte avvertita, ma lei nulla. Era un buona ortensia, alla fine, di gran cuore, perfino simpatica qualche volta. 
Se non fosse che quel maggio si era messa in testa di fiorire prima delle altre.

E mentre tutte erano ancora agglomerati verdissimi di fiorellini senza senso, lei no, lei si pavoneggiava un sacco con quei suoi fiorini rosa acceso, con quelle sue foglie lucide, con quel suo fare altezzoso, altisonante e complicato, proprio come il suo nome.

Ma la Cretina Ortensia sapeva il fatto suo.
Lei fioriva quando le pareva e le piaceva, non ne voleva sapere un bel nulla delle Regole del Giardino, e cioè che le ortensie fioriscono tutte insieme, appena dopo la pioggia dei petali del Ciliegio, che si deve stare buone e composte, rispettando le ortensie più grandi, quelle della siepe nuova, quelle sulle quali  nessuno ci avrebbe scommesso, arrivavano dal giardino del vicino dove avevano abitato per anni, e in molti pensavano che non avrebbero retto al trasloco, e invece no.
La Cretina Ortensia lo sapeva. e lo sapeva bene.

Ma le regole, ogni tanto, andavano in qualche modo sovvertite, sennò, che divertimento c'era, e che sì, lei  sapeva la storia,  che bla e bla e bla, ma in fondo non faceva proprio male a nessuno, aveva voglia di fiorire e fioriva, prendendosi tutto i rischi del caso, tutte le complicanze, pure le smerluzzate dei gerani, per dire, che non perdevano occasione di farle la predica e dirle come ci si doveva comportare, che non era quello il modo.Ma si sa, i gerani son filosofi, e te la spiegano, sempre.

La Cretina Ortensia lasciava dire.
E fioriva, a dispetto del mondo, del Pratino, del Ciliegio e di tutte le altre ortensie dell'Aiuola.
Fioriva, per trovare il coraggio, per fare un respiro lungo e andare avanti, fioriva a dispetto delle erbacce che si abbarbicavano sul suo stelo, che sembra siano solo campanule bellissime e invece sono  infestanti e pericolose, velenose perfino, beh non esageriamo, lei, la Cretina Ortensia, fioriva e fioriva, e diventava da rosa acceso a fucsia brillante, bellissima.

Il geranio, da lontano, nonostante la filosofia e le menate, guardava e sorrideva.

23 maggio, 2014

Di quando il Caprifoglio si innamorò del Geranio.

Erano sempre stati vicini.
La siepe del caprifoglio stava proprio lì, rasente il davanzale dei gerani, i vasi vecchi provenienti da un'altra casa, un pò sbrecciati ma pieni di storia e di storie, con ancora sul fondo i cocci di una vecchia teiera, non si sapeva bene bene a cosa servissero, ma erano sempre stati lì e lì rimanevano.

La siepe del caprifoglio fioriva improvvisa, senza avvisare,  non che avesse prima foglie, poi boccioli e poi fiori, no, arrivava così, un mattino  uscivi e, Toh Guarda, E' Fiorito il Caprifoglio.
In realtà, lo si sentiva anche dalla finestra, quel profumo di limone e pulito e vaniglia, anche, che entrava dolce dalla finestra socchiusa, insieme a quello delle rose, non si sapeva dei due quale fosse il più seducente, il più inebriante, il più romantico.

Quella mattina, il Caprifoglio si innamorò.
Non delle altezzose rose dell'Aiuola di Là, ma del Geranio, il primo della fila, quello che si innaffiava per ultimo, quello più vicino al davanzale.
La scintilla era scoccata, si suppone, la notte stessa, quando fra un pensiero e una chiacchiera, il Caprifoglio scoprì che il Geranio era sì di un bel colore fucsia acceso, aveva sì foglie verdissime e vellutate, era sì in un vaso coi ghirigori che era passato di in casa in casa, ma aveva anche bisogno di essere un pò abbracciato, un pò tenuto vicino.
Ti Regalo Un Pò del Mio Profumo, gli disse, e spinse i suoi rametti sottili e teneri fra le foglie vellutate, in un abbraccio delicato, ma intenso. Dolcissimo.

Il Geranio ne fu felice.
Li trovarono così, la mattina seguente, abbracciati sul davanzale, il profumo del Caprifoglio era tutt'intorno. Le rose, ammutolite a guardare.

Non importa che rivoluzione sia in atto lassù nella Casa in Collina.
Non importa se è tutto così scompaginato e confuso e sparso.
Non importa che viavai di valigie e progetti e biglietti aerei e tirar sù col naso di nascosto,  per non farsi vedere i lucciconi
Sarà sempre tutto bellissimo, se sul  mio davanzale potrò assistere alla storia d'amore tra il Geranio e il Caprifoglio.
Le storie d'amore alla fine, vincono sempre.


01 aprile, 2014

Ciao Ciliegio.

Ogni volta è una sorpresa.
Si sa che il ciliegio fiorisce, lo fa ogni anno, che scoperta, è aprile, fiorisce tutto intorno e per ultimo tocca a lui, dove sta la meraviglia.
Eppure.
Eppure la fioritura del ciliegio di casa, quello del pratino, quello che fa rosa tutto intorno nella sua maestosa sofficità, è sempre accolta con un oooohhh si stupore da tutti gli abitanti della Casa in Collina.
Da tempo si sorvegliava, per essere certi di non perdere nemmeno un petalo, per avere, segretamente, il privilegio di essere i primi ad informare gli altri Hai Visto il Ciliegio?

La mattina inizia presto di questa stagione, non ci si vuole privre di nessuno spettacolo al mondo, l'alba proprio davanti al naso, quella che non ti devi spostare per vederla, alzi gli occhi e e l'hai lì, davanti, che bello è passare dal caffelatte al sole, in un istante.

Da stamattina, la scenografia della colazione si è arricchita di un particolare regale, di una nuvola soffice che diventerà rigogliosissima in pochi giorni, e lì rimarrà fino alla prima pioggia o al primo vento rabbioso che la scuoterà  ricoprendo il pratino di un tappeto di petali color meraviglia.

Ma ancora non è tempo.
Non voglio grane quest'oggi.
Non voglio menate, deliri, malinconie e magoni.
Non voglio nulla.
Solo i petali del ciliegio, la quiete accesa di questa casa, il bel sentire, le cose piane, il silenzio, anche.

Voglio ubriacarmi del rosa di questi petali, guardarli e guardarli finchè non mi faranno male gli occhi e credo mai, da quanto li amo.
Voglio immaginarmi un profumo per loro, non ne hanno nessuno, il ciliegio non profuma, ma cosa dici, in effetti è vero, ma se non ce l'hanno non importa, ne inventerò uno e farò finta di sentirlo.
Voglio un giorno normale, voglio che il rosa del ciliegio colori anche i miei pensieri, i miei passi verso dove, la mia strada. 

Verrà la pioggia fra non molto e con lei il vento stupido che spazzerà via i petali preziosi e tutto il rosa e allora questo splendore sarà un tappeto di petali tutt'intorno, ne arriverà qualcuno anche vicino alla porta, è già successo, e allora fiorisci ciliegio, fiorisci in fretta e non aver paura, dal vento non posso difenderti ma da tutto il resto sì, vengo ad abbracciarti e facciamo una festa, e se arriverà la pioggia raccoglierò i petali uno ad uno, in qualche modo mi ci farò una corona e mi nominerò, da sola, Regina del Ciliegio.
Suona bene.


28 marzo, 2014

Il Vaso delle Biglie.


Conservava il suo vaso di biglie colorate nel ripiano più in vista della cucina.
Una passione da sempre, le biglie di vetro.

Ogni tanto però, ci voleva una rimescolata, andavano controllate, riviste una ad una, forse,anche spolverate. Una volta, aveva anche provato a dare un giro di lavastoviglie.

Certo, v'era modo e modo.
Si potevano accarezzare con un panno morbido, con tenerezza quasi, magari con quel piumino da polvere che giaceva in un armadietto e che faceva tanto Desperate Housewife.
Oppure, si potevano sciacquare con l'acqua gelata, di malagrazia, di fretta, le biglie sono forti sì ma non amano essere bistrattate, certo, a chi piacerebbe?

Le biglie del vaso erano una delle cose che aveva al mondo più care.
Quel giorno, aveva preso il vaso distrattamente, molte erano scivolate fuori, qualcuna aveva perfino rischiato di rompersi.
Alla fine, però, era riuscita a recuperarle tutte, carponi sul pavimento, sotto i mobili e dietro alle sedie, le aveva sciacquate con grazia e sapone Marsiglia, asciugate con un panno candido, rimesse nel vaso, riposte fra le cose al mondo più care, nel ripiano più in vista della cucina.



20 marzo, 2014

Viola nel Muro.


Non si capiva come avesse potuto crescere lì.
Senza acqua, senza terra, solo col sole.
Inspiegabile.
La viola era nata proprio lì, tra il muro e la staccionata verde dove si sarebbe abbarbicato, di lì a poco, il gelsomino.
La scoperta fu fatta una mattina di marzo, stendendo le lenzuola, la meraviglia dei primi giorni di bel tempo è proprio stendere fuori, all'aria bella, col profumo del sole.
La viola era lì, un ciuffetto di smeraldo e qualche bottoncino di viola chiaro, caramelle quasi, Violette Leone, le conosco bene,sono state i confetti per il mio matrimonio.
La viola del muro aveva deciso di nascere lì, senza preavviso, senza grandi pretese, senza alcuna invidia delle viole dell'aiuola, di là, che invece avevano sfidato la corteccia di pino delle rose e godevano del privilegio della primissima fila. Guarda Che Belle, viola scuro e foglie larghe.

La viole del muro sono gemme incastonate nel nulla, rendono meraviglioso un pezzo di cemento armato e una staccionata spoglia, fanno di un angolo inutile un angolo bello, semplice, colorato appena, viola chiaro e foglie piccole, loro.

Vorrei essere viola del muro anche io, avere il coraggio e resistere, senza terra, a dispetto di tutti.
Un pò, la sono.
A volte non mi riesce, ma ci sono giorni in cui mi sento invincibile e forte, e di me dò il meglio, i colori pastello, le foglie tenere, quel che so fare, qualche parola a un'amica, risate nel telefono, sorrisi anche, se sorridi al telefono se ne accorgono, non lo sapevi?

Oggi il sole non c'è.
La viola nel muro è sempre lì, morbidissima, l'ho persino accarezzata questa mattina.

Che miracolo sei, viola perfetta di primavera, avamposto di giornata meravigliose che verranno, messaggera di bellezza e pace, che mondo bizzarro è mai questo se nasci e mi sorridi da un angolo di muro.
Imparo da te forza e tenacia, imparo da te a resistere, imparo da te l'inaspettato, la gioia piccola, stamattina, e per mille altri giorni ancora, non mi farò sommergere, non mi farò schiacciare.

 Sarò Viola nel Muro, vedrai, riuscirò.


28 febbraio, 2014

La Casa dei Bicchieri Spaiati.


Scaricare la lavastoviglie non è mestiere che amo.
Così come non mi piace stendere, credo che questa ritrosia ad entrambe le situazioni sia dovuto al mio senso dell'ordine, diciamo quasi nullo.
Essendo un lavoro che faccio per forza, mi ritrovo a distrarmi, a pensare ad altro, per rendere tutta l'operazione lievemente più gradevole.
Che pensieri strani mi vengono mentre mentre scarico la lavastoviglie.
Questa casa non ha più un servizio di bicchieri.
Cioè, sì.
Cioè, no, non ne ha uno che può chiamarsi tale, laddove si possano contare 6 bicchieri tutti uguali.
Dopo la dipartita degli ultimi calici disintegrati, non v'è stato modo di acquistare un servizio vero, degno di questo nome, come ogni casa dovrebbe avere.

La Casa dei Bicchieri Spaiati, però, è bella così com'è.
Accoglie e consola, cura e lenisce ogni tipo di tristezza e malinconico disagio.
La Casa dei Bicchieri Spaiati è una casa un pò speciale, a giorni alterni piena di gente o completamente silenziosa. E' bella in ogni momento della giornata, dalla radio sommessa del mattino presto al verso sera, quando si sente una voce che ripete storia.
Qualche volta, un urlo lacerante, spesso cori da stadio, canzonacce da osteria, delicate note di pianoforte, qualche abbaio da guardia poco convinta, qualche parolaccia sbattendo il ginocchio in quello spigolo malefico.Risate, tante, soprattutto quando i figlioli sono tutti e tutti lo saranno domenica questa, dopodomani.

La Casa dei Bicchieri Spaiati sarà nel suo fulgore maximo, con figlioli al completo e fidanzate al seguito, come e più che a Natale. Da vera donna di casa quale non sono, già ipotizzo menù ricchissimi, un dolce speciale, forse un vino bianco prezioso, che il mio Sposo mi verserà con la precisa intenzione di farmi ridereridereridere, che da giorni mi scruta preoccupato. Ero triste, sì.

La Casa dei Bicchieri Spaiati accoglierà questa famiglia chiassosa e lucente, sarà tutto un assegnare letti e a non sapere mai bene chi dorme dove, nonostante ognuno abbia ancora la sua stanza pinta e tratta, sebbene studi o viva lontano dalla casa paterna.

I Bicchieri Spaiati fanno di una casa la mia casa, in un disordine che amo perchè ci trovo me e tutta la mia storia, mi ha curato in silenzio in questi giorni passati quando nulla avevo da dare al mondo se non la mia tristezza, il mio disagio, il mio volere solo stare chiusa qui, a guardare il nulla, al di là delle cose, oltre la siepe.
I Bicchieri Spaiati sono i testimoni delle tante feste, motivate e non, della voglia di festeggiare non solo i compleanni e gli anniversari, ma anche le prime viole, i germogli delle ortensie, i pettirossi che non se ne vogliono andare.

Forse, non c'è modo di sfuggire alla tristezza che ti squassa, alla paura e alla malinconia,  ma ogni scusa è buona per una festa semplice, per far tintinnare due bicchieri e dirsi, va meglio, andrà meglio, è meglio di già.
E che i bicchieri siano spaiati, per forza di cose.


Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...