05 febbraio, 2008

Regole auree.


Ovvero, un bel manuale di sopravvivenza. Dieci modi per sfangarsela, sempre e comunque. Dieci vie d'uscita, lo sanno anche i sassi che alle elementari disegnavo le case con due porte e due strade diverse e la maestra a dirmi, Bambina, Ma Come Mai Due strade, Così Riesco a Scappare, dicevo, Ma Scappare da Cosa Bambina e non mi ricordo bene la risposta. Non che voglia scappare, certochennò, ma certo che non mi passa nemmeno per l'anticamera del cervello, o almeno, non scappare con armi e bagagli e fare a tutti ciaociao con la manina, me ne vado e tanti saluti carissimi. Si può scappare per anche soltanto un quarto d'ora, una mezz'oretta, una serata intera, un bel pomeriggio di sole, o da mattina a sera. Dieci regole auree per tirarsi fuori, per vedere le cose un pò più colorate, una scatola di dieci pastelli, dove, manco a dirlo, non c'è il nero.
Vediamo perciò cosa suggerisce una donna qualsiasi, per stemperare momenti di tensione mista ad ansia mista a disperazione mista a Ditemi Dove Posso Comprare Quella Polverina Se No Mi Butto dall'Abbaino che dal Salone mi Faccio Soltanto Male.
- Cantare. Possibilmente a voce altissima, avendo cura di scegliere un brano consono, che so, Sì Stupendo di Vasco Rossi, vedendo di rendere il meglio nell'interpretazione, soprattutto alla frase Mi viene il Vomito.
- Alla bisogna, alla centesima malattia vera o presunta dell'ancella, passare l'aspirapolvere con l'iPod nelle orecchie a pallissima. Scegliere anche qui un brano di quelli giusti, the Final Countdown, per esempio, e mimare con l'aspirapolvere medesima il suono del basso. O magari, completare con una serie di affondi, frontali e laterali: ne gioveranno glutei e interno coscia e di questi tempi, male di certo non fa. Accertatevi che nessuno sbirci dalla finestra.
- Fare un progetto. Di qualsiasi tipo e non di centenaria realizzazione. Un maglioncino veloce, un cappellino per l'estate, una tovaglietta per la colazione. Il veder realizzato un lavoretto tutto vostro vi renderà più lucide nell'affrontare anche la più spinosa delle situazioni. E modestamente, di spine me ne intendo più di un intero esercito di ricci di mare, di terra e pure di cielo, già che ci siamo.
- Riordinare la dispensa. La grande soddisfazione si cela nel buttar via baccelli di vaniglia scaduti, farine a metà ormai residence di una intera colonia di farfalle macaone, e mezze bustine di lievito Bertolini ivi stipate dal lontano 2001. Soddisfazione e consapevolezza di aver reso un servigio impeccabile al resto della famiglia.
- Sconsigliato leggere un buon libro. La vostra mente ha già abbastanza pensieri e non la si può mica riempire come un tacchino il Giorno del Ringraziamento. Ben perciò, è tempo del tutto perso cercare di fissare le frasi del libro. Dovreste tornare indietro cento volte a capire chi è l'amante chi, chi abita dove e alla fine sareste ancora più elettriche e storneggiate.
- Girare senza meta. Trovate una mezz'ora, appena prima che esca la Princi, magari, o subito dopo aver accompagnato qualcuno a calcio. Parcheggiare e camminare, camminare. Magari, col naso insù, scoprirete angoli della vostra città che mai avreste osato scoprire. L'importante è non avere un luogo preciso. L'arte del bighellonare, a tempo, s'intende, è quanto di più terapeutico per far uscire dalla vostra testolina i pensieri sgraditi, anche i più ostici.
- Un giro in profumeria. Senza comprare niente, mi viene da aggiungere, anche se mi rendo conto che al momento, con tutti i nuovi trucchi primavera estate, è impresa improba. In profumeria si può osare. Ci si può spruzzare con ogni sorta di fragranza, confrontare ogni nuance di rossetto e ogni texture di cremina o gloss. Si esce, profumatissime e col dorso delle mani bistrato, ma soddisfatte. E un tantino più serene.
- Fare una torta. Meglio se un filo complicata, ma va bene anche quella Buitoni delle buste. Il profumo che si spanderà per tutta la casa sarà come un richiamo al ragionamento, alla calma, alla pace. Non importa se non sarà uguale alla foto, troppo cruda o bruciacchiata. In fondo, cosa c'è di più paradisiaco del profumo caldo di una torta nel forno? E poi, si sa per certo, anche le più tremende delle paure e dei sensi di totale inadeguatezza, se cotti in forno a 180 gradi per quaranta minuti e spolverizzati di zucchero a velo, spariscono, puff! come per magia.
- Pollice verso anche per il bagno caldo. Lì i pensieri galleggiano galleggiano, non ne vogliono sapere di andare via, e si resta lì, l'occhio impallato a guardare la schiuma e si esce più tristi di prima, fiaccati dalla temperatura dell'acqua. Niente di tutto ciò, meglio una bella doccia energizzante, freddina, oso dire, uno shampoo curativo e un bagnoschiuma profumatissimo. Decisamente meglio.
- Scrivete. Non importa cosa a chi. Scrivete le cose che vi vengono in mente, fosse una favola o la lista dei film che avete odiato, la poesia di Natale o una canzone di Baglioni. Scrivete e basta. Scarica, tonifica, rilassa, risciacqua menti obnubilate, fortifica. Scrivere è per me un blister di antidepressivi, un bicchiere di Citrosodina dopo il fritto misto, il burrocacao a tremila metri. Scrivere mi fa regina, mi fa sognare, mi fa che mi sento bene, dopo. Così scrivo e scrivo. Regole auree che auree non sono, cose inventate ma solo un pochino, un gioco innocente, un modo di essere, una specie di inganno non agli altri ma a me. Funziona? Non so. Quel che so è che mi piace. E il resto, che importa, vedremo, chissà.

04 febbraio, 2008

Colgo l'occasione.


C'era un libro, una volta, così intitolato. Mi pare fosse di Luca Goldoni, indagherò. Colgo l'occasione per spiegare. In realtà da spiegare non c'è molto, ma l'occasione me l'ha data lei, che non conosco, e che ha lasciato un commento poco più giù. Che Calma nelle Tue Parole, dice. Condividiamo un percorso terreno piuttosto simile, credo, abbiamo la stessa età e un discreto numero di figlioli. Dice Che Calma. Calma. Già. Sono calma. Di una calma da sbattere la testa contro il muro. Di quella calma che hanno gli internati, credo. Di quella calma che arriva un attimo prima che svuoti con rabbia il contenuto ancora perfettamente commestibile di una ciotola di vetro blù. Calma, appena prima di sbattere la porta di casa così forte che i vetri fanno dlin dlin come le campanelline che sono attaccate a certe uova di Pasqua. Sono calma, certo, e scrivo la lista della spesa con una precisione maniacale, in base alla disposizione del supermercato, lo avreste mai detto? Non sono calma, per nulla al mondo, ma faccio progetti di ricamo faraonici, una tovaglia ma solo per 18. Non sono calma, ma sorrido e sorrido e faccio finta che niente mi smuova. E mi deve riuscire piuttosto bene, oserei dire che funziona, e potrei anche essere contenta di me e dei miei risultati. Bene bene bene. E grazie a chi mi dice che traspare calma dalle mie parole, vuol dire che i miei esercizi di stile, scritti qui, ricamati o tricottati, il mio concentrarmi solo e soltanto sulle cose che piacciono a me, sulla mia confusionata, scellerata, eterogenea, variegata famiglia misto sottobosco, una torta dei sette vasetti, una frittata di duecento ingredienti diversi, fave e caviale, stracciatella e melone, nutella e purè. Funziona. E gli impeti di ira, il nervoso accecante che ti fa digrignare i denti e sbuffare e sbattere e lanciare e stropicciare, occultati, obnubilati, ben nascosti o dissipati, o terapeutici: si fa e si sta subito meglio. E poi, ben presto ci sarà la Santa Pasqua, e hai voglia a campanellini! Ecco, confusamente o meno, ho colto l'occasione. E grazie, Patfi.

Quasi.



Non amo affatto il carnevale. Anzi, la trovo una questione così triste, ma così triste, e quasi forzata, e deprimente in un certo senso, no che non mi piace. Una quasi festa, i figlioli quasi tutti a casa, qualcuno sì, qualcuno no, una quasi vacanza, che quasi si poteva andare tutti al mare, ma così, a ranghi quasi completi non si è potuto e allora si è dormicchiato, beati, fin quasi alle 8, si è programmata una giornata di quasi riposo, quasi un week end lunghissimo insomma. Che prevede una serie di compiti quasi piacevoli, una spesa per le Regie Truppe, un giro al mercato, un film alla tv. No, decisamente non mi piace carnevale, nemmeno da piccola, credo, anche se ho ricordi di feste e di scorpacciate di coriandoli e di una batteria di pentolini vinta come miglior mascherina a un ballo, spagnola con mantiglia e nàcchere, mica pasta e fave. No, non amo carnevale. Le immagini dal Brasile mi danno la nausea, i carri di Viareggio mi mettono quasi malinconia, senza contare le maschere immobili di Venezia, quelle coi pizzi e che si tengono sù con la bacchetta, che trovo vagamente inquietanti e che mi mettono quasi paura. Ma. Se carnevale significa avere qualche figliolo a casa, che quasi stasera si può fare un pò tardi, poter disporre di due giorni quasi normali che son quasi vacanza, di far cose un pò insolite per due giorni quasi normali, allora, beh, in fondo in fondo non mi dispiace nemmeno e forse, un pochino, questa festa inventata e un pò fuori luogo mi fa quasi piacere, e quasi son contenta che ci sia, e quasi quasi forse al mare ci andrò sul serio, che quasi mi ci crogiolo in una vacanza regalata e quasi mi piace. Ho detto quasi.

02 febbraio, 2008

Just relax.


Ossì che ci vuole. Il sabato in questa casa è certamente il giorno che mi piace di più, forse anche il venerdì, è una bella gara, ma di sabato tutto acquista una sana mollitudine che non so spiegare, una lentezza che scalda, un dire, Ma sì, lo Faccio Dopo, o Non Lo Faccio Proprio, e non ci sono orari se non quello moooooolto elastico del catechismo della Princess, che magari per la prima volta quest'oggi andrà anche al cinema pomeridiano con le sue amiche. Qualche figliolo a scuola, qualcuno a casa, qualcuno che riederà dal Politecnico in giornata, mi pare, ma niente è sicuro, abbiamo notizie nebulose dal Giovane Holden, faccia un pò quel che ne ha voglia. La grande magia del sabato mattina, intorno alle 10, è che questo fine settimana si può programmare al secondo o non programmare affatto, dire, possiamo andare al mare o stare sul divano a guardare in sù, possiamo cucinare un pranzo a 8 stelle o fare i toast o scongelare una pizza, magari, un hamburger al volo, un'insalatina velocissima o fare gli gnocchi. E poi, possiamo truccarci come la Callas o stare in camicia da notte fino a quando ci va. Possiamo leggere quel libro o ricamare cuori o preparare una torta. Ci si sente liberi, padroni in un certo senso di questa giornata speciale, ecco, decido io tutto, se togliere le tazze o lasciarle lì, se accarezzare il gatto o guardare fuori o cambiare il colore della cucina. Si assapora ogni secondo, di questo ozio dorato, di questo niente che è quasi tutto, in fondo, che permette di dare uno stop alla frenesia della settimana, ai pensieri, ai pesi sulle spalle che qualche volta ti sembra proprio di avere una decina di Castiglioni Mariotti proprio lì, sparsi addosso, un pò sul collo e un pò sul cuore, e non hai mica tempo di scrollarteli, nemmeno la forza, se ne stanno lì, impilati e pesantissimi. Oggi si avrà tempo di tirarli via, di spolverarli magari, di toglierseli di dosso e di metterli, per un pò, nel mobile basso accanto al divano, sotto il tavolo, nasconderli sotto i cuscini o la coperta fatta da te, coi ferri n.25 che hai comprato a Londra, che è pesantissima e se ce li metti nemmeno si vedono, o fuori, sul terrazzo, che tanto pioviggina e un pò si sgualciranno e poi qualcuno, magari, nella notte passerà e li ruberà, così lunedì mattina, toh guarda, non ci saranno più.

01 febbraio, 2008

Eran seicento.


Ma quante sono. E quanto pesano, seicento fragole tutte in fila? Forse, nemmeno i miei fruttivendoli di Piazza Marconi, Sahid e Mohamed, ne hanno mai viste tutte insieme. Seicento. Fa un pò impressione a dirlo. Oggi festeggio seicento post sulle Fragole. E siccome mi va di festeggiare ogni cosa, quest'oggi, mi invento una serie di feste e festine da perderci la testa. Quindi, seicento Fragole. Seicento volte in cui sono venuta qui a raccontare qualcosa, di me o di chissà chi e che cosa, seicento volte che ho scelto un titolo, una foto, e ho passato quei dieci minuti netti a scrivere, scrivere, scrivere, dire e non dire, piagnucolare, lamentarmi come una donna media, esaltarmi per una scemenza stellare, andare in brodo per un nonnulla, giocare, anche, chi me lo impedisce. Spengo così seicento candeline. E oggi festeggerò anche una quantità veramente indegna di cose: è febbraio, tanto per cominciare, e meno male che gennaio ce lo siamo tolto di torno, davvero, non lo sopportavo più. E poi festeggio che oggi ho una borsa nuova, non nuova del negozio, nuova perchè ho cambiato, travasando l'immane confusione che regna da una all'altra. E poi, vediamo... ah sì, festeggio anche che oggi passerò all'autolavaggio, che voglio una macchina lucida lucida per questo febbraio. E festeggio che è venerdì, festeggio che ho ripassato con la PrinciZuccherino il Trentino Alto Adige. Festeggio i miei capelli lunghi, un campioncino di lucidalabbra trovato in giro per casa, festeggio che sì, che dai, che sì che me la sfango anche stavolta, festeggio i pettirossi del mio giardino, che oramai sono una decina, festeggio la Coccoina che ho comprato ieri, la moto del Maturando che è aggiustata, l'esame del Giovane Holden che ha preso 28. E festeggio il sorriso del mio Sposo, i riccioli del Piccolo Liceale, il libro che mi è arrivato questa mattina e mi sa che per tutte queste feste qui ci vuole una torta. Indecisa sul gusto? Mannò! Alle Fragole, per forza di cose. Ma...ce ne staranno seicento?

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...