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09 gennaio, 2010

Ode all'Arancia di Ribera.


No che le arance non sono tutte uguali. Ci sono arance aspre, arance comuni, arance insignificanti, arance scarse, arance sgràuse, ma questo è un termine che mi hanno insegnato le mie Amiche Indigene, quelle Native Alexandria, per intenderci, quelle della riserva, le Sioux del Basso Monferrato. Ma fra tutta l'infiniterrima varietà delle arance troviamo Lei, la Principessa dell'Agrume, Sua Altezza Serenissima L'Arancia di Ribera. Essa ha le fattezze tipiche dell'arancia, forse è un pochino più tonda, più perfetta, più che perfetta, ma al primissimo assaggio si capisce subito che Lei la sa lunghissima. E' succosa, dolcissima, un vago sentore di vaniglia e gelsomino, e zagara, per forza di cose, e porta con se il sole meraviglioso che l'ha fatta maturare e diventare così bella e così buona com'è. Stamattina, nella tormenta, la scrivente si è trovata a comprare dall'Omino al Bivio una certa considerevole quantità di tale frutto prezioso, dacchè, in grazia d'Iddio non ci facciamo proprio mancare niente e già che ci siamo, perchè non far venire un bel quaranta di febbre al mio figliolo Liceale, sì, quello lungo lungo e magro magro, che già da oggi mi sembra ancora un pò più lungo e un pò più magro. Il suo unico alimento nelle ultime 24 ore è stata un'arancia a spicchi e mezzo bicchiere di spremuta, più due bastoncini Findus tristissimi che ha mangiato di malavoglia, ma quali orripilanti pietanze può cucinare una madre per indurre un figlio a ingoiare un qualcheccosa? Non mi si facciano le spieghe sui bastoncini Findus, lo so da me. However, si parlava di arance. L' Omino del Bivio si fa sù e giù per il Patrio Stivale ogni settimana e porta i dorati frutti direttamente dal paese suo, Ribera, appunto, provincia di Agrigento. E io adoro quest'uomo semplice che mi saluta con un inchino rispettoso appena accennato, che non mi fa portare la cassetta nemmeno sotto tortura, e che mi alletta ogni volta con vasetti meravigliosi di conserve, acciughe sott'olio e altre meraviglie del Creato, che scende da quel camioncino sgangherato. Lui sa che io baro. A chi mi chiede che genere di delicato profumo ho indossato quest'oggi, io butto lì , per tutta risposta, olii preziosi e conturbanti, cremine di nuovissima generazione, sì, perchè l'aroma di queste arance paradisiache ti rimane addosso per ore. Ben triste sarebbe rispondere che ho sbucciato arance e fatto spremute al mio Figliolone Malatissimo, e l'Omino del Bivio lo sa. Ma uomo d'onore è.

16 novembre, 2009

Ode al melograno.

E' un frutto così superbo, austero, nella sua complicata semplicità. E' un controsenso di frutto, ha un colore così insulso, dorato, beige, non si capisce, beh? non è che in questo autunno scombinato hai pure disimparato a distinguere i colori? E' un colore senza senzo, il melograno da fuori. Certo, che scoperta, non è mica da guardare da fuori, ma da dentro. Ci vuole mestiere anche ad aprire un melograno, non è che prendi un coltello e voilà, ci vuole arte, cura e tenerezza, non è da tutti. Il melograno lo apre uno solo dei commensali, di solito, e uno solo basta per tutti, facciamo due, se a tavola siede un reggimento come quello che occupa la casa in collina. Non occorre tanta scena, il melograno si mangia con le mani, si succhia perlopiù, non è che abbia un gusto così deciso, ci sta bene nell'insalata ma solo perchè ha un bel colore, per il resto non è determinante. La disposizione dei chicchi mi ha sempre affascinato, messi lì per bene, con ingegnerisitica precisione della quale ne sono totalmente e assolutamente priva. Perciò mi affascina. Così mi innamoro dei chicchi messi in bell'ordine, di quel rosso rubino che incanta, di quel gusto sottile di selvatico e corteccia, dolcissima, certo, ma aspra, e acidula, qualche volta. Sorprendente melograno, scrigno fatato di gioielli perfetti, lucido frutto di questo autunno scombinato e perfetto, caldo e nebbioso, pigro ed esaltante, un controsenso, pure lui.

12 luglio, 2009

Ode al Freddoccino.

E' si sicuro la colonna portante di questa scombinata vacanza. Un rito. Di più, un'icona. Irrinunciabile scoperta freschissima di queste isole greche. Prima, nessuno di noi ne conosceva l'esistenza. Non è un frullato, nemmeno un frappè. Non è il caffè shakerato, non è un gelato, non è una granita, e non è neppure uno shake. E' solo e soltanto il Freddoccino. Ghiacciatissimo, lo puoi gustare in ogni taverna all'aperto, in ogni caffè lungo la spiaggia. Sa di caffè, che scoperta. Ma anche un pochino di cappuccino e di caramello. E' dissetante, rinfresca anche il più torrido dei pomeriggi, verso le tre quando in giro non c'è un cavolo di nessuno, e allora che c'è di meglio che sceglersi il bar più colorato e buttarsi lì, sparsi fra i cuscini, un freddoccino, please, e alla modica cifra di euro 3 ti portano un bicchierone stracolmo di ambrosia e di pura libidine. Da sorseggiare con golosa voluttà, avendo cura di fare il verso sscrscsrscsscsrssc alla fine, con la doppia cannuccia. Maleducata? No, beata, è diverso.

15 maggio, 2009

Ode al Risotto Pronto.

Chiariamo subito un fatto: mi piace cucinare e sono anche bravina. Ho anche in essere un blog non troppo serio di cucina, non molto aggiornato, in realtà, ma insomma, non è che si può fare tutto. Una delle mie speciali specialità, date le mie origini oltrepadane, è e resta il risotto alla milanese. Fatto con tutti i sacri crismi, il brodo buonissimo, il vino bianco, lo zafferano Tre Cuochi e nessun altro, se no, che risotto è, e via così. Ma ci sono volte in cui mi attardo, che un pò mi sorprendo a dimenticarmi della cena e della tavola da apparecchiare e del desco famigliare e bla bla bla, volte, come ieri, che cinscischio con le amiche del knit a ciaccolare in un dehor, ma era così una bella sera, anzi, un pomeriggio tardi, e che vista l'epica avversione agli aperitivi del mio CoronatoSposo, se voglio tirar tardi a dir stupidaggini è solo con le amiche che lo posso fare. Ben perciò. Ci siamo attardate, a chiacchierare, una telefonata a casa, vi arrangiate se tardo? Ma certo che sì, sono tutti già così grandi. Salvo scoprire che poi, al mio rientro, non si erano mica arrangiati, ma avevano cincischiato anche loro, massì, chi l'ha detto che si debba cenare alle 8 in punto, prendiamoci anche noi il lusso semplice di fare come ci pare una volta tanto. C'è uno strano meccanismo che funziona nella mia umile casa: spesso, quando entro io, ne esce qualcuno. Vado a Cena Da Tizio. Il Giurisprudente certo non si può definire abitante di questa casa, che a contarle, son più le ore che è assente, e se il tetto cade non gli cade in testa, e questa casa non è un albergo e cose così. Fatto sta ed è che nulla di nulla era pronto per cena. Ben perciò (e due!) mi è venuto in soccorso Lui, il risotto delle buste. Di preparazione elementare, conservato con discrezione nella dispensa di cucina, proprio accanto alla farina Enkir del Mulino Marino, alla pasta Setaro e altre leccornie, Lui, Il Riso Pronto è il Salvatore Maximo delle mamme scellerate come la scrivente, che ogni tanto, ma poche volte, giuro!, si attardano all'osteria, trascurando i figlioli in tenera età, lo stanco consorte che riede dopo una giornata di durissimo lavoro nei campi. E' una specie di miracolo, il fatto che, dalla busta liofilizzata esca, in men che non si dica, un piattino di risotto fumante a prova di chef. Però, la pagherò. Eccome se la pagherò quest'oggi, e magari anche domani, cucinando e cucinando per il plotone che saremo, sia che ceniamo a casa, sia che ceniamo da amici, che le regole della buona creanza danno di chiedere sempre Cucino Qualcosa? e allora sì, si spadellerà per ore e ore. Ma il Riso Pronto resta il mio segreto, per sfamare la mia famigliola quando proprio non ce l'ho fatta e mi sono regalata a me stessa medesima (!) un bel pomeriggio che vale più di tanti impasticcamenti, seppur omeopatici. Sensi di colpa? nemmeno uno. Ma i Tre Cuochi dalla dispensa mi guardano malissimo. Non mi hanno ancora perdonato, mi sa.

13 gennaio, 2009

Ode al Mikado.

Me lo hanno fatto scoprire i miei figli. O meglio, riscoprire. Ci sono da tempo immemore, è vero, cambiano la scatola ogni tanto ma il concetto rimane sempre lo stesso: piccolo peccato, grande soddisfazione, così dice il saggio. Loro ne fanno un uso scellerato, io ne compro a tonnellate, com'è ovvio che sia. E' per loro la merenda del mattino, a scuola, non tanto per questioni di calorie e di golosità, piuttosto perchè, con la loro scatola snella, riescono anche ad essere lanciati dalla finestra, nelle gelide mattine di gennaio, qualora si fossero dimenticati di prenderla, eppure gliel'avevo messa lì sul tavolo, e baci e baci, sono usciti belli e imbambolati e l'hanno lasciata qui, e dire che hanno il tema alle prime due ore, che farà il Liceale, riuscirà ad inanellare la sequenza soggetto-predicato-complemento, o si addormenterà di stecco sul foglio? I Mikado hanno la leadership per ciò che concerne il settore Peccati Veniali. Se ne possono assaggiare due, quattro o sei, sempre in numero pari, chè mai sia che si gusta un Mikado solingo e attonito, che allora sì che si sconfina nel settore Peccato Mortale e direi che, coi tempi che corrono, proprio non è il caso. Si addenta con delicatezza, sorreggendone la fine con l'indice, piccoli morsi di purissimo fondente, che appena appena si sente il sottofondo il crickk crikk del bastoncino di biscotto, esile ed elegante nella sua indispensabile funzione di rimandare alla memoria il primitivo gusto di pane e cioccolata. Con un quindicesimo delle calorie, però. Grandissimi protagonisti del caffè in cucina al pomeriggio, due soltanto, da usare come cucchiaino per al massimo due giri, appena appena, per dare il tempo di sciogliersi un'impercettibile quantità di cioccolato. Qualcuno narra di aver veduto baffi di cioccolata fusa ai bordi della tazza: SACRILEGIO! Essi si leveranno con disinvoltura, con abile e furtiva mossa, da lingua di formichiere, per intenderci, che una signora non sta mica bene, lì, a ripulire con la lingua il bordo della tazza, anche se tutto ciò si compie nella tranquillità della sua umile magione. I Mikado, dalla scatola, ammiccano e comprendono. Soddisfano l'improvvisa voglia di cioccolata senza far danni, che già se ne sono compiuti più d'uno nelle ultime festività, ottemperano al desiderio di trasgressione innocentissima, con il benestare di Chiappe & Affini. Così dice il saggio.

28 ottobre, 2008

Ode alla clementina.

E' incredibile come, ad occhi chiusi in un supermercato, ci si renda conto in che periodo dell'anno ci ci trovi, solo dal profumo che ivi ci si sente .Acquistare il primo sacchetto di clementine della stagione, quelli verdini di rete con i buchini per infilarci le dita, dà un piacere sottile. Ci si avvicina con entusiasmo, i sacchetti di tela sono lì, uno in fila all'altro, coi loro frutti lucidi e perfetti, tondissimi, profumati di inverno, di già. La Clementina, da non confondersi con la deliziosa bimbetta dai fulvi riccioli, figliola alla mia Amica Castellana, ha nella sua conformazione di agrume invernale, un che di taumaturgico. Miracoloso. Ella costituisce con garbo una piccola merenda sul tavolo della cucina, che con questa ora solare è già buiabuia alle quattro o poco più. La merenda dei figlioli, infatti, in questa casa, costituisce un piccolo briefing: si interrompono gli studi , le scelleratezze, e qualunque cosa li occupasse in quel momento, per scendere ui cucina, dare un'occhiata alle pentole per indovinare che cosa riserverà loro la cena di stasera, per ricordare qualche appuntamento con la scuola, per sentire insomma, che aria tira in casa. Si chiacchiera, con calma, nessuno deve andare da nessuna parte, stasera, nessun allenamento o lezione che sia. Così, si merendeggia. Una clementina sbucciata con religiosa precisione, prima la buccia arancio, poi quella sottilissima bianca, piano piano, che fretta c'è, e condivisa, magari, Me Ne Dai una Fettina? è un minuscolo momento di famigliare intimità, seduti al tavolo che ancora non è apparecchiato, con il vaso delle margherite e il cestino con le castagne. La clementina, sapiente mix di dolcezza e acidità, invidiabile connubio di zucchero e vitamina, in questi giorni sciocchi di sciocca ansia, è quanto di meglio per tirarsene fuori. E quando i figlioli tornano di sopra alle sudate carte, noi si potrà tornare ai fatti nostri, quell'armadio che, dannazione, proprio non ne vuol sapere di riordinarsi da solo, magari un pensiero alla cena, che ancora è presto anche se è buio e dovrei sciacquarmi le mani, ma ho questo profumo così buono che mi mette in pace e allora mi sa proprio che la cena aspetterà.

09 ottobre, 2008

Ode al rossetto.

E mica quello rosellino, pastelloso, appena appena, che si vede e non si vede, e nemmeno il burrocacao, quello che ci si può mettere anche senza guardare. E neppure il gloss , quello coi brilli che ti metti al semaforo. No, no, intendo proprio il rossetto-rossetto, quello acceso, rosso, lo dice la parola medesima, rosso fuoco, rosso peccato, rosso Ferrari, rosso e basta. Acquistato ieri mattina, così, senza una ragione ben precisa, in una mattinata autunnale che prometteva così bene e che invece poi, ha persino pioggerellinato, che non si dice ma non importa. Un rossetto rosso passione, quindi, di quelli che anche la Monica Bellucci e scusate se è così poco. Da mettere in occasioni speciali, e perchè no, anche al super per la spesa grossa. L'importante è come lo porti, non lo diceva anche Coco? Così, ho annunciato via sms alla mia Amica delle Perle l'efferato delitto: Acquistato Rossetto Da Viale. In effetti proprio da viale non è, direi da centro massaggi, o da casa privata Citofonare Samanta, senza nemmeno l'h. Un rossetto rosso ci salverà. Dalla crisi finanziaria, dall'abbronzatura che va via, dall'umor nerissimo di questi primi giorni d'autunno pieno, e persino dall'isola dei Famosi. Dato con grazia, abbinato a un look pressochè monacale, total black, mi aiuti a dire, nessun tacco perlamordidio, ciglia spazzolate e poco altro. Tirerà sù, un color trota diffuso, quel noioso sternutire, il maglioncino che sa di armadio e nessuna voglia delle calze. Iscrivetevi testè presso l'amica saputella a un corso di RossettoRossissimo. Si passa lentamente, prima sotto e poi sopra, e dopo, e SOLO dopo, la matita per sistemarlo un pò. E' la Sorbona bellezza. Si sembrerà un pò più a posto, un pò più cool, un pò più in ordine, come diceva mia nonna, un pò più carine. Effetto BoccaDiRosa? E che sarà mai!

04 agosto, 2008

Ode alla Galletteddas.

Se ne stava buono buono nello scaffale del discount. Un pacco insignificante, nessun colore sgargiante che richiamasse la benchè minima attenzione, nessuna immagine colorata e accattivante che ne invogliasse l'acquisto. Uno scatolone semivuoto, di quelli aperti malamente e un pò sbrecciati. Curiosa, agguanto ed esamino. Una scritta in corsivo Galletteddas di Fonni, Marchio Registrato. Dalla carta trasparente occhieggiano composte, in fila per una, delle cose che a chiamarle ciambelline si fa errore, e chiamarle biscotti pure, dei fiorellini di pasta frolla che sembrano discreti. Una vera donna di casa sa riconoscere al volo che cosa può valer la pena di comprare per la sua famigliola, non lo pensa anche lei? E sottoposte all'esame durissimo dei partecipanti alla mio umile desco, esse, ricevono una standing ovation. La Galletteddas è più di un biscotto, più di un pasticcino, più di qualsiasi cosa al mondo. Leggera, friabile, di quel gusto un pò limone e un pò vangilia tipico dei biscotti fatti in casa, quando i biscotti ti riescono bene, s'intende. La Galletteddas ha rubato la scena a numerosi altri biscotti, sia da colazione che da dopocena. Nel senso che da queste parti, che colazione sarà mai se non intingi la Galletteddas nel caffelatte. E che dopocena di chiacchiere tranquille sarà mai , se non tuffi la Galletteddas nel bicchierino del mirto, avendo cura di spezzarla in due e di raccogliere poi col ditino le briciole lì intorno sparpagliàtesi, che lasciarle sarebbe peccato. In qualunque modo la si intenda, Essa è da copertina, da primissima pagina, pure da web, visto che la puoi ammirare persino nel suo sito. Diavolo di un dolcetto: innocente o alcoolica, da alba o da notte fonda, da sole alto o da luna a spicchio. Mantenga!

04 luglio, 2008

Ode al Supradyn.



Oh, maccerto, che càpita anche nelle famiglie migliori. Di sentirsi un pò stanche e affaticate, non proprio perchè si lavori in miniera, probabilmente a scaricare un camion di mattoni ci si stancherebbe di meno, dovrei chiedere al mio Amico delle Case, se mi lasciasse un giorno, appena prima di inaugurare il Palazzotto, provare in uno dei suoi cantieri, così, per averne la certezza matematica. Così, per tirarsi sù, per sopperire a una carenza vitaminica e a un esaurimento fisico più o meno riscontrato, chè quello psichico ormai, è cosa nota, si è presa la bella abitudine di una compressa di tale intruglio, ogni mattina. Inutile dirlo, ha un saporaccio. Di limone andato a male, di medicina, già, perchè lo sanno tutti che esiste un sapor medicina, sia esso antibiotico, antidepressivo o anti prurito: sa di medicina, fine. E la questione va aggravandosi, dacchè il rito del Supradyn si èspleta appena sveglie, in cucina, scalze, discinte e arruffate, appena dopo essersi lavate i denti. Ben perciò, il sapore del dentifricio và shakerandosi a quello delle vitamine. Bleah!. Ma, c'è un ma. Tale rimedio ha del miracoloso: già dal rumore che fa la compressa appena la tuffi nel bicchiere, che ancora non sei proprio bella sveglia e allora puoi stare lì qualche minuto ad osservare la pastiglia che da tonda diventa nulla, rimpicciolendosi vieppiù in un'esplosione di bollicine e di ssshhhhhhhhh che ti dà la carica, già da lì. Oppure, poichè l'operazione dura qualche secondo, puoi ottimizzare il tuo tempo, riempiendo il bricco del latte da scaldare, aprire le vetrate e verificare che tipo giornata sarà, proprio mentre la tua dose giornaliera di benessere si scioglie per te. Una volta assunto l'infernale intruglio, e celata la smorfia di disgusto, si può iniziare con calma la giornata, avendo la precisa sensazione di essere certamente più in forze di ieri e molto più di ieri l'altro, preparando una colazione da prìncipi, un rametto di oleandro e uno di menta, il profumo del caffè che il maestrale si porta via. Supradyn? Yes, please.

19 giugno, 2008

Ode al Chinotto.

Che non piace a nessuno. Che è amaro e sa di fango, come dicono i miei figli. Che è demodé, desueto, obsoleto e un pò da sfigati. Il chinotto è la mia bevanda preferita. Insieme alla Schweppes con l'orzata. Roba più semplice? Il ginger. Comunque, mi piacciono le cose amarognole, aromatizzatine, disgustose, un pochino, a farsi piacere la Coca Cola o l'aranciata sono proprio capaci tutti. Lo adoro. E ho anche scoperto in questi giorni, che un antibiotico qui, una vitamina là, un fermento lattico sù e un Oki giù, somministrati su me medesima, vittima di una feroce quanto improvvisa malattia da raffreddamento, insperate virtù terapeutiche. Beh, forse il periodo è troppo lungo, ma con la punteggiatura giusta rende l'idea. Il chinotto risana. Guarisce. Non proprio come l'acqua santa, ma siamo lì. Disinfetta, aiutami a dire, una gola troppo provata da una tossetta stizzosa. Freddo al punto giusto, le sue bollicine miracolose saranno un vero toccasana per una laringe martoriata, un rossore che non si vede ma c'è, un solletico sciocco che non ti fa finire una frase senza tossire, e qualcuno dice pure che è una gran fortuna. Che sto zitta, intendo.Il Chinotto, proprio lui, il povero chinotto, che se ti sbagli a chiederlo al tavolino di un bar nel sole, tutti gli astanti a dire eeeeehhhhhh????Che cosa preeeeeeendi???????Maddddaaaai!!!!! Sì, Grazie, Un Chinotto e Senza Limone. Liscio. Plain. I camerieri sanno. E impallidiscono un pochino. Non lo Teniamo, azzarda qualcuno. Altri, troppo avanti, non fanno una piega. I poteri medicamentosi del chinotto saranno illustrati nel prossimo numero di Lancet, e sarà mia cura lodarne le staordinarie proprietà. Perciò, in alto i calici, stasera. Si brinda di chinotto. Che magari, mescolato all'antibiotico, ha un certo effetto corroborante, rassodante e inebriante. Di chinotto non ci si ubriaca, ma, deh, si può sempre provare.

26 maggio, 2008

Ode al caffelatte.


Che non è affatto il cappuccino. E se qui stiamo a scherzare, va bene, ma cortesemente, non mi si vada a confondere il cappuccino col caffelatte. Il cappuccino lo bevi al bar, di solito è ustionante e ne lascio metà nella tazza, ustionante essa pure. Mi lascia i baffi di schiuma che non è carino cancellare con la lingua, non è che fa tanto signoradibuonafamiglia, come dire, e nemmeno pulirsi col tovagliolino, perchè se no, la mano di gloss sapientemente data poco prima se ne va miseramente. Il cappuccino si beve solitamente in piedi, quasi mai seduti beatamente a cianciare di una chiacchiera; in più, e sempre solitamente, esso si consuma dopo aver fatto una capatina dall'Amica delle Provette, che così, su due piedi, ti fa un bell'esamino del sangue, giust'appunto per controllare che tutto sia a posto. E poichè colà ci si reca digiuni, giocoforza piuttardi ci si rifocilla con bioche e cappuccino. Ma non è di lui che parlerò. Il mio cuore batte per il suo, il suo parente povero: il caffelatte. Tanto per cominciare il caffelatte non ha la schiuma. E' così, ridèe ou belle,liscio liscio, senza tanti fronzoli. Lo adoro. Non certo con il caffè normale, ma con una generosa cucchiaiata di orzo solubile, che non è caffè, ma come lo devo chiamare allora, orzollatte? Il mio caffelatte, quello dei miei risvegli e delle mie colazioni a casa è tiepidino. Nè troppo caldo nè troppo freddo, 40 secondi di microonde e la beatitudine trasforma il latte in una bevanda divina nel senso più letterale della parola. Poco importa se con biscotti o senza, con tristi fette biscottate o, durante le vacanze natalizie, inzuppandovi fettine sottilissimi di avanzi di panettone. Il caffelatte è impagabile. Ma quale triste thè, ma quale ancor più triste tazzina solinga e amara: il caffelatte, signora, solleverà le sorti del mondo. Anche perchè, scoperta di questi giorni, esso è ambivalente, a vela e a motore, da bosco e da riviera. Già, perchè se da un lato al mattino presto può essere consumato per dare un inizio decoroso alla giornata, così, nel corso della giornata medesima, esso può contribuire a riconciliarci col mondo, Mi Bevo Un Caffelatte, giusto per calmarsi un pò, per concentrarsi meglio o deconcentrarci del tutto da una questione che ci ottenebra i pensieri. E da due giorni in qua, è stato grazie a questa bevanda celeste che ancora non ho sbattuto la testa contro il muro. Ho detto non ancora. Può darsi pure che lo faccia, un giorno di questi. Direi che sono sulla buona strada.

14 maggio, 2008

Ode al Labello.

Caldo, fa caldo. Nel senso che ancora non ci siamo abituati, che si è fatta desiderare per un pò e non è detto che sia qui davvero, stavolta. Che la sera vien sù quel venticello impertinente, chiederci al Capitano che razza di vento sia e da dove viene, ci sono cose nella vita che mai e mai imparerò. Fa caldo. Sandalini e peep, e non stia lì come un cocomero, signora mia, lo sanno tutti che le peep sono le scarpe col buco davanti. Così come sanno tutti che col sole e il caldo, anche il make up giornaliero, ossissì che cambia. Ci siamo cosparse tutto l'inverno di brilli in ogni dove, di strati e strati di gloss scintillante e terre abbronzanti sberluccicanti. ora, la musica cambia. Tanto per cominciare, al rogo pennelli e ciprie compatti, che un bel viso palliduccio e assolutamente naturale, in salute, come dire, è quanto di meglio per la stagione estiva. Ci penserà il sole, un pò più avanti, e se proprio non resistiamo, resta sempre l'opzione lampada, alla quale sono fortemente refrattaria, ma insomma. Ma, la recente, personalissima scoperta ha dato una sferzata alle consuete abitudini. Ho scoperto il Labello. Colorato, perdipiù, il che ha del miracoloso. Cioè, non proprio colorato, ma un pò argentatino, non coi brilli ma luminosissimo, rosa madreperlaceo, una cosa un pò lunare, ecco. E che risolve. Si può applicare con scioltezza, senza specchio e senza matita, e dà subito tutta un'altra aria. Non occorre entrare nel tempio della bellezza, nelle profumerie specchiate, ma lo si può far scivolare nel carrello con beata noncuranza, anche più d'uno, proprio lì, tra la farina e il sacchetto delle nespole appena pesato, al supermercato. E poi, cura. Sia per mare che sulla terraferma, il Labello ha la sua bella importanza, liscia le boccucce di rosa che hanno preso troppo vento o troppo freddo, e in più, come dire, arreda. Apparecchia. Quel tocco in più, come la maionese. Al bando, per il momento, i gloss con l'applicatore, i rossettoni superbrillantinosi, i Juicy Tubes. Il Labello è il futuro. E' la semplicità. E' l'estate. Che sì che si è fatta desiderare, ma alla fine, arriverà pure, no?

02 aprile, 2008

Ode alla camicia bianca.

Bella scoperta. Certo, non la scopro io questa mattina, ma la vera essenza di un simile capo di abbigliamento non la si esalta in inverno e neppure in estate piena. E' in queste stagioni di transizione, non troppo calde e non troppo gelide, che la camicia candida dà il meglio di sè. Non sacrificata sotto un maglioncino accollato, ma portata con disinvoltura senza niente, magari un golfino morbido coi bottoncini ma da tenere così, impertinente e sbottonato. Molto bon ton. La camicia bianca illumina e risolve. Profumatissima di appretto, impeccabile in una stiratura piuccheperfetta, vi fornirà un'immagine di voi medesime così lucida, dallo specchio, da farvi sentire magnifiche, nonostante l'umore grigiolino, la tosse o la nessunavoglia. Versatile, trasformista, può essere all'occorenza maliarda e innocente, vacanziera e professionale. Chicchissima con una gonnina nera al ginocchio e tacchi importanti o pronte per un traghetto o una passeggiata sul pontile, con sandali ultraflat e pantaloni Vichy. La candida camicia è un jolly da giocare, un terno secco sulla ruota di Napoli, una tombola. Unico accorgimento. I bottoni. Essi vanno abbottonati con cura nella parte centrale, lasciati sbottonati l'ultimo e i primi...vediamo, tre, quattro? A seconda di quanto maliarde si vuole essere, un balconcino che occhieggia con elegante innocenza farà con grande dignità la sua bella figura, sia esso rosso bordello, nero misterioso o lilla ammiccante. Perchè camicia candida sì, ma perdiana, le educande, signora mia carissima, hanno fatto il loro tempo.

27 marzo, 2008

Ode all'Amica delle Perle (caduta da cavallo).


Il minimo che potessi fare, scomodare Ugo Foscolo, e con un minimo di licenza poetica, dacchè la mia fulgida amica non è caduta da cavallo, ma ahinoi, da un più banale marciapiede. Ella soffre. Trovate nell'uovo di Pasqua due orride stampelle e un'arrabbiatura con venticinque zeta. Lei, così solare e frizzante, Lei sempre in giro a curiosare, chiacchierare, comprare, già, a quello non ci ci sottrae mai, signora cara, la vita è così breve e che cosa sarà mai un cappottino smilzo che ci sta un amore di fronte all'Eternità? Ella soffre. Sprofondata in cuscini di trine e merletti, con quel sorrisetto da ragazza impertinente trasformato in una smorfia di noia e disgusto, che impreca verso il fato avverso e la malasorte e a quel malefico marciapiede che La costringe, temporaneamente ad una immobilità forzata. Deh, mia Preziosa Amica, non si butti giù in cotale modo, non è da Lei. Le Amiche, quelle che accorrono alla bisogna, son qui per aiutarLa. E poichè Ella ancora non riceve, che ancora la servitù è lì che sbatte i tappeti ed Ella non si sente in forze per affrontare lo scalone del '600 che la separa dalla sua cittadina, beh, detto fatto, si procuri un Pc. E si porti non già la cittadina, ma il mondo intero nel Suo letto di dolore. Tanto per cominciare dia una scorsa ai quotidiani e a un pò di gossip, del quale Ella, mia Lucida Amica è Dea incontrastata e superba. Guardi un pò per bene come la Carla Bruni ha scimmiottato Jackie nel look per il suo viaggio londinese. E poi, una spolverata di politica, niente figlioli all'Alitalia, per par condicio lui che non porta la fede e poi fine. Direi che con la cultura può bastare. Da qui, si svaghi. Cerchi schemi di maglia per tenere occupate le Sue illustri, operose manine, confezioni per le sue Mirabili Figliole un gonnellino traforatissimo per le serate al mare, previa, ça va sans dire, approvazione dai rispettivi Fidanzati. E compri, compri, compri, Dama Venerabile dello Shopping Estremo, chè le fanciulle di Zara, vagano meste sul Corso in cerca del suo viso tra la folla, che son giorni tre che non si presenta alle loro casse. Per non parlare delle Sister Berry, orsù, non le faccia stare in pena, un pantalone estivo ben nasconderà l'odioso ematoma, a patto, come non pensarci, che non sia Capri. Lei ordini al telefono. Io le farò una panoranica della vetrina, gliela invio col Blackberry in tempo reale, ed Ella riemergerà dal noioso staro malaticcio e imprecante e rifiorendo a nuova, beata vita. Quando poi anche la pratica dello shopping on demand L' avrà annoiata, beh, può sempre impiegare il Suo tempo a lucidare le perle. Fino a dopodomani, stiamo a posto.

13 novembre, 2007

Ode alla Nutella.

Di Lei è stato detto tutto o quasi. Quarant'anni più o meno e non li dimostra, fece la sua comparsa nelle dispense delle italiche mamme, che la spalmavano sul pane per le merende dei loro adorati, italici figli . Vituperata, in qualche caso, additata come responsabile di ciccia, brufoli, acetoni e tosse asinina, forse anche del morbillo, simbolo di un pasto frugale e sbrigativo e nemmeno tanto sano, una mamma vera fa la marmellata con le sue manine d'oro, mica questa roba industriale qua. Ma Lei, Lei non si è mai scomposta. E' passata indenne attraverso le critiche e le chiacchiere radical chic, scalando con morbida e cremosa semplicità le gerarchie della famiglia. Non solo i bambini, ora, ma ogni membro della famiglia ne è dipendente. Vate. Adoratore. Idolatrata, occupa il posto d'onore nella dispensa, in pratici barattoli da mezzo chilo, con l'inconfondibile vasetto panciuto: i fedelissimi ancora conservano il barattolone da tre chilogrammi tre nella versione del 2000. Ci tengo le penne. Aprirla è un rito pagano, si annusa, prima, e poi si affonda con beatitudine il cucchiaino nel piccolo universo marroncino, un minuscolo lago di meraviglia, c'è qualcosa più inebriante di così? E' affascinante e sa di esserlo. Ma da buona piemontese, non si espone nè si scompone. Resta lì. Unico alimento che si gusta previo schiocco di lingua su palato, che vi tira sù in giorni di encefalogramma piatto o quasi, che vi testè passare un'incazzatura di quelle stellari, Lei non vi abbandonerà. Sarà lì, a portata di cucchiaino, alla bisogna. Certo, un pò invadente lo è. E si fa fatica a mandarla via, come un'ospite non più gradito, ma che vi ha fatto stare tanto bene. E allora, giù, di giri di corsa e di sedute di palestra e massaggi e finocchi al vapore e tristerrimo pollo ai ferri. Madama Nutella è fatta così. Ma buona com'è, si può fargliene una colpa?

17 ottobre, 2007

Ode al Cannolo.


Si fa presto a dire cannolo. Tutte le pasticcerie dello stivale producono due cose: i baci e i cannoli. Di baci so poco: due parti perfette che custodiscono un dolcissimo ripieno, baciandosi, appunto. Ma questo cannolo qua è una vera istituzione. Reperito con facilità nella pasticceria cittadina più famosa, possibilmente la domenica mattina, che entri e prendi il numero e aspetti e lanci occhiate oblique a chi ti sta davanti e preghi in cuor tuo che non si portino via tutti quelli alla nutella, che a casa aspettano soltanto quelli. La clientela della Antica Pasticceria è variegata: donnine appena uscite dalla Messa in Duomo, mamme con fanciulli, futuri generi invitati al desco della famiglia della futura sposa. E per la prima volta. Religiosamente, si porterà il pacchettino avvolto in carta candida e nastro giallino fino all'automobile, per riporlo con grande cura sul sedile anteriore, accanto ai giornali. Il cannolo si consuma come un rito, la domenica dopo pranzo. E’ l’unico dolce al mondo che non ha bisogno di tanta coreografia: anche il vassoio di cartone ondulato della pasticceria medesima andrà benissimo, tanto, nessuno osserverebbe il piatto d’argento o di design. Gli occhi, infatti sono tutti per lui. Il cannolo viene generalmente consumato in multipli di 3. Uno non basta. Coi suoi innumerevoli i gusti, dalla crema al cioccolato, dal moscato alla nocciola, il cannolo si afferra con due dita e si gusta in due bocconi: uno per dividerlo a metà, e l’altro per finirlo, masticando con grazia, per gustarlo fino in fondo, un attimo prima di servirvi del successivo. So per certo che alcuni luminari lo prescrivono ai loro pazienti come terapia antidepressiva, gusti a scelta, ma è la nutella il gusto più richiesto. Utile anche per sedare incazzature di vario genere, magoni latenti e neutralizzare giornate un po’ così. Consumatelo con serenità, esportatelo alle cene fra amici fuori dalla provincia e perchè no, dalla regione. Certo, le calorie sono notevoli, ma suvvia, domenica è sempre domenica. E poi, ve lo dico sottovoce, se farete un pò di attenzione e vi muoverete con circospezione, nessuno potrà mai cogliervi in castagna. Né trovare indizi. Un vero cannolo che si rispetti non fa briciole. Che grande invenzione.
Pasticceria Zoccola
Corso Lamarmora 61
Alessandria

25 settembre, 2007

Ode all'oro Saiwa.


Certo, lo conoscono tutti. E non è certo famoso per il suo sapore. E' insipido, e per nulla dolce. Croccante, certo, ma di zucchero ne ha proprio pochino. Insomma, tanto biscotto non è. Ma è simpatico e molto elegante. Per esempio, lo si usa moltissimo d'estate. E per una colazione leggera. E per premiare il cane quando si siede composta e non tutta storta e di sghimbescio. L'oro Saiwa, si diceva, è il più glamour, in assoluto. Tanto per cominciare, il numero: è l'unico biscotto al mondo che si vende in multipli di 100. Non esistono confezioni da 100 grammi. O ne compri mille o non ne compri nessuno. E poi, quel contorno! Con tutti quei ghirigori, quel merletto che ha tutt'intorno ha già scatenato l'invidia di più di un collega. Lui, non si smuove. Non si sbriciola, è il vero lord della biscottiera. Il suo abbigliamento è classico, immutato negli anni, il pacchetto giallo e la scritta rossa. Si tuffa bello sereno nel caffelatte e non la fa tanto lunga. Anche se, come ogni nobile che si rispetti, soffre di solitudine. E guai, guai, guai ad intingerlo solingo. La vera apoteosi di un Oro Saiwa è un altro Oro Saiwa. In due, si sa, viene tutto meglio. Ed è così educato, che appena prima di tuffarsi, vuol fare la conoscenza del suo compagno di viaggio. Così, con i merletti perfettamente combacianti,e quel profumo di grano, Lui si presenta: il mio nome è Saiwa. Oro Saiwa. E per piacere, non chiamatelo Biscotto Secco!

14 settembre, 2007

Ode alla Gocciola.


Che la Gocciola fosse un bel tipino, si era già scoperto da un pezzo. Non passa certo inosservata con tutti quei gioielli di cioccolato da far invidia e quelle curve, che già ravanando nella biscottiera, anche senza guardare, ti accorgi che non può essere nè un Pan Di Stelle , nè un Savoiardo, men che meno una Fetta Biscottata. E' sinuosa, accattivante, melliflua. Seducente, direi. E lui, quell'ingenuo del latte, c'è cascato in pieno. La adora. Si è lasciato abbindolare, innamorandosi perdutamente di lei. La accarezza, nell'intimità della tazza, appena tiepido e giammai bollente. La coccola. E lei, la sfrontata, ci gioca, si fa intingere e girare col cucchiaino, si immerge un pò e riaffiora, nel candore, con i suoi monili al cioccolato appena un pochino sciolti. Dicono sia un pò vezzosa e che si dia un sacco di arie, e che non lo confessi a nessuno ma che anche lei straveda per il latte. Si amano così, nel silenzio della cucina, a colazione, principalmente, ma anche in quei momenti di pace perfetta e solitudine gradevolissima, di calma apparente, in cui si vogliono coccole e dolcezze. La tenera, segreta storia tra Latte e Gocciole vi conquisterà e sarà amore al primo assaggio. Anche la Gocciola ci è cascata: nel latte, intendo.

31 luglio, 2007

Ode all'Amaca.


Nella vita di ognuno di noi arriva, prima o dopo, il momento degli acquisti scellerati. Non v'è una vera ragione. Complice l'orario dell'aperitivo, ma in grazia di Dio ho sposato un uomo che rifugge sistematicamente il rito pubblico dell'Aperitivo in senso stretto, preferendo ai luoghi affollati e modaioli che in Costa pùllulano, il raccoglimento e l'eleganza e la semplicità e il numero esiguo di partecipanti che viene fornito dall'aperitivo casalingo, ove per casa si intenda il prato, il patio, la terrazza di questa casa di vacanza. Ben perciò, l'efferato rito dell'acquisto scellerato si è compiuto nella giornata di ieri, all'incirca verso le sette di sera. Un'amaca. Non ne possediamo nessuna, nè mai ne possedemmo, perciò anche alla scrivente, regina incontrastata dell'acquisto inutile, l'idea appariva balzana. ma docilmente mi sono lasciata convincere. Dal suo colore naturale, un corda pallido, dalla balza tricot che fa sempre il suo bell'effetto su di me, e dalla sua forma strana ed esotica. Perciò, vada per l'amaca. C'è stata una specie di riunione di famiglia sul dove e sul come, e anche sul con cosa. Alla fine, la scelta è caduta su due piante di corbezzoli al limitare del pratino. Lì, uno studio accurato ha decretato che ci fosse la giusta luce per leggere e dormicchiare, la giusta temperatura, con un sapiente intreccio di correnti e venticelli e, perdiana! anche un posto letto in più che, viste le transumanze di figlioli che avremo nei prossimi giorni, capita giust'appunto a fagiuolo. L'amaca, che celestiale scoperta. Non è letto e non è divano, si può dondolare o stare fermi, si può dormire o leggere, guardare in sù in santa pace, seguendo i propri pensieri più segreti, siano essi la lista della spesa o l'essenza intrinseca della vita. Si può persino scrivere, con penna e blocco, però, giacchè nessuno al mondo mai possa offuscare tanta selvaggia beatitudine con un qualsivoglia orpello telematico, che lo riconduca così nel mondo reale. Sull'amaca è consigliabile non fare assolutamente nulla. Disponibile anche nel modello a due piazze, totalmente inutile, dacchè il suo assetto molliccio e semovibile non consente alcun tipo di approccio amoroso, pena il caracollare rovinosamente al suolo, che non è mai consigliabile. Totalmente stregati da questo nuovo oggetto, abbiamo istituito dei turni per il collaudo della stessa. Peccato che siamo tutti qui, a gambe incrociate sul prato, con il nostro numerino in mano, ad aspettare che termini il collaudo del nostro Capitano. Il mondo intero lo sa, son questioni lunghe, queste con l'amaca!

11 luglio, 2007

Ode alla Nivea.


Qualora me lo chiedessero, non saprei dire con assoluta esattezza che cosa il profumo della Nivea mi ricorda. Forse una quantità talmente vasta di cose che a focalizzarle una per una ci vorrebbe uno di quegli aggeggi che usa la Margherita Hack, forse. Ci si può provare. Riviera Ligure, primi anni 70. L'omino che vende i krafen sulla spiaggia, estraendoli da un cestino unto che, a farlo ora, verrebbe arrestato all'istante. Gli aeroplani che volano radendo il mare e che buttano giù le sorprese Galbani. Il materassino rosso da un lato e blù dall'altro e di nessun altro colore al mondo. I sandalini alla schiava misura 33. Il prendisole con le margherite cucito dalla zia e indossato con orgoglio per il rito serale del ghiacciolo al tamarindo. La merenda con la focaccia. L'insalata di riso mangiata sulla spiaggia. E infine, quel giochino pazzesco, le due palline che facevano click clack, le mie erano arancioni ed ero campionessa Mondiale ed Intercontinentale con un personalissimo record di 4 minuti. In tutto questo, la Nivea era lì. Non quella del flacone blù, si badi benissimo, non quella liquida che ai primi di luglio è già esaurita al supermercato. Quella vera, la unica e sola, nella inconfondibile scatola, sempre blù, ma piatta e lucida, di latta, sono così poche le cose che ancora conservano la loro forma originale, persino il bambino del Kinder è cambiato, ma dove andremo a finire. La Nivea sa d'estate, di mandorle, un pò, di panna montata che lo so che non ha nessun odore, ma forse la consistenza la ricorda molto e allora viene facile a pensare. Si spalma a fatica, ma è assolutamente lussurioso il gesto di affondare tre dita della mano in quel lago intatto e cremoso, candido e perfetto, che già solo il pensarci ti fa stare bene. Protegge, ripara, conquista. E' abbronzante, idratante, prima del sole, durante sole e doposole. Impareggiabile. Insostituibile. Elegante e raffinata, discreta e senza tempo, al di là del glamour e delle tendenza, la Nivea c'è. Occhieggia con impavida semplicità negli scaffali, accanto alla cugina liquida, alle creme setificanti, superidratanti, autoabbronzanti e sberluccicanti. Quasi nessuno la compra più. Distinguersi bisogna. E a poco meno di tre euro ci si può assicurare nella cesta della spiaggia un pezzo di storia, di anni settanta, di sciocca e dolcissima malinconia, quella piacevole da riascoltare.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...