30 gennaio, 2013

Asfalto che scricchiola.

Sono i giorni della merla, bella scoperta che faccio un freddo di quelli tenaci, che ti avvolgi in cose e cose e hai sempre freddo, le mani soprattutto, nonostante i guantini della tua Amica Afef, che tanto non legge, lo so, quella è distrattissima e su una rama, dicono da queste parti, o forse fa finta, non so. Fa un freddo di quelli che ti entra nel cervello, che ti congela anche le idee, le cose belle, le cose da fare che stamattina erano una saccata, la fila alla posta, meno male che Trichomonas non c'era, lo so, non è un bel soprannome per una impiegata della posta, ma insomma è talmente fastidiosa e odiosa e con aria da scienziata, che gliela manderei una Direttrice della Posta, di quelle GRAZiose che piacciono a me, che sono sempre carine e misurate e sono certa che non ti guardano come se avessero appena isolato il bacillo del vaiolo, per dire.
Comunque. 
Stamattina scricchiolava l'asfalto sotto alle ruote nella discesa della collina, e sotto alla scarpe, sul corso. E' il gelo di questi giorni, ci ha provato il sole ad uscire ma il gelo no, non gliel'ha data vinta, così il sole se ne è andato o forse c'è da qualche parte, solo che non si vede, il sole è timido, non è mica prepotente.
L'asfalto scricchiola, ha gelato tanto questa notte, è una cosa che mi affascina, il gelo rende immobile, non come la neve, il gelo non è così divertente.
A camminare, sembra di avere un tappeto di vetri o di diamanti, a seconda.
Vetri, come le cose del mondo, le menate infinite, passi in un cerchio di fuoco come al circo e dici ok, ma poi un altro, un altro e un altro ancora, ma che circo è mai questo se mai una volta volo sul trapezio, solo cerchi di fuoco mi fate saltare?
Diamanti, come i messaggi dei miei figli, come gli sguardi dell'Illustre Sposo che mi spiano, come le cose nuove che farò, le idee, i progetti, gli schemi francesi che ho trovato nella cassetta della posta stamattina, il portacandela che ho fatto con la buccia di mezza arancia, l'ho visto su Pinterest, ho immaginato che il profumo di arancia e chiodi di garofano potesse essere un antidoto, un disinfettante contro le malinconie e le pesantezze, forse aiuta anche ad affrontare un asfalto che scricchiola, se di vetri o diamanti non importa, anche i vetri alla fine luccicano come i diamanti.

28 gennaio, 2013

Piuttosto, la neve.

Nessuno se l'aspettava questa mattina.
Sono stata la prima a vederla, sono la prima a guardar fuori appena apro gli occhi, io non chiudo le persiane, mi fa tristezza, mi sento troppo al buio, non mi piace. E poi, mi piace non perdere di vista cosa succede fuori, il mio pino personale che conosco a memoria, le gazze che lo abitano, i rami che tempo fa gli hanno tagliato lo hanno fatto più bello. Nevica una neve sottilissima, di quelle che se va avanti così, a sera ce ne sarà un metro. Quello che voglio, infatti. Che vorrei. La neve sottile è quella che si ferma di più, non fa clamore, arriva silenziosa e fa finta di niente e poi giù, a tonnellate discrete, incessanti, educate. 
La mia neve di stamattina mi piace.
Come mi piace la neve in genere, e la nebbia e il bianco e le cose pure, non so spiegare, le cose lisce, le cose pure. Ci si organizzerà una giornata di cose da fare, che sono una quantità, con un a specie di pace ritrovata, una serenità spicciola, piccolissime gioie una in fila all'altra, non pretenziose, non strabilianti, ma non per questo meno preziose. Ci si è dati una regola, una sorta di elenco delle priorità, cosa è bello e cosa no, e si è fatto fatica a trovare qualcosa di veramente importante che non andasse bene. Il resto, incasellato al suo posto, sul ripiano dei Chissenefrega. Una libreria virtuale dove infilare le questioni, le invidie sotterranee di cosa poi, le cattiverie aggratis, le parole pesanti. E i pensieri. Quei pensieri corrosivi che si hanno ogni tanto, pensieri acidi che bucano la pietra, figuriamoci l'anima, sottile com'è. Di questi, se ne è fatto un barattolo, si è chiuso ermetico girando più volte il coperchio, è un barattolo grande, quello delle pesche sciroppate che ci hanno regalato a Natale, ho tolto l'etichetta e l'ho conservato, sapevo a cosa sarebbe servito. L'ho riempito di tutte le cose che mi fanno male e l'ho messo in alto, nel ripiano più sù, quello che ci vuole la scaletta per arrivarci o anche la sedia e poi in punta di piedi.  E spinto in fondo, più in fondo, che nemmeno si veda. Operazione completata, Mi sento più tranquilla, ora, e mi accingo così, bella leggera, ad iniziare una settimana semplice, con calma e organizzazione, si farà tutto, si riuscirà in tutto. E non so se questa sottile euforia, questa cosa che sembra allegria, quella che ti fa cantare piano, distratta che nemmeno te ne accorgi, se questo ben sentirsi sia il risultato di un lavoro duro fatto su di sè, di chi sia il merito, se dei baci dei miei figli sulla porta, se sia il pino, il barattolo nascosto,  il cielo bianco o piuttosto, la neve.

22 gennaio, 2013

Martedì a Colori.

Non mi è piaciuta questa neve. Troppo poca. Se deve nevicare deve nevicare secco, o 1 metro o niente. Questa cosa qui è solo disagio e pavimenti sporchi. Vorrei di quella neve che fa silenzio tutt'intorno, che attutisce i rumori, che riempie di bianco ogni cosa. Invece no. Ci sono mattine in cui vorresti che tutto intorno si fermasse per un pò, che smettesse un pò di girare e girare, e che tutto restasse immobile e perfetto, come la neve appena caduta. Le cartoline che offre gennaio non sono granchè, il pratino è squassato da erbacce e buchi della Talpa, che ci si ostina a lasciare lì, agire indisturbata, a costruirsi un resort che alterna buchi e mucchi. Il bianco della neve è quasi sparito, di bianco è rimasto solo il cielo, come rubato, come cancellato da un mago burlone patito di azzurro, Me Lo Porto Via, e a voi lascio solo color albume misto grigio. Se poi  ci si mette anche la nebbia, è come vivere in una bolla opalescente, e al mattino presto potresti essere dovunque, se guardi fuori non riconosci, non vedi, non sai.

Mattine opache come questa non sono rare lassù nella Casa in Collina. 
Perciò, ci si mette d'impegno a colorarle in qualche modo. La mia scatola di pastelli ha ogni genere di sfumatura, ogni genere di viola, ogni tonalità di verde e di rosa, tutta la gamma dei rossi e dei blu.

Si comincerà con calma, ci si darà il tempo necessario per essere lucidi e presenti e poi via, a dare un senso a un martedì qualsiasi, che chi lo sa, potrebbe diventare speciale. 
Il mio martedì di oggi non è nulla di speciale, e proprio per questo cercherò di dargli io una qualche scossa di meraviglia, i miei martedì sono uguali ai martedì del resto del mondo o di buona parte di esso, e forse questo non è un male, così come non è male che fuori sia tutto bianco, dal cielo all'aria, così puoi dargli il colore che vuoi tu, lilla come il MiniTwist per Cuore di Maglia oppure rosso scuro, come il terzo maglione che ti accingi a fare, uno per figliolo e ancora ne manca uno. Il mio martedì è un pò arancione, come le lingue di fuoco del camino e la brace affascinante che rimane la sera, bagliori e ombre sulle pareti che è un peccato andare a dormire ma rimanere lì a guardarle uno spettacolo casalingo che ti incanta. Il mio martedì voglio che sia un pò blu, come il cielo che lo so, da qualche parte si nasconde e il saperlo lì dietro mi dà un senso di sicurezza, Lo So Che Ci Sei. Un martedì che mi aspettavo, che farò come voglio, cui darò la forma che voglio, il colore che più mi piace. Voglio un martedì viola, color glicine della vecchia casa che se chiudo gli occhi sento ancora il profumo e quella festa di calabroni e api e il loro ronzio, per nulla rassicurante ma così bello, per me. E ancora, rosso ciliegia per uno smalto allegro, che sia di buon augurio per un giorno semplice e senza troppe menate, rosso come le mie Amiche che vedrò oggi, rosso rossissimo per dire al cielo bianco che non importa che tu sia lì, ho pastelli e pennelli e colori a manciate, ho fantasia e piccolissimi sogni, colorerò il bianco della neve e sconfiggerò la nebbia e il grigio e alla fine ci saranno così tanti colori che mi faranno male gli occhi. Ma sarà dal ridere. 

17 gennaio, 2013

Quando un caffè.

Ci vuole.
A metà della mattina, nel bel mezzo di una mattina faticosa, immersa in cose non magnifiche, non leggére, non belle in generale, certo che c'è di peggio, eccome se c'è, ma ci sono mattine come questa che preferirei fare tutt'altro che non stare al telefono con quelli di Sky e chiedere ma come mai mi mandate per 3 volte la stessa fattura che ho già pagato, e che ti chiedono ossequiosi stile maggiordomo Riesce a Darmi La Sua Data di Nascita? certo, ancora non ci sono completamente rimbecillita, forse lo diventerò, ma ancora sono lucida e presente a me stessa e ancora ragiono ogni tanto. 
Le mattine come questa qui portano con sè la voglia di scappare lontanissimo, magari al mare, come dico sempre quando sbatto contro il muro come le macchinine telecomandate dei miei figli piccoli, che non trovo via d'uscita se non scrivere un minuto, giusto per mettere in ordine i pensieri, che la casa è in ordine e perfetta, cosa rarissima di questi tempi, che il mio Illustrissimo Sposo, col quale riesco ad avere alterchi anche su Whatsapp, che non è da tutti, ogni tanto si guarda intorno e dice Tanta Roba, ma non nel senso che si intende tutti, proprio che c'è tanta roba in giro, sciarpe dimenticate sulle sedie, il cacciavite accanto alla Nespresso, lo smalto accanto al cestino con le arance, la scopa lasciata lì,  ma è di un bel lilla chiaro, sta un amore con la parete arancio, libri un pò dovunque, gomitoli e da ultimo, il presepino di terracotta che ancora non ho avuto cuore di spostare dalla cima della scala, che sta lì a dire, Nessuno Che Mi Dia Un Passaggio fin di Sotto? e noi tutti siam qui a sperare che alla fine, il bue e l'asinello si mettano una mano alla coscienza e scendano le scale fino al garage. 
Le mattine come questa qui bisogna prenderle a piccolissime dosi, ora mi faccio un caffè di quelli strong che mi dia una sferzata di quelle giuste, che mi scaldi un pochino, che mi faccia passare la paura e questo vuoto qui, che da un pò non mi veniva e passa in fretta, ma è così sgradevole quando viene ma ho imparato che bisogna sedercisi accanto, non cercare di combatterlo ma aggirarlo, un giro di valzer, una passeggiata in collina, un caffè fortissimo e caldissimo che mi stronchi sul nascere ogni genere di lamentela e frignamento, che di tempo non ce n'è per stare lì a lagnarsi, che adesso su Whatsapp, dallo Sposo Illuminato  non arrivano che baci e cuori, eppure, il caffè ancora non l'ho bevuto.

14 gennaio, 2013

Ode al Gambaletto.

Orrore. Abominio. Raccapriccio.
Vergogna. Crimine. Al rogo.

In materia di gambaletti, si sa, esiste una letteratura piuttosto nutrita. Tutti o quasi a dargli contro, A sconfessarlo, a indicarlo come la fine della femminilità, un inno al cattivo gusto, la tomba di ogni appetito, il mezzo infallibile per far fuggire a gambe levate anche il più innamorato degli amanti. 
In effetti è così.
Diciamola tutta, anche una gamba bellissima, affusolata, una caviglia sottilissima e uno stacco di coscia da spavento, non traggono certo lustro e splendore dal gambaletto.
Ma.
Sempre a dirla tutta, alzi la mano chi non ne possiede almeno un paio, magari obnubilati nell'ultimo cassetto del comò, magari nascosti sotto autoreggenti da Raccordo Anulare, calze velatissime da reggicalze, vero sdilinquimento di ogni uomo presente sul globo terracqueo, che ancora me la devono spiegare 'sta mania del reggicalze, la cosa più scomoda al mondo, secondo me. Ma andiamo oltre.
Ognuna di noi possiede, nel segreto del suo armadio, un paio di gambaletti. E va bene che son brutti, e va bene che zero eleganza e zero sex appeal, ma insomma, c'han la loro bella comodità.
Si disquisiva di quest'argomento qualche mattina fa, con qualcuno di cui non farò il nome nemmeno sotto tortura. Il gambaletto ha la sua bella fetta di elettorato, il suo popolo sostenitore, la sua folla seguace.
Il gambaletto è brutto, sì, ma è di una comodità invereconda, non stringe, non tira e non s'arrotola, non si smaglia quasi mai, non ha una taglia e quindi ne puoi comprare a tonnellate ad occhi chiusi, senza temere che ti arrivi a metà coscia o ti sia girocollo.
I gambaletti che ho rinvenuto questa mattina, in un banco anonimo del mercato del lunedì, erano probabilmente stati snobbati con una smorfia di disgusto dalle Vestali dell'Autoreggente, dalle Maghe del Reggicalze, dalle Veneratrici del Collant.
Gambaletti sì, ma non comuni.
Essi infatti avevano un bel giro di pizzo nero, di quelli proprio da bordello, all'altezza del ginocchio.
Come dire, Potrei Ma Non Voglio, o Vorrei Ma Non Posso, che in fondo è la stessa cosa.
Ne ho arraffati una quantità per pochi euro, al mercato del lunedì questo capita abbastanza spesso.
Nero, che è il colore delle situazioni di un certo tipo, e non mi dilungo in dettagli.
Il Ripudiato Gambaletto ha avuto stamattina la sua rivincita, non è male con 'sto giro di pizzo peccatore in cima, gli conferisce un'aria ambigua e malandrina, non so come dire.
Le Genti Strane che amano il comodo gambaletto e che solo con gonne da gara o tubini bon ton utilizzano collant e affini, avranno modo di prendere, come si suole, i classici due piccioni con l'ancor  più classica fava.
Comodità ed eleganza, effetto vedo e non vedo, un pò collegiale e un pò sgualdrina, e vabbè, che sarà mai.
Domani, nessuna si senta goffa o trasandata ad indossare sotto ai leggings o ai pantaloni seri un paio di onestissimi gambaletti. Tutto sta a come si agisce, a come si opera, a come ci si pone, coi propri perchè e i propri quantunque.
Dacchè è la monaca che fa l'abito, giammai il contrario.


Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...