30 novembre, 2020

Odore di dicembre.

 

Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente.

Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le pigne da colorare con lo spruzzo dorato, non ci sono le carte da scegliere, i centomila menù della vigilia, da scrivere e cancellare, scrivere e cancellare, e le liste della spesa infinite, e le vetrine, la gente, la folla, il vischio, i calici da lavare prima che è un anno esatto che non li usi, quelli si rompono solo a guardarli, son mica pazza.

Ah no.

Invento dicembre.

Invento che sia tutto normale, che arriveranno tutti e già rideranno nel citofono, siamo qui, con le borse dei pacchetti e il sonno del fuso orario, che arrivano in corridoio e non sanno chi salutare per primo, che ci abbracciamo tutti insieme, quanto mi fa piangere vedere i miei figli che si abbracciano e i maschi che si danno gran pacche sulle spalle, e lei, la Principessa, la fanno girare e girare, come sei bella, ma questa gonna non è troppo corta, e la chiamano col nomignolo di quando di anni ne aveva tre e lei che li guarda, adorante, ora come allora.

Invento che cucino per giorni, per mille, che scelgo con cura la tovaglia, la tovaglia di Natale è sempre quella, ma ne scruto la superficie se per caso non sia rimasta una qualche macchiolina, e continuo a chiedermi Ma Quanti Siamo, che è vero la famiglia, ma da questa casa a Natale passano tutti, amici, amici di amici, amici dei figli, fidanzate degli amici dei figli, in un delirio di presentazioni posticce e così belle, un pò sbronze, Ho Portato un Panettone, e baci, e chiacchiere e cose belle.

Invento il divano strapieno, la sera, le carte dei regali accartocciate, le coperte per guardare insieme la tv, tre ore per scegliere che film guardare e poi alla fine è tardi e non si guarda nulla, si parla e basta, si canta anche, Stasera non Ceno e poi invece, si riprende daccapo, ogni volta, Finiamo Gli Avanzi.

Ci penso tanto a questo dicembre che dicembre non è, mi porto avanti ricamando renne e facendo maglioni caldissimi da regalare non so a chi, a far braccialetti di perline coi nomi di tutti, che nessuno sa quando e se potranno essere qui.

Faccio finta di niente, invento che sia tutto normale e comincio oggi, a mettere così tante luci da far saltare il contatore, così tante palline da far sembrare questa casa un luna park, così tante renne e gnomi e brillantini e stellecomete da far girare la testa.

Invento il mio dicembre.

Mi hanno detto che si fa così.

27 ottobre, 2020

Piantine.

 

Una specie di nursery.

Una terapia intensiva per piantine da ogni dove, raccolte fra le rocce scoscese delle isole, le volte che le ho viste da terra a terra, nei giardini abbandonati delle case, nelle siepi selvagge, la parte più nascosta, per non fare troppo male.

C'è di tutto, dai cactus con le spine a quelli di vellutino, dall'immancabile pothus a una serie di piccole piante grasse delle quali non so il nome. E poi, la nuova scoperta, il nocciolo ci avocado che promette meraviglie se solo si fa un pò di attenzione, e allora, perchè non provare, alla fine.

Riciclo vasi e vasetti, lattine della passata di pomodoro, vasi che contenevano marmellatine stupende, lattiere preziose e vasini di cartone. 

Non sono brava con le piante, ma ho scoperto che buttandoci un occhio spesso, magari innaffiandole pure, esse, le pinate, sanno essere strtaordinarie e ripagarti con fioriture e foglioline tenerissime che ti svoltano la giornata.

Le ispeziono ogni santa mattina, mi sono dotata di uno spruzzino e una serie di mini attrezzi, mini rastrello, mini paletta, mini di tutto, cosa, questa, che mi fa sentire un pò Beatrix Potter nel giardino del signor McGregor.

Non ci parlo ancora, ma a volte mi sorprendo a canticchiare pianissimo mentre strappo con inusitata delicatezza misteriosi e sottilissimi fili d'erba che spuntano nell'esigua superficie del terreno, a staccare le foglioline secche, a piantare dei piccoli tutori che spesso consistono in matite, stecchi di legno o ferri da calza. 

Il Pothus Rigoglioso del Frigorifero, il capostipite di tutta questa ridondanza, è quello che mi da più soddisfazioni. Ho infatti cosparso le case di figli e amici di mini pothussini che a loro volta sono diventati Rigogliosi Pothus e che a loro volta hanno dato vita ad altri mini-mini e via così.

Moltiplicare la bellezza, in un momento così indeciso, imperfetto, a tratti infelice e spesso impossibile da vivere, mi pare una buona formula, un modo semplice per non perdere il controllo, per non sentirsi andare giù giù giù, in un vortice che spesso sembra non avere mai fine. 

Ogni mattina le mie piantine mi guardano e mi sorridono dal ripiano sotto lo specchio, in salone, il posto che ho scelto per loro per crescere bene, per stare bene, con la luce giusta e il giusto calore.

Coltivare la bellezza e moltiplicarla.

Le mie piantine mi insegnano molto, da piccole cose nascono grandi cose, da foglioline lucide trasportate nel bagaglio a mano con ogni cura possibile, possono nascere cactus spettacolari con e senza spine.

Meglio senza.



22 ottobre, 2020

Sparire.




 Si dimenticano le cose dove si ha voglia di tornare.

Sono giorni così complicati che non si sa da che parte cominciare, incerti, vani, pieni di ma., forse, chissà.

Già, chissà.

Chissà mille cose, chissà se è vero. e chissà dove, e chissà chi, e chissà se mai, qualche volta, e chissà perchè, già, chissà perchè, poi.

Non ci sono grandi soluzioni, o forse sì e solo una, una soltanto, una sola.

Sparire, scappare, dissolversi, sciogliersi, senza nascondersi, proprio non esistere più, non sopravvivere a nulla, non cercare di cambiare, di reagire, di fare, tanto avrà sempre ragione il mondo, quel mondo appiccicoso che non riconosci più, e come faresti, se non riconosci nemmeno te stessa, se non ricordi più la strada di casa, se non sai nemmeno il tuo nome, certe volte, già, il tuo nome, quello che nessuno vuole, quello che nessuno dice più, si diventa così. come, non lo sapevi, si marcisce nel portafrutta come le mele, si ammuffisce come i limoni dimenticati nel cassetto del frigo e allora sì che non se ne esce e allora, via, sparisci, vai via.

Sono un biscotto stantio nella scatola di latta della credenza, sono il prosciutto verde che è diventato secco nella sua confezione di plastica che non si chiude, potrebbero farle meglio le confezioni del prosciutto, se te ne dimentichi una fettina è finita.

Sono il giornale dell'altroieri, sono l'agenda del 2001, sono lo specchio rotto che ti fa spavento, sono il sugo bruciato, la cimice che ronza in cucina, sono i vermi nella farina che hai lasciato aperta, sono il topo trovato in cantina, sono il biglietto  di un tram che non passa più, sono il disco orario senza una rotella, sono il disagio, la calza strappata, lo sciroppo per la tosse scaduto da anni, la chiave di non sai che cosa, un libro in russo, due scarpe sinistre, la biscia che esce dalla siepe.

Sparisci, vattene, vai e non girarti indietro, non guardare niente e nessuno, non lasciare le tue orme nel fango, vai, cammina e sbrigati, anche, prima di cambiare idea, prima di asciugarti la faccia e ripensarci, non è tempo, non lo è più, non sono le scuse, i Mi Dispiace Non Volevo, vattene, a scomparire non sono capaci tutti, ci vuole attitudine, mestiere, ci vuole maniera, non importa se tu non ce l'hai, vattene, vattene e basta, vattene e non tornare più, e non dimenticare niente, si dimenticano le cose dove si ha voglia di tornare, ma tu, tu non tornerai, non tornerai mai più.



27 maggio, 2020

La Signora della Panchina.

La vedo spesso.
Mi è capitato di parlarle, qualche volta, ma non è una che attacca bottone, come si dice.
E' sempre così discreta, così quasi invisibile, o come a farsi. Ti guarda dritto negli occhi, accenna un sorriso impercettibile e guarda altrove.

L'ho vista questa mattina. 
Non ha una casa. ha solo un posto dove passare la notte, vive di una carità che non chiede mai.
E' sempre troppo vestita, ma ha un suo vezzo nel farlo. D'inverno ha un cappottone con un collo di pelliccia. A volte, delle borse colorate, tolto quella del supermercato, tenuta insieme col nastro adesivo, dove ha forse tutta la sua vita. O quel che resta di.

Stamattina era seduta sulla panchina. Elegante a suo modo, le gambe accavallate, le calze a righe maschili in un paio di francesine dal tacco consunto. Ho avuto l'impressione che le stessero larghe, da come dondolava il piede, come a far passare il tempo.

Che tempo avrà mai, la Signora della Panchina, e cosa pensa quando si perde, davanti alla Posta Centrale, sotto gli alberi, all'ombra, in questo maggio che ci ha sorpreso senza abituarci, al suo sole sfacciato, ai suoi profumo di tiglio e gelsomino. E rose.

Suonavano le campane del mezzogiorno, si è girata e ha guardato la meridiana del Comune, da poco messo a nuovo, come a contemplare la straordinaria bellezza di quel palazzone rosso che nessuno vede più.

Poi, è tornata ai suoi pensieri.
A dondolare avanti e indietro la gamba accavallata, sulla panchina.
Di lato, un sacchetto del pane e una piccola borsa di carta. Forse, della frutta.

La gente era in fila per la Posta, presa dai fatti propri, dal telefono, dal chiacchiericcio stupido di lamentele e malattie.

nessuno ha sentito le campane.
nessuno ha guardato la meridiana di Palazzo Rosso.

Solo la Signora della Panchina.


14 maggio, 2020

Il Rifugio.




A volte serve.
Non necessariamente un luogo, non una spiaggia, non un'isola, o una strada.
Qualche volta, rifugio può diventare qualsiasi cosa.
La Feltrinelli, per esempio.
Dove leggere e annusare e accarezzare le coste dei libri già letti come a dire, Lo So Chi Sei.

O una profumeria dove provare tutti gli smalti e i rossetti, i profumi quelli no, ho sempre il mio e non mi piace mischiare, nemmeno nelle cartine che ci spruzzi sopra e poi si perdono nella borsa e alla fine la borsa sa di buono ma non sai che buono sia perchè non ti ricordi che profumo era.

Ho avuto voglia di rifugi molte volte nella mia vita, ho avuto bisogno e desiderio e forse, anche un pò paura, quando dal mio rifugio non avrei voluto uscire più.

Sono stati mesi in cui ci si è rifugiati a casa, dove il rifugio era salvezza e dubbio e paura e sollievo.

Mi sono rifugiata anche io, e in tutte le cose che ho fatto e detto e pensato, mi ci sono seduta, sdraiata e davvero non ne avevo voglia di uscirne più. Dai pensieri, dalle cose, dagli angoli della casa che un pò ho scoperto, spostando mobili, usando piatti, mettendo tende.

E mi sono ritrovata, la mia parte di divano, i libri che ho riletto, quel lavoro improbo di ricamare una canzone intera su una coperta, il rivivere di certi pensieri, di certi stati d'animo che credevo persi per sempre, e invece, eccoli lì, intatti.

Non si cambia mai veramente, con un'anima ci nasci, te la cuciono addosso e cresce insieme a te, come la tua ombra,  come fa Wendy con Peter, e cammini e cammini e la tua ombra è sempre lì, e puoi girarti di scatto, nasconderti o far finta di scappare, sarai sempre tu.

Cercherò rifugi ancora e ancora, un abbraccio di quelli veri quando finalmente si potrà, porterò con me la mia ombra e tutte le esperienze e i calci nel culo e i baci che mi hanno fatto diventare quella che sono diventata fino a qui.

Chissà chi diventerò domani. 
Ho un quaderno rosa dove scrivo tutto, non voglio scordare nulla, nemmeno le cose più brutte.
La mia ombra ed io ne abbiamo passate tante. 
Ma ogni volta che mi giro di scatto o faccio finta di scappare o nascondermi, lei mi guarda.

E finalmente, ride.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...