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14 maggio, 2015

Non mi siedo mai sulle panchine.



E' una cosa che notavo.
Non mi siedo mai sulle panchine.
Eppure, ne ho qualcuna, in giro per il posto dove vivo, nella città dove gravito, perfino in fondo al sentiero, ma proprio in fondo, quasi al paese vicino, dove è raro che arrivi correndo, è troppo sterrato, ho rischiato di cadere più di una volta. 

Ieri sera, mi ci sono seduta.
Ad aspettare mia figlia che arrivava da fuori.
In un'ora insolita, per me, quasi ora di cena e ancora sei in giro.
Con una bell'aria lucida.
Profumo di maggio.
Dicono che grandinerà domani. Ma come fa.

La piazza davanti al liceo è una piazza così bella.
Ieri avevano tagliato l'erba di freschissimo.
I palazzi liberty, le rose fiorite.
Peccato solo per la fontana, spenta, sempre.

Che pensieri ridicoli ti vengono, quando sei su una panchina.
E' come dire, sono qui, non ho niente da fare, devo solo aspettare e non fare niente, posso guardare le macchine passare sullo spalto, solo in questa città le strade si chiamano spalti, dovrò capire bene perchè.
E salutare chi conosco e passa in bici e mi guarda MaCosaCiFaiQuiTuAQuest'Ora.

E chissà chi abitava lassù, chissà se qualcuno suonava il pianoforte, e le poesie imparate a memoria, e i compiti sul tavolo della cucina. E profumo di minestrone sulle scale. 
Chissà quanti baci rubati sotto quel portone coi leoni, chissà le fughe, gli appuntamenti, chissà se da quei vetri qualcuno vede me, non visto, chissà quando la guerra da qui è passata davvero, e la fontana, c'era già questa fontana?  E Napoleone, è passato anche da qui, dopo aver piantato il platano sulla statale?

Niente è più seducente di una panchina a metà maggio.

Le cose che pensi ti scivolano via come acqua fresca, puoi pensare tutto e il contrario di tutto, e forse è meglio che, stranamente, tu non abbia nessun libro da leggere o nessun appunto da prendere, per permettere ai tuoi pensieri di essere un pò come te, stasera, leggera, indolente, che aspetti e basta, che nessuno aspetta te, e allora resti lì.

Non mi siedo mai sulle panchine.
mi sa che dovrò farlo un pò più spesso.




06 maggio, 2015

Fior di Robinia.


Ovunque, ce n'è.
Sul sentiero, dopo la siepe, sulla strada nascosta.
Ogni tanto, i rovi ci provano ad abbracciarla, a soffocarla, seducendola con foglioline vellutate e promesse di bacche lucide e perfette.
Non ce la fanno.

E' Fior di Robinia, quello che cresce in questi giorni.
Puoi chiamarlo Acacia, se vuoi, ma Robinia è più bello.
E' profumo di miele e di pulito, sono grappoli candidi, belli a vedersi, morbidissimi da accarezzare. 
Impossibili da trattenere, non durano molto, nemmeno si possono mettere in un vaso, per dire. Ci ho provato, sfioriscono subito.

Il Fiore di Robinia va tenuto lì dov'è, guardato e basta, non colto, lasciato lì.
Bearsi del suo profumo e della sua innocenza seducente, sfiorandolo appena, guardandolo da lontano per la nuvola che fa, osservandolo da vicinissimo, fino a farsi accarezzare un pò, è come lavarsi la faccia col miele, ma appìccica di meno.

Voglio fiori di robinia ogni giorno sulla mia strada.
voglio siepi candide e candidi pensieri e candida la borsa e candidi i  pantaloni leggeri, ballerine luccicanti, sandali glamour che ci si può anche andare al mare. Già, il mare.

Fiori di Robinia che sanno di bello e di buono, che riempiono di miele le mani e la testa.
Guardare  e non toccare.
Filastrocche a memoria, Ogni Cosa al Suo posto e Un Posto ad Ogni cosa.

Il mio, è vicino al miele.

I rovi non vincono, non vincono mai.


28 aprile, 2015

Mattine che piove.

Mattine così.
Che piove e piove e ancora piove e dopo piove e poi piove e torna a piovere, e smette di piovere e riprende a piovere.
Piove e basta.

Prudente, avevo ritirato l'Abiurato Stendino, avventata lo avevo rimesso fuori, me lo sono dimenticato sotto gli scrosci.
Lo guardavo dalla finestra, come a sfidarlo, col cavolo che vengo a prenderti, resta lì, a riempirti di petali persi del ciliegio, che stupido albero, resta regale e fiorito quattro giorni al massimo, poi arriva la pioggia e ciaone proprio.
Lo stendino resta lì.
A prendersi tutta la pioggia del mondo, le fodere dei divano stese e inzuppate, più pulite di così.
E i petali che cadono

Lascia che piova ogni cosa, lascia che venga giù dal cielo quello che vuole.
Non ci sono grandi soluzioni, non ci sono incantesimi da fare, se non darsi un andare e tirarsi fuori, provando a tentoni la strada migliore, come quando manca la luce e cerchi le candele.

Lascia che tutto vada come deve andare, non so se da qualche parte è scritto, non so se qualcuno ha fatto un disegno divino per me, qualcuno o Qualcuno, non lo so bene, c'è chi dice di sì, che ognuno di noi obbedisce a un progetto più alto, che ognuno di noi ha una strada ben definita e da lì non si scappa, che abbiamo una parte stabilita in una storia gigantesca.

Io faccio lo stendino.

sono in un angolo del giardino, vicino al lillà e alla siepe della Regia Salvia. Da lì vedo cose meravigliose, le colline, gli arcobaleni, i fulmini gli aerei e le nuvole.
Mi girano intorno talpe e micini, e gatti e cani e ricci e lumache. Una volta, una biscia.

Mi scaldo col sole alto
Mi piove addosso quando mi dimenticano qui.

Un giorno pioggia.
Un giorno i petali rosa del ciliegio.
Qualche volta tutt'e due,

Meglio i petali.




22 aprile, 2015

Cambio borsa.

E' una specie di rito
è un momento cui ci si deve dedicare con concentrazione, senza nessuno intorno.
Un atto che non si riduce a prendere  le cose da una borsa e metterle nell'altra. 
E' di più.

le borse delle donne sono universi paralleli, contengono il mare, il mondo, gli scontrini degli ultimi 4 anni, rossetti senza tappo che fanno danni, burrocacao, penne che non scrivono mai e stilografiche senza cartuccia.
e fogli.
e appunti
e briciole
e monetine
e cibalgine senza scadenza, e queste di quando saranno?

cambio borsa.
lo faccio spesso, ho una busta con un kit di sopravvivenza, ed è la sola cosa che sposto senza pensarci sù.
Il resto, lo esamino.
questo serve ancora, questo no, qui ero, qui facevo, qui avevo detto, un pò come scorrere le fotografie, c'è la vita dietro uno scontrino, un biglietto del cinema, una carta d'imbarco, una multa, la lettera di un'amica scritta a mano, ho ancora amiche che mi scrivono lettere con la penna e le conservo tutte.

Rifletto.
Se buttare tutto o no, se tenere tutto a memoria, ci sono cose che hai scolpite dentro, non serve mica il documento per ricordartene.
Si deve avere il coraggio di buttare via, ogni tanto.
Non solo dalla borsa.

Nella mia di stamattina ho trovato di tutto, ho avuto borse ben più confusionarie e disordinate, ciucci e bustine di camomilla, briciole, merendine, leccalecca mezzi succhiati e avvolti alla meglio nella loro carta di origine. Il guaio è stato quando il Chupa alla cocacola si appiccicò al cellulare, un pomeriggio al parco. E quella volta che un bibe di camomilla si aprì, e lo addormentò per sempre.

Stamattina niente Chupa, ma caramelline sparse, bollettini pagati di gite scolastiche, un gomitolino di lana avanzato, un uncinetto viola, infinite liste della spesa, perline. Perfino un cacciavite a stella.

Cambio borsa per fare ordine.
Per riordinare me, le cose che ho, le cose che sento
per dire, questo lo tengo, questo lo butto, si fa così anche con i cassetti, ma i cassetti basta scegliere di non aprirli.
la borsa, invece, ce l'hai sempre lì. 
e sono cose che ti porti in giro sempre, che sono sempre con te.
e ci frughi spesso, riordinare la borsa non è come riordinare il portafoglio, quello si fa alla posta, soprattutto se hai il P234 e sono al P200. E' successo. E quando è stato il mio turno avevo appena finito.

Avrò una borsa color fragola nuova di zecca, stamattina, ordinatissima, senza nulla che sia fuori posto.
L'unica a sentirsi fuori posto, sono io.

Cominciamo dalla borsa.
Il resto, verrà.


17 marzo, 2015

Volo basso.

                           ph.la douleur Exquise
Volo basso.
Raso il marciapiede.
Che non so nemmeno se è corretto. Credo di no. Ma rende l'idea.

Volo basso.
Plano sulle pozzanghere, sul fiume limaccioso in città che sembra davvero l'Hudson, stamattina, e la mia Amica delle Provette e Biancaneve sanno bene di cosa parlo.

Volo basso. 
Sull'albero sradicato all'inizio della mia strada, Sarà stato il vento delle sere scorse. Che tristezza gli alberi sradicati, e che impressione, un pochino, ma come, hai davvero soffiato così forte e io non me ne sono accorta? che poi, neanche è vero, me ne sono accorta eccome.

Volo basso.
Schivo i sassi e le viole dell'aiuola triste delle rose , ce ne sono una marea, di viole, non di rose, sono nate di nascosto fra la corteccia di pino, quella che non doveva far nascere nessuna erbaccia, eppure, guardale lì, viola scurissimo, non come quelle della collina che sono lavanda appena, che poi, come fanno delle viole ad essere color lavanda mi sa che ci devo ragionare un pò sù.

Scema ma non stupida, lavanda ma non viola, mi balocco fra le centinaia di cose di fare e la zero voglia di farle, come succede spesso, Certo, a guardar fuori nemmeno aiuta, i tetti lucidi, il cielo perso, i pini che si muovono appena, giusto per dire, sono qui, ma si vede lontano un miglio che non ne hanno voglia nemmeno loro. Non è mattina.

Troverò un senso.
Troverò un modo.
L'ho trovato sempre, ogni santissima volta.
Mi sembravo persa, e non la ero.
Mi sentivo persa, e non la ero.
Toglievo dal cilindro un coniglio, un amuleto, un incantesimo, una caramella mou.
Farò così anche oggi.

Per cominciare esco a farmi un mazzolino di viole e le metto sul tavolo.
Poi mi mando un bacio nello specchio.
Poi, scarico la lavastoviglie.

Volo basso.
Mi sa che a incantesimi stiam messi male, e anche le caramelle mou sono finite.
Chi lo sa, forse, c'è un buco nel mio cilindro.

13 marzo, 2015

Il Prato Verdissimo.



E' incredibile come non ci si accorga delle cose, qualche volta.
Ho trovato un posto.
un posto che non conoscevo.
Su una stradina di campagna che faccio ogni giorno, anche 3 volte al giorno, da anni.

Sarà stato il sole sfacciatissimo di oggi, un accenno di sentiero appena disegnato in mezzo ai rovi, subito dopo il canneto.
Non è stato semplicissimo, chissà da quanto tempo nessuno passava di lì.

Così.eccolo.
Un prato verdissimo, appena un pò scosceso, recintato da nastri leggeri, ma apparentemente non più frequentato. A terra, l'erba nuova, i fiorini azzurri piccolissimi che sussurrano che è quasi primavera, le margheritine. Da un lato i rovi, dall'altro solo colline. Solo in fondo, laggiù laggiù, la guglia del Duomo e la città.

Che bella scoperta sei,  prato verdissimo di erba nuova.

Ci passo da sempre da qui, a piedi e di corsa, ma mai mi sono chiesta cosa  avrebbe potuto esserci mai, dietro al canneto.
Ho trovato te.

Verrò qui spesso, mi piace questo posto dove nessuno può trovarti, se non vuole.
Mi piace perchè tu vedi tutto intorno e nessuno vede te.

Verrò qui a leggere, a prendere il sole, a riposarmi quando mi sfianco di corsa per scacciare i pensieri, verrò qui  a pensare, seduta in mezzo alle brattee e ai fiorini piccoli, starò attenta a non graffiarmi coi rami delle more, arrivandoci, perchè sono more, secondo me.

Verrò qui quando vorrò stare sola, anche se sola la sono spesso ultimamente, ma mi piacerà sentirmici di meno perchè appena si alza un pò il vento,  le canne bisbigliano delle belle storie e tutto a un tratto sola non lo sei più.
Ci potrei fare una merenda con le mie amiche, venirci a chiacchierare con mia figlia, portare un telo e stendermi a guardare in sù, magari mi vengono delle idee bellissime, o magari, tutto questo cielo sopra mi annulla del tutto e di pensare nemmeno mi riesce. Non sempre è un male. 

E poi, lo spettacolo imperdibile di questa distesissima di verde, di erba perfetta, come di velluto, smeraldi e velluto, velluto smeraldo,  solo per me.

Il Prato Verdissimo è la bella scoperta di oggi, di questo venerdì silenzioso, di questi ultimi giorni pieni di cose, alcune belle e alcune meno.

Molto lieta, Prato Verdissimo.
Spero che nella tua piccola discesa, i pensieri ròtolino giù, giù, fino in fondo alla collina.
O si nascondano per sempre dietro i rovi.
Che sono more, secondo me.




06 marzo, 2015

E dopo il vento.

E dopo il vento arriva cosa.
e dopo il vento cosa c'è.

Era vento da nord.
Il vento da nord è  tramontana, lo sanno anche i sassi.
Lo so perfino  io,  che non li ho mai imparati per bene.

Ha spazzato tutto.
Ha fischiato, sibilato,sbattuto finestre lasciate mezze aperte..
è passato sotto  la porta d'ingresso, ha portato rametti e foglioline, asciugato in mezz'ora le lenzuola a fiori.
e fatto cadere lo stendino.

Ha giocato con le tende, da quanto non lo faceva, da quando queste tende bianche erano in un'altra casa, e con lui ci giocavano ogni giorno o quasi.
da lì si capiva, si decideva in quale isola andare, erano lì davanti, non c'era che da scegliere.

Il vento di ieri sera ha lucidato tutto, arruffato il gatto, disperso le briciole per gli uccellini, ammucchiandole sotto le sedie, sul terrazzo.

che distratto, il vento. Passando veloce, incurante e sfacciato, gli è scivolata di tasca una luna perfetta, tondissima, enorme e dorata, che guardava dalle colline.
Una luna da regalare.

è un bel venerdì.
dimmi cosa ti piacerebbe fare
Se correre in collina, andare a vedere se quell'albero secco è caduto o è rimasto lì, o andare a guardare il mare, sarà mossissimo, così dicono.

Cosa mi piacerebbe fare, oggi, non lo so.
ho i pensieri spettinati, arruffati da un brutto sogno, che mi ha fatto svegliare agitata e strana. Come fosse vero.
Oggi al mare ci andrei sul serio, facevo un gioco una volta,  Pensa a Una Cosa Normale e a Una Cosa Speciale, una cosa che puoi fare e una cosa no.
é la differenza fra normale e speciale che devi sapere a memoria.
Non succede quasi mai.

Mi sa che  al mare non potrò andarci.
 mi metto a stirare.
E mentre, invento la storia di quella volta che il vento perse la luna.

Chissà chi l'ha trovata.







17 febbraio, 2015

Decido.

                                ph. La Douleur Exquise

Decido che è festa.
Decido che oggi è così.
Oggi e domani.
Soprattutto domani.
E quindi, oggi è un pò vacanza, un pò sabato, la Princi senza scuola, la Princi che nemmeno è a casa, nessuna sveglia e cose belle da fare.

In realtà cose da fare ce ne sarebbero mille e nemmeno tanto belle, stirare, stendere, fare la spesa, ma cercherò di farle con il mood giusto, con l'umore bello di chi ha vinto qualcosa, di chi ha un segreto, di chi ha trovato qualcosa che credeva perso, ho ritrovato la mia spilla nel parcheggio e l'avevo cercata ovunque, era lì, protetta forse dalla neve e qualcuno l'ha posata accanto alle cassette delle lettere.
Questo, è già un motivo per essere contenti.

Io perdo molte cose e quelle che non perdo me le rubano, per questo sono contenta quando le ritrovo.
Più contenta.
Però, mi tengo stretta quelle che ho.
O che fingo di avere.

Perciò, coraggio.
Insieme alle tovaglie e alle millemila cose, stiro il mio sorriso più bello, constaterò che non mi viene più la treccia ma non fa niente, mi guardo e mi dico che no, non c'è motivo di aver paura, ho un magone soffuso e impercettibile, ma so che è per domani, sono i magoni belli che fa la felicità, l'orgoglio, i figli, gli eventi importanti, le cose giganti che succedono in una famiglia come questa qui, che è esercito e gregge, abbracci caldi ed esplosioni, uno di qui, l'altro di là.

Perciò, coraggio.
E' una mattina che promette bene, una di quelle che vorresti a manciate, una mattina come dovrebbero essere tutte le mattine al mondo.
Ho già parlato di un progettone con Valentina, mi faccio un altro caffè nel silenzio della cucina, metto in fila pensieri, supposizioni, sorrido da sola guardando il ciliegio che forse ha già qualche gemmina minuscola, mi canto qualcosa, mi faccio carina, vuoi vedere che se tiro un pò la treccia mi viene.




02 febbraio, 2015

Se mai, il sole.

Se solo sapesse.
Se solo potesse.
Se solo potessi io.

Che bel sole che c'è.
E' già dal mattino che lo sai, Ci Sarà Il Sole, già dai colori, già dall'aria, già dal profumo, non so.
E' inverno secco e sembra primavera appena, me lo hanno detto le viole dell'aiuola.

Potesse il sole restare sempre lì dov'è. Potesse sempre essere una mattina come questa qua, una data tonda, zero due zero due, ma da quando guardo i numeri, da mai, credo, io e i numeri non andiamo troppo d'accordo, mi piace solo il nove, odio il sette, anche l'ottantotto non è male, già il fatto che li scriva in parola la dice lunghissima.

Ho voglia del sole di questa mattina e di tutto quello che mi porterà, ho voglia di questo mese sciocco che è febbraio, detesto il carnevale e ogni sua manifestazione più sottile, ma adesso ho voglia di questi giorni di luce chiara, nevicherà, dicono, e chemmimporta, dico io, se ha da nevicare lo faccia pure, sarà bello anche a febbraio.

Ho voglia di imparare delle cose nuove, a star tranquilla,per esempio, a fermarmi un pò, che lo dico sempre e non lo faccio mai, magari mi fermo nel senso che son seduta, ma i miei pensieri, quelli, come fai a fermarli.
Ho voglia di sentirmi come mi devo sentire, come mi merito di sicuro, come deve essere e come sarà.
Di sicuro.

Mi faccio dei promemoria, scrivo con la stilo e l'inchiostro viola, e il pennino spesso perchè è così che mi piace, scrivo bigliettini che mi appiccico un pò dovunque per casa, per ricordarmi di stare bene, per ricordarmi le cose belle che sono tante, per ricordarmi di me.
Che è la parte che mi dimentico più spesso.

Che nevichi, gràndini e faccia quello che più desidera al mondo, io resto qui a fare le mie faccende, i miei progetti, le mie idee bislacche che prendono forma, i miei scritti senza senso, le mie leggende quasi vere. Resto qui con i miei pensieri, filtrati il più possibile, con il filtro del thè, quello a forma di fragola, e quale sennò. Quello che resta è una bevanda gradevole, alla fine, che sa di arancia e cannella come il thè che preferisco,  e di cose passate che non fanno più male, di vecchie ferite dimenticate, di tristezze che non vorrei più vedere nemmeno da che parte sono voltate.

Non sarà la neve che verrà a farmi paura, non saranno i giorni difficili, gli attimi complicati o le cose storte a fermarmi, e se saranno storte  le raddrizzerò, non sarà il buio nel giardino, le ombre  o il gelo, non è di loro che avrò bisogno, non sono loro a farmi stare bene. 
Se mai, il sole.






29 gennaio, 2015

Ti faccio una torta.

La faccio per te.
Ci metto le uova, lo zucchero, sbatto velocissimo, ci metto pochissimo,  col Kitchen Aid è un attimo vero, che scoperta.
Che bella frase, Ti Faccio Una Torta. 
E' quel Ti che fa la differenza.
La faccio per te, solo per te, solo per dirti che ci tengo, che va tutto bene, che è solo per chi ami, per chi hai voglia di vedere, o rivedere, o per chi arriva da lontano, per vedere te.
Ti faccio una torta. Se ci pensi,  ha mille regali al suo interno.
Che non sono l'uvetta o la scorza di limone o la ricotta.
Sono i sorrisi che ci metti mentre la fai.

Ti faccio una torta di pensieri.
Belli, morbidi, di quelli che ti fa bene pensare. Coi pensieri pesanti le torte non si possono fare, bruciano subito nonostante vengano  sorvegliate dal vetro del forno.

Ti faccio una torta di cose belle.
Mescolo le cose belle che ho per te, bei sentimenti, un bel sorriso, magari una risata leggera, di quelle che non ne puoi fare a meno, le risate improvvise cancellano tutto, i magoni, le cose che non capisci e che non ti stanno in testa, i cambiamenti, che orrore le cose che cambiano, lascerei tutto sempre così com'è, fermo e immobile e invece va tutto così veloce e veloce, e mi gira la testa e mi fanno male gli occhi a pensarci, e mi dico che è giusto così, ma come vorrei che tutte le mie cose, quelle cui tengo di più, le più luminose, stessero sempre al loro posto, e il loro posto è vicino a me. E invece, quante cose non ho più.

Ti faccio una torta con le cose che ho, non è molto, ho aperto la dispensa e ci ho trovato una me che a volte nemmeno riconosco davvero, una me che si lamenta e si dà per vinta, e sta ferma invece di girare, e sta immobile invece di camminare, e guarda fuori, invece di fare, che dorme poco e dorme male, e sente rumori che non ci sono e scende a controllare le finestre e il giardino, è così bello questo giardino, come fa a farti paura.

Dopodomani, la torta la farò davvero, ci sarà un sacco di gente, un thè inglese, le mollettine per lo zucchero, le tazze belle, con la Patti e Biancaneve ci studiamo da giorni cosa fare, le tovaglie giuste, facciamo prove di dolci e accostamenti, sarà un bel sabato, per noi.

Nel frattempo, cerco di ritrovarmi, mi perdo mille volte e mille volte mi ritrovo, apro tutti i cassetti, chissà in quale sono, non sarà difficile, tolgo il burro dal frigo e accendo il forno, mi ritrovo subito, mi risollevo subito, se faccio una torta. 



07 gennaio, 2015

Promesso.


Non saprei dire se è un bell'inizio, una bella fine, o un bel niente del tutto, come diceva mia nonna.
Quel che so è che è il sette gennaio duemilaquindici. E fin qui, nulla da dire.

Quello che non so è come sarà.
Quello che so è come lo vorrei.
Quello che so a metà sono le cose che posso fare per dargli un indirizzo, per insegnargli, a lui, al DuemilaESpingi, come deve fare per essere buono con me.
Non come suo cugino.

Ma ho dei verbi, qui, stamattina tardi, che non mi sono fermata da stamattina presto, non ho avuto tempo di mettere ordine nei pensieri, tanto era l'ordine da fare in questa casa, una casa con dentro un'altra casa, da ieri, e altre posate, altre lenzuola e altri tutto, una casa in un'altra casa è un delirio di cose, di vestiti leggerissimi, di conchiglie e di libri, che hai letto in un altro posto e ti ricordi anche dove. I libri li ami proprio, se ti ricordi anche dove eri quando sei stata parte di essi, e scrittrice e correttore di bozze, perfino un pò protagonista, se proprio ti ci innamori.

Ho dei verbi.
Al presente, per ora.

Disfo l'albero, tolgo la scritta NOEL dall'ingresso, i barattoli luminosi dal camino, le tende di stelle che mi hanno incantato per mille sere, attaccate alle finestre.

Raccolgo palline rosse e agrifoglio secco, fili argentati e nastrini dimenticati, e i bigliettini, anche, io li conservo tutti, li infilo da qualche parte e poi li ritrovo, magari a maggio, Natale 2014, Tanti Auguri Mà, Buon Natale Amore, e ogni volta, mi piace sempre.

Cambio l'assetto della cucina, siamo stati in mille in questa casa sterminata, saremo un pò meno, ci si  possono permettere piccoli cambiamenti, si sposta un tavolo, si gira il divano, sposto i mobili quando mi sento persa, sposto le stanze quando mi sento soffocare, funziona, certe volte, certe altre invece no.

Elimino cose superflue, barattoli senza coperchio, vasi di vetro ne ho una tonnellata, andrò alla campana fra poco e li butterò con forza, frantumandoli, fanno un bel rumore, una terapia, un calmante, ho bisogno di uno ancora più bravo, forse. Butto le ortensie secche, polaroid di un'estate che voglio dimenticarmi del tutto o quasi.

Cancello persone, numeri di telefono che non so nemmeno a chi e a chi cosa, riordino, faccio elenchi e  ToDoList, buoni propositi nemmeno uno, riprendo a correre, questo sì, il ginocchio ha smesso di farmi male senza farci nulla o quasi, mi taglierò i capelli, forse no, farò un corso di cucito, nemmeno quello, qualcosa mi inventerò.

E aspetto.
Il freddo, la neve, il vento che ci vuole il burrocacao se no è un guaio, le giornate che si allungano, le viole, le rose, la bicicletta e il cestino nuovo, il sole del giardino, la pioggia sui vetri, le ciliegie, la lavanda del frutteto, il grano, il glicine, e il mare. 

Ti ho aspettato DuemilaESpingi,
Ti ho preparato la camera degli ospiti, quella più bella che guarda la collina, dove ieri sera si vedeva una luna che toglieva il respiro. 
Starai bene qui.
Starò bene anch'io

Promettilo.
Me lo prometto.


31 dicembre, 2014

La Leggenda del Saggio Pettirosso.

Che strana casa era quella.
Col grande terrazzo, con le sedie colorate, fiori d'estate e piante intirizzite d'inverno, e quell'andirivieni di cani e micini, e gattoni e figlioli di ogni foggia.
E lei.
Lei che faceva colazione in pigiama guardando fuori, il Pratino e il Lillà, lei che non dimenticava mai, nemmeno negli inverni più gelidi, di lasciare bricioline e mangimi veri, quelli comprati in negozio, per uccellini fighissimi.

Che strana mattina fu quella.
Era stata una notte freddissima, il termometro era andato molto più che sottozero, e se ne vedevano le tracce, la brina forte, le foglie della Regia Salvia piegate su loro stesse, come ad abbracciarsi fra loro dicendosi brrrrr.

Federico il Pettirosso amava quel terrazzo e quella casa, e quella strana donna che sfamava colonie di uccellini. Ad ogni inverno, Federico si ricordava di lei e dei suoi semini, e le faceva visita, becchettando le bricioline non prima di essersi guardato attorno, guardingo e fiero, come solo i pettirossi furbissimi sanno fare.

La vide.
Era una mattina strana, di quasi festa, di fine imminente, di grandi speranze e grandi rimpianti, di gran voglia di liberarsi di tutto, come di un fardello ingombrante, come del sacchetto dell'umido, il più in fretta che si può.
Guardava fuori, come al solito, persa nei suoi pensieri, ai figlioli sparsi sù e giù per lo Stivale, al suo Sposo che presto sarebbe stato ben oltre lo Stivale, col sole, le dune, l'oceano. Lontano.

Federico si avvicinò alla finestra. Gatti non se ne vedevano. Prese il coraggio a due zampine e le parlò.
- A che pensi.
- A niente, gli rispose, nemmeno tanto stupita della domanda.
- Non si può non pensare a niente, anche i pettirossi lo sanno.
- Beh, allora penso...penso...penso a questo anno che và via e che non vedo l'ora che se ne vada sul serio e per sempre.
- Come mai.
- Non salvo nulla di questi mesi, o pochissime cose, così poche che stanno tutte in uno scatola, nemmeno tanto grande, che puoi tenere agevolmente anche sul comodino, per dire.

Federico il Pettirosso la guardò meglio.
Nel gelo del terrazzo, aveva voglia di capire il perchè di tante cose, sapere una volta per tutte che direzione prendevano i pensieri di lei,  quando volavano al di là del Pratino. Qualcuno si piantava subito,  oltre la siepe, appena dopo le robinie, Altri invece, gli capitava di incontrarli nelle sue traiettorie di uccellino, durante i suoi voli lì vicino, nelle lezioni di volo ai suoi piccoli, nelle gite la domenica, con sua moglie, l'Evelina.

Federico il Pettirosso era un pettirosso curioso.
Ma voleva bene a quella donna strana, che aveva sentito spesso ridere di gusto e qualche volta piangere in silenzio, la mattina presto, quando nessuno degli abitanti della casa la potesse in qualche modo scorgere.
- E' stato davvero un anno così brutto?
Lei lo guardò. 
E gli avrebbe anche risposto, se solo ne avesse avuto il tempo.
Così, le disse.
- La mia famiglia ed io abitiamo sull'Acero nel Prato Grande, e da anni ci sfamiamo nel tuo terrazzo, e da anni guardiamo l'avvicendarsi delle cose, le volte che ridi e le volte che no, le volte che sei contenta e balli in cucina, e le volte che sei ferma immobile, e guardi lontano e nessuno di noi, nemmeno l'Evelina, capisce mai cosa ti succede. Per questo, voliamo bassi e saltiamo sui rami, sempre più vicini, per vedere se magari riusciamo a farti pensare ad altro per un pò. Vederti triste non ci piace.
Lei sorrise.
Federico continuò.
- Vogliamo vederti sempre così, come sei oggi. Magari non in pigiama, ma che ridi, magari con un bel rossetto e non con la faccia slavata del primo quarto d'ora dopo la sveglia, ma che ridi, che sai e che ridi, che ci pensi e che ridi, che hai pensieri, sì, ma che ci ridi sù, E dimentica i giorni duri dell'anno vecchio, è quasi andato, lo vedi.
C'è un anno nuovissimo che sta atterrando da qualche parte, fatti trovare carina e in ordine, come diceva tua nonna.
L'anno che verrà sarà luminoso e chiaro, avrà con sè cose belle che non ti so raccontare ora, ma sono sicuro che ti piaceranno. E se magari non ti piaceranno tanto, so già che troverai comunque e sempre, il modo per colorarle un pò, per farle più belle di come sono in vero.

Lei sorrise di nuovo.
Era vero.
Quell'anno andava via ed lei era pronta a quello nuovo, con una bella forza, con una gran voglia di fare tante cose, di tornare a sognare, a giocare, a ridere forte, a cantare piano ma più spesso.
A stare bene.

Quel giorno, accanto al pane e ai semi fighissimi, qualche briciola di panettone e un pò di uvetta.
Dopotutto, era festa anche per loro.

Federico becchettò veloce e volò via.

Le sembrò di averlo visto sorridere con lei.



09 dicembre, 2014

Luccica.

Ne sto mettendo ovunque.
E' tutto un luccicare, un brillare, uno sfavillare.
Ho ricoperto vasi di vetro e terracotta, giro armata, con la pistola della colla a caldo, individuo la mia preda e giù di brilli.
Ho illuminato l'illuminabile, fatto magheggi impossibili con prese e prolunghe, tende di stelle e luci da esterno.
Ho riesumato vecchi fili argentati dell'albero, inutilizzati da un bel pò, e con essì ho avvolto vasetti e vasoni.
Più che una casa, il Circo Orfei.

Nell'armadio, ho cercato le cose più lucenti, e le ho impilate per bene, sono belle anche solo da guardare, si mettono solo in questo periodo dell'anno, quando nessuno fa caso se sei agghindata da Holiday on Ice, dopotutto, è festa tutti i giorni.

Voglio che sia così.
Mi piace, e sia.

Voglio che sia tutto sfavillante e luccichi, voglio solo brillantini e glitter, almeno per un pò, fino a quando non ne avrò la nausea.

Voglio che tutto brilli, voglio la luce, nonostante la tempesta di vento e di acqua che si è abbattuta questa mattina sulla collina, voglio che ogni cosa sia illuminata.
E io, con lei.

Mi tuffo con incoscienza in questi giorni di attesa e meraviglia, mi preparo al niente, probabilmente, ma non importa, non sarà la meta ma il viaggio, ne faccio una filosofia di vita, ancora una volta.

Perciò, mi diverto, gioco, ballo Greygoose in accappatoio con mia figlia, scrivo messaggi sui vetri appannati, lascio bigliettini, faccio telefonate lunghissime e piene di progetti e di cose belle, stilo menù impossibili, non so nemmeno quanti saremo, e che importa, alla fine.

Amo i miei giorni luccicanti,  sono una delle cose su cui posso contare, oltre a me, alla mia voglia di cose che brillano, di luci intermittenti, di lustrini e di paillettes.

Mi illumino da sola di queste piccole gioie inutili ma preziose, non c'è angolo di questa casa che non abbia una candela, una pallina, un rametto di pino.

Felice di essere così, oggi, vanesia e brillante, un pò oca e molto incosciente, il buio è sempre in agguato ma si combatte, nessun buio al mondo mai resiste agli attacchi di sorrisi grossi così e canzoni urlate la mattina presto, sono il Generale dell'esercito dei Brilli, ho un piano perfetto per sconfiggere la malinconia, guarire la tosse e imparare a sognare.

Tornare, a sognare.

01 dicembre, 2014

RossoDicembre


Che più rosso non si può.
Ho deciso di farmi piacere questi giorni, ho deciso di avere giorni che mi piacciono, ho deciso di piacermi nei giorni che ho.

E' bello quando inizia dicembre, è un mese pieno di luce e di cose belle, è un mese dove è proprio vietato avere il muso, fare questioni di principio, essere noiosi.

Ho deciso che il mio dicembre sarà rossissimo, rosso è il colore delle feste e di feste, a partire da oggi, ce n'è una ogni giorno.
E se non c'è, me la invento.

Una specie di Calendario dell'Avvento personale, ogni giorno una cosa bella, ogni giorno un bel pensiero, un bel sorriso, un NonImporta quando serve, un NonM'Importa che non è la stessa cosa.

Rosso, quindi
E rosso sarà l'albero di Natale, che è al vaglio del Comitato Addobbi Natalizi di questa casa, che è composto da una sola persona, che sono io.
E rossa sarà la tovaglia di oggi.
E rosse anche le lenzuola, già che ci sono.
E rossa la tisana della sera, quella prima di dormire, che è bello soffiarci sopra e pensare a domani.
                                                       ph. www.bakingmagique.com

Rosso sarà questo dicembre.
E una marea di cose da fare. Tutte bellissime.
Le Luci d'Artista che mi aspettano a Torino, tante feste e tanta ggente, e le feste di qui, i ritorni in questa casa che quest'anno hanno un sapore diverso, li coloriamo di rosso che è il colore della festa, del calore, del CheBelloCheSeiQui.

Rosso, un vestito scintillante, una gonna cortissima e ballerine per volare, e tacchi impossibili per guardare le cose da un'altra prospettiva, rosso come il rossetto più sfacciato, rosso come la sciarpa rossa che luccica anche con la nebbia, rosso, che magari mi taglio i capelli, rosso come il fuoco del camino, come i nastri dei regali.


Sarà un bel dicembre.
Sarà buono con me.
La sarò con lui.
La sono sempre stata.


28 novembre, 2014

Voglio che nevichi.

Sì, vorrei.
Vorrei la neve.
Vorrei guardarla cadere in fiocchi grossissimi, o fine, finissima, di quella che ne mette giù quintali.
La guarderei dalla finestra di sopra, è il posto più bello, per guardare la neve che cade.

O dal divano, spostando le tende che danno sui ciclamini bianchi, e allora, forse non si distinguerebbero i fiocchi di neve dai ciclamini, bianco su bianco, purezza su purezza, mi piace il bianco d'inverno, farò bianco anche l'albero di Natale, qui nessuno ha mai voglia di aiutarmi a fare niente, per Natale, faccio tutto io, monto, smonto, trascino, scarto statuine di babbinatale avvolte nei giornali dell'anno prima, o nella carta con le bolle,  e presepi inusuali, e alla fine è tutto bello, sì, ma restano sul pavimento cartacce e cose e polvere, e ci vuole un'ora buona a sistemare tutto.

Lo farò presto.
Vorrei la neve a coprire tutto il Pratino, tutto il Ciliegio e tutta la Regia Salvia, che è un cespuglio enorme profumato di buono. La accarezzo quando ci passo, come faccio col basilico. Il suo profumo dura pochissimo sulle mani ma che meraviglia è mai, il profumo della salvia.

C'è una me che non si arrende, c'è una me che va avanti dritta e sorride, anche sa a volte è talmente difficile, c'è una me che si racconta delle cose belle, per riuscire a stare in piedi, che sposta mobili come un facchino, poi guarda esausta il risultato e pensa Beh, Era Meglio Prima.

Ma  MeglioPrima non lo è mai.

Sono più belli i verbi al futuro, sono un bel gioco di accenti, hanno un bel suono come di musica, sarà bello domani, sarà bello quello che verrà, sarà più lucido tutto, sarà più bianca la neve, saranno più belli i ciclamini del davanzale, ho imparato a fare i boule de neige ,e  se non scenderà sul serio, potrò sempre fare finta e guardarla da lì.
Ci metto anche i brilli, così la mia neve sarà più luccicante e potrò guardarla quando vorrò, dove vorrò, tutte le volte che vorrò.

Prendete il quaderno a righe, oggi, studiamo i verbi al futuro.











12 novembre, 2014

Rouge.


E' tempo di frivolezze, lassù nella Casa in Collina.
Ci si fa una sorta di piccola, piccolissima violenza, si cerca di concentrarsi su cose stupide, sciocche, vuote, vanesie e, appunto, frivole.
Ogni tanto, fanno bene al cuore.
Curano, perlopiù.

Le frivolezze medicano ogni sorta di male, le incomprensioni, gli  Io Ho Detto e Invece Tu Hai Detto, sigillano per sempre buste da buttare via, nemmeno nel cestino della carta, ma nell'indifferenziato, così si ha l'idea di averle  buttate più lontano e per sempre. Le leggerezze sbiadiscono paroloni e frasi ad effetto, ripicche, musi, atteggiamenti, offese, piccole ferite. Anche grandi, solo, ci vuole un pò più di tempo. 
Le parole taglienti fanno male, malissimo, bruciano un sacco come quando ti tagli con la carta, o sbucciando la mela, sembra cosa da nulla e invece fa male.

Serve perciò un piano d'attacco.

Ci si è ritagliati il tempo giusto, a metà mattina, per leggere i giornali, tutti, per vedere se si trovava da qualche parte online quella lana grossissima per il cappello con le orecchie, richiesto d'ufficio dall PrinciOcchidiMare.

La vera essenza del frivolo, però, è data dallo scegliere con cura il colore del prossimo smalto, indecisa se Rouge Carat, Rouge Rubis o Rouge Fatal, non è cosa da poco coglierne le sfumature, e poi, con dei nomi così belli, una se li comprerebbe proprio tutti, per il solo gusto di vederli lì, sul ripiano del bagno, o sul comodino, di bearsi degli astucci chiccosissimi neri e oro, o di provarli, con religiosa dedizione, appena dopo aver sparecchiato, caricato la lavastoviglie e rassettato la cucina, in quel momento perfetto che va dalle 14 alle 14,20.
Ci si siede un pò storte sulla sedia capotavola, non il mio posto ma la stessa del caffè di metà mattina, in piena luce e si dà il via alla prova. Meglio se con la Princi, c'è più gusto.

Si raccolgono briciole e sentimenti stropicciati, come un pacchetto di crackers dimenticati in fondo allo zaino.

Passerà, perchè passa tutto, e le discussioni e le divergenze si appianeranno, si aggiustano sempre, a un prezzo, certo, ma le cose si stirano sempre, una strada si trova sempre, che porti vicino, che porti lontano, che non porti da nessuna parte al mondo, ma un sentiero c'è sempre, fosse un viottolo di sassi che porta in cima a una montagna, fosse la stradina che da lì vedi il mare, fosse il vicolo di fango che lo attraversi e sei nel bosco.

Sia bosco o mare, sia sassi o sabbia, non mi son persa mai, non mi perdo nemmeno ora.

Rouge Fatal. Ho scelto.






Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...