19 dicembre, 2008

Zingari.

In fondo, lo siamo in pò tutti. Noi, però, di più. Noi che abitiamo la casa in collina, così aperta a mille amici, al caldo, nel morbido del divano, col fuoco, le chiacchiere, i ragazzi, le cose. Nessun parente. Un pò orfani, di nonni e di zii, di zie, anche, di quelle che al compleanno ti regalano il pigiama, che ti fanno il dolce la domenica pomeriggio, che si ricordano, le uniche, l'onomastico di tutti. Di nonne, il soldo per i dentini, la medaglietta del battesimo, di discorsi un pò lontani, a stupirsi sempre di come usano il computer, e di quella cosa con la musica che hanno nelle orecchie, nonne a scuola di telefonino, i finti rimproveri per i pantaloni scesi, per le gonne troppo corte, per quel filo di trucco. Noi no. Non abbiamo zii, non abbiamo nonni, e se ce li abbiamo è come non averli. Strano. Ho imparato a non pensarci troppo sù, pazienza, mi dico, ho provato e riprovato e sofferto come si soffre quando si chiede un affetto che, inspiegabile, non c'è. Ma a Natale, accidenti, com'è diverso. Che belli i miei Natali da ragazzina, la tovaglia ricamata e l'insalata russa, e mille cose e mille dolci e mille piatti, chi fa questo e chi fa quello, e a contare le dozzine di agnolotti in cucina, basteranno? e il panettiere che portava in bici il pane per 3 giorni, e io che arrotolavo per bene i tovaglioli, scrivevo i segnaposti coi pennarelli, facevo il centrotavola col Das e i rametti di pino e la neve finta e l'oro spruzzato e la candela rossa e la letterina sotto il tovagliolo e la poesia recitata in piedi sulla sedia, mio padre coi lucciconi. Un bel niente. O meglio, no, un bel tutto, siamo così tanti, noi qui, ma siamo noi e basta. Per uno strano meccanismo del destino noi siamo sempre solo noi. Noi troppi per invitarci, noi che abbiamo i nostri impegni, noi che poi i ragazzi escono e io che cosa faccio lì, noi che tanto non ci serve niente, che abbiamo tutto, che siamo qui, nella casa in collina, lontana da tutto e da tutti, così complicata da raggiungere, la nebbia, poi. Noi, che nessuno arriva con le pentole, che nessuno ci chiede Quanti Agnolotti Allora, che non stiliamo menù con nessuno, tu fai questo e io faccio quello, noi, che per non pensarci dobbiamo andare via, zingari nostro malgrado, bello, bellissimo, ma un pò triste, in realtà, noi, orfani di affetti di famiglia, noi, falange armata contro il mondo intero, noi, perfetti, lontani, in ogni caso, soli.

17 dicembre, 2008

Mattina presto.

Non è che si perda tempo, alla casa in collina. Ci si sveglia all'alba o quasi, quando, col tempo da lupi che c'è là fuori, ci si vorrebbe crogiolare e accoccolare e acciambellare sotto le coltri e poltrire, dormicchiare, leggere o guardare il soffitto, semplicemente. E invece, un bel niente proprio. Si barcolla fino in cucina, dopo aver svegliato di baci qualche figliolo che ancora frequenta le italiche scuole, dacchè il Giurisprudente già in vacanza si trova. Un risveglio così incerto meriterebbe una colazione lenta e pigra, mescolare il latte con rimbambita lentezza, giusto il tempo, quell'oretta, di carburare come si conviene e mettere in fila i pensieri, ad uno ad uno, devo fare prima questo e quest'altro, e passare da qui e poi di là, stiracchiarsi, magari, sbadigliare con eleganza, sospirare un pochino guardando di fuori. Fandonie! Noi qui si arriva al desco famigliare ch'è bell'e pronto per la colazione, tutto bene in ordine ingegneristico, la mia tazza personale, il cucchiaino coi cuoricini, insomma, una roba da spot. E' quel che viene dopo che ti squassa. Già, perchè l'Illustrissimo, che il Cielo lo assista, è già sveglierrimo, pinto e tratto, già sul pezzo, come si dice, e io faccio una ben misera e tapina figura, col mio pigiama a pallini e la faccia a forma di cuscino, che ancora sono nella fase in cui cerco di ricordarmi, ma cosa ho sognato? Lui, l'Isoscele, ha già letto ogni sorta di quotidiani, rossi, neri, gialli e blù, e rosa, anche, che per prima si legge i titoli della Gazzetta dello Sport. Perciò mi informa, riporta, mi fa un riassunto di quanto è accaduto nelle ultime ventiquattr'ore. E domanda. Ma cosa domandi, non vedi che ancora non ho avviato il cervello, che non so nemmeno bene che giorno è e quanti ne abbiamo e cosa e come e nemmeno dove, in realtà? Io dormo ancora, dall'impiedi, anzi, da seduta e tu già nel circuito forsennato che è la gestione di questa vita così bella ma, mi si consenta, un tantino complicata. Lui, Uno e Trino come lo chiamano i figlioli, ha già avuto una tonnellata di idee. Ti andrebbe se, ho pensato che, oggi si potrebbe, e magari fra due anni, oggi potresti fare,ti piacerebbe se, sai cosa mi è venuto in mente, e cosa pensi di. Pensi? PENSI? Ma io non penso ancora, mio Sposo adorato, lasciami nel mio limbo di sogni e piumone, ancora per un pochino, ancora non ho attivato, non ho connesso, non ho un bel niente. I miei ingranaggi sono fermi da ore, dài loro il tempo di attivarsi per bene, di cominciare a girare per produrre pensieri di senso finito. Niente, mi sa che mi tocca svegliarmi sul serio. Così, catapultata dal mondo ovattata del sonno a quello incasinato e già organizzatissimo ed efficientissimo e sveglissimo dell'Illustrissimo. Così, in questo delirio mi accingo ad iniziare la mia giornata, che ho la connessione gentilmente offerta dalla Cicolita e che dura fino alle 8, e perciò mi devo sbrigare. Una congiura contro di me. Che va bene che i vicini di casa non si scelgono, e passi, ma forse, avrei potuto almeno sposare un uomo meno complicato. Ma sai la noia?

16 dicembre, 2008

Bella.



...ed è in certi sguardi che si vede l'infinito.

Vento da dove.

Non si capisce. E' raro il vento qui, che quando arriva porta l'odore del mare, le promesse dei marinai, il richiamo delle sirene. E' un vento gelido e impertinente, e quale vento non lo è, e soffia e fischia tra le persiane chiuse, e appiccica le gocce di pioggia sui vetri, pietre preziose, schegge di brillanti misteriosi, briciole luccicanti. E' un vento da burrocacao, da guanti, sciarpe fin sul naso, da cappelli calati sugli occhi, un vento freddissimo e di poche parole, non credo porterà nulla di buono, forse neve o ancora pioggia e pioggia, che non è bella prima di Natale, la pioggia fa tutto più triste e più buio e noioso e malinconico. Ma tu soffia, vento, soffia forte e veloce e sibila e fischia come sai fare, strappa le nuvole, scopri i misteri, lucida i pensieri e porta via quelli pesanti e quel pò di magone, portalo via, più lontano che puoi, lontano davvero, da dove vieni tu, lontano da dove.

14 dicembre, 2008

La festa.



Bello. Si è cucinato per un pò, si sono lavate tonnellate di bicchieri prima e inspiegabilmente tonnellate di bicchieri dopo, ma quanti eravamo accidenti, che alla cena di Santa Lucia è tradizione che non si manca per niente al mondo, ci fosse pure la bufera là fuori. Si radunano gli amici, quelli più lontani, ma solo di chilometri, e poi, si stila un menù semplice e d'effetto, bianco, come si conviene quest'anno, che la tavola è bianca, e i fiori pure, e i segnaposti e i piatti e tutto. Ben perciò, un menù bianco, che no che non era certosa e purè, anche se forse, a questi amici qui, potrei anche dare quello, chisseneimporta, loro sono qui per noi, mica per le cose che cucino, ma già che ci siamo, cerchiamo di fare cose semplici ma d'effetto, e lì a scervellarmi per giorni e giorni, che non è che ci siano in giro tutti questi cibi bianchi, ci crede o no, signora mia? La serata è scivolata via, gradita e graziosa, ciarliera e ridanciana. Buonissima Santa Lucia, ai miei amici del cuore più cuore, a quelli che sanno le cose di me che a volte mi dimentico anche io, che sono la mia memoria, la mia famiglia allargatissima, i miei affetti, il mio calore più prossimo, le cose belle che ho. I miei amici ici ici ici, come hanno scritto sul biglietto, il primo da mettere sul camino, i primi pacchetti sotto l'albero zen, i miei amici più vicini, quelli che sanno tutto, fanno tutto e mi perdonano tutto. Anche di aver scordato l'insalata.

10 dicembre, 2008

Devo spiegazioni.


E' una specie di fagotto. Un gadget. Una cosa di pelo liscissimo, ha per naso una Morositas, le orecchie pendule, gli occhi dolci e un pò così, come a dire, fate di me quello che volete. La cercavamo da un pò, volevamo un cucciolino da accudire, dacchè non c'è molto da fare in una casa come questa, ed è tutto uno sbadiglio e uno zapping e un darsi lo smalto e farsi la piega. In realtà, è un regalo di Natale, il primo fatto e ricevuto. E' un cucciolo buffissimo di Cavalier King, una specie di Lilly e il Vagabondo, mi dicono. So bene che è una cosa da folli. So bene che tutti mi dicono CheCoooooosa? Un altro cane? No in verità non è mica un cane, questo qua. E' un giocattolino, un peluche, a metà tra un neonato e un Nintendog, è tutto bacini e leccatine e sguardi languidi e coccole, e nanne lunghissime in braccio a questo e a quell'altro, vero è ben che non le manca la compagnia, qui dentro. Lei, che ha nome Tiffany, ha due mesi appena, e ci ha fatto uscire di senno un pò tutti, il Giurisprudente compreso, che ha buttato alle ortiche la sua fama di bello e impossibile e si sdilinquisce con questa piccina in mano. Gli altri animali di casa non fanno una piega. Beverly la annusa e ci guarda, come a chiederci Ma Che Cos'è? salvo poi spingerla col muso per aiutarla a fare le scale. I gatti, beh, nemmeno loro hanno capito che è un cane, nella stessa uguale misura in cui Tiffany ancora non ha capito che loro sono gatti, nemici storici, a cui ringhiare, a cui fare gli agguati, ma coi quali lei, per il momento, vuole solo giocarci. E noi qui, il mio Sposo soprattutto , a studiare tabelle di alimenti, e di aumenti di peso, esattamente come se fosse un figliolo, solo, un pò più peloso, sdilinquito, pure lui. E il Junior Ing. che chiama per sapere come sta, il Liceale che si addormenta con lei sulla pancia, la Princi che le suona Mozart. Fuori la neve e il gelo, qui appuntamenti per vaccini e microchip, e lezioni di buone maniere, una cena per duemila sabato prossimo, una tonnellata di regali ancora da fare e deliri vari ed eventuali. Per il resto tutto bene, grazie.

L'altra vita.

Sono passata a salutarti, così, perchè ti ho visto dalla vetrina, che avevi lo sguardo perso di fuori, a guardare i passi della gente, la strada gelata, le cose di fuori, il niente. Ti ho abbracciata e ti ho stretta, non si chiede come stai a chi come te non ha più cuore per rispondere, che sorride e sorride, ma senza occhi a luccicare, come una stanchezza opaca, filtrata da un dolore sordo e così grande che si fa fatica a trasportare di qua e di là, e si cerca e si prova, come a spostare uno scoglio, ci hai mai provato? o a spingere la macchina con la marcia, che non si sposta, è ovvio. E' un dolore che conosco e che so, so perchè l'ho mescolato anche io, ci ho abitato anche io, mi ci sono addormentata e svegliata e lavata e vestita, accanto a lui. Per questo forse, questa cosa mi ha così stordito, e ci penso così spesso. Leggi Ancora le mie Fragole? No, mi dici smarrita, come a scusarti, Appartengono a Un'altra Vita. Che vita vivi adesso, che vuoto mescoli a colazione e fino a sera, che persa che sei, che cosa ti racconti e racconti alle tue figlie, che risposte trovi e dove. Il Cielo non ha ragione, qualche volta, e spara a caso, e sceglie senza una logica chi far piangere di più. sulla terra. Io non ho le parole giuste per te, anche se me ne sono raccontate tante, ero una ragazzina e mi ci vedo così tanto nella tua più grande. L'altra vita forse è giusto lasciarla Là, dov'è. E vivere questa, fino in fondo, a mangiare questa malinconia devastante fino all'ultima briciola, fino a quando a passare le mani sulla tovaglia non ne troverai più nemmeno una. Il dolore non si rimanda, si sbriga come una pratica pesante, subito. Durerà. Ma mi conforta quel tuo sorriso stanco, so che lo sai e che sei pronta. Non passerà, se passare vuol dire mandarlo via. Solo, non ti devasterà così come fa ora, non ti schiaccierà, ma ti sarà vicino, accanto, di lato. Non ci si abitua, ma ci si allena per farlo, per sempre, per tutta la vita. Io non avrei il coraggio che hai tu, la forza che hai tu, il rigore, la compostezza, la dignità. E non riesco a dirtelo perchè mi sale un magone che mi squassa e non è mai il luogo e il momento. Il Cielo spara a caso, è vero. Ma insieme alle lacrime manda una Luce, uno sguardo che accompagna e scalda, una presenza che senti e vedi solo tu. E allora diglielo, quando puoi, quando la Luce si fa più forte, diglielo che grande moglie che ha, e che grandi figliole. Ma tanto, dal Lì dov'è, ma sì che lo sa.

06 dicembre, 2008

Zucchero a velo.


Si posa piano sul cuore, o dove ancora non lo so. Come sulle pere al forno, sulla torta paradiso, Piano, pianissimo, a piccoli fiocchi, leggeri, indefiniti, nella dimensione e nel colore. La tristezza non ha colore, e forse non si chiama nemmeno così, non è l’ansia, che quella la conosco così bene che la potrei disegnare, così, a mano libera, senza nemmeno i quadretti, eccome se la so, se la conosco. No che non è ansia: quella ti piomba addosso come un sasso, come i blocchi della neve che si scioglie e che volano giù dal tetto e sbattono di colpo sul terrazzo, su divanetti colorati della primavera, sulla mia pianta di salvia che di certo morirà, che sciagurata, lasciare la salvia fuori nel vaso, con questo gelo, ma era così bello vederla lì davanti alla finestra. Questa che ho non è ansia, è più piccola e sottile, è polvere, quella che trovi sotto il letto dopo un giorno di vento, sottilissima, impalpabile, coma cipria, borotalco senza profumo che ti cola giù, giù, fino in fondo allo stomaco e ti fa stare zitta e un po’ addormentata, ehi, ti svegli o no. E’ una malinconia romantica, nel senso più letterale del termine, troppo leggera per farti piangere davvero, ma per che cosa, poi, e troppo pesante per farti sorridere. Ti fa stare un po’ così, imbambolata, senza espressione e senza corrente, c’è qualcuno che ha staccato la spina, per caso?, triste di una malinconia soffice, malinconica di una tristezza che non traduci, che non sai, leggera eppure incomprensibile, e tu sei lì, a fare le cose di sempre, le stesse che ti rendevano allegra e ciarliera solo poche ore fa e che adesso ti fa dire, ma come, ma dove, ma quanto accidenti pesa questo stupido, inutile zucchero a velo.

05 dicembre, 2008

Bianco.

Mi è presa secca. Sarà che c'è ancora un sacco di neve in giro, e io guardo solo nei campi intorno a casa e sulle colline e nei prati, mica agli angoli delle strade, dove è brutta e grigia e nera, la neve è bianca e resta bianca, se proprio la devi guardare, guardala com'è, non come diventa. La voglia di bianco mi si è proposta così, all'improvviso, come quando ti va di traverso il succo del mandarino, che è un delirio, all'improvviso ti metti a tossire e tossire, eppure, stavi chiacchierando beata, ecco, te l'avevo detto che non si parla mentre si mangia, sì, vabbè, ma il mandarino! CIonondimeno, mi piace il bianco. In questo minestrone di viola, che è pure il mio colore maximo, quest'anno il mio Bianco Natale sarà proprio così, e mai nome fu e sarà più appropriato. Bianco. E basta. Che vero è ben che siamo ancora senza connessione e che per molti giorni ancora lo saremo, che ben concentrata mi son nell'allestimento natalizio della mia umile capanna, e bianco di qui e bianco di là, che non ho trovato uno straccio di fintissimo abete bianco esattamente come due anni fa non trovavo quello nero, che ho allestito con grazia e buon gusto (!) quell'alberino che il mare aveva trascinato sulla spiaggia di Palau 5 anni or sono...Bianco, si dice, bianco come le anime pure, bianco come il perdono, la serenità, bianco come la bellezza, come un giglio, il latte, la neve e il sole, quando il sole è bianco, bianco come il sonno, bianco come un bacio, uno sguardo, un sorriso che scalda nel freddo che c'è.

03 dicembre, 2008

Tagliata fuori.


Isolata. Emarginata. Fuori dal mondo, insomma. Senza internet, chiavette o connessioni o cose del genere delle quali poco comprendo, in realtà, ma che mi fanno sentire come in una giungla, in un'isola sperduta, sul cucuzzolo della montagna con la neve alta così. Mèndico. Una scrivania in ufficio per scaricare la mia posta, dacchè la mia umile casina non possiede più una linea, un guasto? un incantesimo? una magia? una fattucchiera ci ha messo del suo? uno gnomo burlone si è messo a giocare coi fili? un topolino li ha rosicchiati? un'intera famiglia di talpe/serpenti a sonagli/ghiri/iguane ci ha fatto la tua tana, proprio là, sulla stradina che porta la connessione a casa mia. I figlioli furenti. Come inviare messaggi d'ammoooooore, chi guardare su Facebook, come trastullarsi ore ed ore come tutti i fanciulli del globo terracqueo? E io, come avvisare il mio fedele pubblico (!) dei preparativi per le feste a Villa Villacolle, del muro blu', dei pettirossi, della domenica beata, del lunedì agitato e convulso, delle cose di ogni giorno, insomma? Ma il piu' arrabbiato di casa è Egli. Lui. Il Sommo Isoscele Altissimo Levissimo Purissimo. Lui che da casa ci lavora. Lui che tra poco farà anche un programmino per farsi il caffè. Lui, che gestirebbe al computer anche la cova e la deposizione, qualora gli pungesse vaghezza di acquistare una gallina. Egli è un bufalo, una iena nemmeno tanto ridens. Egli ha sbraitato per ore nel telefono, ieri, peraltro con scarsi risultati. Egli non sopporta di digitare, attendere, stare lì a sentire musichine, spiegare a ventiquattro operatori diversi che cosa diavolo è successo. Egli vuole la connessione, punto, dovesse venire anche Ilary Blasi, Abatantuono, Panariello e la Incontrada, insomma, tutti, ad installare una linea nuova. Così, in questa immensità, si annega il nostro essere isolati dal mondo. Ma so che Lui sta cercando il numero del Vaticano. Non mi stupirei.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...