10 giugno, 2006

Cuore.


C'è profumo di tiglio quest'oggi nella piazza davanti alla scuola elementare. Lo Senti, Mamma? Quando c'è Questo Odore Vuol Dire che La Scuola è Finita. Già. Oggi è l'ultimo giorno di scuola. Invocato da mamme e alunni per i lunghi mesi invernali, adesso che è qui, beh, sì, siamo tutti contenti ma con una malinconia sottile, una specie di morbida tristezza, un pochino, ecco. Da sempre, l'ultimo giorno di scuola mi rattrista, anche quando non ero davanti ad aspettare, ma ero io ad uscire. Voleva dire che qualcosa era finito, che si concludeva un momento, che qualcosa cambiava. E i cambiamenti non mi sono piaciuti mai. Significava ovvio, non rivedere più certi compagni, non dividere più con loro il quotidiano. Forse, significava solo crescere. Oggi, in quella piazza dove staziono da anni, dove da anni aspetto le 16,20, anche io mi sono un pò commossa, come i bambini della quinta elementare, che hanno abbracciato forte le maestre, piangendo di un pianto buffo e impacciato, disperato, anche, quasi a dire, No, Dai, Rimaniamo Ancora Qui per Un Pò. L'ultimo giorno di scuola ha il suo fascino. Da domani, tanti giorni vuoti di compiti, di zaini e di voti, e pieni di giochi, di niente fare, di sveglie alle 11, di vacanze, di nessun orario. Cambiano i ritmi da domani e si è già tutti un pò in vacanza, non foss'altro per la sveglia che suona sì, ma possiamo prendercela con calma, una mezz'ora in più, male non fa. Sarà estate e poi autunno e allora, ancora saremo su questa piazza davanti ai Carabinieri, ancora zaini e ancora merende, a scrutare i genitori nuovi dei bambini della prima, infreddoliti nei cappotti e nelle sciarpe, a soffiare nasi e ad aspettare le 16,20. Fino al prossimo inebriante, unico, assoluto Profumo di Tiglio.

09 giugno, 2006

Laifisnau.


Ma quanto ci avrà messo la Creatura, ad impararlo? L’accento certo non è dei migliori, ma col suo faccino borgataro, belloccio ma a bocca chiusa, e la parlata country, Francesco Totti riesce persino ad essere simpatico. Ormai in televisione vuoi per i Mondiali, vuoi per gli spot, lo si vede ogni 5 minuti. Mi ha intenerito giorni fa quando alla radio ho sentito che il desiderio segreto del Nostro sarebbe quello di passeggiare in Via del Corso, senza essere assaltato dai tifosi e dai fotografi. Si ode il coro, Sì, Ma Ha Cinque Fantastiliardi In Banca, ohi, ma come siete venali, orsù! Insomma, un desiderio legittimo. Beh, in fondo ad esaudirlo non ci vorrebbe molto. Basterebbe avere una mogliettina meno appariscente, con una french manicure un po’ più discreta (Ilary, tesoro, ma lo sia che la french così ce l’hanno solo le domatrici oramai?), un bimbetto con un nome più consono, che so, Fabio Massimo, o Caligola, ma Cristian, accidenti, e senza nemmeno la h, per cortesia. Potrebbero rifarsi e la prossima pupina chiamarla Flaminia, o Appia Antica, anche Casilina male non sarebbe. E infine, Lui, forse, dovrebbe azzeccare un congiuntivo ogni tanto, dovrebbe essere meno presente nelle barzellette e fare meno cucchiai. Qui si fermano le mie nozioni calcistiche. E non si può neppure pretendere un inglese fluently da chi ha idee confuse anche sulle sua lingua madre. Vabbè. Però Francesco Totti mi sta così simpatico che magari qualche lezioncina di inglese, grammatica e fonetica, gliela darei io. Dopotutto, sono stata al Trinity College di Oxford, mica alla Scuola Radio Elettra. E sarei onesta con Lui, non gli chiederei autografi e applicherei una tariffa moderata per il Pupone, facciamo 50 euro. “ Ahò, sò cento sacchi!!!!”

Lapo 2, il ritorno.


E’ tornato. Non già a Portofino come qualche settimana fa, ma proprio lì, al lavoro, in ufficio, al Consiglio di Amministrazione, insomma, al suo posto. Lo hanno trovato in forma, bello non lo è e quindi si dice che è un tipo, arrivato con la sua Alfa 156 Sport Wagon, con un bel completino azzurro cielo, e una splendida cravatta tricot. Mi ha fatto felice. Tanto per cominciare, le cravatte all’uncinetto le facevo alle medie nell’ora di applicazioni tecniche e quindi mi sono già portata avanti. E poi perché, in assoluto, ha una bella macchina. Bella scoperta, ma com’è che fa la sua mamma di cognome, Agnelli, per caso? E cosa fanno gli Agnelli, formaggio? Vabbè, eravamo rimasti alla macchina. Mi piace e molto. Sono una donna anomala, che è già una bella dichiarazione, nel senso che le automobili mi piacciono. Non proprio come agli uomini ma quasi, e che ci posso fare, sarà mica peccato, no? E se adesso, in questo periodo di Suv, probabilmente, dovendo scegliere una nuova automobile, sceglierei proprio quella del Lapo. Magari di un bel rosso lacca, che so, un Pirate di Chanel lo vedrei bene, ma si è mai visto qualcuno che si reca ad acquistare un’automobile con una boccettina di smalto? In controtendenza, italianissima, non di moda, non riconoscibile. Grazie Lapo di questa grande idea sul mio prossimo acquisto. Felice che tu sia tornato, il tuo completo celeste spiccava e di molto su tutta quella grisaglia. Ti ho già palesato la mia stima, mi diverte quel tuo modo di fare, giullare fra le mummie, l'occhio spiritato anche in tempi non sospetti, il basettone, l'aria trasognata. Si sbaglia tutti, tesoro, chi un po’ di più, chi un po’ di meno. La cosa importante è non ricascarci, me lo prometti? Ah, una precisazione. Sul fatto che gli Agnelli non facciano il formaggio, beh, ho sottomano un indirizzo: Caseificio Agnelli, Località San Pasquale, Palau, Sassari. E t’ho detto tutto.

08 giugno, 2006

Egli.


Il consiglio è vecchio come il mondo. Vuoi tirarti sù? Fatti un giro dal parrucchiere. Risaputo, scontato, trito e ritrito ma sempre efficace. In linea di massima un giro dal parrucchiere, una, se deve proprio farlo, che lo faccia in grande stile. E che sia, in assoluto IL PARRUCCHIERE. Nella città che è stata la tua, e che ancora smodatamente ami, che hai girato questa mattina un pò da turista, le Olimpiadi lontane, regalandoti il privilegio sottile di fare anche qualche fotografia, a questa città intatta, pulitissima, un pò svizzera, anche. ma veniamo a Lui. Lui non taglia. Crea. Vuoi il caschetto così, la sfumatura così, la lunghezza così? Ma starai mica scherzando, vero? Sarai mica tu a decidere, cocca. Decide la moda, la tendenza, il tuo viso tondo che non si intona a caschetti Valentina style, ma come, se lo porto da mille anni? Appunto. Più che un salone di bellezza un opificio. Sono in tanti. Fanno pensare a un esercito napoleonico e il celere ubbidir qui proprio uno scherzo non è. Anche se ancora la differenza tra chi ha la Tshirt bianca e chi invece ce l'ha nera ancora non l'ho capita. La vera essenza di un parrucchiere di grido si vede già al lavatesta. Non scappa uno schizzo che sia uno, il massaggio per lo shampoo è a metà tra uno shiatsu e una terapia intensiva. La goduria vera. In più, alla fine, la signorina ti flauta sommessa, Facciamo Un Risciacquo ad Acqua Fredda? e lì è il delirio vero. Si passa poi nelle sue mani. Che muove peraltro con una grazia tutta sua, un pò Barnard un pò Michelangelo, che dire di più? Un taglio qua, accorciamo qui, alleggeriamo di là, la frangia và così, voilà, in cinque e tre otto l'Artista ha creato la sua opera. Sono uno schianto. Non importa se domani l'incanto svanirà, mi basta oggi. Un taglio ottimale devo essere splendido anche dopo mesi. E questo, che secondo i miei calcoli dovrebbe arrivare intonso fono ad ottobre inoltrato, modestamente lo sarà. Certi trattamenti, a ben pensarci, dovrebbe passarli la mutua.

Ce la si fa.


Ci si tira fuori. Si sta meglio, all'improvviso, come all'improvviso si era stati da cani. Basta pochissimo, in realtà. Basta che ti sveglino coi baci alle 5 del mattino e tu a tirare cuscinate e farfugliare una serie di sproloqui all'indirizzo del coinquilino del tuo letto. Basta che ti si dica, Voglio il Tuo Profumo, Mamma, basta una colazione a ridere di stupidaggini dopo mattine grigissime, basta organizzare una giornata di puro scialo, purissimo svago, cose da niente ma che fanno bene al cuore. Un cuore incerottato ma stilosissimo, bistrattato ma con glamour, affaticato ma molto cool. Eh, sì, cara la mia signora, i cuori più trendy son fatti così.

07 giugno, 2006

Il cerotto.

Un cerotto e passa tutto. Anche dove non c'è niente, neanche un graffio o una sbucciatura, il cerotto infonde, da tempo immemore, la sua bella fetta di sicurezza. L'operazione diventa un tantino difficile quando il suddetto và apposto sul cuore. Lo ben si sa, il cuore è viscido, scivola via e non ne ha nessuna voglia di farsi curare. Neppure da me, allenata da improbe somministrazioni di sciroppi e antibiotici a fanciulli recalcitranti e ogni sorta di medicine a cani e gatti, si sorvoli sul paragone. Esso, il cuore, è uno strano aggeggio. Che a lui non si comandi è cosa nota, ma qualche volta ti verrebbe da prenderlo a schiaffi, lì per lì. Come, fedifrago, è proprio il momento in cui ho più bisogno di te, e tu, sciocco d'un muscolo che non sei altro, ti metti a battere troppo forte e a non reggere più o quasi? Come sarebbe a dire, cuorucolo da mercato, che proprio adesso fai il prezioso e dici beh, fai senza di me? Lo so, lo so. Forse hai avuto un periodo di grande lavoro, surmenage si dice, vero?, e allora, dai, forse ti sei un pò scocciato e allora, vedi, un cerotto e passa tutto. Avrò più cura di te, ma averla di te è averla di me, cura e maestria nell'essere più forte, non farsi scalfire dalle cose, non farsi squassare il petto dalla paura e dall'ansia perchè lì sotto ci sei tu. Imparerò. Un cerotto, comunque, per cominciare. Ma, una domanda, Gucci fa cerotti? Sarebbe un'idea.

05 giugno, 2006

Colpa del parfait.

Buoni. Delicati. Sofficissimi. Di quelle speciali cremine che si gustano col palato, magari schiocchiandoci la lingua contro, e concludere il magico rito con un mmmmhhh! deliziato. Sono arrivati tutti insieme, all’improvviso, in un cestino colorato, in una giornata di un ponte vacanziero che non abbiamo rispettato. Noi, le Famiglie Numerose, di solito facciamo così. In quelle feste comandate in cui tutti sono in giro a fare code, noi ci si cerca, ci si organizza, e si improvvisa. Restando a casa, ovvio, e restando insieme. Tutto può essere. Un buffet, o 4 teglie di lasagne al forno, apparecchiato per bene, avendo cura di non includere il coltello agli under 4. Di solito ognuno porta qualcosa. Forse una bella macedonia colorata o una crostata di frutta, purchè sia. Il vero strabilio sono stati loro, i Parfait al Caffè. Belli anche da vedere, nei loro bicchierini monodose molto chic, e non poteva essere altrimenti, visto la blasonata provenienza. Fin qui, tutto bene. Ma sono qui a invocare pietà. Ho avuto un week end avventuroso, un sabato sera che, va bene, avevo il pigiama e non volevo più uscire ma nel cuore della notte mi è tornato un figliolo ingessato, dopo un rave party al Pronto Soccorso. Il mio cervello si rifiuta, dopo giorni e giorni di vicende non gradevolissime, di applicarsi, di lavorare, perfino di contare. E ho dimenticato un bicchierino di parfait nel mio frigo. La colpa è stata sua, del parfait. Si è nascosto lì, fra la provola e i pomodorini e non ho restituito debitamente lavato il bicchierino old style. Perdono. Imploro clemenza e comprensione e prometto di non reiterare l’insano gesto. Primo ed unico esempio di rapimento di parfait. Per ottenerne la ricetta, ovvio.

03 giugno, 2006

Ode al pigiama.


Certamente da rivalutare. Non un indumento. Piuttosto, uno status. Il pigiama, in serate come queste, si va a collocare in una scelta ben precisa, una corrente di pensiero, un movimento culturale. Il pomeriggio è stato movimentato da 2 partite di calcio 2? Niente paura. Dopo una serata tranquilla e la pizza alle 19, eccoci a casa. I fanciulli sparpagliati, non un granchè da fare, l'indecisione su come impegnare il lasso di tempo che và da qui al sonno ha un nome: il pigiama. Mettersi in pigiama è una sorta di messaggio subliminare, che tradotto vuol dire, sì, sono ancora in circolazione, ma posso decidere, e la cosa assolutamente certa è che l'ultima cosa che avrei voglia di fare è uscire di nuovo. Che si sappia. Mettersi in pigiama alle 9 di sera è stato visto nei secoli come un peccato mortale. Adesso è l'assoluta controtendenza, considerando l'aggravante del sabato, mentre il resto del mondo si apparecchia da corsa ed esce nel mondo, noi, nella pace del nostro divano, nel silenzio delle mura domestiche o al limite in terrazza, trasgrediamo di un piacere sottile. L'attenzione va ora focalizzata sul modello. Già, perchè nell'immaginario collettivo il pigiama è di flanellona pesante, a colori pastello, magari disegnato a funghetti o piccoli tostapane. Orrore. Il pigiama in questione dovrà essere, tanto per cominciare, di seta o rasatello. Lucidino, ecco. E poi, taglio maschile e colore deciso. Un bel rosso lacca, magari. O un blu Cina. Si è così pronti per un sabato sera molto alternativo, a casa. In fondo, una settimana sulle Montagne Russe va conclusa in un certo modo. E con la seta, è noto a tutti, si va sul sicuro.

Tirarsi fuori.

L'avevo detto, io.
E' un'espressione che non mi piace per niente e che cerco di non dire mai. Inoltre, ha effetti deleteri se viene detta a me. Ma sorvoliamo. Ho passato gli ultimi tre giorni? di meno? di più?,non so, come a commiserarmi. A dirmi, deh, quanto sto male. Ahimè, derelitta, quanto sono sofferente. Tapina, sciagurata, infelice creatura. A darci giù di gocce e pastigline miracolose, sperando di arginare il malessere. In effetti aiutano molto ma il grosso del lavoro lo devi fare da te. Bene, ora mi sono scocciata. E tanto anche. Appartengo all'Associazione per la Protezione e la Diffusione del Vaffanculo Terapeutico. Lo so, lo so, non è bello a dirsi, le regole della buona creanza non lo contemplano, ma, accidenti, ogni tanto è assolutamente obbligatorio. E così, via libera ai Vaffan, così, di getto, veloci e leggiadri, senza pensarci sù, liberatori, asssoluti, volgari il giusto, che fanno bene al cuore, alla mente e allo spirito. Vaf, a chi non ci prva nemmeno a sfangarsela da solo, Vaf, a chi ti guarda come una marziana, Vaf, a chi ce la mette tutta per rovinarti una serenità semplice che hai costruito con anni di culo, ma sì, si può dire anche questo, oggi è anche la festa nazionale della Parolaccia Che Viene Dall'Anima, mica bruscolini. E Vaf, a chi fa le cose esattamente al contrario di come gliele ordini, Vaf a chi non capisce la lingua italiana, Vaf alla SDA Courier che ti hanno perso un pacco e fanno finta di niente, Vaf ai parenti serpenti, Vaf a chi non si fa mai gli affari propri, Vaf alla vicina di casa con l'uccellino e la lavatrice sulla porta da settimane, Vaf ai radical chic, Vaf a chi si crede scienziato e non sa scrivere il suo nome, Vaf alla fodera del divano che si sgualcisce a guardarla, Vaf, a chi ci prova, ogni tanto a farti stare male come un cane e che, caspita, ce la fa benissimo, Vaf a chi ti dice le cose senza guardarti negli occhi. E da ultimo, Vaf, dal cuore, a chi non sa di che pasta sei fatta. Una tosta, ecco. Che farà pure la mammola per un pò ma poi, artigli, bazooka, missili terra aria e magari anche un cannone, provateci solo, coraggio, son qua. Certo, andrebbe meglio un Al Diavolo, e sarebbe un pò più zen. Ma vuoi mettere la soddisfazione?

01 giugno, 2006

Che sian squadrate!


Certo, son problemi. E seri, cara la mia signora. La mano, quest'anno, come sempre, del resto, la dice lunghissima sulla sua proprietaria. Ho già detto la mia sulla cura e pulizia degli arti inferiori, prima di sfoggiare zeppe dorate e sandalini capresi. Ma la mano, anche d'estate, deve avere la sua ribalta, il suo momento magico, la sua bella fetta di attenzione. Ma procediamo con ordine. L'unghia della mano non và in nessun caso mangiucchiata, nemmeno nei momenti più tremebondi della nostra esistenza. Molte impenitenti viziose ricorrono alla ricostruzione, che dona in effetti un aspetto curatissimo a mani in pietoso stato di abbandono al loro bieco destino. Ottima scelta. Ma a chi, come a me, piacciono le cose naturali, ecco che il dover squadrare, limare, dare insomma un aspetto glamourous alla nostra mano, diventa un vero e proprio momento di riflessione profonda. Come? Quanto? E soprattutto, ahinoi, di che colore? Molto semplice. Il non colore sarà in assoluto la nostra bandiera dello stile innato, del fascino e dell'eleganza. E non parlo di trasparente, lo si intenda bene. Parlo di lattiginoso, lunare, stellare. Magari, con l'aggiunta di qualche glitter che raggiungerà il suo massimo di visibilio con la prossima abbronzatura. Niente è più chic di un'unghia curata, squadrata, brillantinata il giusto. I rossi purpurei lasciamoli alle altre, o tutt'al più conserviamoli per un'occasione specialissima. Per le altre volte, Beige Naturel, e non se ne parli più. Completare con un gioiellino discreto, un anello di turchese, magari, portato con discrezione, nonchalance e un tantino di distacco. Per manine laboriose che, è risaputo, quante cose sanno far.

Fragole spiaccicate.


Una vera definizione alternativa, non so se esista. Non è facile. Nel senso che, un individuo in buona salute, con una vita normale, certo non può accollarsi le disgrazie dell'umanità tutta. Guerre e carestie, pandemie e soprusi di ogni genere, brutto da dire, ma non possono essere risolti da noi medesimi, all'istante. Ciò non di meno, ci si sente frullati. Come se un carrarmato si fosse parcheggiato proprio lì, su di noi stesi a pancia in giù. Come se avessero preso il nostro cuore, la nostra testa e il nostro stomaco e lo avessero frullato con un robot da cucina di ultima generazione, che trita-taglia-frulla e impasta, per dirla tutta. Si sospira centinaia di volte, ci si guarda riflessi nelle vetrine, un pò curvi e con l'espressione da fila alla Posta Centrale e si cerca di darsi un tono. Operazione difficile ma non impossibile. Un pensiero alla festa di questa sera, uno spruzzo di mandorlo e un gloss al mandarino. Che con le fragole, lo si sa benissimo, ci sta che è un amore.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...