06 novembre, 2007

Tu chiamale se vuoi.




Ero scesa per cercare un'altra cosa, uno stampo da plum cake piccolino, che non uso da tanto. Così ho aperto lo stanzino delle cose, quale casa non ne ha uno, dove si stipano le tazze sbeccate che non hai cuore di buttare, qualche quaderno finito, un frullatore antiquato, una specie di sgabuzzino, dove tutto viene stipato dapprima con ordine scientifico e poi cacciato lì alla rinfusa. C'è di tutto, vecchi giochi, una coperta, gli album dei Pokemon e le scatole delle fotografie. E gli album, anche. Così, mi sono fermata, seduta a gambe incrociate, tra una fila di bicchieri di plastica e un cestino da picnic. Sì, forse avrei fatto lo stesso vestito. E lo stesso cappellino coi fiori freschi e i rametti di felce. Trovo. Persone che non vedo da secoli e dei quali nulla so più, persone che non vedo ma delle quali conservo ancora il numero sul telefono e qualche volta ci facciamo gli auguri a Natale. Rivedo. Persone volate via, tante, in verità, che strano vedere le foto di chi non c'è più, un ritratto che sorride, e ti piace pensare che adesso che lo vedi, sorrida anche da Lassù. Ci sono. Le zie coi cappelli e i mezzi guanti, lo zio col papillon, le amiche d'infanzia, i figli, che strano, avere i figli in situazioni come questa. E poi ci siamo noi. Belli, c'è da dire. Emozionati, c'è da scommettere. Uguali, c'è da sperare. Così, in un primo pomeriggio di un autunno cigolante, che non piace e non soddisfa e ci fa sentire scricchiolanti e un pò stanchi di niente, ci si ritrova a pensare, in uno stanzino pieno di carabattole e di disegni stropicciati, quanto amore c'è, quanta bellezza, quanta ineguagliabile perfezione, quanta sottilissima nostalgia, quanto struggente calore, quanta lucidissima felicità ci possa essere a sfogliare, per caso, le fotografie di un matrimonio. Del mio, nella fattispecie.

05 novembre, 2007

Spazzolato.

E no che non ho preso lucciole per lanterne, non che mi sono sbagliata, ho scritto qui invece che su Santa Polenta, certo che no. Solo che questa, bellezza, non è farina del mio sacco. E' un regalo, sissignora, anche se forse si dovrebbe usare l'imperfetto. Un regalo inaspettato, in realtà era stato annunciato giorni fa, tra una chiacchiera e un rovescio, Faccio un Salame di Cioccolato da Primato, e infatti, così è. Assaggiato prima con educazione, un angolino, sai com'è, questi week end di vacanza sono un vero attentato alla dieta, ma chisseneimporta, in fondo. E poi, assaltato e sbranato con voracità dai figlioli tutti, dal Giovane Holden in giù, ivi riuniti per consumare il rito della partita di calcio, la domenica sera, con il loro Patriarca. Tutti in fila, gatto e cane compresi, la Princi e la scrivente che della partita proprio non si curava, ma potevo forse occultarmi in un altro angolo della casa e fare la solitaria? Sarà stata l'ansia della sfida calcistica, sarà che non hanno fatto grande festa alla mia crema di zucca (Ti piace? Beh, Piacere è Un'Altra Cosa) ma il dolcetto della mia Amica dalle Perle Luccicanti ha fatto la parte della star. E poi, il packaging, che grande esempio di semplicità e classe. Colpita e affondata. Ben lo si sa, da mela nasce mela. Chiederci al Maturando per dettagli.

04 novembre, 2007

Merito suo.


La pace, credo. La bellezza, anche. La tranquillità, quella fatta di niente, non che devi andare a cercare di qua e di là, monasteri, ritiri spirituali e cose così. Il niente, insomma. Partita non proprio in forma, senza nemmeno tanta voglia, in realtà. Ma di voglia non se ne ha per niente, sarà la stagione, si dice, per alcunchè. Poi, il sole che sembrava di maggio, l'aria caldina, un vento discreto ed educato, nessun programma, se non giri e giri, una pizza, forse, un film, amici da vedere, ma con calma. Così, ci si porta fuori. Dalle tristezze, dalla malinconia diffusa, dal non voler essere da nessuna parte. Che noiose sono le persone quando sono così, che noiosa sono io quando mi sento così, un pò persa e un pò sospesa, una bolla che và, una mina vagante, un missile terra-aria, un pò brodino un pò nitroglicerina, un pò budino un pò marmo di Carrara. Che noia è starmi vicino, quando non ho il minimo slancio, quando potrei andare a Parigi o a Rozzano con la stessa espressione, quella da antibiotico, quella da Sto Andando dal Dentista, quella che mi fa stare arrotolata come un serpente nel cestino, e non c'è suonatore di piffero che riesce a farmi saltar fuori. Che donna sgradevole divento, quando non ho voglia di cucinare nemmeno un caffelatte, quando il mondo che mi gira intorno e dietro e di fianco potrebbe anche andare a farsi fottere, e che m'importammè. Sarà che c'è il mare. Sarà che luccica e che ho qui il mio Sposo e i miei figlioli più piccoli, ho un bel libro da finire e due maniche da attaccare alla maglia della Princi, che ha imparato ad andare sui pattini. Ho bisogno di tempo e di aria, di vento, anche come quello di ieri a Bergeggi, un vento salato, improvviso e affascinante. Così, piano piano, con piccole cose e piccole carezze, piccoli sciocchi miscugli che sgarbuglino i pensieri più intricati che ho, come il balsamo dopo lo shampoo, così, tutto tornerà come deve. C'è una musica lontana e non sono le sirene, questo mare di seta mi ha fatto un regalo, e laggiù, proprio là dietro, un suonatore di piffero farà uscire dal cestino uno sciocco, noioso serpente.

31 ottobre, 2007

Figlia.

Non voglio che ci sia nessuno con me, esattamente come nessuno ha voluto me. E' da qualche giorno che lo dico, ci vado domani, no, dopodomani, e non ho mai trovato il momento giusto, se un momento c'è, per queste cose. Così, ci vado stamattina. Vado ma non mi piace. E' qualcosa che mi schiaccia, ancora, nonostante tutto il tempo che è passato. E' un dolore che non passa, si attutisce, forse, e a volte nemmeno ci pensi, è lì, in un angolo e ogni tanto si sente. E andare al cimitero, come si deve in questi giorni, non è che farlo uscire, saltar fuori, premere la matita sul foglio fino a quando il segno che ne esce è più spesso e più nero. Piove. Piove di un dolore antico eppure così vivace, piove di magoni ingoiati, di lacrime cacciate giù, ma dove vanno davvero a finire le lacrime che non si piangono? Piove di un ricordo che strugge, di un buco nel cuore, di fiori troppo profumati, di passi su quelle scale, i gradini ad uno ad uno, fatti piano, leggeri e ogni volta è come quella volta, ogni giorno come quel giorno. Ho amato e odiato questo posto, a tempi alterni. Mi piaceva col sole, venivo qui e chiacchieravo, un pò più di un bisbiglio. Qualcuno deve avermi preso per scema. Adesso, invece, mi fa male. Che strano, però, sono grande, adesso, è passato così tanto, avrei dovuto farci l'abitudine. Si può fare l'abitudine ad un amore che và via? Così, resto qui, come mille altre volte e prego, forse, se i pensieri che mi escono possono dirsi preghiere, e ho un senso di rigidità e insofferenza e infinita nostalgia. E di abbandono, anche. Ci vengo sola, senza i miei figli, adesso. Perchè, anche se nessuno mi ci fa sentire e me lo ricorda, io, qui davanti e solo qui , sono figlia. Ancora, figlia.

30 ottobre, 2007

Son domande.

Perchè all'Esselunga vendono il filetto di tonno obeso?
Perchè quando piove la gente rincitrullisce?
Perchè sulle strisce pedonali attraversano uno per volta e tu stai lì delle mezz'ore ad aspettare che passino tutti?
Perchè i carrelli del supermercato sono sempre pieni di porcherie?
Perchè se digiti su Google "Seppie coi piselli" salta fuori la pubblicità di capsule atte ad aumentare il volume dell'attributo maschile?
Perchè se chiedi a qualcuno Come Stai? ti risponde di sicuro "Sempre di Corsa"?
Perchè il 31 di ottobre sono già lì ad allestire luminarie e qualcuno mi ha chiesto anche che cosa faccio a Capodanno?
Perchè c'è gente che quando ti chiama al telefono tu dici Pronto e lei dice Pronto e tu dici di nuovo Pronto e lei di nuovo Pronto finchè tu non la riconosci e si può finalmente iniziare la telefonata senza che nessuno chiami il 118?
Perchè nessuno ha mai beccato in castagna quelli che scrivono sui muri "Sei la mia vita e per sempre sarà" oppure "Io e te 3MSC" per dargli una passata di legnate?
Perchè nelle ricette, quando ti indicano 200 gr. di ricotta, o 500 gr. di gamberetti, aggiungono sempre "freschissimi"? E se fossero di ieri?
Forse è meglio che vada a dormire. Lo dicevo, la levataccia si farà sentire in qualche modo.

Imbambolata.


A me, questa vicenda dell'ora legale e dell'ora solare non ha mai fatto impazzire. O meglio sì, nel senso che proprio mi manda fuori dai sentimenti, come diceva mia nonna, e che nemmeno ho mai capito tanto cosa volesse dire, fuori dai sentimenti, ma mia nonna era così, aveva delle espressioni colorite e personalissime che la rendvano unica, tanto da essere citata da ma quasi quotidianamente. However, oltre che fuori dai sentimenti, si aggiunga stamattina un bello stordimento, una sorta di deficienza, nel senso più letterale del termine. Sbagliai. Errai. Omessi. Dimenticai. Mi sfuggì. Di allineare la mia sveglia all'ora solare. La mia personale, non già quella del mio sposo che suonò ieri. La mia, quella tondeggiante e trasparente che sta sul mio gnomo accanto al letto. Orbene, perciò, eccomi in una buia buiissima mattina di fine ottobre, con la collina bella avvolta nella carta velina, ad aver condiviso il risveglio con i tranvieri e gli operai e i minatori: ore 5,30. Il delirio. E me ne sono accorta solo a colazione, solinga, dato che il mio sposo è assente giustificato e non riederà che questa sera. Così, imbambolata, ecco che ho già letto tutti i quotidiani possibili, qualche pagina di un libro nuovo nuovo, consigliatomi dalla mia Amica e attendo in serenità il momento di svegliare i figlioli, tra un'ora circa. Gli effetti di questa levataccia si ripercuoteranno, lo so già, sul normale svolgimento della giornata. Sverrò, voce del verbo svenire, sul divano, questa sera poco dopo il Tg, non aspetterò neppure Carosello. In fondo, l'omino del parcheggio avrà ragione: "Il suo biglietto, Bambola", mi apostrofa ogni mattina. Ma si tranquillizzi il mio sposo: l'omino in questione è un arzillo signore sulla settantina, con qualche acciacco, fra reumatismi, prostata e cataratta. Imbambolata o meno, sveglia o addormentata, son soddisfazioni.

25 ottobre, 2007

Lesson number one.



Omioddio! Alla fine, sono andata sul serio! All'incontro da Baratti, intendo. Una meraviglia. Certo, mi sono un pò vergognata, diciamola tutta. Avevano tutte in mano lavori da restarci di stucco, quattro ferri, per cominciare, di quelli minuscoli che fino ad ora ho visto solo a Typesetter e a pochissime altre. E poi, ferri circolari, lavori jacquard, guarda che carino, l'ho fatto io, ma cosa vuoi che sia, è solo un...cappottino, una cosina semplicissima. E io lì, tra queste dee del diritto e rovescio, da queste maghe dello knitting, a fare la mia sciarpucola a maglia riso, insignificante e sciocchina. Una dilettante. Mi sono divertita, però. Primo, a guardare le facce di chi ci vedeva, in un ambientino così aristocratico, dame con guance di cartongesso, spilla e guanti di pelle color cipria. Poi, a tradurre in inglese termini come bicerin e a farne lo spelling. Grazie, grazie, grazie a tutte voi, a Cristiana, che finalmente ho conosciuto, che fa cappotti che sono e vere e proprie opere d'arte. Grazie a Kathryn che ha organizzato tutto quanto, a Brenda e al suo ormai leggendario podcast, e a Lorenza, che ha promesso di essere al prossimo Knit cafè di Alessandria. A tutte, un arrivederci a presto. Magari, alla prossima lezione di knitting in inglese. Da non perdere, assolutamente.I want to thank all the knitters I've met today and wish a wonderful journey with wool and needles in our country. Nice to meet you soon and I hope to learn the use of circular needle. Take care.

E perciò.


...dovendomi ivi recare per altre vicende, e trovandomi accidentalmente in questa splendida città che amo da morire, quasi quasi un giro qui lo faccio. Bene, ci si vede colà. Io, mi incammino.

Un'autoreggente ci salverà.


Nel senso di calza, com'è ovvio che sia. Eccheccavolo, vogliamo tirarci un pò sù, in maniera del tutto innocente e casta e pura? Chi l'ha mai detto che le autoreggenti siano sinonimo di postribolo, storie torbide e donne di malaffare? So di donnine con l'espressione di Bernadette che indossano intimo da urlo, ogni mattina, senza per questo aver annotato in agenda Dentista quando invece si recano al motel più vicino. E' una pratica del tutto consentita. In realtà non sono una grande estimatrice di siffatto articolo. La gommina degli elastici mi dà allergia, ho sempre la sensazione che mi scivolino giù, e, diciamolo, non è proprio una bella esperienza. Però piacciono, eccome. E lei, signora mia dalla faccia stupita e scandalizzata, sappia che, se si fa un giro da Calzedonia, le fantasie più belle e più cool sono proprio del genere autoreggente, con un pizzo alto e fascinoso, sexissime, coprenti il giusto e dai colori più eleganti. E quindi? E quindi si rechi. Acquisti a man bassa la fantasia a piccoli pois, oppure quelle righine lì che sotto al tailleur traslucido stanno che è un amore, le abbini unicamente a ballerine ultraflat per scongiurare l'effetto Raccordo Anulare e via. E cosa importa se così apparecchiata stile Mamma dello Sposo si spinge solo fino al mercato a comprare i mandarini di Sicilia. Sotto sotto si sentirà irresistibile, una specie di Michela Brambilla di noialtri. Come dice? teme un raffreddore? Ohibò. Ma come devo fare io, con lei?

24 ottobre, 2007

Lezioni di volo.


No, anzi, di guida. E nemmeno tanto lezione, in verità, che cosa devo insegnargli, se guida già come me o quasi? Và detto che la mia macchina è molto simile a quella degli autoscontri, schiacci e vai, non devi star lì a scalare, cambiare, grattare con la frizione, andar su di giri, partire in quarta e cose del genere. Si chiama cambio automatico, bellina. Comunque, oggi, mi è successo. E mi sono trovata lì, un pò ebete, a guardare questa sventola di figliolo, bello, bello e ancora bello, vestito come me alla sua età, il pullover a punta e la Lacoste, bello come si può essere belli a diciassette anni, bello come lo sono in pochi, fuori dal liceo per me che sono la sua mamma, è maledettamente ovvio, è figlio mio. Ma anche per la Biondina Casco d'Oro, mi sa tanto, e un'altra mezza dozzine di figliole sparse di qua e di là in varie scuole cittadine. Non vuole che parli di lui, si arrabbia sempre o fa finta, mi sbarra quegli occhi a fanale, colore della nutella, colore delle castagne selvatiche, quelle da mettersi in tasca per scacciare il raffreddore, quelle che non si mangiano, colore della palude d'estate, un pò verdastri un pò marroncini, un pò di mio e pò di suo padre, che li ha verdi come il lago. Si arrabbierà anche stavolta. Ma oggi che guidava, con quell'espressione concentrata e strafottente, e fiera anche, Lo Vedi, So Già Guidare, che abbiamo fatto il giro dl villaggio che è tranquillo e non c'è nessuno e non è da arresto immediato, oggi, anche oggi l'ho visto un pò più grande. E adesso non menerò il torrone, dicendo che sigh, quanto è già grande e che non vorrei, ma solo confessargli che ho fatto una grande sceneggiata e che non andava affatto veloce, e che l'ho visto sicuro e capace e che non ho avuto paura nemmeno per un istante, nemmeno quando facevo finta di, e che è bello, bello, bello come il sole. E che io, la sua mamma, lo amo da morire. E adesso, si arrabbi pure.

Il ferro da stiro.


Si capisce da subito. Dalla pesantezza che hanno le gambe a scendere dal letto, dai minuti in cui si indugia sulla sponda, guardando fuori, gli alberi, il cielo e poi di nuovo gli alberi e poi di nuovo il cielo, senza spinta, senza voglia, senza e basta. In realtà, qualcosa non funzionava già da questa notte, quando scalze ci si è spinte fino in cucina, a fare uscire il gatto e a bere, bere, bere tonnellate di acqua per mandarlo giù. Ma lui non si è mosso. E' rimasto lì, appeso al suo solito posto, ben accomodato, pesante e ingombrante, sul petto. Un peso sul cuore. Una nostalgia, non so di cosa. Una specie di tristezza ma no che non sono triste, allora è preoccupazione? ma nemmeno, no, non mi preoccupa niente che non sia di ordinaria amministrazione, le solite sciocche cose di una vita comune e semplice. E allora. Allora è lui, questo fardello che ho, il ferro da stiro che non stira ma sta lì, una specie di stanchezza, una specie di mille sensazioni che non si decifrano, ma nessuna gradevole, in ogni caso. CI si sente un palloncino sgonfio, un soufflè squacciato, una lattina di Coca Cola aperta da due giorni. Si cercherà. Di sciogliere questo ammasso di ferraglia, di spostarlo almeno un pochino, di sorridere, magari e non di stare lì a pensarci sù, e a dire, ecco, lo sapevo, eccolo di nuovo, e adesso? Ci si attrezzerà, in qualche modo, che cosa si fa per spostare i ferri da stiro, si spruzzano quintali di appretto sul collo della camicia, così da farlo scorrere meglio, no? E tu spruzza, coraggio, che il ferro scivolerà. Spruzza, muoviti e sospira, vuota fanciulla che ancora non sai che il cuore, bellezza, no che non si stira.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...