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26 febbraio, 2011

Figlio.



E' da ieri che lo scruto. Quel poco che ho potuto, nel senso che la febbre e il mio andare a letto presto e tutto questo tossire e tossire non mi hanno dato granchè modo. Ma ho riconosciuto come smarriti quei suoi occhi di bosco, nel buio dietro la porta della mia stanza, ieri sera, Stai Bene? E ho riconosciuto quel suo indugiare in un abbraccio troppo stretto, come chi ha da dire molto ma non dice, e dice Chiedimi, Non Ti Risponderò, ma tu fàllo, mamma o non farlo, non so. Non ho capito, figlio, non ho compreso subito, mi sono data qualche risposta confusa, gli esami, la nuova vita a Torino, nuovi amici e nuove cose, sarà questo, ho pensato. Ma non  che fossi convinta, no, qualcosa mi sfuggiva, di solito è così ciarliero al venerdì, con tutti i fratelli a tavola, la sera, ma stasera invece no, stasera è silente e distante e ha gli occhi lontani, non so dove, non so. Io conosco le tue mappe, figlio, più di ogni altra persona al mondo ho la pianta del tuo cuore dentro al mio, ho i tuoi modi e i tuoi sentimenti, e ti sento, figlio, ti sento come un albero la foglia, come un tasto la sua nota, come il mare la sua onda. No che non ti chiedo, perchè so che non avrei risposta a questo tuo stare, so che non è una cosa da niente e allora sto zitta, ti penso e sto zitta, se avrai voglia e sentimento me lo dirai, sei uomo fatto e io, madre, ho solo modo di sedermi ed aspettare. Poi oggi. 
Devo andare, E' il Compleanno di. Ci Troviamo Tutti al Camposanto.
Amore grande mio, figlio del mattino e della luce, dimmi piano come posso alleviare questo tuo dolore, dimmi bene come fare anche a spiegarti che dolori come questo non vanno via mai, sono squarci che non rimarginano, sono tagli che non smettono di fare male, mai, la tua età ti può aiutare a far diventar tutto un pò più lieve ma il dolore è un brutto affare e se ne sta lì, in agguato, e ti rincorre e ti raggiunge. Figlio del Cielo, mia espressione più perfetta, mia vittoria, mia pienezza, cura questo dolore e impara a viverci, a riconoscerlo, a sentirlo, tasto e nota, onda e mare, nell'ineluttabile e spietato gioco della vita e della morte. Da lassù, nel giorno del suo compleanno,  c'è chi ti guarda e sa.

19 febbraio, 2011

Poesia e prosa.


Stamattina, alla lavagna della cucina, qualcuno aveva lasciato un segno di rara bellezza, di grande leggiadria, di impagabile tenerezza.
Nessuno poteva sapere che, poche ore prima, qualche altra mano, maschile, c'è da giurarci, aveva appiccicato un post-it sull'interruttore delle scale.


Storie di ordinaria semplicità, di opposti modi di comunicare, lassù, nella Casa in Collina. Son cose.

25 gennaio, 2011

Il volo.



Così uguale a me. Gli stessi occhi grandi di un colore così chiaro, verde menta, verde che brilla, verde lucido dei suoi begli anni confusi. Le stesse manie, le scarpe, i colori, più precisa, forse, più ragionevole, ma sognatrice e romantica e credulona Ma Dai? E' bella mia figlia, è bella per come ride, per come canta nella sua stanza, per come guarda fisso e profondo, per come è seria, qualche volta, silenziosa, troppe volte, riservata, in sè. Così uguale a me eppure già voltata per iniziare a camminare per un'altra strada e un'altra vita, la sua strada e la sua vita, che è giusto, è normale, ma che non è ancora tempo e mai lo sarà, per me. E' bella mia figlia, e quando la vedo accanto a me nelle vetrine o nello specchio del bagno, vedo il tempo che ha giocato, mescolato le carte e fatto me, la madre, uguale a lei, la figlia, che uguale sembra a me ma in fondo è tanto diversa, e che è uguale è la storia che mi racconto perchè così saprò come fare, perchè così saprò capire, interpretare, che tornare a casa alle 11,30 o a mezzanotte è proprio uguale, ma alle 11,30 è meglio, mezzanotte è l'ora dei grandi, Ma Mamma, Sono a Casa di V. a Guardare un Film, Mica in Mezzo Alla Strada. Lo so, bambina che bambina non sei più e nemmeno vuoi che ti ci chiami. Lo so e vado a tentoni, cerco di imparare da te come si fa ad esserti madre, che non è come coi maschi, tu sei un cuore di tulle trasparente, sei pizzo prezioso, sei porcellana finissima, sei fiore raro. I tuoi fratelli hanno anime belle e cuori dolcissimi, ma il cuore degli uomini ha petali diversi dal tuo, ha colori diversi e diverso il profumo. Lo imparerai presto, lo so. Io non sono ancora pronta per vederti grande, amore mio, anche se vedo che lo diventi ogni giorno di più, hai gambe lunghissime  e grandi idee e progetti e domande, che forse alla tua età io non avevo. E ora sono qui, figlia, davanti a te, a dirti, cresci e vola verso il mondo che vorrai e che spero sia esattamente come lo desideri, che sarai una donna meravigliosa lo so già da ora, ma tu, cuore di pizzo e porcellana, aiutami un pò, e fammi essere la mamma della bambina che eri, ancora un pò. Perchè a volare c'è tempo e che per me, la tua mamma, ancora tempo non è.

30 dicembre, 2010

Come non detto.

Lassù, nella Casa in Collina, vigono regole auree che, se disattese, possono causare vere e proprie lotte interne, ribellioni, insurrezioni, boicottaggi, ammunitamenti e altre amenità. Ora, una di queste riguarda la stanza più bella di tutta la casa, quella che dà sul giardino e sulle colline, quella senza tende perchè sarebbe un sacrilegio, quella che è esattamente prospiciente la casetta del pettirosso Federico. Questa stanza è riservata al maggiore dei figlioli, il più alto in grado, come dicono loro, quello al momento fidanzato, quello che ivi risiede stabilmente e non sù e giù dai patri atenei. Un proverbio che invece non funziona lassù nella Casa in Collina, è L'Ozio è il Padre dei Vizi. Nossignore. Quassù l'ozio è il padre delle più aberranti e balzane idee, dei progetti più assurdi, delle imprese più titaniche, è vacanza, perchè non farlo? Già, perchè? Fin qui nulla da dire. Da dire c'è molto invece quando  viene richiesta con sorrisi da copertina e occhioni da Bambi, la mia collaborazione. Il progetto di oggi è infatti lo scambio di stanza di due dei miei figlioli. Un lavoro da nulla, e che sarà mai. Posso con certezza dire che sarà, eccome se sarà. Cavi e fili ovunque, polvere, libri ammonticchiati sulle scale, maglioni a mucchi, un traffico su e giù, sposta di qua, gira di là, imprecazioni da mercato all'alba, parole irripetibili. E io? Già, e io? Io sono stata promossa Direttore dei Lavori, e teoricamente potrei dirigere il tutto stando semisdraiata sulla chaise longue, Paolina Bonaparte del Corridoio, e dire soltanto Questo sì. Questo No. Pura fantascienza. I miei figlioli, creature celesti, ma subdoli e infingardi peggio della rucola, tentano in questo modo di affibbiarmi compiti ben più complicati, del tipo pulire gli armadi dentro, già che ci sono, o il mobile in alto, già che ci sono, e magari lavare i vetri, già che ci sono. Orrore. Io immaginavo questo penultimo giorno di questo schifido duemiladieci all'insegna dell'ozio natalizio, avevo giusto un cappellino da ultimare, ho una merinos fiammata, regalo suo,  su cui emette i primi vagiti un Traveling Woman   che è una delizia, ho libri da leggere, film da vedere, lo smalto, l'impacco di olio ai capelli, e poi, come dimenticare che è giovedì. Bene, a piano d'attacco si risponde con piano d'attacco. Farò finta di niente, imbucherò non vista il cappellino in essere nella borsa, uscirò alla chetichella urlando dietro di me Vado a Buttare La Plastica, e sparirò. Le mia Amiche mi aspettano per la short version dell'ultimo knit cafè dell'anno, posso mica perdermi un simile evento. I miei figlioli, grandi e grossi che sono, ben se la caveranno da soli nella transumanza da stanza a stanza. Al mio ritorno tutto sarà pulito e perfetto, le stanze scambiate, gli armadi a posto, nessuna traccia di libri e cose per le scale. Illusa? Chi lo sa. Io, già che ci sono, vado a buttare la plastica. E t'ho detto tutto.
Photo from: Wool & The Gang.

13 dicembre, 2010

Ci vediamo all'una? No, Mamma, Oggi Manifestazione Silenziosa, vogliono toglierci le due aule di chimica, non ho i libri con me. Nello zaino ho solo il diario, una penna e Siddharta. Il mio figliolo Liceale così inizia la sua settimana. E' alto alto, sottile sottile, i capelli lunghi che si rifiuta di tagliare, almeno fino a Natale, ma Natale è presto, dico io, portiamoci avanti. Mio figlio Liceale è bello come il sole dietro la collina, ombroso qualche volta, imperscrutabile, pensieroso, rivoluzionario come si può esserlo a 17 anni, quando il mondo è tuo ma non è come lo vorresti, quando hai i giorni più lucidi in mano e tutto ti sembra contrario, a volte lucente a volte da strappare con rabbia. I suoi occhi sono i miei alla sua età, che sono i miei di adesso, forse, ma io alla sua età ho avuto da comporre un dolore troppo grande, un cubo di Rubik che forse ancora non ho risolto, che mi sono rigirata anni e anni fra le mani, come si fa coi dolori che non vanno via, nessun dolore lo fa, ma almeno si può pensare di starci vicino, di tenerlo lì senza farsi schiacciare. Lui, il Liceale, è una miscela sapiente di forza e dolcezza, diverso dal Giurisprudente, ma sempre più simile a lui nelle espressioni, molto più vicino al Piccolo Ing., credo. Mi piace, il mio Figliolo, per questo suo modo un pò dandy di camminare ciondolando, di suonare canzoni tenerissime alla chitarra e poi spaccare i muri con la musica più assordante. Mi piace quando mi chiede Tuttapost? guardandomi di sottecchi, cercando di capire di che umore sono, quali pensieri e quali cose, mi piace perchè è cocciuto e adorabile, perchè fa le prediche a sua sorella, perchè ha coi suoi fratelli un rapporto così speciale che mi insegna, che mi compiace, che mi fa fiera. E poi, mi piace quel suo bacio veloce, la mattina prima di andare a scuola, il cuore ancora addormentato, i riccioli disordinati, i suoi anni freschi e tremendi chiusi tutti nel suo zaino con il diario, una penna e Siddharta.

20 settembre, 2010

Che mondo vuoi.

Ti studio da giorni, sei materia difficile, incomprensibile, parli pochissimo, non sorridi mai o quasi, ed è così strano per te, luminoso come sei. Sembra che tutto il mondo si sia seduto sulle tue spalle, un mondo che non sai, che non ti assomiglia, che ti fa male. Che mondo vuoi, figlio del mio universo, gemma della mia collana più preziosa, che mondo sei, dietro quegli occhi sgranati e quello sguardo che rapisce, che mondo hai, dentro quel cuore trasparente, quell’anima bella che mi scivola di mano, che non so più leggere,  che non so.  TI vedo così, silenzioso e assente, strano e lontano, certe volte, Ma Cosa C’è, ti chiedo, Ma Niente Mamma ma quel niente mi sembra così tanto e schiaccia il mio cuore che ti vorrebbe ancora appiccicato a sé, e invece non si deve, il mio cuore che vorrebbe sapere a memoria le cose che fai e dici e pensi ma che non è possibile, è la legge della vita e del tempo, il mio cuore, che vorrebbe sapere tutto sempre e avere rimedi per tutto, sempre, e sapere cosa dirti per farti stare meglio, sempre. Il sempre non esiste, non con la vita né coi figli, sempre è un avverbio di tempo, che è uguale a spesso e a mai e che ha un significato relativo,se ci pensi bene. Che vita vuoi, che vita immagini,  quali grandi sogni si nascondono sotto il tuo cuscino, quali giorni ti aspetti, quali gioie e quali delusioni e quali progetti e quali lotte e quali ideali.  A crescere si fa così, ci si sente un giorno invincibili e il giorno dopo impossibili, e i figli maschi non raccontano niente alle madri ansiosissime e preoccupate, e le lasciano lì, a scrutare di nascosto se un po’ sorridi e ti è passata, ma sappi che sempre, sempre, sempre avrò per te un amore sconfinato e lucido, struggente e meraviglioso da regalarti  ogni giorno, anche se non è il tuo compleanno, e sempre, sempre, sempre sarò qui a studiarti e a volerti, più di ogni cosa al mondo, felice delle tue scelte, dei tuoi pensieri e della vita che ti ho dato. Perché sempre, in questo caso non è solo un avverbio di tempo. 

10 settembre, 2010

GrigioSfiga Shawl.

Recita un antico adagio "Se non sai le cose, sàlle". Sappi che le grane non vengono mai in numero minore di quattro o suoi multipli, che la tabellina del quattro, grazie a Dio, la so. Sappi che alla voce Grane vengono catalogate una serie di cose, mai troppo gravi, mai irrimediabili, ma che alla fine, messe una sull'altra fanno una grana di dimensioni giganti, perchè è la somma che fa il totale e anche questa la so. Sappi altresì che di solito le Grane arrivano proprio nel momento in cui ti rialzavi un attimo, uscivi il capino fuori dalle sabbie mobili, per dirla sgrammaticata ma con eleganza estrema, nel precisissimo istante in cui stavi per prendere un bel respiro e dire, pfui, anche questa è passata. Non ci facciamo mancare niente, una gita all'Ospedale che male non fa mai, come con chi, col Liceale, manco a dirlo, che ha deciso di farsi venire qualcosa che sembrava grave e invece grazie al Cielo non lo è, ma chi lo dice che poi una pleurite sia cosa da nulla, e sì che avrebbe dovuto saperlo che con la tosse da orso non si scorrazza in moto sù e giù per le colline e non si esce fradici dal calcetto, che la tosse sennò decide che si trova così bene e non lo molla più. Detto, fatto. Inizia la suonata di antibiotici e tachipirine, eppure mi sembrava che il lunedì che viene avesse un impegno, ah già, la scuola, come no. Fatto sta ed è che un altro pensiero oscuro si somma agli altri pensieri oscuri, così tanti che mi ci faccio una collana, un mantello, una tovaglia per il picnic. Avevo messo sù questo scialle, che non proprio di scialle trattàvasi ma di stola semplice, di un colore avulso, lo so, ma di una morbidezza inaspettata. E' Triste, Mamma,squittì la Princi. Tra le mille cose da sapere, alla voce SeNonSaiLeCoseSàlle, c'è anche questa. Non iniziare un lavoro di un colore triste che va da sè che te tu ti porti sfiga da sola medesima solinga. Lo terrò presente. Echeppalle, però.

10 giugno, 2010

Suona.

Sono giorni di studio e studio, lassù nella casa in collina, l'esame di pianoforte arriva come il profumo dei tigli nel viale che porta in città, passando dalla strada stretta, quella in campagna, che ci si deve fermare per far passare i trattori. E' una fine di scuola incerto, questo qua, vorrei che arrivasse e che non arrivasse mai, non so, è una strana sensazione di vuoto imminente, di vertigine, come un burrone, come in cima a un grattacielo, come non so. Lei suona. Suona veloce e senza incertezze, le note scivolano fuori dalla sua stanza, dalla finestra con le tende leggere che dànno sulle rose, dalla camera colorata e in disordine, pile di libri, bigliettini, fotografie e mucchi di scarpe, ha la stessa mia mania, le scarpe e il disordine, eppure era così ordinata da piccola. Ma piccola non lo è più da un pezzo, lo si capisce da quei suoi bronci, dai magoni, dai silenzi a tavola, dalle litigate feroci coi suoi fratelli, non sta più zitta, ribatte, tiene testa, un caratterino. Lei suona. Suona la sua vita, suona i giorni di questa età così bella e spietata, suona i suoi capelli che vorrebbe un giorno più lunghi e il giorno dopo più corti, suona i suoi pensieri segreti, le cose che non dice, i suoi spartiti serissimi accanto alle stringhe coi teschi, le mollettine coi fiori, la maglia I <3 NY. Suona e suona, Principessa della Rose, suona e raccontami la donna che diventerai, suona e sorridi, per niente al mondo mai vorrei vedere le lacrime che ti scendono giù, silenziose, gli occhi bassi sull'orlo del piatto, sono di un verde disarmante quando piangi, sono lucidi di pioggia preziosa, brillano smarriti e io non so nemmeno che strada dirti di fare, per uscire dal bosco. Suona, bambina, suona per gli altri abitanti di questa casa, che nemmeno respirano quando ti sentono suonare, sono note profumate di bellezza, sono note rotonde e colorate che rotolano sotto i letti, esplodono contro il soffitto, scendono dalle scale, se guardi bene le vedi rimbalzare in cucina, in giardino, sul prato arruffato con l'erba già troppo alta. Suona per noi, suona per me, mamma smarrita come e più di te, mamma confusa e inafferrabile e incapace, suona e suona, Figlia del Cielo, mio cuore disegnato, mia copia più chiara, suona  per me, bambina, sarete tu e la tua musica a indicare a me la strada sicura per uscire dal bosco.

12 maggio, 2010

La domatrice.

Nulla di torrido, per carità. Nè trasparenze nè pelle nera, nè stiletti nè baby doll, nè sado nè maso. Oggi però, una frusta mi sarebbe servita. Non già per percuotere quanto per scudisciarla sul pavimento della linda stanzetta che  hanno assegnato, alle 7 o già di lì, a me e al mio figliolo, la domatrice e la tigre siberiana, per meglio dire. E' stata una lunghisssssssssima giornata. Non è mistero, il Giurisprudente ha subito un piccolo intervento, piccolo mica tanto e poi nemmeno una passeggiata, come invece l'Illustre Medico aveva millantato. Fatt'è che il mio Figliolone non è tipo che se le fa tanto raccontare, e se dapprima si è lasciato docilmente mettere il camice candido e trasportare in carrozzina fino alla sala operatoria, è tornato...beh, è tornato imbizzarrito, imbufalito, incattivito e pure incazzato. E con due hot dog infilati nel naso. Taccio per pudore le esclamazioni di disappunto, posso solo dire che non ho sentito alcun Accidenti o Maledizione. In luogo del mio Riccioluto Ventenne, un camallo dei bassifondi del porto più sgangherato del mondo, una tigre siberiana dai denti a sciabola, una furia. Io? beh, io cercavo di mantenermi calma, di dirgli Adesso Passa, di cercare di convincerlo che era proprio inevitabile e che insomma si doveva proprio fare. Lui, nulla. Cocciuto come la sua mamma, non ha voluto sentire ragioni di niente e ha continuato ad imprecare finchè non si è addormentato di schianto, stremato dall'ansia, dalla sveglia all'alba, dalla fifa blu che ha avuto per tutto il tempo e, ne sono certa, anche da un pò di anestesia che, seppur locale, gli deve essere entrata in circolo, succede qualche volta. Ora, la lunghissima giornata volge al termine. Lui sta benino, nonostante il fastidio e le menate, io sono stremata, in pigiama da due ore, non vedo l'ora di arrampicarmi alla bell'e meglio nel mio umile pagliericcio e non muovermi da lì per le prossime venti ore. Vita durissima per le domatrici di tigri, per quanto seducenti e bellissime e ricciolute esse siano. Prenderò lezioni da Moira, ma già, quella è degli elefanti e che differenza ci sarà tra tigri ed elefanti. Uhm,mi sa che è proprio ora di andare a dormire. L'anestesia, forse, l'ho assunta anche io.

10 dicembre, 2009

Christmas DIshcloths.

Sono il terrore delle mie Amiche. Sono quelle cose che si guardano e si dice Mmhhh, bello, ma che roba è. Sono i sostituti dei famigerati centrini. A me piacciono tanto. E a me soltanto, come molte cose, ultimamente, a partire dalla gabbietta. Nemmeno tra le domestiche mura sono compresa. Ho passato il week end dell'Immacolata presa dal sacro fuoco, l'avevo scritto anche sulla lavagna della cucina, Proponimenti per questa Vacanza: Leggere fino a star Male, Knittare a Oltranza, Fare Niente o Poco Più. Così, come già successe tempo fa, sono entrata nel tunnel del Dishcloth Natalizio. Ne ho fatti e ne ho fatti. Casette innevate, babbinatali, guantini, abeti, pacchiregalo. Uno dei miei figlioli, ne taccio l'identità per pura decenza, mi si è avvicinato, sbocconcellando qualcosa per merenda, e chiedendo Cos'è? E' un Alce, Tesoro. Ah, Credevo Fosse. Taccio anche la risposta, che certe parole a una signora non si confanno. Non mi lascio certo influenzare. Io continuo e continuo, il dishcloth dà un piacere sottile, è una specie di cubo di Rubik, conti e conti, k6, p3, (k4, p6)x 3, roba che chi mi conosce sa che non ce la potrei mai fare. E invece, toma castagna! ce la faccio eccome, e sforno questi delizioni straccetti che orneranno la mia cucina nelle vacanze natalizie. Non ne regalerò a nessuno, le mie Amiche li odiano, sono sola solissima in questa avventura. Pazienza. Ma potrei sempre inventare dei nuovi schemi, con altri soggetti, decisamente più torbidi di un fioccodineve o di una stellacometa. Dopotutto, secondo il mio figliolo, ho già iniziato. Ci penserò. Hard Dishcloth. Il nome è già un programma.

29 ottobre, 2009

Pace fatta.

Con la Zimmerman, intendo. Dacchè è noto ai più che c'ho litigato parecchie volte, con la Signora, che il Coro degli Angeli La Accolga, tanto da credere di essere vittima di una fattura, un sortilegio, un incantesimo. Le altre del Knit, che fra l'altro c'è quest'oggi, hanno fatto di tutto, scialli e sciarpe e scarpette e teli mare, borse e copricapi, sacchetti per conservarci il riso, teli per coprire la bici, insomma, di tutto. E io, l'ultimissima della classe, quella dell'ultimo banco, ci sono arrivata da poco, alla fine, only the brave, lo so, ma anche only the zuccons, non so se mi spiego. Complice il mio figliolo Liceale, che si è finalmente accorto che la sua mamma non fa mica presine e babbucce della nonna, ma che riesce, in grazia di Dio, a fare anche delle cose che sono di gran moda in questo tiepido, meraviglioso autunno. E così, invidiosissimo dello scaldacollo per la moto che Afef ha fatto al suo figliolone, quello del tonno, per intenderci, timidamente ha fatto la sua richiesta E Io? Già, ettù? Agguantata che ebbi una lana morbidissima e preziosa, lo ben si sa che i colli dei motociclisti son così delicati, e che la sciarpa, orrore, non si mette nemmeno sotto tortura. Così, oggi, al Knit consueto del giovedì pomeriggio al Bio Cafè, ultimerò in tutta scioltezza lo scaldacollo per il Liceale Spilungone BelloComeIlSole. Dovrò spiegargli che è fatto in lana Merinos di Debbie Bliss, col Magic Loop di Elizabeth Zimmerman e coi ferri circolari di cristallo purissimo (!) KnitPicks? Meglio lasciar perdere. Gli uomini, di queste cose, mica ci capiscono. Per loro, sempre presine sono.

19 ottobre, 2009

Buona domenica?


C'era scritto che sarebbe stata una pigra domenica di ultimo sole, di passeggiata in collina con Biancaneve e il suo Sposo, che avrei ultimato in tutta scioltezza la Baby Surprise Jacket e tutti a chiedermi cos'è, cos'è, e io con aria di sufficienza a dire, eh, sì in effetti è una cosa misteriosa, di fatto, lo è, se l'ho fatta e rifatta e disfatta millecinquecento volte circa, e poi alla fine disfatta del tutto, e la sua, quella di Biancaneve, rosa e perfetta, ma io sono la più zuccona di tutte e sono l'unica che ancora non l'ha fatta, e vabbè. C'è di peggio. E infatti c'è. Per non farci mancare niente, ma niente proprio, il Junior Ing. ha pensato bene di cadere malamente giocando a pallone, una cosa da nulla, dice al telefono, Ma Vado a Farmi Vedere. Così, sul finire della domenica, ce lo siam ritrovati al Pronto Soccorso, suo padre ed io, quelle sette ore perchè è il tempo necessario per farti dire che ha la scapola rotta e voilà, lo avvolgono per bene come le valigie all'aeroporto e te lo riconsegnano così, dolorante e inca@@ato, il braccio ripiegato, la manica molle della tuta sociale che un certo effetto fa, la sua faccina stralunata, ma come, non eri tu il piu' grande di tutti? Bene, molto bene. Buona domenica? E come no.

30 settembre, 2009

Non si impara.


Non è che ci si può mettere lì e studiarli tutti, dal primo all'ultimo. O meglio, sì, si potrebbe anche fare, volendo e avendone il tempo e la voglia. Ma non si imparerebbe. Mai. E non c'entra che sia la cosa che più ti piace fare al mondo, perchè queste cose qua le hai volute così tanto, li disegnavi già a scuola, in fila, la bambina coi codini e il vestitino a pois e le manine larghe, impalata, statica, perchè no, non sono brava a disegnare. E i bambini coi calzoncini e la palla. Ho voluto questi figli con tutta l'anima, non si son nemmeno fatti aspettare, in realtà, deciso, voilà, eccoli in viaggio verso di me, verso di noi. Ma ancora non ho imparato. Ad avere la risposta giusta, a consolare, a dispensare consigli, a dire le cose che vorrebbero sentirsi dire per essere sollevati, leggeri. Non ho imparato. Per loro farei le cose più grandi, così grandi che non so nemmeno cosa, mi butterei nel fuoco, come si dice quando faresti di tutto, ma proprio di tutto. E quando li vedi così, impacciati, a disagio, che non sanno nemmeno da che parte cominciare a raccontare, che ti dicono Non So Quale è La Mia Strada, e tu che non vorresti essere lì ad ascoltare perchè non hai risposte da dare, nè parole adatte, nè ti vengono i verbi, lì per lì, e nemmeno sai che cosa dire, e ci provi, certo, e la prendi alla lontana, ma che cosa inventare, se non che li ami, li ami così tanto che non si può dire a voce, ma solo stringere e stringere, e fargli sentire il tuo cuore, vicino al loro, perchè son cuori che si conoscono bene, e per un pò hanno battuto insieme e allora, che dire e che fare, tu sei confuso e io con te, io che ti stringo e basta e sento il tuo respiro, io, tua mamma, che a fare la mamma ancora non ho imparato.

25 agosto, 2009

Status: arrived.

Alla fine, è arrivato. In leggerissimo ritardo, ma non era importante, suo padre ed io eravamo lì già da un pò, minuto più, minuto meno non faceva differenza. Abbiamo sbirciato dalla porta scorrevole dell'aeroporto, lato arrivi, un aeroporto rimesso a nuovissimo per quel G8 a Maddalena che non c'è stato. L'ho visto subito che aspettava i suoi bagagli, una maglia rossa con la scritta Phillies "per farmi riconoscere". Mi ha sorriso di un sorriso di luna, che belli sono i sorrisi che non vedi da un pò, mi sono venuti i lucciconi, ma agli arrivi è vietato, si piange solo alle partenze, questo si sa, e poi il mio Sposo Illustrerrimo mi ha fulminato "cosa piangi a fare". Già, che piango a fare. Non so, invero, ma se c'è da frignare certo non mi tiro indietro, e adesso sono qui, che abbraccio il mio pallido, spilungone, meraviglioso figliolo che riede dopo un tempo che sembra lunghissimo, lontano come nessuno di loro è stato mai, nemmeno i suoi fratelli più grandi. Che piango a fare, se finalmente ce l'ho qui, e non mi dannerò più di telefonate e messaggi e mail e Facebook, per vedere se ha messo qualche fotografia, per vedere cosa scrive, come sta. Racconta a raffica, non sa da dove cominciare, e io accoccolo i miei occhi su di lui, e sono così felice che sia qui, sembra più alto e ancora più bello, e mi ubriaco di queste mille cose che racconta e che sentirò ripetute tra non molto ai suoi fratelli. Poso i miei occhi su di lui, e lì ce li lascio, come sorpresa di averlo qui vicino, beata e felice, innamorata di questo sorriso, impertinente e dolcissimo, che non vedevo da un pò.

26 luglio, 2009

Regina.

Càpita così di rado. Che ci siano tutti, intendo. E che lo Sposo Illustrissimo non sia qui con noi, sennò sarebbe troppo facile. Stasera, che bello, c'erano proprio tutti, tutti e 5 i figlioli, tutti in fila, con amico e fidanzata. Una sera semplice e bellissima, senza TantiAuguriATeeeee, Ti Prego Mamma, No, ma si doveva festeggiare in qualche modo il compleanno targato 16 del mio figliolo liceale. Così, eccoci lì, una pizza veloce, appena via dalla spiaggia, da dove si può vedere un tramonto senza pari e sentire il profumo delle dune, delle piante che ci crescono e che di sera, complici i grilli, lo si sente più forte, sembra. Tutti, i figli. A salutare per bene la signora del ristorante, quella che fa la zuppa gallurese più straordinaria del pianeta, di una saggezza semplice, che ogni anno li abbraccia e li bacia, e dice Gesummaria, Che Grandi Che Sono, e lo dice in sardo, anche, che non si capisce ma ormai lo sappiamo. Io, in mezzo a loro. Stasera, la signora Ottavia ha baciato e abbracciato per un buon quarto d'ora, non finivano più questi figli, biondicci, dorati, bellissimi, un pò scarmigliati. E io, rosolavo nel miele, mi sentivo davvero felice e adorante e beata come poche volte, tutti proprio tutti lì con me, un pò a proteggermi, un pò a sfidarmi, sicuramente ad amarmi, di amori differenti, ricamato e colorato come quello della Princi, ruvido e spigoloso quello dei maschi. Del quale Amore, sconfinato e lucido, mai come stasera, mi sono sentita Regina.

07 giugno, 2009

Mucchio selvaggio.

Così è di moda. Si prenda una sera di giugno appena iniziato e si dia ufficialmente inizio alle danze, inaugurando una piscina sù in Valle, dove si danno appuntamento tutti e dico tutti gli studenti delle scuole medie superiori. Così funziona. Qualche genitore li accompagna, qualcun altro li và a prendere, si muovono in gruppo, in branco, sette/otto/nove. Precettata per il ritiro a notte fonda,circa le 3, la Scrivente è stata vista uscire in sottoveste e pantaloni della tuta, ballerine glitterate e felpa, che quassù fa freschino, cosa crede. Certo, un incontro torbido, così combinata, no che non lo potevo avere, ben si rassicuri il mio Sposo dal Mar dei Sargassi. Ho caricato sù alla spicciolata, un gran numero di figlioli, ridanciani, chiacchieroni, bellissimi e educatissimi, per piacere-grazie-scusa-permesso. Destinazione: la mia magione, dacchè era il turno del mio figliolo ospitarli tutti quanti per la nottata, bed&breakfast. Hanno ammonticchiato con cura le scarpe in ingresso, e con grazia giù dal prezioso tappeto. Hanno chiacchierato fitto fino a una certa, facendosi sssshhhh!!!!! a vicenda quando qualcuno alzava troppo la voce, ma di notte, si sa, anche il brusio è un rumore gigante. Fate quel che volete, non incendiate la casa, io vado a dormire. Così li ho trovati, addormentati e affastellati sul divano, qualcuno aveva scelto uno dei letti vuoti sparsi qua e là, nella casa in collina. Il cane sorvegliava, con l'aria matura di chi sa molto bene come vadano queste cose. Li ho guardati dalla scale, mi sono piaciuti e li ho immortalati, di nascosto, cercando di fermare questo momento perfetto di pensieri semplici, questi giorni di fine scuola, di ritorno fradici dalla festa in piscina, questi ragazzi che crescono e corrono e volano lontano, e che a trovarli la domenica mattina sul mio divano, mi ha riempito l'anima di una tenerezza che non so, di una specie di privilegio, di un magone che sorride.

06 maggio, 2009

L'infermeria.

Nè tempo, nè voglia, ne grande concentrazione e ispirazione per fermarsi un secondo a rastrellare pensieri sparsi e metterli qui. L'infermeria, situata all'ultimo piano della casa sulla collina, lavora a ritmo incalzante. Antibiotici e spremute, enterogermine e tachipirine a nastro, frullati e banane disintegrate ma comunque di difficilissima ingestione per il Liceale Malato. Miglioramenti ben pochi, ma si dice essere il decorso normale della malattia, che ha avuto la meglio sul vaccino somministrato in tenera età. Che dire. Si fa come si può, non già come si vuole. Così ci si organizza, e volendosi ben fare del male fino in fondo, si attaccano gli armadi, soprattutto quello dell'ingresso, dove vivono in beata promiscuità felpe dimenticate, caschi di figlioli raminghi non meglio identificati e comunque non miei, guinzagli, borse ecologiche della spesa, piumini Moncler e giacchine leggere, impermeabili macchiati e sciarpone tricot. Certo, non che sia una terapia azzeccata. Riordinare un armadio, si sa, ha numerosi effetti collaterali da non sottovalutare: a metà dell'opera si può essere invasi da uno sconforto cosmico,e dentro di sè si ode martellante la domanda Ma Chi Me Lo Ha Fatto Fare. Così, non è raro assistere all'abbandono, seduta stante, della titanica impresa. Si spinge tutto dentro alla bell'e meglio, si butta e si piega quel che proprio non si può fare a meno di buttare e piegare e si chiude l'armadio con un sospiro, meglio se di spalle, senza guardare. Il Pianeta non avrà danni irreparabili se ancora per un pò piumini e cose convivranno more uxorio nell'armadio dell'ingresso. Nel frattempo, salgo in infermeria. Il Liceale deve prendere il suo antibiotico. E io, core di mamma, è già un quarto d'ora che non lo controllo. Gonfio sì, ma bello come il sole.

04 maggio, 2009

Mumps in NY, orecchioni a Manhattan.

Da non credere. Il nostro mini viaggio, la nostra piccola vacanza, in fondo quattro giorni e un pezzo sono un bell'andare, è stata praticamente perfetta, piuccheperfetta fino a sabato mattina. E fino ad allora su e giù per la Madison, e sù per l'Empire, e giù a Ground Zero, e dentro e fuori da un centinaio di negozi e calamite e souvenir e cappellini e mazze da baseball e palline da golf e l'hot dog per la strada e magliettine e sandalini. Poi, il nulla. O meglio, il tanto. Il mio figliolo Liceale ha ben pensato di ammalarsi e non già un raffreddore o un mal di pancia, chi ha figlioli sa che queste cose si mettono in conto. No, lui no. Lui si è preso gli orecchioni. Mumps. A New York. Al quindicesimo piano di un hotel sulla Quinta, un bel mattino si sveglia ed è un altro figliolo, di un bel colorino verde alabastro ceruleo e la guancia gonfissima. E un febbrone equino e male, tanto male. Ho mantenuto una calma da manuale, ho chiamato il Regio Medico in Italia, Che Faccio? Nulla, mi dice, tachipirina e antinfiammatorio, fine. E un giorno e mezzo di letto e di febbrissima, con frasi sconnesse e sonni pesantissimi. Affidata la Princi ad Afef, che l'ha condotta con sè nello scintillante mondo dello shopping newyorkese, io, madre ad accudire il mio figliolo malatissimo, a guardare fuori dalla finestra, a ricamare e a pregare che arrivasse in fretta il momento di andar via. Ora, a casa siamo. Lui sempre maluccio, ma l'odore del suo letto e della sua camera, di sicuro lo farà stare un pò meglio. Ora, si disfano le valigie, si radunano i regalini e le cose, si dosano medicine e spremute, ci si riprende dal jet lag. New York, New York. Come faceva la canzone?

30 marzo, 2009

Piangi.

Piangi. Sono qui, di fronte a te, è un'immagine strana, tu seduto alla tua sedia che abbracci me, in piedi e statica, di marmo e di gesso, tu con la faccia affondata nel mio maglione, dentro alla mia pancia, abbandonato, che singhiozzi e piangi e mi stringi e piangi. Lacrime che si mescolano, le tue e le mie. Che cosa sono le tue lacrime figlio, che cosa sono per me se non punte di spillo conficcate nelle mani, schegge di vetro a trapassarmi il cuore, da parte a parte, lame affilate. Che lacrime sono, disperate e impossibili da asciugare, da cancellare, a dirti, dai, passa, non è niente. Non si può. E’ un grande dolore, per te, sterminato, figlio, e lo è per me, ma il mio fa fatica a contenere il tuo, dolore su dolore, lacrime su lacrime. Che dolore è il tuo, il vostro, di questo gruppo che è nato insieme, nelle case sulla collina, tutte in fila, i giardini ordinati, i ciliegi fioriti, i cespugli gialli, i lampioni. Insieme, a parlare fino a tardi sulle panchine, a far gridare i vicini, le moto, il pallone sul piazzale, gli schiamazzi dei vostri anni intatti e meravigliosi. Tu ora piangi, figlio, e io madre sono di gesso e d’argilla, e ti stringo a me a raccoglierti, potessi farti volare in alto e riprenderti come da piccolo, potessi cullarti cantando piano e toglierti via dagli occhi questa disperazione, scavare come nella sabbia, ripulirti il viso e l’anima da questo strazio e da questo struggimento che mi confonde. E’ un dolore più grande, il tuo, alla tua età ancora non si è abituati a farci i conti, è un dolore più impossibile, più grande del mondo, un dolore rabbioso e ingiusto al quale niente e nessuno può dare sollievo. Ma io ci sono, sono qui figlio, stretta a te, tu stretto a me, lacrime su lacrime, dolore su dolore.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...