11 maggio, 2009

Wanted.

Ci ha conquistati un pò tutti, primo in assoluto il mio Illustrissimo Sposo Adorato e Glorificato. Ha una faccia buffa, è dolcissima e dispettosa, capricciosa e adorabile, tenera e vivacissima. Poichè ci seguirà ovunque, date le sue ridotte dimensioni, una specie di gatto che abbaia, avrà i suoi bei documenti, perchè noi, si sa, si fan le cose in regola. E questa la foto tessera da apporre al suo passaporto, che mai si dica che il nostro cane è clandestino, di questi tempi poi, mi aiuti a dire. Restano un mistero le impronte digitali. Ma per allora, ci si sarà attrezzati.

10 maggio, 2009

Carezze.

Le carezze della domenica. Quelle leggere, che si fanno passando, senza fermarsi, che quasi non si sentono ma che fanno così bene. Mica è detto che si fanno con le mani, le carezze. Non solo, almeno. prima di tutto può essere considerata una carezza il fatto di fare colazione intorno alle 11, sul terrazzo di casa inondato dal sole brillante di maggio, che la domenica mattina è ancora più brillante e sembra più caldo, che scoperta, oggi è domenica, si vede benissimo che non potrebbe essere nessun altro giorno al mondo, e che questo sole qui farà asciugare di sicuro le lenzuola stese, o meglio adagiate, io non so stendere le lenzuola nello stendino, c'è qualcuna che è così brava da insegnarmelo? Ho un orpello apposito per le lenzuola ma mi piace che sappiano di sole e di aria pulita e di erba, un pò, e se c'è il sole stendo fuori. In questa affollata casa, con figlioli accampati in ogni dove, si pensa a un pranzo domenicale, ma lo si fa guardando lontano, oltre il pratino verde smeraldissimo, le colline, il cielo, i fiori dell'acacia e quel suo profumo discreto. Si sta così, si beve una pace discreta, un sole così atteso, una beata calma, una specie di quiete composta e profumata, domenicale, morbida, semplicissima. Oggi, la voce sottile della PrinciCorista, che mi commuove sempre un pochino, una merenda sul prato e una domenica sera che scivola via, pigra e silenziosa. Ci sono compiti da finire e lezioni da ultimare, il Liceale Convalescente ma che domani forse andrà a scuola, e carezze, carezze invisibili e silenziose, mille carezze cha fanno un abbraccio, una sera di maggio, nella casa in collina.

06 maggio, 2009

L'infermeria.

Nè tempo, nè voglia, ne grande concentrazione e ispirazione per fermarsi un secondo a rastrellare pensieri sparsi e metterli qui. L'infermeria, situata all'ultimo piano della casa sulla collina, lavora a ritmo incalzante. Antibiotici e spremute, enterogermine e tachipirine a nastro, frullati e banane disintegrate ma comunque di difficilissima ingestione per il Liceale Malato. Miglioramenti ben pochi, ma si dice essere il decorso normale della malattia, che ha avuto la meglio sul vaccino somministrato in tenera età. Che dire. Si fa come si può, non già come si vuole. Così ci si organizza, e volendosi ben fare del male fino in fondo, si attaccano gli armadi, soprattutto quello dell'ingresso, dove vivono in beata promiscuità felpe dimenticate, caschi di figlioli raminghi non meglio identificati e comunque non miei, guinzagli, borse ecologiche della spesa, piumini Moncler e giacchine leggere, impermeabili macchiati e sciarpone tricot. Certo, non che sia una terapia azzeccata. Riordinare un armadio, si sa, ha numerosi effetti collaterali da non sottovalutare: a metà dell'opera si può essere invasi da uno sconforto cosmico,e dentro di sè si ode martellante la domanda Ma Chi Me Lo Ha Fatto Fare. Così, non è raro assistere all'abbandono, seduta stante, della titanica impresa. Si spinge tutto dentro alla bell'e meglio, si butta e si piega quel che proprio non si può fare a meno di buttare e piegare e si chiude l'armadio con un sospiro, meglio se di spalle, senza guardare. Il Pianeta non avrà danni irreparabili se ancora per un pò piumini e cose convivranno more uxorio nell'armadio dell'ingresso. Nel frattempo, salgo in infermeria. Il Liceale deve prendere il suo antibiotico. E io, core di mamma, è già un quarto d'ora che non lo controllo. Gonfio sì, ma bello come il sole.

04 maggio, 2009

Mumps in NY, orecchioni a Manhattan.

Da non credere. Il nostro mini viaggio, la nostra piccola vacanza, in fondo quattro giorni e un pezzo sono un bell'andare, è stata praticamente perfetta, piuccheperfetta fino a sabato mattina. E fino ad allora su e giù per la Madison, e sù per l'Empire, e giù a Ground Zero, e dentro e fuori da un centinaio di negozi e calamite e souvenir e cappellini e mazze da baseball e palline da golf e l'hot dog per la strada e magliettine e sandalini. Poi, il nulla. O meglio, il tanto. Il mio figliolo Liceale ha ben pensato di ammalarsi e non già un raffreddore o un mal di pancia, chi ha figlioli sa che queste cose si mettono in conto. No, lui no. Lui si è preso gli orecchioni. Mumps. A New York. Al quindicesimo piano di un hotel sulla Quinta, un bel mattino si sveglia ed è un altro figliolo, di un bel colorino verde alabastro ceruleo e la guancia gonfissima. E un febbrone equino e male, tanto male. Ho mantenuto una calma da manuale, ho chiamato il Regio Medico in Italia, Che Faccio? Nulla, mi dice, tachipirina e antinfiammatorio, fine. E un giorno e mezzo di letto e di febbrissima, con frasi sconnesse e sonni pesantissimi. Affidata la Princi ad Afef, che l'ha condotta con sè nello scintillante mondo dello shopping newyorkese, io, madre ad accudire il mio figliolo malatissimo, a guardare fuori dalla finestra, a ricamare e a pregare che arrivasse in fretta il momento di andar via. Ora, a casa siamo. Lui sempre maluccio, ma l'odore del suo letto e della sua camera, di sicuro lo farà stare un pò meglio. Ora, si disfano le valigie, si radunano i regalini e le cose, si dosano medicine e spremute, ci si riprende dal jet lag. New York, New York. Come faceva la canzone?

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...