Visualizzazione dei post in ordine di data per la query quel cuore. Ordina per pertinenza Mostra tutti i post
Visualizzazione dei post in ordine di data per la query quel cuore. Ordina per pertinenza Mostra tutti i post

03 aprile, 2020

Fu d'aprile.

Fu ad aprile che tornarono.

Non era quel che si dice un aprile consueto, ma quali erano stati mesi consueti, da ultimo?
Si erano attraversati mesi infuocati e mesi ghiacciati e aridi ma anche colorati a pastello, appena appena, o a tempera fortissima, a tinte di immotivata, semplice felicità, così intatta che nemmeno ci si riteneva di figurare fra gli aventi diritto.

Superate le rocce e i deserti, furono prove tecniche di vita, di ritorno in un certo senso, alle rassicuranti consuetudini, così come ai cambi di corsia. alle corse in discesa, di quelle che ti fanno arrivare in fondo senza aver ben capito come hai fatto, eri tu che correvi o la strada che ti trascinava, eppure, eccoti lì.

Fu d'aprile, sì.
Un aprile di molte scoperte. di cose nuove che avevamo nascoste sotto al naso, della riscoperta di spazi di casa non utilizzati, di angolini ritrovati, di copertine morbide da cui farsi abbracciare su questa o quella poltrona, fino ad allora pressochè ignorata.

Si scoprì molto, in quell'aprile del duemilaventi.

Per esempio che si poteva sopravvivere e anche con una certa facilità, a non inorridire nello specchio alla visione dei propri capelli non proprio perfetti. Anzi, ci si dedicò con grande cura per risanarli, per liberarli almeno per un pò dallo choc delle tinture, dei riflessi e di tutti quei bei nomi affascinanti, shatush, balayage,caramel, well blended e altre corbellerie.
Per un pò, i capelli si sarebbero portati naturali, e le pieghe fatte nei modi più impensati, con le cuffie la notte, pure riscoprendo attrezzi diabolici in fondo ai cassetti come piastre e arricciatori. 
E con l'amato ritorno di Messer Bigodino.
Si scoprirono nuovi rossetti nell'armadio del bagno, e nuovi smalti da far asciugare all'aria, che si sbeccavano spesso, è vero, ma  che si potevano cambiare ogni giorno.

Non fu un delitto, in quell'aprile, sfoggiare i pigiami belli, quelli tenuti per sere speciali, e magari osare anche vestaglie che si erano acquistate per le maternità e mai messe o quasi.
Leggere un libro già letto non fu considerato da insani mentali, e di nessunissima patologia soffriva chi rivedeva per la quindicesima volta Pretty Woman o Indovina Chi Viene a Cena, anticipandone pure le battute.

Si stava molto in cucina, quell'aprile.
Si cucinava ogni genere di conforto, dapprima un pò sbuffando, poi prendendoci sempre più gusto.
Le torte diventavano sempre più raffinate e complicate, si sfornavano biscotti di ogni foggia, dolci e salati, qualcuno si avventurò nella preparazione degli gnocchi e non solo il giovedì, le torte salate erano considerate ormai di routine come preparare un caffè, dacchè la frolla non era stesa e pronta ma preparata anch'essa in casa, con il Kitchen Aid.

Si sopravvisse senza il rito dell'aperitivo nel verso sera, scoprendo che una chiacchiera alla finestra, con le patatine fatte nel forno e i calici di casa propria erano sento volte più belli.

Si imparò il nome del dirimpettaio, si imparò a cantare dal balcone e dal balcone stare in silenzio, che proprio silenzio non era mai, tante le sirene e le campane.
Questo segnava il passo di quell'aprile inconsueto, di quei giorni di alberi fioriti visti da lontano, di cose rimandate, di sentimenti misti, mancanze e vicinanze, perchè si comprese una volta di più che non la distanza, non il tempo, ma il cuore e il sentimento.
Le persone non cambiano.
E quelle buone restano buone e quelle piene di livore e di rabbia restano così, nè tali nè quali.
Il Come Stai assunse un significato diverso in quell'aprile.

Era sapere sì, lo stato di salute, ma voleva dire anche Cosa Pensi, lo so che sei triste, che vivi in una città martoriata oppure che hai perso qualcuno di famiglia o che sei medico in prima linea e infermiera di Terapia Intensiva e ti chiedo se sei stanca, se ce la fai, o che hai perso il lavoro e non hai da fare la spesa, e non hai la stampante per i compiti dei tuoi figli...e mille cose ancora.

Fu quell'aprile che si comprese molto della propria vita. In quei silenzi, in quel tempo, in tutto quel Niente da Fare si fece la conta delle ferite e delle carezze, dei baci e degli schiaffi in pieno viso, si dedicarono pensieri a persone lontane e perse, chissà come sta, chissà, chissà.

Ci fu tempo per tutto.
E fu in quell'aprile che tornarono le Fragole.
Dopotutto, era stagione.

Grazie a chi aspetta sempre, a chi non dimentica, a chi aiuta come può, a chi resta a casa, a chi non si da per vinto, a chi inventa ogni giorno un modo per sorridere, a chi balla in cucina lavando i piatti, a chi non si vergogna di aver paura, a chi rinasce ogni volta. 
Grazie a Carla, che in un istante, mi ha fatto tornare la voglia di scrivere, che mi salva sempre e che forse, salva anche lei.

E grazie, aprile duemilaventi, per averci preso così tanto ma così tanto insegnato.



18 febbraio, 2019

La Conservazione dei Petali.

Sono una accumulatrice seriale.
Di cose, nastrini, carte, vasetti, stilografiche, quaderni, sentimenti, libri, oh, quanti libri.
E fiori.
Come accumuli i fiori, ancorchè recisi, le chiese.
- Li conservo, li tengo. Secco le ortensie a testa ingiù, a natale le brillo con l'oro o con l'argento,  tengo un fiore di ibisco in almeno una decina di Sellerio, quelli letti d'estate, l'ibisco non c'è dove vivo io, l'ibisco non sopravvive a nebbia e gelo.  Scoperto solo quest'anno il fiore del cappero, in un posto incantato, in un posto del cuore che al mio cuore frantumato ha dato balsamo e ambrosia e che non vedo l'ora di ritrovare, per mare o per terra, chi lo sa.
E i fiori recisi?, quelli del vaso?
- Sono stati i tulipani, gli ultimi. Erano un rosa caramella, dolci come le caramelle dolci, sono i fiori del supermercato che appena a casa diventano di serra olandese, di negozietto sui canali di Amsterdam che sa di muschio e fiori, per forza, di cosa vuoi che sappia un negozio di fiori, se non di fiori, di mazzo adagiato con cura al cestino della bici, olandese anche lei, e pure il cestino.

Li ho messi nel vaso quadrato dell'Ikea, i gambi ben ordinati, e li ho guardati sorridermi nei giorni, dal mio tavolo nuovo di zecca, ancora non conosco così bene questa casa e vado per tentativi, e costruisco ogni volta piccoli angoli da amare, la cornice, la poltrona, i dischi di vinile...
I tulipani stavano lì, sono stati lì un sacco, cambiavo loro l'acqua ogni giorno, accorciavo loro il gambo, appena appena, qualche volta sussurravo qualcosa, CheBelliCheSiete, cose così.
Io ci parlo coi fiori, anche senza tachipirina in dosi massicce, come in questi ultimi giorni.

I tulipani mi osservavano dal tavolo, assistevano alle mie colazioni con lo sguardo perso oltre i palazzi, oltre la scuola che ho di fronte, oltre le scie degli aerei. 
E piano piano, si allargavano, per mostrarsi a me in tutta la loro meravigliosa perfezione, un pò come le persone, quelle che a te si affidano esattamente come tu ti affidi a loro, quando tu racconti pezzi di te, quando lasci incustodito il cancello che porta dritto alla tua anima e quelli invece di girarci intorno entrano piano e si siedono lì, e ti ascoltano, e si raccontano e poi dicono E'Tardi, MiSaCheVado, e a te dispiace che vadano via, ma ti lasciano un pò di loro e tu, a loro, un pò di te. E chiudono piano il cancello per non farlo cigolare.

E'così che si fa con le persone. Quelle belle,intendo.

I Tulipani Rosa sono stati molti giorni qui con me, e stamattina, intorno al vaso, sparsi, era tutto un fiorire di petali e pistilli, i tulipani non sono eterni, come le candele, l'odio, l'amore e la tosse.
Ma non ho avuto cuore di buttarli.

Conservo tutto, soprattutto vasi di vetro, e lì ho adagiato con grazia i petali di quei tulipani rosa dolci, color caramella. E l' staranno, fino a quando vorrò, e niente è scalfito della loro bellezza, di quando facevano corolla e miracolo, mazzo e colore.

Li ho tenuti perchè non voglio dimenticarmi di quanto siano stati belli, quel giorno nel mio carrello, nella mia cucina, sul mio tavolo, per tutte le volte che mi hanno reso più bella una mattina storta per il solo fatto di incontrare il mio sguardo, per il solo motivo di essere lì, rassicuranti, romantici, perfetti.
Conservo ogni singola cosa che mi ha fatto del bene, e se ci penso ho tante cose anche lì, chi accumula sentimenti lo sa, e questi petali sono la prova che nel mondo creato anche una manciata di colore racchiusa in un vaso può dire tanto. 

Il cancello della mia anima cigola sempre, entra meno gente, ma quella che entra mi porta sempre un fiore, un libro, una carezza. E se ne va con fiori, carezze e libri, oh, quanti libri.
In ognuno di essi, un fiore seccato.
I petali dei Tulipani Rosa, quelli no.

E dove li tieni?
- Li tengo sul tavolo, li guardo ogni tanto, e non mi dimentico.




29 gennaio, 2019

Come cipria.

Siediti qui che ti racconto delle cose che non sai.
Hai la voce stanca, chiudi gli occhi e non pensare a niente.
Ma pensare a niente non si può. Lo sanno anche i sassi, lo dico sempre, ci sono espressioni che ti porti dietro da anni, o che impari. Anche Zero in Cassa, o Chiusa la Genova Nizza, o quel mio Veramente? 

Ci sono momenti ai quali non sai dare un nome, che scendono piano su di te come neve gelata, qualche volta, o pioggia battente, o dolci come zucchero a velo o belli e lucenti come cipria scintillante, come brillantini a Natale.
Momenti che sembrano perfetti e di fatto lo sono, e non fa niente se fa troppo freddo o troppo caldo e forse nemmeno lo senti, anzi di sicuro. E parlo, parlo tanto e tu non senti, oppure fai finta, lo so che fai finta certe volte, perchè non scappa niente nemmeno a te, e guardi di sottecchi, un pò di lato, un pò di storto e allora so che hai sentito e ascoltato che no, non è la stessa cosa.

Ci si regala momenti di pura follia, di calma accesa, di quiete che non è quiete ma tempesta perfetta, si trasformano minuti in ore infinite e ore infinite in lampi veloci, navicelle spaziali per attraversare galassie e mondi invisibili, e  Mondi Giusti e Mondi Sotterranei. E mondi Belli.

Piove bellezza su questi giorni, gennaio è un mese con millecinquecento giorni, ognuno fa piovere quello che vuole, quello che gli piace di più, se rubini o petali, o neve o grandine, o sassi verdi trovati al mare o biglie di vetro da strofinare per esprimere desideri. Non si avverano mai, ma è un gesto che fa bene al cuore, che bello è quando ti dicono Chiudi Gli Occhi e Ed Esprimi Un Desiderio e in quel momento, in quell'istante preciso sei padrona del mondo e puoi decidere tutto, nessuno saprà mai il tuo desiderio o se hai barato come fanno tutti e di desideri ne esprimi sei, sette, cosa credi, che non lo sappia nessuno?

Piove neve domani, così dicono  sarà tutto bianco e silenzioso, e ci si sentirà un pò in vacanza, un pò in pace, un pò Vorrei ma Come Faccio che Nevica, e dentro di noi, un sorriso grande come una casa.

Piove cipria sulle cose di adesso, leggera, opalescente, che fa belli musi color seppia e occhi pesti, cipria che fissa risate belle a ridere di niente, ridere di niente è un privilegio, non lo sanno fare tutti, e spesso è una fortuna, qualche volta qualcosa in più.

Soffio cipria sottile sulle cose più belle, le illumino e le tengo per quando farà troppo buio e mancherà la luce, e si camminerà a tentoni per trovare l'interruttore o la candela, che ne ho mille e quando servono non le trovo mai.

La pace e l'allegria sottile meritano un posto preciso nella vita di ognuno. E' un esercizio di stile, ogni giorno che nasce merita una piccola festa, ogni alba, ogni tramonto d'inverno che ti lascia senza parole, e allora, se non si sa dove andare si va verso di lì, dove il sole è una frittata luminosa e ti fa dire Ma Che Meraviglia E', e tutto prende senso, il sole, la cipria, lo sanno anche i sassi.

ora, lo sai anche tu.


23 gennaio, 2019

Il Falò e la Cometa.

E' una parola bella, rumorosa. Secca.
Fa allegria.
Ricorda quelli sulla spiaggia a Varigotti, quando ancora i falò sulla spiaggia si potevano fare, gli amici che ritrovavi ogni estate, quelli di cui ti innamoravi ogni estate, quelli che nemmeno ti guardavano ogni estate. Quelli che ti aspettavano per ore sul molo. Così funzionava.
 Intorno al falò si parlava tanto, si cantava tanto, ci si baciava tanto. Non io che a 15 anni ero imbranata come una foca, così si diceva. E solo nell'estate del '79 ho dato un bacio vero per penitenza. Il giorno dopo, giù a scrivere una lettera infinita alla mia amica Cristina, la carta da lettera della Holly Hobbie, tutta cuoricini e ghirigori, per comunicare l'evento. Una scema.

Non tutti i falò, però, hanno ricordi così (e qui ci vorrebbe un'altra parola con l'accento).
Non tutti si fanno col fuoco. E sono i più dolorosi.

Ho fatto pochi falò di cose nella mia vita, anzi, a pensarci, forse qualche fuocherello qua e là, niente di serio.
Uno solo, da un anno in qua. Vero, possente, straziante. 
E' divampato in fretta e io non sono stata lì a guardare, come si fa col fuoco, che ti ipnotizza. Ma i falò delle cose non sono come il fuoco del camino, dal tappeto,la sera, col vino rosso, gli amici o un libro, o anche niente, a guardare le scintille e la legna che da normale diventa incandescente e poi si sbriciola.

Ho fatto un falò di cose, biglietti, auguri di compleanno Ti Vogliamo Tanto Bene, di situazioni e di feste. I sentimenti no, quelli non si possono bruciare, sono come la plastica, vanno in un falò a parte e forse nemmeno funziona. Ho bruciato discorsi e regali, e confessioni e sfoghi e consigli e lettere, e fotografie e sorrisi e risate e pianti e consolazioni e chiacchiere e divertimenti e discussioni.
Ho bruciato tutto. Lo hanno fatto in molti, mi sa. Va bene così.

Ho bruciato parte della mia vita, del mio sentire, sono stata all'inferno e sono tornata indietro, ho letto questa espressione da qualche parte, e mi ha sempre colpito per la sua immediatezza, per la sua realtà, per la sua irrimediabile verità, l'inferno, si può immaginare un posto peggiore? C'è fuoco anche lì.

Ho cancellato o tentato di farlo, mi sono lavata via gli sputi che avevo addosso, ed erano tanti, mi sono medicata dai tagli, ho disinfettato stilettate, ho messo il ghiaccio sugli schiaffi e la crema sui lividi. Qualcuno si vede ancora. 

Ora, sto bene. La strada è lunghissima ma sono in pace con me. Chissà se è così per tutti.

Ora, ho nel cuore una cometa. Anche questa è una frase bellissima, la cometa è speranza e cammino, e luce e bellezza. E nascita e cose nuove, e cieli belli e belle stelle.
Ecco, quello.
Ho un cielo bello davanti a me, non vuol dire che sia facile, ma bello, questo sì.
Ho ripreso la mia vita da dove l'avevo lasciata, le ho tolto la polvere, mi sono lavata la faccia, spazzolata i capelli, messo una maglia nuova e un profumo dolce di Passiflora.

Il mio falò l'ho dimenticato.
E vivo quel che c'è, la nebbia e l'eclissi, le mattine di gelo e il sole, la fontana ghiacciata della piazza e nuove cose, nuovi libri e nuovi progetti, e nuovi quaderni e nuovi pensieri da scriverci sopra.

La mia Cometa è lì, e indica la strada.
Re Magio senza doni, profuga in un deserto immaginario, la strada è lunghissima, riparto da qui.






20 luglio, 2018

Le Righe di Terza.


Ero sempre così concentrata nelle prove di bella scrittura. 
Stavo attenta a toccare tutte le righe, a pensare bene dove dovevo andare, quale riga dovevo toccare, se stare in quella sotto o superarla, o andare giù o fermarmi a metà. 
Niente ti insegna a scrivere bene come le righe di terza.

Ero una bambina coi capelli lunghissimi, il colletto di pizzo, il grembiule nero e lo scudetto al braccio con scritto III e avevo una compagna di banco che si chiamava Claudia. 
Una volta le nostre mamme ci comprarono senza saperlo le stesse scarpe di vernice col cinturino. Eravamo felicissime e ci sembrò un’ingiustizia quando la maestra ci cambiò di posto, avevamo le stesse scarpe, come osava. 

La mia terza elementare la ricordo a sprazzi, ero incaricata di ritirare i quaderni e cancellare la lavagna. Perché, spiegava la maestra a mia madre, Se Non la Faccio Alzare, Chiacchiera Troppo.

I miei pensierini  erano sempre quelli appesi nel Cartellone dei Pensierini che si faceva ogni mese.
Non sapevo fare i problemi, nemmeno quelli La mamma ha 2 dozzine di uova, e ne rompe 3 , per dire.
Ma scrivevo bene. Forse, era merito delle righe di terza.

Sono righe strane, non comuni, non so nemmeno se si usano ancora. Non ho più figlioli alle elementari e credo che l’ultima nemmeno li abbia usati a scuola, glieli facevo usare io a casa, affinchè si esercitasse a scrivere bene, con una bella grafia, che è importante scrivere ordinate e bene. Non so se ci sono riuscita, ma i messaggi di mia figlia sulla lavagna della cucina mi spiace sempre cancellarli.

Le righe di terza non è vero che ti fanno sacrificare le lettere, forse si schiacciano un pochino, ma tu devi dare alle lettere la giusta rotondità, perdonarti un pò quando non tocchi la riga in alto, e andare lentamente con la penna o con la stilo, in modo da pensare bene a quello che scrivi.
E prima di scrivere devi avere chiarissimo quello che devi dire, le parole hanno un senso, un peso, un colore e un modo. Feriscono, abbracciano, cullano e uccidono.  Sanno consolare e strangolare, sanno essere salvezza e condanna,  carezza e schiaffo, ambrosia e fiele.

Scrivo spesso a mano, scrivo biglietti e appunti e le poesie che so a memoria, una volta in treno ho scritto un pezzo dell’Adelchi che so a memoria, perché non avevo un libro e nessun lavoro a maglia, e credo che la mia vicina sbirciando avesse detto, Questa è Scema.

Le righe si terza mi hanno insegnato a scrivere meglio di quello che so per certo, con le maiuscole quando serve perché le maiuscole vogliono dire educazione, le minuscole invece sono un esercito di piccoli soldati che insieme fanno una pagina di sillabe e le sillabe parole e le parole pensieri e i pensieri quel che ti detta l’anima, il cuore, il sentimento e i suoi inganni, la vita stessa, la mente e i suoi disegni,  il mondo intero.

Ho trovato un quaderno mai usato, ho provato a scriverci e le mie parole sono rotonde, maiuscole e minuscole, non escono dai bordi, stanno a margine ordinate, scivolano fuori dalla penna, nascono dall’inchiostro come piccolissimi arabeschi, disegnano un romanzo mai scritto e obbligano a scrivere lentamente, anche ascoltando l’impercettibile fruscio del pennino sulla carta Fabriano.

Ho mille cose sparse in giro, alcune già caricate su un furgone, tutta la mia vita, quella dei miei figli e di tutte le cose che ho fatto, altre case, cartoline, feste, biglietti, fotografie nastrini e cose, il mio cappellino da sposa con i fiori rinsecchiti,  e ogni cosa un racconto, un'immagine di persone lontane o vicinissime e sensazioni e ho troppe cose e non posso fermarmi ma mi siederei qui, fra la scatola dell'Allegro Chirurgo e gli spartiti e i dizionari e farne  un racconto lunghissimo, scritto in bella scrittura, lentamente, su un quaderno a righe di terza.

04 luglio, 2018

I Saggi consigli del Giardino Abbandonato


Si scorgeva dalla strada, alzandosi in punta di piedi.
Doveva essere stata una casa meravigliosa, di quelle piene di bambini che correvano, e saltavano dai gradini della scala di pietra dell'ingresso, prima 1, poi, 2, poi dal terzo gradino. La prova di coraggio era saltare da 4, ed era affare riservato ai più grandi.

Bambini coi pantaloni al ginocchio, peraltro sempre sbucciato, bimbe con vestitini candidi e nei capelli fiocchi di raso, qualcuno che rimaneva impigliato nella siepe laggiù, accanto al vaso grande del ficodindia.

E grida, e passi sulla ghiaia piccola del viale e signori distinti, e signore vere, il vezzo di perle e i guanti di filo la domenica, e il velo di pizzo prezioso per andare a messa.
Profumi di timballo e torte per la merenda, limonate fresche in pomeriggi torridi,e rosolio in bicchierini fragilissimi, serviti in vassoi tondi d'argento bello, posati con cura sul tavolo in ferro battuto accanto alla voliera.

Era la casa del notaio Puglisi, un omone alto e baffuto, in paese stimato e rispettato uomo di buonsenso, così come la moglie Agata, insegnante di pianoforte e cuoca sopraffina. Sue le torte, le conserve, i biscottini e quei cannoli meravigliosi, fatti con la ricotta fresca che le portava il fattore, Salvo, devoto aiutante della famiglia.

Il notaio e la signora Agata avevano cinque figlioli, Cosimo, Antonio e Michele, e le gemelle Immacolata e Anna.


Ora la casa era silenziosa, abbandonata, e con lei il giardino.
E chissà quale tempesta aveva rovesciato quel vaso, quello grande delle piante grasse che ora crescevano disordinate e assenti lungo tutto il muro, o che strisciavano lungo il selciato fiorito di muschio o che tentavano di salire sul muro oltre la finestra.
Ovunque erbacce, piante secche, e lattine, vecchi giornali portati lì da chissà quale vento,  financo un triciclo arrugginito.

L'ibisco, invece, fioriva e fioriva.
A dispetto di quel degrado, di un rosso fiero, con i suoi petali perfetti e fuori scala.
E la pomelia, non lontana, con le foglie come zampilli verdi a coronare i fiorellini bianchi e profumati, coi quali le bambine di casa Puglisi si adornavano i capelli per giocare alle principesse.

Il giardino abbandonato non raccontava nessuna storia.
Ma a guardarlo, nella sua elegante desolazione, faceva pensare e, a suo modo, confortava.
E dava consigli, sottovoce, bisbigliando appena.

"Raccogli ogni fiore, ogni bocciolo, ogni piccolissimo germoglio, così come ogni ramo secco, pianta arida o zolle arse dal sole d'estate.
Non ti fidare mai dei rampicanti, sono campanule graziose e delicate alla vista, ma sono erba cattiva e arrampicandosi sul pino lo hanno soffocato in un falso abbraccio di bellezza e lo hanno fatto morire.

Non cedere all'inganno dei fichidindia, sono frutti dolcissimi ma hanno spine infide e velenose e raramente puoi raggiungere i loro tesori senza trovarti poi le loro spine sulle dita o sul palmo della mano.
Sorridi invece al rosso dell'ibisco, è quanto di più sicuro tu possa trovare in una siepe di rovi e rosmarino, è un fiore che non ha paura, che non capisce le regole dei giardini abbandonati e continua a fiorire perchè sa che può cambiarle e trasformare un abbandono in una nuova fonte di vita e di colore.

E piangi, piangi pure, piangi forte quando il tuo cuore sta per rompersi in mille pezzi, quando non riconosci più la strada che va dal cancello alla porta di casa, sono solo pochi passi ma sembrano mille, mille e mille ancora.

Piangi forte, quando non ti sente nessuno, siediti qui, fra queste bottiglie vuote e queste cartacce,  e asciugati gli occhi, quando senti che non hai più respiro vuol dire che è ora di smetterla anche di piangere, non darla vinta alle erbe secche e alle ortiche e a nessuno al mondo, perchè nessuno al mondo è padrone del tuo destino più di quanto non lo sia tu stesso.
Nessuno sa come si vive nelle vite degli altri, ma forse questo giardino sì.
Ne ha viste tante, di vite, la severità del notaio, la dolcezza di sua moglie e il baccano meraviglioso dei bambini.
E te lo racconta, e ti fa pensare e un pò sognare, su questa scala di pietra piena di petali della jacaranda sfiorita, lo vedi, c'è un gradino sbrecciato, saltane uno, poi due, poi tre, e poi quattro.

Sei grande abbastanza per saltarli tutti insieme.
Il giardino lo sa e adesso, lo sai anche tu.

Perciò, sorridi.



25 aprile, 2017

Ci pensi mai.

                                             

Ci penso sì.
Oppure no, mai.
Cioè, qualche volta.
No, invece. Ci penso sempre.

le vite che passiamo a pensare. A recriminare, ricordare, rimpiangere, immaginare, supporre. O forse, solo per vivere.
pensare, pensare alle cose fatte, da fare, a quelle che si rifarebbero domani, a quelle che invece nemmeno per sogno, a quelli che hai lì e che ti dici Un Giorno o L'altro Lo Farò, che siano cose belle o cose che rimandi perchè non le vuoi fare, le cacci sotto come le cose noiose da stirare, come le cose da piegare e rimettere nell'armadio, la noia proprio.

pensare, pensare, raccontarsi delle storie belle, scrivere dei libri immaginari, da quant'è che devo scriverlo, un libro, e ce l'ho, lo giuro, salvato nel pc, ogni tanto lo riprendo, e lo rileggo da capo e amo così tanto leggere che alla fine so a memoria fin dove l'ho scritto e non mi riesce di continuare, perchè mai, mai mi verrà qualcosa da scrivere all'altezza di quello che ho già scritto, chissà se funziona così anche per gli scrittori quelli veri.

Come quando sistemo la libreria, e mi ci vuole un mese a sistemarla tutta, perchè mi fermo, smetto di spolverare e prendo ogni libro di ci mi sono innamorata, e sono un sacco, e lo sfoglio un pò e lo accarezzo, e lo annuso, per ritrovare la me che ero quando l'ho letto, o per dimenticarmela,non so, e allora resto lì, lo straccio in mano e leggo, sul pavimento, perchè mi piace leggere seduta sul terra, vicino alla libreria stracolma, e leggo per delle mezzore e ciao che alla fine finisco di sistemare.

Ci penso, ci penso sì, immagino sempre le cose che non esistono, era un trucco che mi sono insegnata da sola, lo so che insegnare non è riflessivo, ma è così, l'ho insegnato a me, da ragazzina, sui diciassette anni, la famiglia disintegrata in pochissimo e una città nuova, e nuovi amici, nuovi libri, novo indirizzo, nuova quinta, avrei dovuto fare la quinta D al mio vecchio istituto e invece ho fatto la quinta e basta, ma per far finta di nulla ho scritto QUINTA D lo stesso, sul diario del Maffei a Torino, e nessuno capiva che cosa volesse dire. ma io sì.

Mi sono raccontata ogni genere di storie, inventata vite delle persone che incontravo, sul tipo che vendeva i libri usati in piazza Carlo Alberto, sul lattaio del corso, sulla segretaria del notaio che abitava di fronte a me, le calze coprenti, lo smalto rosa perlato e la piega sempre fatta, nubile e devota al suo notaio burbero, del quale secondo me, era innamorata da sempre. E quelle gonne a pieghe e quelle borse assurde, che hanno ispirato il genere Segretaria Di Notaio, quando mi vesto come non mi piace.

Continuo a pensare e pensare, inventare storie su case abbandonate, su addii alle stazioni durante la guerra, su incontri fra vicini, sulle scale col corrimano di legno nelle case d'epoca, con gli ascensori con le porte doppie, che fanno clang! quando si chiudono, e c'è sempre un cartello di metallo, Vietato Sbattere le Porte, ma nessuno lo rispetta e la vita di quel palazzo è scandito dalle porte dell'ascensore che sbattono.

C'è una casina in fondo alla strada dietro al campo, una casa piccolissima che è in vendita da sempre e che non vuole nessuno perchè troppo piccola, malconcia e  fuori mano. Ci sono passata l'altro giorno tornando dal vivaio e mi ci fermo sempre. Non ha più il glicine, chissà perchè, il cartello Vendesi è scolorito e nemmeno si legge più il numero da chiamare. Meglio così.

Nessuno la comprerà, nella mia mente l'ho già comprata e ristrutturata mille volte, e mille storie ci ho inventato, di chi ci abitava, di chi ci tornava, di chi ci faceva il pane nel piccolo forno che ha sul retro e di quali misteri nasconda il pozzo e quel tiglio e quel piccolo frutteto.

Ho già comprato delle tende di mille fogge diverse, l'aveva vista anche Silvia, ci eravamo dette che l'avremmo comprata per farci le feste, ma quali feste che siamo sempre in mille e non ci stiamo, ma adesso di feste non se ne fanno più, e in mille non siamo più, o forse sì, ma manca lei e allora che feste si devono mai fare.

Così, ci penso, penso a cosa si potrebbe fare in quella casina diroccata, e mi racconto delle storie complicatissime, con intrighi e misteri, è questa la tecnica, raccontarsi storie belle per non sentire la paura, farsi gioielli con le margherite del pratino, anelli preziosi con le gabbiette dello champagne di Natale e conservarli, conservare tutto, i pensieri le emozioni, il cuore che batte fortissimo sotto al lenzuolo, darsi forza, ballare e cantare sempre, anche quando ti siederesti sul pavimento, la testa piegata sulle ginocchia e non vorresti sentire e vedere niente.

è dal niente che nascono le storie più belle.

E chissà se la segretaria del notaio gliel'ha mai detto, che si era innamorata.








05 gennaio, 2017

E voglio.

Mi sa che non mi taglio i capelli.
E che cambio colore.
E poi, compro le forcine d'osso come mia nonna, così, quando saranno lunghissimi, farò una treccia e li raccoglierò, come lei.
Ho sempre avuto la treccia, e il fiocco in fondo, fino al sedere.
Poi li ho tagliati di botto.
E la domenica mattina, al coro della chiesa, con quel caschetto, non mi riconosceva più nessuno.
Se non per i denti storti,


Voglio un anno scintillante.
Lo voglio tutto per me.
Mi voglio fare tre maglie diverse.
Una blù.
Voglio scrivere un libro.
Imparare a cucire.
Finire Guerra e Pace.

Voglio valige da fare. E viaggi, brevi e bellissimi.
Voglio capire delle cose.
Imparane altre, tante.
Scordarmi di tantissime.
Voglio entrare in un'altra casa abbandonata, è un pò che non lo faccio.
Voglio ridere tanto.
Annoiarmi anche, qualche volta.
Voglio inventare una favola nuova.
Voglio imparare la volta celeste, sapere il nome delle stelle.
e guardare più film in lingua originale.

Voglio restare sveglia quando c'è il vento e non farmi prendere dalla paura.
Non voglio più averne, di paura. Non c'è motivo.

Voglio correre meglio e di più.
Devo cambiare le scarpe, anche se quelle che ho mi piacciono così tanto, e mi ricordano delle cose belle, sono distrutte e scalcagnate, anche se cambio le stringhe, ma non si tengono le scarpe per ricordo. Men che meno quelle da corsa.

Voglio diventare brava con le piante. 
Curare meglio le rose, che sono così belle, e le ho tagliate troppo tardi e hanno avuto i pidocchi e non me ne sono accorta subito. Che scema.

Voglio, sopra ogni cosa, essere felice.
Non serena, felice proprio.
Voglio che il mio cuore batta sempre forte così, voglio che l'ottovolante dove giro in questi anni non si fermi, non mi piacciono le giostre che vanno in tondo e pianissimo. 
Non mi sono mai piaciute.
Nemmeno quando avevo la treccia fino al sedere.

Così, mi organizzo per questo anno che arriva, ho ben chiaro le cose che voglio.
2017, arriva pure, e mostrami tutte le cose belle che hai in serbo per me.
Non canto più nel coro della chiesa e ho sempre i denti storti.
avrò ancora i capelli lunghi e sarò sempre la stessa.

Sempre.



22 novembre, 2016

Il Bruco Gilberto, che Amava la Nebbia

Da quanto fosse lì, nessuno lo sapeva.
Fu avvistato una mattina, sul mezzogiorno, quando la nebbia di fuori si er aun pò diradata, un pò, nemmeno tanto.

Bello non era.
Di un colore giallino, non era simpatico a nessuno degli abitanti del Pratino, tanto che aveva dovuto traslocare, giorni e giorni di viaggio, sui vasi di miseria del davanzale.
Il viola gli piaceva assai.

Se ne stava lì, accoccolato sulle foglie quasi stecchite della pianta più bella del mondo, quella di quel colore meraviglioso che gli abitanti della csa, soprattutto una, adoravano e mettevano ovunque, in ogni vaso, in ogni casa, ne regalavano talee e piccoli mazzi, ci facevano centrotavola, composizioni e cose.
Di lì a poco, la miseria intirizzita avrebbe lasciato il posto a dei ciclamini candidi o ad alcuni rami sberluccicanti, l''otto dicembre era prossimo e già si studiava come fare.

Il Bruco Gilberto era lì, tranquillo.
Era un bruco di buon cuore, alla fine, raffinato conoscitore di piante e foglie, forse ghiotto di basilico, ma di prove non ce n'erano ed il colpevole della morte del Basilico Rosso non fu trovato mai. Chi l'ha detto che dovesse proprio essere lui?

Il Bruco Gilberto amava la nebbia.
Per questo stava lì, accoccolato sulle foglie, forse dormiva o forse no, nessuno è capace di capire se un bruco dorma o meno, come si fa?  Ma quella mattina, sembrava proprio che ci stesse bene, al freddino e alla nebbia sottile del quasi mezzogiorno.
La nebbia è così bella se la guardi bene, luccica e avvolge, nasconde anche i pensieri più pesanti, e ti mostra solo quello che vuoi vedere davvero. Era questa, la filosofia del bruco.

e nonostante da ogni dove arrivassero cartoline di sole a picco su scogliere e balaustre, il Bruco Gilberto amava quel davanzale e quel vaso quasi stremato, quel paesaggio decadente e un pò magico, che gli faceva pensare che sì, era casa, nonostante tutto. E pur amando tanto quel sole dolce e quel mare azzurro, oggi era bello anche stare lì, nella nebbia.

Amo la nebbia come il Bruco Gilberto.
e amo il mare col sole languido che vi si specchia sopra.

Mi sa che un pò bruco sono anche io.





31 agosto, 2016

L'Amore Sparso.


                                ph. La Douleur Exquise

Ovunque.
Di là e di qua dal mare.
Oltre le montagne, semplicemente alla fine dell'autostrada. Comunque, lontano.

Semino amore e pensieri un pò dappertutto, ho un mappa nel cuore, me ne servirebbe una vera, per capire davvero dove devo mandarlo, una di quelle carte con le bandierine, uno qui, l'altro là.

Sta finendo l'estate. Forse è già finita e nessuno lo sa, e ci si illude che ancor abbia in serbo per noi qualche sorpresa di cristallo, lo stesso dei bicchieri belli, che li guardi e si rompono, nessun servizio resta da dodici per molto tempo, così le sorprese. Guai a desiderarle troppo, si frantumano in un secondo e resta solo il rumore delle scaglie finissime, mentre cerchi di raccoglierle. A modo suo, un concerto.

E'passata un'estate quasi normale, ma normale cosa, se non sono mai dove vorrei essere e con chi vorrei, o meglio sì, ma non ci sono mai tutti, e radunarli è sempre più complicato,  tengo a mente date e giorni, e biglietti fatti e biglietti che invece no, e week end che forse, ed è un lavoro faticoso che poi la gioia di un abbraccio fortissimo scioglierà. Fino alla prossima volta.

Spargo così tutto quello che ho, i miei consigli e le mie chiacchiere, parlo sempre troppo, ma è quando sto zitta che ci si deve un pò preoccupare, non il contrario. 

L'amore si lancia in aria come i coriandoli, si rovescia, come i brillantini per fare i biglietti di Natale, ne facevo di bellissimi da bambina e li distribuivo a tutto il vicinato, non sono sicura che piacessero davvero, forse erano troppo pieni di brilli e troppo colorati. Adesso me ne rendo conto.

Rovescio così il mio sentire, il mio amore accudente e protettivo, capriccioso e impegnativo, lo rovescio e guardo dove va, saprà lui dove arrivare, non c'è amore al mondo che non conosca bene la strada, e di amori, che io sappia,  non se ne è perso mai nessuno.
Lo lascio uscire dalla finestra, volare fin dove deve e dove sa, lo guardo fino a quando riesco, come si fa con gli aerei, alla fine diventano tutt'uno col cielo e non li vedi più.

E se l'amore che ho  somiglia un pò a me, che non so leggere le cartine e a volte mi perdo e non so mai bene quel direzione prendere agli svincoli , vorrà dire che disegnerò una strada.
magari coi brilli, che si vedono anche col buio.

L'amore, quello vero, non si perde mai.
Nemmeno oltre il mare.


05 aprile, 2016

Dai, sù.

Che non abbiamo bisogno di gentucola che frigna.

Di donnicciole stupide, di donne medie che non sanno guardare più in là del proprio prato, di donne che non ce la fanno a farcela, mai.

Io ce la faccio a farcela, da sempre. E qualche volta mi piacerebbe essere una donnicciola di quelle che si lamenta e fa le smorfie di disgusto e che si fa aiutare dal mondo e che e che.
Stamattina è una mattina pessima, di quel pessimismo leopardiano che ritrovo negli altri e che mi fa ridere spesso, rido molto, io, sono una che fra ridere e frignare preferisce ridere, sempre. 

Oggi invece no.

Eppure, sono sicura che è tutto a posto o che ci sta andando piano piano, che questo puzzle bizzarro che è la mia vita degli ultimi mesi, alla fine, si comporrà.

 E sarà bellissimo, anche se non ho mai capito bene che cosa si fa con i puzzle finiti, anni fa ne abbiamo tenuto uno di Pippo e Pluto su un tavolino basso per un po’ indecisi sul da farsi, poi un giorno non so quale dei  figli ci è franato sopra, sbattendo lin uno spigolo lì vicino e allora via di spinaci surgelati sulla testa, di cremine, di NonE’Niente, e PassaSubito, e urla e strepiti, preoccupata com’è ovvio più della testa del fanciullino che del puzzle disintegrato. Che alla fine, fu spazzato via di malagrazia e non se ne parli più.

Oggi, sembra a me di aver battuto in qualche spigolo, non so da che parte cominciare e sono sveglia da ore, e arrivano belle cose e belle notizie e altre ne arriveranno, ma è la confusione che mi destabilizza, è la distanza, la paura, l’amore anche, il coraggio che non ho, quello che non trovo, la figliola a casa con l’influenza, e il resto sparso per mezzo mondo, che grande è il mondo di ciascuno, e quanti cuori può contenere il tuo cuore, e quanti ne riesce a tenere lì, al caldo e vicini,  seppur lontanissimi.

Avrei voglia di una città che non ho mai visto, di un tavolino al sole, una bancarella di libri usati e il mare. Magari un frullato, o una granita, per fare shhhhhh con la cannuccia alla fine. E bei pensieri e belle cose.
Invece sto qui, con le cose da fare, il cielo seppia, i vetri sporchi e nessuna voglia di lavarli, ma dai quali si vede il ciliegio che sta fiorendo.

 Ecco, in attesa che il mio puzzle si completi per benissimo, e che non venga spazzato via come quello di Pippo e Pluto, mi curo da sola, mi canto qualcosa sottovoce, mi prendo un thè in cucina e guardo fuori, tutto quel rosa, tutti quei fiorelloni esplosi, la bellezza, la dolcezza, dai sù, non abbiamo bisogno di gente che frigna e fa la scema, e si lagna e fa i capricci. Passerà, passa tutto o quasi, il ciliegio ti darà una mano.

Il sacchetto di  spinaci surgelati, questa volta non servirà.
Lavare i vetri, forse sì.

11 febbraio, 2016

Il Prima e il Dopo.

                                   ph.HelenaWantsMore


Ci si ferma a pensare.
Si pensa spesso.
Ci si ritrova come stordite a fissare un punto nel cosmo e a pensare.
Come assenti.
magari al semaforo.
magari in fila da qualche parte
o prima di dormire.

E allora, ecco.
Prima di quello, prima di quella volta, dopo i bambini, dopo quel viaggio, prima di avere questa casa, prima di quella vacanza, prima di quel dolore, e subito dopo.
E dopo Natale, e prima di me, non era così prima, non fu più lo stesso dopo.
Cose così.

Regina dell'  E 'Possibile, Vestale del Chissà, Magari, Forse.

Ci si arrampica in ragionamenti complicati e nemmeno tanto piacevoli, collocarsi in spazi temporali, avere la presunzione di sapere, di capire sempre tutto, di avere la soluzione a tutto, lo sciroppo per la tosse, la polverina per le formiche, la candeggina per levare quella macchia.

Inutile
tutto assolutamente e completamente inutile
Non so come e non so perchè, anzi so perfettamente come e so perfettamente perchè.
ma non voglio più prima e non voglio più dopo.
Anche se ci si deve fare i conti, non li voglio più.

Voglio i Qui.
E gli Ora.
Voglio gli Adesso.
Voglio gli In questo momento
Nemmeno domani, adesso, ora, in questo istante.
E il Prima e il Dopo, non esistono più.

E' un bell'esercizio, forse ci si arriva col tempo, ma ci si allena con piacere e alla fine si conquista una serenità non comune, un'incoscienza sottile e meravigliosa, un pò vigliacca, forse, di quella vigliaccheria che ti salva la vita, in qualche modo, una sorta di incantesimo dal quale chissà se ci si sveglierà mai, e non è nemmeno importante quello, alla fine.
un egoismo morbido e lucente, che m'importa del mondo, che m'importa del resto, di ieri, di dopodomani, di fra un mese, financo di fra mezz'ora.


Qui, e adesso.
Senza soluzione, con un'alchimia perfetta fra desideri e ragionamenti, fra passione ed energia, giri di valzer che la testa fa col cuore, biglie colorate in un vaso trasparente, pastelli a cera per colorare tutto, ma non domani, non ieri, adesso e qui.

Ho una tovaglia pasticciata coi pastelli a cera, coi quali nemmeno la candeggina ha potuto nulla, la tosse non ce l'ho nonostante il gelo e le formiche, alla fine, che fastidio daranno mai.







Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...