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01 settembre, 2015

Il Calendario.

Ho un calendario appeso in cucina.
Bella scoperta, chi non ne ha uno.
E poi agende, bigliettini, quadernini vezzosi, quadernini serissimi, a quadretti, a righe, senza niente.

Il calendario della cucina è il documento più importante in assoluto.
Quando una cosa è scritta lì è sacrosanta, come se fosse scolpita nella pietra, più o meno.

Girare il foglio del calendario è cosa solenne.

Il Primo Settembre, lo è un pò di più.

Il mio calendario non ha le righe e non ha scritti i nomi dei santi.
Ha solo i numeri
E la fasi della luna.
E ha dei quadroni, per scriverci, che ci devo scrivere di storto sennò, la parola Veterinario, per esempio non ci sta.

Ma ci stanno i cuori, per i compleanni di casa.
E le stelle, per ricordarsi di mettere fuori l'indifferenziato.

E gli arrivi e le partenze, parte Lui, torna Lei, Inizio Vacanze, gita a Roma, Londra, Parigi, Costantinopoli, ritirare aspirapolvere, dentista, KnitCafè, punti interrogativi dei quali spesso non ricordo il significato, Cena da Loro Qui, Pranzo da Loro Là.

La pagina bianca di un calendario è piena di promesse.
E un filo di ansia, appena appena.
Non c'è ancora scritto nulla, 
Nemmeno Scuola, il 15.

Ho una scatole di matite colorate, di pennarelli un pò scarichi e di evidenziatori di mille colori.
Le userò per scriverci gli impegni di questo mese strano, non chiassoso come agosto, non languido come ottobre, settembre è il mese degli inizi, delle riprese delle cose, del ricominciare, magari cambiando o rimanendo sempre uguali.
ma forse, è proprio cambiando che si rimane uguali.
Ed è stando fermi che forse, si va avanti.
Si sta lì, ad osservare le cose che scivolano, le cose perse, quelle che verranno, ed ha tutto un fascino morbido e sottile, come la mussola di certe vecchie gonne, ne avevo una a fiorellini verdi e rosa, avrò avuto sei anni, giravo su me stessa in cortile, per vederla ruotare intorno a me, e alla fine ero come un pò ubriaca, da tutto quel girare e da tutti quei fiorini verdi e rosa.
Se chiudo gli occhi, la vedo ancora.

Voglio un calendario colorato.
Voglio scriverci solo cose belle.
Disegnerò su questa pagina stelle e cuoricini,
Per ora, guardo le caselle bianche e prendo un bel respiro.
Due fiorellini, uno verde e uno rosa, forse, aiuteranno.

E buon settembre a me.






22 agosto, 2015

L'estate che verrà.

E' fatta di sabbia e sassi e scogli e schiuma e profumi di cocco e di agrumi e di Nivea e di farniente, guardando in sù.
E' fatta di cose, di pensieri ingarbugliati, di ansia, quella che non ti lascia mai nemmeno un secondo, di figli sparsi, saranno arrivati, partiti, rincasati, saranno in giro dove, con chi, staranno bene, saranno al sicuro, uomini fatti e una quasi donna ormai, eppure.

La mia estate è fatta di cose belle.
Questa qui e tutte quelle che verranno. Che non posso saperlo ma mi piace pensare che sarà così.

Ho ritrovato cose e persone e luoghi e sensazioni e momenti.
Ho toccato una mancanza grande come il tutto il mondo, mi rendevo conto di parlarne sempre, Abbiamo fatto così, quella volta, siamo passati da, abbiamo incontrato la tempesta per accontentarla, aveva dimenticato i documenti, era sparita dietro gli scogli, avevamo riso per ore.

Ho ritrovato il piacere delle colazioni al sole sottovoce per non svegliare nessuno, che dormono ancora tutti e la giornata sarà lunghissima, ci sarà il sole, c'è profumo di salvia e rosmarino e focaccia, programmi nessuno, un tavolino sul mare, una passeggiata fra gli ulivi e gli oleandri, fin dove vedi l'universo, se guardi giù, il mare di fuori che sembra più grande e liscio visto da qui.

E' la pace.
Ritrovata e sognata, è il raccogliere i pensieri come si fa con le briciole, ammucchiandoli per bene per tenerli tutti nella mano, che nessuno ti scappi via. Sarebbe un peccato.
Lascio andare lontano le ferite, quelle che posso, quelle che riesco, le disinfetto col mare e col sole, e con quest'acqua lucente, presto spariranno tutte, lasceranno solo una cicatrice invisibile, che si vedrà per poco e poi sparirà del tutto. Ti ricorderai che era lì, ma non la vedrai più. E sarai salva.

E' l'estate. 
Questa che è ancora qui, fra il tempo incerto e le nuvole alte, fra i temporali e i gerani, fra l'uva quasi pronta e i muretti a secco, fra i sentieri e il segno del costume, nuovi amici, e amici di sempre, che taci e sanno, che parli e sanno, che guardi e sanno uguale. E chiacchiere e progetti sontuosi, un pareo al giorno, smalti color del cielo e spritz allo zafferano. 

Sono io.
Gioco alla roulette tutto quello che ho, punto tutto su un cielo perfetto dietro un ulivo disegnato, ad ogni estate imparo qualcosa, non ho capito bene cosa ho imparato in questa qui, ma ancora non è finita e non finirà mai, se voglio.
E vorrò.

quel che è chiaro è che ci son cose che hanno una fine e un inizio, altre che inziano dalla fine, altre ancora che non finiscono mai. E che non è sparita dietro gli scogli. 

O forse, sì.




04 giugno, 2015

Se riesci.

Non è mica detto.
Provaci, e vedrai.
è il solo modo che hai per vedere se ci riesci veramente

Nessuno ha detto che sarebbe stato semplice.
Nè che lo sarà
Devi solo provarci. Provarci e riprovarci.
E ogni volta, scoprire che sì, alla fine ci riesci.
Ci riesci sempre.
ma non è che ne hai sempre voglia.
di riuscirci, intendo.

Passi attraverso foreste e giardini fioriti, tra fiumi limacciosi e ruscelli trasparenti di sassi lucidi
passi dall'inferno alla luna, e dalla luna di nuovo all'inferno, dal mercato del pesce alla boutique di Tiffany sui ChampsElysées. Dai chiodi alla seta, dal pane vecchio alle ostriche. Che nemmeno mi piacciono.

Passi, apparentemente indenne attraverso giorni che sembrano immobili e invece corrono più di te, che lavi i vetri anche col sole, non lo sai che non si fa, che ti fermi a guardare la luna alle 4 del mattino, che c'era ancora, e allora erano le 4 di notte, la luna c'è di notte, non di mattino.
Passi notti che dormi pochissimo, che leggi, che guardi fuori, passi giorni che non sai nemmeno come hanno fatto a passare, se eri proprio tu quella lì, lo vedi, ci sei riuscita,  chi l'avrebbe mai detto.

Non voglio più continuare a riuscirci.
Voglio sedermi e dire basta, che qualcuno faccia le cose al mio posto mio, come quando non è il mio turno a sparecchiare, Chi Cucina Non Sparecchia è la regola di questa casa e vale sempre, da sempre, con chiunque. Così, chi soffre non ha da piangere, chi sta male mercoledì  non è che debba stare male anche giovedì, è la regola, chi si sente perso la mattina è vietato che vi ci senta anche al pomeriggio.
E' impossibile, è un ritmo troppo teso, non ce la fa nessuno.

E invece, ci riesci tu.

Hai la medaglia d'oro, argento e bronzo, tutte insieme, vinci tutto in queste cose, sei sdraiata sul podio, e occupi tutti i gradini, hai vinto tutto, nessuno come te.
Occorrerebbe che ti dessi un tono, che dicessi, no oggi no, che imparassi a dare alle cose la forma giusta che hanno, non quella della tua mente stolta, del tuo cervello liso, della tua anima strappata, rattoppata mille volte. 
E male, lo sanno tutti che non sai cucire.

Provaci.
provaci ancora
Prova ancora a sollevarti, a guardare nella direzione giusta, da dove arriva il vento giusto che ti fa andare di bolina stretta, che ti fa volare, farfalla stropicciata, intrappolata nel retino o fra due mani chiuse, senza polverina sulle ali, non è mica quella che fa volare.

ma tu provaci
vediamo se ci riesci






25 febbraio, 2015

Prestissimo.


Prestissimo lo è davvero, stamattina.
Prestissimo è prima di presto, è un'ora indefinita, prestissimo, prima di tutto, prestissimo e basta.

Che bello vedere il cielo che diventa chiaro.
Il vento di ieri sera ha apparecchiato per me un cielo di un azzurro incerto, di cirri scuri ma lontani, per fortuna. Per me, certo. Come no. Il cielo si scomoda solo per me. Credici proprio.

Fa freddo, farà freddo, non lo farà più.E chi lo sa.  E' come se la primavera stesse per arrivare, ma non trovasse più la strada, non sapesse da che parte passare, ma come, l'alta volta sono passata di qua, e adesso invece.

Preparo cose, scrivo elenchi, fare questo, fare quello passare di là, pagare la luce, comprare lo yogurt, il vetril, anche, che non è che a scriverlo sulla lavagna i vetri si puliscano da soli, Certo che no.

I vetri della cucina hanno una storia scritta sopra.
Ci sono le goccioline delle piogge fini, le gocce grosse degli acquazzoni prepotenti che mi piacciono così tanto, ci sono i miei pensieri, quelli che faccio quando ci appoggio la fronte, appena sveglia, il vetro freddo mi dice che giornata sarà.

I vetri di questa finestra la sanno lunga. E' da lì che devono passare i miei occhi per perdersi appena oltre la collina, è da lì che guardo le nuvole, le scie degli aerei, è da lì che controllo se il cibo degli uccellini è finito, è da lì che scruto il ciliegio, la salvia, il pratino.

Sui vetri appannati ci disegno e scrivo di tutto, poi me ne dimentico, e stamattina, in controluce, TiVa Un'AltraGreyGoose è quello che ci ho letto. 

I vetri di questa stanza raccontano e custodiscono, è da lì che vedo passare le cose, passano di lì i miei stati d'animo, le cose che penso e quelle che non vorrei pensare più, i pensieri belli e quelli meno, quando raccolgo le forze, quando mi sembra di non farcela proprio e quando invece mi dico CheSSaràMai. 

Stamattina partirei con un circo bulgaro, senza meta. Assistente illusionista, domatrice di leoni o bersaglio girevole per il lanciatore di coltelli, non fa differenza.

Salirei su un GreyHound come nei film, sprofonderei sui sedili e mi leggerei un libro intero, e quando lo avrò finito vorrà dire che sono arrivata.

Salirei sulla metropolitana di Parigi e scenderei alle fermate col nome più bello, Hotel de Ville, Chatelet Les Halles, Notre Dame des Champs.

Forse, però, meglio che salga su una scala e lavi i vetri.
Perchè tanta poesia, sono solo vetri sporchi.

Non imparerò mai.










17 febbraio, 2015

Decido.

                                ph. La Douleur Exquise

Decido che è festa.
Decido che oggi è così.
Oggi e domani.
Soprattutto domani.
E quindi, oggi è un pò vacanza, un pò sabato, la Princi senza scuola, la Princi che nemmeno è a casa, nessuna sveglia e cose belle da fare.

In realtà cose da fare ce ne sarebbero mille e nemmeno tanto belle, stirare, stendere, fare la spesa, ma cercherò di farle con il mood giusto, con l'umore bello di chi ha vinto qualcosa, di chi ha un segreto, di chi ha trovato qualcosa che credeva perso, ho ritrovato la mia spilla nel parcheggio e l'avevo cercata ovunque, era lì, protetta forse dalla neve e qualcuno l'ha posata accanto alle cassette delle lettere.
Questo, è già un motivo per essere contenti.

Io perdo molte cose e quelle che non perdo me le rubano, per questo sono contenta quando le ritrovo.
Più contenta.
Però, mi tengo stretta quelle che ho.
O che fingo di avere.

Perciò, coraggio.
Insieme alle tovaglie e alle millemila cose, stiro il mio sorriso più bello, constaterò che non mi viene più la treccia ma non fa niente, mi guardo e mi dico che no, non c'è motivo di aver paura, ho un magone soffuso e impercettibile, ma so che è per domani, sono i magoni belli che fa la felicità, l'orgoglio, i figli, gli eventi importanti, le cose giganti che succedono in una famiglia come questa qui, che è esercito e gregge, abbracci caldi ed esplosioni, uno di qui, l'altro di là.

Perciò, coraggio.
E' una mattina che promette bene, una di quelle che vorresti a manciate, una mattina come dovrebbero essere tutte le mattine al mondo.
Ho già parlato di un progettone con Valentina, mi faccio un altro caffè nel silenzio della cucina, metto in fila pensieri, supposizioni, sorrido da sola guardando il ciliegio che forse ha già qualche gemmina minuscola, mi canto qualcosa, mi faccio carina, vuoi vedere che se tiro un pò la treccia mi viene.




17 dicembre, 2014

Alci, tenerezze, ritorni e sorpese.


Sono stata brava.
Ho fatto proprio bene,
Complimentoni a me.
A farmi catturare dalle luci e dall'agrifoglio, a tuffarmi, di testa proprio, dentro a questi bei giorni di cose belle, di piccole felicità, di contentezze spicciole, di centesimi di allegria, di belle sensazioni.

Sono momenti belli che raccolgo, che tengo lì,  figurine di un album sgualcito ma meraviglioso, reso spesso dalla colla, ci mettevo tonnellate di Coccoina, io, nelle figurine, non tanto perchè servisse, quanto perchè mi piaceva l'odore.
Credo di essere stata un pò dipendente dalla Coccoina, ancora non sono chiare le tracce che ha lasciato in me, sniffare colla a 7 anni non è che sia una bella cosa per nessuno, però la Coccoina è così buona. Ancora la sniffo, ogni tanto, al supermercato.
Son ben strana, lo so.

Sono giorni che mi faccio un regalo al giorno, che parlo sgrammaticata ma che rendo l'idea, che mi fermo davanti al cancello di Palazzo Reale col naso all'insù a guardare la meraviglia che ho intorno, dentro, vicino non proprio vicino ma lì, e mi sento così bene che rido come una scema, da sola, a Torino.


Ho mille cose ancora da fare, la maglia con l'alce per il Figliolo Grande aspetta di essere supervisionata dall'Amica Afef, che mi farà un corso privato, così, al volo.


Mi meraviglio del mio stare, mi meraviglio delle cose che ho, mi meraviglio perfino di me.

Raccolgo i miei giorni belli e ne faccio una collezione, spero di completare presto un nuovo album, e un altro e un altro ancora, non chiedo poi molto, solo non sentirmi più pesi sul cuore, non avere gli occhi pesti, tristi e lontani, non sentirmi sempre come sul punto di andare in mille pezzi, di cadere giù, di scivolare fino in fondo a un burrone, di volare giù da una cascata improvvisa, che non ti aspetti, proprio lì dove prima c'era un lago placido.

Così è la mia attesa del Natale, il mio personalissimo Calendario dell'Avvento.
Ogni giorno, un regalo.
Oggi, un barattolino di Coccoina.

Ho tante cose, ancora, da incollare.




05 dicembre, 2014

Lento Natale.

Forse, un pochino occorrerà sforzarsi.
A me, Natale piace.
Non i giorni immediatamente prima, pieni di affanni, pieni di gente che corre, che si danna e si lamenta. Non è questo, il mio Natale.

A me, piace il Natale lento quello che dici BehC'èAncoraTempo, e che fai una lista delle cose da fare, dacchè da qualche anno in qua, ti punge vaghezza di farli da sola, i regali di Natale, siano essi maglioni complicatissimi, sciarpe e calzettoni per figlioli recalcitranti e bellissimi, scialli per Principesse Psichedeliche, cose del genere.

IL LentoNatale è quello che comincia nel week end dell'Immacolata, e cioè questo qui.

Che ti fa cercare le scatole delle palline, comprare autostrade di tulle, e quest'anno sarà rosso, è deciso, che ti fa guardare la gonna coi lustrini  e già pensa a quale festa la metterai,  che ti fa sgombrare il lato del divano dove stazionerà l'albero, quest'anno a grande richiesta l'AlberoZen tornerà a far bella mostra di sè coi suoi rami secchi, pochi addobbi e tante luci. Mi piace pensare che venga da Spargi, ma potrebbe venire anche da Budelli, per dire. E' lì vicino che l'ho trovato, ed è da lì che l'ho portato a casa, fin qui, in continente.

Il LentoNatale si srotolerà con grazia, con qualche piccolo accorgimento, con qualche minimo trucco per non scivolare, suole di gomma su ghiaccio, catene sulla neve, maglioni pesanti contro il freddo.

Resisterò.
Agli attacchi di malinconia, alla tristezza sottile e improvvisa, alle volte che mi sembra che la strada sia troppo ghiacciata e non so andare nè avanti nè indietro, come quella volta sugli sci, bloccata dal vento freddo, dalla paura, da un inizio di tempesta e io lì, ferma, a non sapere cosa fare, se scendere o restare, ma restare dove.

Rivoglio giorni belli e normali, voglio un bel sentirmi e un sentirmi bene, rivoglio i miei occhi che ridono e che non ho più, rivoglio dormire senza svegliarmi fino al mattino. Voglio ritrovare la bellezza nelle cose, la piccolissima gioia di un bel buongiorno, di un  bel momento solo per me.

Il LentoNatale mi aiuterà.
Bevo a piccolissimi sorsi questi giorni di ProvaGeneraleDiFelicità, ci soffio sopra come si fa con la cioccolata bollente, e poi passerò col dito sul bordo della tazza per non perderne nemmeno un pochino, nessuno può frapposrsi fra me e il mio stare bene, nessuno è più felice di chi vuol esserlo davvero, dove ho messo i miei occhi che ridono, adesso li trovo.




28 novembre, 2014

Voglio che nevichi.

Sì, vorrei.
Vorrei la neve.
Vorrei guardarla cadere in fiocchi grossissimi, o fine, finissima, di quella che ne mette giù quintali.
La guarderei dalla finestra di sopra, è il posto più bello, per guardare la neve che cade.

O dal divano, spostando le tende che danno sui ciclamini bianchi, e allora, forse non si distinguerebbero i fiocchi di neve dai ciclamini, bianco su bianco, purezza su purezza, mi piace il bianco d'inverno, farò bianco anche l'albero di Natale, qui nessuno ha mai voglia di aiutarmi a fare niente, per Natale, faccio tutto io, monto, smonto, trascino, scarto statuine di babbinatale avvolte nei giornali dell'anno prima, o nella carta con le bolle,  e presepi inusuali, e alla fine è tutto bello, sì, ma restano sul pavimento cartacce e cose e polvere, e ci vuole un'ora buona a sistemare tutto.

Lo farò presto.
Vorrei la neve a coprire tutto il Pratino, tutto il Ciliegio e tutta la Regia Salvia, che è un cespuglio enorme profumato di buono. La accarezzo quando ci passo, come faccio col basilico. Il suo profumo dura pochissimo sulle mani ma che meraviglia è mai, il profumo della salvia.

C'è una me che non si arrende, c'è una me che va avanti dritta e sorride, anche sa a volte è talmente difficile, c'è una me che si racconta delle cose belle, per riuscire a stare in piedi, che sposta mobili come un facchino, poi guarda esausta il risultato e pensa Beh, Era Meglio Prima.

Ma  MeglioPrima non lo è mai.

Sono più belli i verbi al futuro, sono un bel gioco di accenti, hanno un bel suono come di musica, sarà bello domani, sarà bello quello che verrà, sarà più lucido tutto, sarà più bianca la neve, saranno più belli i ciclamini del davanzale, ho imparato a fare i boule de neige ,e  se non scenderà sul serio, potrò sempre fare finta e guardarla da lì.
Ci metto anche i brilli, così la mia neve sarà più luccicante e potrò guardarla quando vorrò, dove vorrò, tutte le volte che vorrò.

Prendete il quaderno a righe, oggi, studiamo i verbi al futuro.











18 novembre, 2014

Scelgo.

Di farmi una maglia beige, che la voglio da un sacco e non ci riesco mai.
Scelgo di uscire.
Dalla galleria infinita di tristezze e ansie,  dove mi sono infilata non so come, io mi perdo ovunque, mi perderò anche domani con le mie Amiche, lo so già, nella lunga strada verso Biella, che mai una volta è uguale alla precedente, mai, mai una volta.

Scelgo di mescolare con calma i pensieri, di frullarli un pochino, di passarli nel KitchenAid e ridurli in poltiglia, anzi no, in una bella crema rosa, da decorarci i cupcake.

Scelgo di scioglierli, come si fa con l'Aspririna, io muoio se prendo l'Aspirina, ma mi piace da matti guardarla che si scioglie nel bicchiere, e fa tutte quelle bollicine, e quel bel rumore, ssshhhwwrrrrr. sssshhhhwwwrrrrr, e allora, se non posso prendere l'Aspirina, prendo il Supradyn, che l'effetto è uguale.

Scelgo di aspettare, di stare a guardare, scelgo di fare cose belle che mi fanno sorridere, scelgo di guardare fuori e dire C'è Il Sole, anche se si fa fatica a vederlo, dopo tanta pioggia, dopo tanto fango, dopo tutto quello scrosciare e battere sui vetri.

Scelgo di fare così, ho in testa un maglione beige che voglio da un secolo, tonnellate di vitamine da sciogliere in un bicchiere, non so bene che strada prendere, non lo so mai, nessuno lo sa mai, è tutto un provare, tutto uno scommettere, sarà giusto o non lo sarà, nessuno che ti dica Guarda, Fai Così Che è Giusto, come l'Emanuela che mi suggeriva il compito di matematica, scelgo di sbagliare sempre, scelgo di sbagliarmi e divertirmi, scelgo di riderci di gusto, sopra  tutte le cose che ho sbagliato e ancora sbaglierò, ne ho una collezione che non finirò mai, e allora brindo, brindo alle tristezze, agli sbagli, alle ansie e a me, brindo  col Supradyn, senti che bel rumore.



09 novembre, 2014

Viaggio Sola.


Scapigliata.
Ingarbugliata.
Come quando un gomitolo arriva, non so come, fra le zampe di uno dei gatti che abitano la Casa in Collina. Che sono tre, alla data.
Spettinata.
Le domeniche di novembre non è che siano il massimo della vita, di solito.
Oggi, meno del solito.
Pensierosa, mi farò coccolare dal divano, leggerò fino a che mi faranno male gli occhi, è uno dei modi che conosco per non pensare a niente, leggo e scrivo, scrivo e leggo, scrivo e leggo e faccio la maglia, solo che a fare a maglia i pensieri te li ritrovi tutti ancora lì, punto dopo punto, aumento dopo aumento, ferro dopo ferro, e allora non è tanto terapeutico in domeniche come questa.

Oppure, mi trasporto da un'altra parte, vado a Parigi domani, adesso, fra mezz'ora, prendo un maglione e lo spazzolino, a Parigi ci si va da sole, quando si va con la testa e basta, testa che non si deve perdere, per così poco, poi, che testa vuoi perdere mai.

Così, quando si scappa per finta, ci si ritrova subito al Charles de Gaulle, e poi sulla metro e si arriva da qualche parte, ci si balocca un pomeriggio intero a Place del Vosges, si cercano vetrine scintillanti e piccoli negozi nascosti, e bancarelle di libri, e chioschi di fiori e poi il Flore, ma quanto la meno con 'sto Flore,  il Flore che amo così tanto e ci sono stata una volta soltanto, ho già sul tavolino di giunco  il mio cafè au lait nella tazzina spessa,  e so che la prossima volta sarà speciale, quella vera, intendo, al Flore ci sono stata milioni di altre volte col pensiero, leggendo quel libro che so quasi a memoria, in italiano e in francese, ci sono stata con l'anima, col cuore, coi pensieri, quando avevo voglia di andare via da qui, quando avevo voglia di andare via dagli altri, via da tutti e via da me.

Ci vado oggi, via da tutti.
Ho già la carta d'imbarco, sono già lì che guardo giù, dall'aereo intendo, e del resto, di tutto il resto non me ne importa un bel niente. O quasi.

Così, Parigi aspettami, arrivo fra mezz'ora, i viaggi più belli che so li ho fatti col pensiero, che chiudo gli occhi e sono dove ne ho voglia, come ne ho voglia, ma poi li riapro e sono ancora qui, sul divano, scapigliata come mai, arruffata, vestita a caso, con le calze diverse perchè non ne ho trovate due uguali nel cassetto,  a tratti un pò felice e a tratti molto meno, e fuori non ci sono i tetti di Parigi e il Flore ma i gerani quasi morti e un cielo che fa schifo, scrivo e leggo, leggo e scrivo, ma alla fine, i pensieri che non vuoi mica se ne vanno via così.








31 ottobre, 2014

Faccio la brava.

Che ancora devo capire cosa significa, Fai la Brava.
Me lo dicevano sempre, mia madre, mia nonna, soprattutto lei. Sii buona, Stai brava. Fai la brava.
Non so se ci sono stata mai, brava.
Non so se la sono diventata, buona,
E qualora, non so se ci voglio rimanere, buona. Buona e scema.

Faccio la brava.
Cammino come in equilibrio, su una fune, soffro di vertigini già al quinto piano, ho abitato al nono, sono stata all'ottantacinquesimo e non so come faccio ad essere ancora viva.
Faccio la brava.
Scanso con cura le cose che mi fanno del male, eppure mi capitano sempre addosso, come la grandine, come il riso agli sposi, io non l'ho voluto, il riso, avevo già un bel pò di figlioli da guardare fuori dal Municipio, mancava solo il riso.

Faccio la brava.
Mi tengo le cose che ho, mi tengo strette le cose che ho trovato, come i sassolini verdi della spiaggia, quelli che sembrano smeraldi e invece non lo sono.
Non so se ho imparato a fare la brava, ho cercato sempre di esserlo, ho fatto degli sforzi enormi, ho cercato sempre di essere sì come sono ma anche un pò come gli altri volevano che io fossi.
Un pò ci sono riuscita, un pò no.

Faccio la brava, non che se ne abbiano grandi vantaggi, nonostante si cammini in bilico, sulle punte come le ballerine, attenta a schivare, non sfiorare, come per rubare il Topkapi, a non interferire con i raggi infrarossi, che sono le persone assurde che ti capitano sulla strada, ma non è che sono tutte così, a volte, sulla tua strada ci capitano delle persone graziose e carine, persino piacevoli, ogni tanto. Raramente. Ma ci sono.
e me le tengo.
le altre, un calcio nel culo.
Gli stessi che danno a me, spesso.

Faccio di questi giorni dei giorni di lezione.
Imparo, faccio i compiti, faccio la lista delle cose che si fanno e di quelle che non si fanno, mi invento giorni nuovissimi, oggi, una torta a forma di zucca, per una festa.
Ho pensieri lontano, mediamente lontano, vicino e vicinissimo.
Li tengo lì, li guardo come si guarda un nemico, con la faccia di quando sali le scale del dentista. 
Ma imparo.

Imparo e basta.
Scrivo sul quaderno a quadretti, che tengo ordinato e senza pieghine, raccolgo sassi colorati, sono così brava da trasformarli in smeraldi purissimi, mi tengo insieme come posso, come riesco, come so, schivo i raggi, cerco di sorridere, salgo in alto e non guardo giù, se no, mi vengono i brividi e batto i denti, così, come al PoloNord, come nei film dove hanno i ghiacciolini anche sulle ciglia.

Sarò brava, farò la brava nei i miei giorni nuovi con  la nebbia che avvolge il sole, il sole che sembra non esserci e invece c'è, faccio la brava, non ho scelta ma mi piace, in fondo.
Il dentista, invece, no. 



27 ottobre, 2014

La Leggenda delle Rose Distratte.


Che strani esseri, erano, le rose.
Boccioli un giorno, profumatissime subito dopo, e poi gambi spelacchiati, pioggia di petali, triste cambio di colore dal rosa confetto al giallo polveroso di muffa.

Le Rose Distratte vivevano nella vigna accanto al Prato Grande, da sempre la VignaDiGioia.
Crescevano in due cespugli, fra le foglie rosse e i filari, quell'anno nessuno si era preso la briga di cogliere l'uva che c'era e che adesso era ancora lì. Colorate e perfette, illuminate dal sole stanco di quello strano ottobre, fa caldo, non lo fa, sarà un lungo inverno, rigido e freddissimo, ma chi può dirlo, alla fine.

Le Rose Distratte non si curavano di nulla e di nessuno.
Non che fossero una gran bellezza, nessuno le curava, altro che trattamenti e pidocchi e vitamine, e fertilizzanti, le Rose Distratte si erano fatte da sole.
Però, avevano fascino.
Le potevi scorgere all'improvviso, appena fuori dalla porta, scendendo la piccola discesa, prima di arrivare al Grano. Ci sono posti che non hanno nome, ma che alla fine un nome ce l'hanno eccome, il Prato Grande, il Noce Saggio, il Grano. Corro Fino al Grano, era stato un obiettivo raggiunto quell'estate sciocca, passata, per fortuna, e arrivare al Grano significava fermarsi a prender fiato, ad allacciarsi le scarpe con una scusa. Dal Grano si può vedere tutta la Collina Dietro ed è bello perdersi nei suoi colori, in qualunque stagione. I colori, sono tutti belli, se li riesci a vedere bene.

Così, quel pomeriggio, fu un trionfo di Rose Distratte.
Vennero colte con cura, misurati per bene i gambi, e sistemati con apparente noncuranza in un vaso di vetro, sul camino.

Da quel momento, l'Incantesimo delle Rose Distratte, sprigionò tutti i suoi effetti, i più miracolosi, i più meravigliosi effetti mai perpetrati da pochi bocciòli di rose selvatiche.

Si era dormito poco nei giorni indietro, c'erano stati brividi di paura, di freddo, di influenza o tutto insieme, chi lo sa, e a nulla era servito aggiungere un'altra coperta, di quelle pesante, non quelle ridicole che si consigliano sul divano.

Da quel momento, più nulla.
Il profumo delle Rose Distratte, nella cucina grande piena di colori, si era sovrapposto a quello della torta, del detersivo per i piatti e del pollo arrosto dell'Esselunga, che era stato pranzo provvidenziale per la formazione ridotta lassù, nella Casa in Collina.

Fu tutto meglio.
Più colorato, più ordinato e profumato, più bello.
I nonostante c'erano ancora tutti, e non si parlava di glicini, certo che no, ma quel giorno si decise di lasciarli stare, per un pò, di sorridere molto, di far finta di nulla, di dire più spesso NonFaNiente, che niente non fa mai, ma alla fine, a ripeterlo, un pochino aiuta.

Quella sera prometteva un bel tramonto, dei colori da ricordarsi per un pò, il buio dolce che la bistrattata ora solare regalava a tutti. 
Si mise in prima fila, per non perdersi lo spettacolo.

L'Incantesimo delle Rose Distratte non sarebbe durato a lungo.
Occorreva far presto.

23 ottobre, 2014

Aspetto.


arriverà il freddo.
quello da tre maglioni, le calze a righe pesanti, la sciarpa avvoltolata, gli occhiali che si appannano appena entri in casa. 
Il freddo vero, quello che ti gela i pensieri appena apri la finestra, quello del piumone fin sopra agli occhi, quello del thè al pomeriggio, per berlo, sì, ma anche per sentirne il profumo, il calore, abbracciando la tazza con la mano.

Che arrivi.
Vengo da 30 gradi e sole a picco, ma questo freddo non mi fa paura.
Anzi.
Ho una scorta di calze colorate da perdere la testa, le ho fatte io, Come, Fai La Calza? Eccerto, pochissimi al mondo sanno quanto è cool farsi le calze da sè.
Ho pronti sciarpe, e cappelli buffi, maglioni pesanti, copertine leggere da tenere vicino, da aggiungere se per caso, e il caso lo è spesso, magari quando è appena chiaro, e guardi fuori, controlli che ancora ci sia tempo per stare lì, e immagini in freddo fuori e pensi Ancora Cinque Minuti, e allora che siano cinque minuti regali, con un'altra coperta, così.

Raccolgo forze e progetti, ho imparato a non farmi più tante domande, tante menate, a non avere più certezze, se non quelle che ho più prossime, a non fidarmi, a non fare programmi, a divertirmi di più, ancora, con niente.
E a non avere paura.

Accolgo l'autunno e il freddo e le castagne, aspetto le noci dell'albero in fondo al sentiero, guardo l'uva dimenticata nei filari, le rose che ancora fioriscono nonostante tutto, e i gerani ormai da buttare, cosa ci metterò nei vasi sul davanzale, non so.

Aspetto il gelo, il vento forte, il freddo chiaro che piace a me, aspetto cose belle, pensieri dolci, aspetto il cielo tirato a lucido, aspetto di essere sempre io, aspetto me, aspetto di partire, aspetto di tornare, aspetto di capire.

Aspetto e basta.

Ci sarà modo, ci sarà tempo, cambierà tutto o non cambierà niente, non sarà facile o lo sarà, non sarà subito, non sarà un attimo, nel frattempo, vado avanti e aspetto, non penso e aspetto, sorrido e aspetto.





14 ottobre, 2014

Foglie.

Decido dal letto, che giornata sarà.
Come mi voglio.
Come mi vorrei.
Chi sarò, nelle prossime ore.

Oggi sarò foglia.
Sono ovunque,  Nel pratino, sulla stradina accanto al ribes, dietro il cancello, sotto l'AceroRosso. Scendendo in città, lungo il viale di platani, nelle auiole di rose spossate che ancora fioriscono, a dispetto di erbacce, incuria e indifferenza.

Le foglie di oggi sono foglie spiaccicate, stremate dalla pioggia, si incollano una all'altra in un abbraccio senza fine, ne raccogli una te ne arrivano cinque, le foglie che cadono non sanno stare da sole.

Amo le foglie secche, quelle che scricchiolano, che fanno un rumore bello, mi piacciono i rumori, ieri il temporale mi ha sorpresa in macchina e che meraviglia è stata sentire i goccioloni sul vetro, beh, meraviglia non tanto alla fine, se nemmeno vedevo la strada dove andare.
Le meraviglie me le invento da sola, non è una novità.
A volte, fanno pure male.

Anche le foglie bagnate hanno il loro significato,  lucidissime, imbellettate da tutta l'acqua che è venuta giù, pericolosissime da farti scivolare in un secondo se non ci stai attenta.

Sono giorni sospesi, come miliardi di altri giorni prima di questo.
Assetti famigliari scompaginati, stravolti, mischiati, messi in un tumblr come il più sofisticato dei cocktail, shakerati e versati, ecco, tu di qui, tu di là, tu lontanissimo, tu un pò meno, mossi come i dadi e lanciati, vediamo cosa viene.

Nel delirio, si trova il tempo di osservare dalla finestra, di fare una passeggiata lenta non troppo nel fango, un pensiero a chi di fango ne mescola da giorni, i pensieri volano veloci e, se sei brava a farli, arrivano dritti dritti dove devono, dove scaldano, dove fanno un pò bene.

Si trova il tempo di guardare, dentro e fuori di sè, di pensare tanto senza far rumore, di decidere se essere foglia croccante o foglia spiaccicata, se rossastra o arancio o marroncina, se canticchiare sottovoce o farsi infradiciare dalla pioggia, quella che ti fa insopportabile, quella che ti fa pensare solo al brutto del mondo, e se, e se, e se.

Scelgo di essere foglia.
Croccante o spiaccicata, deciderò poi.





01 ottobre, 2014

Ottobre, ciao.

Mi piaci.
Perchè sei il mio mese, perchè un pò mi somigli, non sei estate, non sei inverno, non sai nemmeno tu che cosa sei.
Sei nebbia e pioggerellina, e sole, sole ancora caldino, tramonti e albe che fan restare lì, così, a guardarle per minuti e minuti, non è che durino tanto, le albe e i tramonti, non è che puoi star lì a guardarli per ore, si sa.
Sei foglie secche e colori da perdersi, rossi, arancioni e gialli forti, il giallo non mi piace, ma tu lo mischi ai bordeaux e ai verdi scuri come nessuno.

Portami cose belle, ottobre che sei qui.
Portami sorrisi e abbracci, e cestini di cose graziose,
Portami le sere intorno al tavolo della cucina, a ridere come una scema coi miei figli, come solo loro, come solo con loro.

Portami la mia vita di sempre, i miei momenti perfetti, le mie abitudini piccolissime, da fare col cuore leggero, non con il respiro che non so dove trovare, non con gli occhi pesti e l'ansia sottile che diventa macigno.

Portami un rossetto, uno smalto fighissimo, il mio profumo dell'autunno che sa di isole lontane, portami cose stupide, una canzone da cantare portando la Princi a scuola, che lei le sa tutte, come me alla sua età, e niente la mondo mi somiglia più di lei, che è forza e dolcezza in un mix sapiente di occhi verdi, perle, piercing e sorrisi che incantano il mondo.

Portami nuovi libri, nuovi posti dove perdersi, trovare riparo quando vuoi essere altrove, Parigi, Marrakesh, Dublino, portami via per finta per qualche ora, fammi stare al Flore, contrattare teiere nel souk, chiacchierare  in un pub, così, solo per un pò.

Portami un maglione pesante, le lenzuola del corredo di mia madre, portami un quaderno a quadretti, una scatola di vitamine, un film nuovo da vedere, la forza che mi serve e che ho, ma che a volte perdo e cerco dovunque, sotto il letto, nell'armadio e che non trovo, eppure c'era, era qui, non la trovo, qualche volta no.

Portami le foglie secche del viale, portami i colori che sai, la nebbia che amo la mattina presto, portami colazioni tranquille e telefonate lunghissime, e aeroporti, lato arrivi, e valigie da fare e da disfare, portami la me di sempre, che chiudo gli occhi e tutto è come prima.

Non è troppo, se pieghi bene ci sta tutto.

E domani, non scordare la torta.





16 settembre, 2014

Piove cielo.








Piove sì.
Piove una pioggia d'autunno, di già, ma come, che c'abbiamo ancora la voglia di mare e i sandali flat in corridoio, questa casa è in ordinissimo, qualche volta mi verrebbe voglia di metterla a posto alla perfezione, ma sarebbe ancora più strana di quanto non la sia in realtà, e allora lascio volutamente qualcosa in giro, così, per non perdere l'abitudine.

Piove un sacco. Questa notte mi ha svegliato un delirio di vento e goccioloni sui vetri, che bel rumore la pioggia sulle finestre, quante volte l'ho già detto, che noiosa sarò mai.
Non lo dirò più, giuro.

Pioveva così forte che ho pensato Cade Il Cielo, non era temporale, quello lo conosco bene, era proprio solo pioggia fortissima e per questo rara, in una stagione così mite e lenta come questa, in fondo, l'estate non è stata che un lunghissimo autunno, mi pare.

Piove cielo.
Lo raccolgo e lo tengo lì.
Nelle tazze che mi regalano le mie amiche per darmi il buongiorno già di prima mattina e non farmi sentire tanto sola, lo raccolgo nei barattoli vuoti del caffè, così belli e lucidi che è un peccato mortale buttarli via.

Raccolgo il cielo e lo conservo, per quando mi sembrerà di non avere cielo da guardare, di non aver più pioggia da ascoltare.
Non sarà vero, non sarà vero mai.

Ci saranno sempre cose bellissime, forse nascoste e difficili da scovare, ma ci saranno sempre per me belle gocce sui vetri e profumo di foglie bagnate e colori rossissimi  e viola come quelli della vigna ieri verso sera. E cielo, cielo sopra, cielo da guardare, cielo da disegnare, cielo da raccontare.

Nessuno ha mai saputo come si fa a raccogliere il cielo che viene giù.
Io sì.
E questo fa di me la più sciocca fra le donne, la più visionaria, la più scentrata.
Però, mi fa bene.
Mi viene bene.
E allora, va bene.







09 settembre, 2014

E' la luce della luna.

Esco poco la sera. Compreso quando è festa, verrebbe da dire.

Esco poco, sì.
Se per uscire si intendono cene e feste, ecco non esco.
Se per uscire si intende uscire dalla porta, beh sì, esco di sera. 
Anche di notte, il sabato sera.
I miei vicini di casa, quelli nottambuli, mi hanno vista  spesso uscire di casa a notte fonda, in ogni stagione, mezza in pigiama. Nessuno di loro ha pensato mai, La B. è Impazzita, ma solo che recuperassi questo o quel figliolo. Hanno sempre avuto ragione.

Sono gli ultimi giorni prima della scuola. Ben perciò, si concedono alla Principessa del Piercing uscite serali infrasettimanali, Il che comporta il recupero intorno alla mezzanotte, mai più tardi.

E' un giro che non mi pesa, anzi, mi piace.  Pochi chilometri mi separano dalle luci della città, ed è un tragitto che potrei fare ad occhi chiusi.  In macchina, soprattutto di sera, puoi cercare di pensare pensieri belli, mentre scendi fra i campi e la strada ti sembra più lucida e le cose diverse, forse perfino migliori. Solo qualcuna.

Ieri sera, una luna perfetta illuminava la mia strada verso casa.
E' una luce soffice, di quelle che ti fanno dire che tutto andrà bene e che sarà tutto bello sempre, e che anche le cose che adesso non lo sono, lo diventeranno, non può non essere così.

Sono giorni costellati di piccolissime solitudini, di improvvise, sciocche mancanze, di momenti in cui vorresti essere da un'altra parte. Ma non si sta lì ad ascoltarle troppo.

Si va avanti con metodo, sentirsi soli non è propriamente una grande sensazione ma si è imparato a  cancellarla in fretta, un Figliolo che ti fa ridere fino alle lacrime, un'Amica, anche spostando mobili e cambiando assetto alle stanze, dove la rivoluzione che si crea non dà tempo di star lì troppo a riflettere sul senso del cosmo.

La strada verso casa fa pensare e pensare, è una stagione quieta e meravigliosa, a guardarla bene, sono piccoli giorni preziosi, non è vacanza ma non c'è scuola, e nella mia vita scandita da sempre da sìScuola noScuola, questo ha la sua bella fetta di importanza.

Qualche volta la strada sembra non essere quella di sempre, e certamente non la è.
perciò, stàmpati bene in mente le curve, i dossi, quell'albero laggiù e i cespugli a ridosso dei campi.
La potrai fare sempre ad occhi chiusi.

Se c'è la luna, ancora meglio.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...