04 luglio, 2018

I Saggi consigli del Giardino Abbandonato


Si scorgeva dalla strada, alzandosi in punta di piedi.
Doveva essere stata una casa meravigliosa, di quelle piene di bambini che correvano, e saltavano dai gradini della scala di pietra dell'ingresso, prima 1, poi, 2, poi dal terzo gradino. La prova di coraggio era saltare da 4, ed era affare riservato ai più grandi.

Bambini coi pantaloni al ginocchio, peraltro sempre sbucciato, bimbe con vestitini candidi e nei capelli fiocchi di raso, qualcuno che rimaneva impigliato nella siepe laggiù, accanto al vaso grande del ficodindia.

E grida, e passi sulla ghiaia piccola del viale e signori distinti, e signore vere, il vezzo di perle e i guanti di filo la domenica, e il velo di pizzo prezioso per andare a messa.
Profumi di timballo e torte per la merenda, limonate fresche in pomeriggi torridi,e rosolio in bicchierini fragilissimi, serviti in vassoi tondi d'argento bello, posati con cura sul tavolo in ferro battuto accanto alla voliera.

Era la casa del notaio Puglisi, un omone alto e baffuto, in paese stimato e rispettato uomo di buonsenso, così come la moglie Agata, insegnante di pianoforte e cuoca sopraffina. Sue le torte, le conserve, i biscottini e quei cannoli meravigliosi, fatti con la ricotta fresca che le portava il fattore, Salvo, devoto aiutante della famiglia.

Il notaio e la signora Agata avevano cinque figlioli, Cosimo, Antonio e Michele, e le gemelle Immacolata e Anna.


Ora la casa era silenziosa, abbandonata, e con lei il giardino.
E chissà quale tempesta aveva rovesciato quel vaso, quello grande delle piante grasse che ora crescevano disordinate e assenti lungo tutto il muro, o che strisciavano lungo il selciato fiorito di muschio o che tentavano di salire sul muro oltre la finestra.
Ovunque erbacce, piante secche, e lattine, vecchi giornali portati lì da chissà quale vento,  financo un triciclo arrugginito.

L'ibisco, invece, fioriva e fioriva.
A dispetto di quel degrado, di un rosso fiero, con i suoi petali perfetti e fuori scala.
E la pomelia, non lontana, con le foglie come zampilli verdi a coronare i fiorellini bianchi e profumati, coi quali le bambine di casa Puglisi si adornavano i capelli per giocare alle principesse.

Il giardino abbandonato non raccontava nessuna storia.
Ma a guardarlo, nella sua elegante desolazione, faceva pensare e, a suo modo, confortava.
E dava consigli, sottovoce, bisbigliando appena.

"Raccogli ogni fiore, ogni bocciolo, ogni piccolissimo germoglio, così come ogni ramo secco, pianta arida o zolle arse dal sole d'estate.
Non ti fidare mai dei rampicanti, sono campanule graziose e delicate alla vista, ma sono erba cattiva e arrampicandosi sul pino lo hanno soffocato in un falso abbraccio di bellezza e lo hanno fatto morire.

Non cedere all'inganno dei fichidindia, sono frutti dolcissimi ma hanno spine infide e velenose e raramente puoi raggiungere i loro tesori senza trovarti poi le loro spine sulle dita o sul palmo della mano.
Sorridi invece al rosso dell'ibisco, è quanto di più sicuro tu possa trovare in una siepe di rovi e rosmarino, è un fiore che non ha paura, che non capisce le regole dei giardini abbandonati e continua a fiorire perchè sa che può cambiarle e trasformare un abbandono in una nuova fonte di vita e di colore.

E piangi, piangi pure, piangi forte quando il tuo cuore sta per rompersi in mille pezzi, quando non riconosci più la strada che va dal cancello alla porta di casa, sono solo pochi passi ma sembrano mille, mille e mille ancora.

Piangi forte, quando non ti sente nessuno, siediti qui, fra queste bottiglie vuote e queste cartacce,  e asciugati gli occhi, quando senti che non hai più respiro vuol dire che è ora di smetterla anche di piangere, non darla vinta alle erbe secche e alle ortiche e a nessuno al mondo, perchè nessuno al mondo è padrone del tuo destino più di quanto non lo sia tu stesso.
Nessuno sa come si vive nelle vite degli altri, ma forse questo giardino sì.
Ne ha viste tante, di vite, la severità del notaio, la dolcezza di sua moglie e il baccano meraviglioso dei bambini.
E te lo racconta, e ti fa pensare e un pò sognare, su questa scala di pietra piena di petali della jacaranda sfiorita, lo vedi, c'è un gradino sbrecciato, saltane uno, poi due, poi tre, e poi quattro.

Sei grande abbastanza per saltarli tutti insieme.
Il giardino lo sa e adesso, lo sai anche tu.

Perciò, sorridi.



25 giugno, 2018

L'Irrimediabile Sortilegio del Fiore del Cappero


Nasce nei muri
Esplode di foglie tondeggianti e vellutate, belle alla vista e alle carezze.
Nasce nei muri.
Al sole, senza terra, senza acqua, con tanta luce, al sole bello delle Isole dal mare di fuori, le più lontane, le più cariche di storia e si fascino e di case principesche in campagne abbandonate, o in borghi intatti che dall'alto dominano lo Stretto e tutto il blu che puoi immaginare, che i tuoi occhi possono guardare. E comprendere.

E' un fiore elegante ed austero, che non si può cogliere nè conservare, nè farne un mazzolino, nessuna sposa mai avrà fiori di cappero nel suo giorno più bello.

Ha un profumo sottile, a ricordare quello che era, dacchè è il cappero a formare il fiore e non viceversa, cosa credi.

E' dal cappero che viene, bottoncino squisito e prezioso, del quale fiore ne è il bocciolo. Non è il fiore che diventa cappero. Ma il cappero a diventare fiore.

La bellezza esplode sempre,in qualunque modo tu la possa intendere. Se dal muro o dalla terra arsa poco importa.

Come certi amori, come certe vite, come certe storie, il fiore del cappero incanta, in gioco sapiente di colori e sfumature e filamenti viola e corolle candide come ali.

Diventa perciò fiore raro e sconosciuto, che non si coglie e non si trova, o si ritrova poi, fra le pagine di un libro letto in poche ore un giorno di fulmini perfetti in mezzo al mare, oppure accartocciato sul fondo di uno zaino tra la sabbia residua e i sassi verdi trovati sulla riva e conservati, come si fa da sempre, in qualunque mare.

Amo il fiore del cappero che nessuno conosce e nessuno sa, perchè a volte, fiore di cappero mi sento anche io,
Che fiorisco senza acqua e senza terra, col sole e col mare, salvo poi trovarmi accartocciata da qualche parte, ammaccata e senza colore, e i petali candidi sono di un giallo malato e senza forma.
Lasciata lì, sul fondo di uno zaino, in compagnia di sassi di mare che non sanno più che storia raccontarmi per farmi sorridere.

Sono fiore di cappero e cappero salatissimo, sono aiuola disordinata che spunta da un muro, sono storia incredibile raccontata in un aranceto abbandonato, e di storie ne so tante, e tante ne invento per restare viva e non perdermi, e tante ne scrivo per non dimenticarmele, e ho sempre con me un quaderno e una penna, e quando non ne avrò più da raccontare allora sì che sarò persa, troverò il modo, la strada, la forza, i colori, non so.

Intanto, ciao Fiore di Cappero, non ti conoscevo fino a due giorni fa,  dimmi che anche tu hai una storia bella da raccontare.


06 aprile, 2018

Di plastica.

è un pò come con i fiori.

ne hai cura, li annaffi, ti assicuri che abbiano la luce giusta, il giusto calore, e loro no, dopo un pò se ne fregano delle tue cure. E spariscono.

Succede coi tulipani, che sono forse i più onesti. vanno via un pò alla volta, cade n petalo, poi un altro e alla fine resta solo lo stelo.
Con le rose invece no, le rose ingialliscono, si accartocciano s loro stesse e poi crollano, di lato.
Delle orchidee non ne parliamo proprio, le mie nemmeno fioriscono, e tanti saluti.
Dei giacinti poi, La Grande Illusione, fioriscono rigogliosi anche dopo un inverno di gelo e profumano, profumano così tanto che ti fa male la testa e tu dici, ma guarda, guarda come fioriscono questi giacinti perfetti. Una settimana, forse due. Fine.


Meglio i fiori di plastica. Che certo non profumano ma almeno non ne devi avere cura, non devi perderci un mare di tempo, non li devi piantare, innaffiare, cambiare l'acqua nel vaso, niente.

Al mercato cinese puoi avere un fascio di rose rosse a meno di 5 euro. Saranno per sempre.

Una volta scrissi che collezionavo fiori di plastica e aurore boreali, mai che ne avessi vista una ma non è detto.

Non colleziono fiori di palstica ma libri, quaderni e stilografiche dai colori impossibili, colleziono perle vere e promesse, sassi di mare e sassi sul cuore, che alla fine sono la stessa cosa.
Colleziono sbagli, offese e abbracci veri,  frasi da cioccolatino, frasi belle che tengo in un cassetto segreto, alcune dette, alcune scritte. Frasi che mi hanno fatto male, frasi che mi ripeto quando voglio essere forte o devo farla, frasi dei libri che sono come se le avessi scritte io, così belle da passarci sopra il dito ogni volta, come ad accarezzarle, come a dire Grazie delle Cose Che Mi Insegni, nessuno le ringrazia mai le parole, le canzoni, dovrebbe pensarci qualcuno e se non ci pensa nessuno lo faccio io.

Insegna anche il male, insegnano anche gli schiaffi e i calci in culo, che non è mai la giostra, mai o quasi. Facciamo mai.

Sbaglio ogni giorno e ogni giorno vorrei imparare.

A fare il sushi, a fare i conti, a non avere paura, a non avere sempre questo vento forte in mezzo allo stomaco, come il maestrale quello forte, che mi fa dire ecco, cosa succede fra un minuto, e invece non succede niente e tu sei lì che aspetti in mezzo al vento e niente, non succede niente, e questa è l'ansia, signori, quella forte come il maestrale forte.

Imparo, dalle parole che scrivo a sentimento in un pomeriggio di sole bello, che ho dei fiori nuovi sul davanzale, che sono veri e colorati e che non voglio pensare a quando non ci saranno più, Io Ci Sono Sempre, dice la gente, lo dice a me, che c'è e io, io ci sono sempre, sì, ma loro mai, o quando devono esserci davvero non ci sono, e allora, Ma Cosa Lo Dici A Fare Cosa.

Imparo anche dai fiori di plastica, a loro non serve l'acqua, la terra buona, l'innaffiatoio, loro sono belli sempre e se ne fregano del mondo e dell'universo tutto, sarò così, me ne fregherò del mondo e del cielo e del terra, sono una rosa di plastica, quelle che mettono agli incroci, non mi serve niente, non la vostra acqua, non la vostra terra e la vostra luce, io sono rossa sempre, di velluto sempre, con le foglie sempre, sono una rosa di plastica, comprata con altre mille a meno di cinque euro al mercato dei cinesi.






15 marzo, 2018

Succede solo quando piove.

Alla fine non mi dispiace, la pioggia.

Per un giorno, massimo due.

Mi piace il rumore che fa sui vetri, le goccioline che scendono dai rami del pino qui davanti, quello che guardo la notte, la mattina e sempre, e che è un condominio per pettirossi. Una volta, ci ho visto pure uno scoiattolo, ma non ci giurerei.

Quando piove, succedono cose strane. Sarà l'odore dell'acqua, di erba bagnata, di cielo stremato, di zolle fradicie, che poi è fango e si attacca alle scarpe e ti fa i passi pesanti, ma è così bella questa pioggia sulla faccia, e quei minuscoli diamanti sull'erba nuova e sul muschio di smeraldo. Ma piove, piove e basta, piove fortissimo e sono uscita lo stesso, un cappello sghembo che sarà fradicio come  e più di me fra poco, avevo voglia di annusare questa pioggia, voglia di raccontarle qualche cosa, respirare un pò la collina immobile, verrà anche la nebbia, stanotte, mi sa.

E cosa ti racconto pioggia, questa sera, che è primavera fra pochi giorni e nessuno lo sa, che non c'è un fiore nè un colore nè nulla, e nemmeno un profumo, che i giacinti nel vaso hanno fatto un tentativo ma sono ancora tutti abbracciati a loro stessi, guardinghi, meglio non fiorire, Non Fioriamo Ancora, Dillo Anche agli Altri.

I pensieri della pioggia e il cuore fermo, non felice, non triste, fermo, che non balla e non salta, fermo, che non ascolta e non racconta. Fermo.
Racconta a lui le cose che sai, che la pioggia è falsa, falsa come il mare, l'acqua non ti dice mai la verità, mai una volta. Ci prova, si fa profumo e seduce, si fa goccioloni perfetti o gocce piccole invisibili, ma bagna sempre e non solleva, non cura, non fa niente. Scende e basta, bagna e basta, e non ascolta, non risponde, nè consiglia, lascia stare.

Arrènditi alla pioggia, come ti sei arresa al mare. 

Al mare falso che perde e scorda i segreti che gli affidi.
Alla pioggia scema, che scende forte, che ti piace per un giorno, massimo due.

29 gennaio, 2018

La Lavastoviglie.

Sono disordinata.
Non trovo le cose, le perdo, le metto in un posto e mi dico Qui Saranno Al Sicuro e poi me ne dimentico, mi ci applico, faccio liste, riordino cassetti di biancheria, di cucchiaini con meticolosa attenzione e dopo un giorno è di nuovo tutto a mucchi, non so spiegare come.

E'il mio difetto più grande, o almeno credo.
Per questo, caricare la lavastoviglie è gioia e supplizio, perchè, se da un lato sgombro il lavandino dalle cose e mi faccio forte di questo e dico TohGguarda che metto in ordine, dall'altra, l'incasellamento dei piatti per benino, le posate messe verso il sù e non verso il giù, le pentole così, le tazzine cosà, mi da da fare. Che non so nemmeno se è italiano corretto.

Ma mi piace.
Perchè ci metto concentrazione, attenzione, impegno. E penso.

I pensieri della lavastoviglie sono diversi, a seconda che si carichi o si scarichi.
Me ne sono accorta da tempo, ma solo adesso ho tutto chiaro.

Quando carichi la lavastoviglie pensi alle cose che devi fare, alle incombenze, tipo pagare una multa o andare dal medico. O portare un gatto dal veterinario.
E sono pensieri pesanti, spesso, ingombranti, faticosi a portarsi, sporchi, come i piatti che metti dentro, anche se li passi sotto al rubinetto, e li pulisci un pò con quella spazzolina buffa fatta a pirata.

I pensieri sporchi non ti danno scampo, puoi cercare di ripulirli finchè vuoi, ma si infilano beffardi proprio lì, fra l'anima e il cervello, non so se esiste davvero un posto così, ma è lì che stanno, che non è il cuore, no, perchè in un cuore c'è solo spazio per il sentimento e la magia, e le cose belle e le carezze, e le mattine che piove ed è ancora presto per alzarsi,e i fiori del supermercato, e le follie.

Caricare la lavastoviglie non mi piace granchè.
Preferisco scaricarla.
Magari la mattina presto, quando il caffè è sul fuoco, e io sono ancora arruffata e in disordine, coi calzettoni spaiati quando non scalza e con un maglione a caso sulla camicia da notte, che solo nei film sono fighe quelle vestite così, ne ho le prove.
La radio sottovoce, il silenzio, stamattina la nebbia esagerata che soffocava il pratino, perfino i pettirossi faticano a trovare i loro semi, non è vero, i pettirossi la sanno lunga e trovano tutto sempre.

Ripongo con grazia tazzine e piatti coi cuoricini, posate e bicchieri diversi, in questa casa i bicchieri si disintegrano con una facilità estrema, e i miei pensieri sono morbidi e belli, è tutto pulito e lucido, sono stati giorni complicati, arrivano sempre a due a due, i giorni assurdi dove non sai dove nasconderti, ero brava a nascondino, trovavo sempre i posti migliori ma poi mi veniva da ridere e mi trovavano sempre. E non volevo mai contare.

Vorrei sempre per me i pensieri della lavastoviglie quando la svuoto, quando tutto sembra perfetto e quando ti viene da sorridere senza un motivo apparente, che di magoni questa cucina ne ha visti così tanti, e ho cercato di nasconderli e mandarli giù, ma i magoni sono come i piatti sporchi, quelli incrostati di pomodoro, quelli che se ti dimentichi di sciacquare sei finita.

Resto disordinata e inconcludente, qualcuno giorni fa mi ha detto che vivo in un mondo di draghi e unicorni e forse, per una donna fatta non è il massimo, ma che m'importa.

Troverò sempre per me il modo di avere piatti puliti e lucidi, e se non vorrò caricare la lavastoviglie per mettermi al riparo, li laverò a mano, acqua bollente e sapone profumato.

Funzionerà.








05 gennaio, 2018

L'Universale Teoria del Sempreverde.


Stona un pò

E' verdissimo, bellissimo, brillantissimo.
In mezzo alla vigna esausta, al prato inesistente, agli altri alberi spogli, secchi, curvi, stanchi, già stremati da tanto inverno, ma come, se è appena iniziato. il sempreverde svetta, su tutti, lucido e seducente.

Resta bello sempre.
Non gli importa del gelo, della neve promessa e mai arrivata fino ad ora, delle notti buie che qualche volta la luna si degna di vincere sulla nebbia,e allora sale in cielo, così tonda da fare paura, e illumina lo sfacelo intorno e la sua fierezza.
Il sempreverde è sempre lì, sempre verde, e che bella parola è sempre e che fortuna hai, ad averla nel nome. Sempre.Senti come suona bene.

Così, sei sempre tu e sempre io, e sempre bello, e sempre insieme e sempre vicini, e sempre e per sempre, potrei scriverne una paginata di sempre, e non mi stancherei. Per sempre.

Faccio mia la Teoria del Sempreverde e rimango verde anche io, per questo anno nuovo che bussa così forte e che io faccio finta di non sentire, resta fuori ancora un pò che non ho voglia di farti entrare, non ho voglia dei tuoi giorni pesanti, e di tutte le cose che verranno, non ho voglia di te, delle tue date, dei tuoi anniversari, dei tuoi compleanni, che saranno uguali a sempre.
Ma resto verde.

Resto verde nella brina, nel freddo pungente, resterò verde sotto al sole e in mezzo al mare, non sfiorirò, non seccherò, non perderò le foglie, sarò lì, ferma e fiera e non mi farò scalfire nè tagliare, nè potare, e aspetterò l'alternarsi delle stagioni, il vento, la pioggia, la grandine, i temporali, i tuoni e i fulmini e tutto quello che questo anno porterà sul prato e sulla vigna e sulla collina e sul campo e tutto intorno.

Io resterò sempre lì,
Sempreverde.
Sempre verde.
Sempre io.
Sempre.

18 ottobre, 2017

La Nebbia Che C'è.



Che ruba il giardino.
Che nasconde il cancello,il pratino, che strema le ortensie, così belle e tonde e adesso avvizzite e mollicce.
La Prima Nebbia vera.
Quella che amo.
Che mi trova ogni anno diversa, ogni anno un pò di più,un pò di meno.

Coi capelli più lunghi, forse rido di meno, ho più pensieri, belli, brutti,così così.
Sogno di più, sogni così belli che al mattino stai lì ancora 5 minuti per ripassarli e tenerli con te tutto il giorno, e la sera dopo chiudi gli occhi forte per ritrovarli. Non succede mai,ma è bello provarci.

Ho una stilografica in più, un anno in più, una borsa rosa in più. Ho meno voglia di cucinare, sempre di più di andare a Parigi, e a Parigi ci andrò presto e quando mi acchiappa cucino per un giorno intero, bugiarda che sono, e non smetto finchè i ripiani del forno sono tutti occupati e anche i fuochi della cucina,e il lavandino ingombro di mestoli, frullini, scodelle, padelle e gusci di uova e carte di farina appiccicosa. E bucce di verdure. 

Ho più libri da leggere. Impilati sul comodino, una montagna di Sellerio che sono anche belli da vedere, libri che mi hanno regalato, consigliato, che voglio rileggere, e quanti sono quelli che so a memoria, non fa niente, li rileggo perchè mi scaldano, mi fanno bene, e cerco il senso delle parole che so già, e rivedo la scena e rileggo la frase che mi piace cento mille volte, e poi la scrivo, lo so, non è normale, no che non lo è.

Ho meno disordine in giro, ho buttato tante cose, svuotato cassetti e cartelline e zuppiere di collane e campioni di profumo e carte d'imbarco e bagnoschiuma degli alberghi, e nastrini di regali e carte spianate con la mano e tolto lo scotch con attenzione e bigliettini, post it, e ingressi ai musei e alle docce dei porti, ho buttato agende e quaderni finiti di appunti e scarabocchi. meno disordine fuori per fare ordine dentro, si dice sempre così.

Ho più voglia di scrivere, meno di correre, ho più voglia di leggere e di cantare quando stiro, o guido, o salgo le scale di casa. Ieri cantavo Sottoilsolesottoilsole facendo la spesa, avranno pensato questa è pazza, forse sì.

La nebbia di stamattina presto già si dirada un pò, c'è un sole bello che illumina le foglie gialline del ciliegio,amo la nebbia perchè non sai mai cosa, non sai mai dove e forse alla fine, è meglio così.

Mi trova ogni anno qui, a guardare il pratino e la collina rubata, ogni anno diversa, un pò di più, un pò di meno, ma io , io, alla fine sono sempre la stessa.









08 ottobre, 2017

Ho fatto una torta.

                                                       ph.TheLittleCorner

Era da un pò che non la facevo, o forse sì, e magari nemmeno me lo ricordo.
Sono giorni che vanno veloci, che a volte stanno fermi immobili e non  ne vogliono sapere di passare. 
Sono giorni di mancanze e di scoperte. Non sempre belle, non sempre piacevoli.
Cambiamenti tanti, tantissimi, oramai ci posso fare una torta anche con loro, si cambia sempre tutto in qesta casa, cambia sempre tutto e troppo e io non so, non lo so se ne ho ancora voglia.

Ho fatto una torta con le cose che avevo nel mobiletto della cucina, che ho sistemato con cura, ho buttato via zafferani scaduti nel 2013 e caramelle gommose diventate di marmo. Le scatole del thè quelle no, ci ho fatto un buchino sotto e sono diventati dei vasi per le piantine. 
Ho fatto una torta con la farina integrale, lo zucchero di canna, la voglia che ho di tornare la me di sempre e non questa che sono certe volte, che non mi sopporto che non vado bene a fare niente, che mi guardo allo specchio e vedo solo i capelli lunghi, e due occhi strani, sono forse così gli occhi di chi ha capito le cose, di chi non ne ha più voglia, di chi ha coraggio? 

Ho fatto una torta con questo sole, con la luna piatta di ieri sera che mi seguiva in autostrada, ma il sole non fa altro che dirmi che ho i vetri sporchi e la luna di ieri, c'è da giurarci, scuoteva la testa e mi diceva Ma Come Fai ad Essere Così Scema.

La sono, sì.
Mi lascio andare, vacillo, barcollo, mi gira la testa e tutto il mondo intorno, e non so più niente, non capisco niente, ed è tutto pasticciato e scolorito e nemmeno si vede più il disegno, e nemmeno vale più, come certi cartelloni delle pubblicità delle sagre di luglio, li vedi a dicembre, Sagra delle Trofie al Pesto e ti viene da vomitare.

Così faccio una torta.
E' una bella domenica di sole regalato, è ottobre fitto, sarà un autunno calmo e io sono qui che lo aspetto, mi troverà coi capelli più lunghi, gli occhi limpidi  di chi ha finalmente capito e una torta tiepida sull'alzata di vetro.

E' sbeccata, ma non fa niente.






28 luglio, 2017

La Piantina dell'Ufficio Postale




S'era di luglio.
Aveva un vestitino a fiorellini piccoli, uno di quelli che lascia scoperte le gambe, che non si stirano, di quel cotone leggero che fa allegria.
Era diretta all'ufficio postale, a spedire a Firenze un pacchettino.

Non era un pacchettino qualsiasi.
Al suo interno infatti, ben protetta da una pellicola e con un fazzolettino bagnato che ne proteggeva il gambo, c'era una piantina. Una piantina viola.

L'Ufficio Postale era un edificio austero, di marmo bianco, con un mosaico bellissimo che spesso si incantava a guardare ma al quale nessuno sembrava fare caso.
Il temporale della notte aveva disegnato un cielo bellissimo, di un blu speciale.
Non che fosse una gran giornata, ma proprio in occasioni come quella, ella aveva messo a punto una strategia. Sorridere.

L'impiegata dell'Ufficio Postale aveva caldo. Forse, nemmeno molta voglia di essere lì. Avrebbe preferito essere che so, al fiume, c'è un fiume bellissimo a pochi chilometri dalla città, con un canyon e una inspiegabile spiaggia di sabbia fine. E' solo un torrente ma ha l'acqua cristallina e i ragazzi di qui ci vanno spesso, a tuffarsi dal canyon e a fare festa. E a guardare le stelle.

la Donna Col Vestito a Fiorellini consegno il pacchetto da spedire. 
- E' leggerissimo, disse all'impiegata distratta. 
C'è dentro solo una piantina.

L'Impiegata si illuminò.
- Una piantina? e di cosa?

Niente di illegale, sorrise la Donna, è una pianta viola che fa dei bei fiorellini rosa. Rosa, come i capelli della ragazza alla quale arriverà, e che se ne è innamorata subito. Ora, la pianterà in un vaso  a Firenze e lì crescerà.

L'Impiegata della Posta non aveva mai sentito, fra bollette e francobolli, una storia più bella.
Dietro di lei, una pianta dalla foglie verdi e lucide.
- Anche io faccio questi esperimenti, le disse, la vede questa pianta? l'ho portata io dalla Riviera.
Così dicendo, si alzò e con delicatezza staccò un rametto dalla Pianta Verde.

- Tenga, disse alla Donna, pianti anche questa vicino alla sua pianta viola. Vedrà che soddisfazione.

La Donna col Vestito a Fiori ne fu meravigliata e felice.
 Mai le era capitato di uscire dall'ufficio postale con qualcosa di più che una ricevuta.
Quel giorno, aveva con sè un rametto di foglie verdine che presto avrebbe trovato posto sul suo terrazzo, e già pensava, attraversando al piazza, che tipo di vaso, se quadrato o tondo, e dove l'avrebbe collocata.

E si rese conto che gran parte delle sue piante avevano affrontati lunghi viaggi per arrivare fino a lei. Gliene aveva inviate Alice, dalla Sardegna, aveva trafugato un geranio in montagna, e pochi giorni fa aveva portato con sè un pò di Sicilia sottoforma di piantina del terrazzo di Mari.
E che la stessa piantina viola, capostipite di una vera e propria selva in un' altra casa e in un'altra Isola, era stata raccolta in un giardino abbandonato molti anni prima, a Capri.

Nessuna cosa al mondo succede per caso, ogni sentimento, ogni sorriso, ogni carezza, financo ogni pianto  sanno sempre da dove vengono e hanno sempre un posto esatto dove andare.
E ogni cosa cura e solleva, accarezza e stringe migliaia di persone, e passi e chilometri  e distanze e destini e storie.
Ogni cosa.
Anche le piantine.
Soprattutto quelle regalate, una mattina di luglio, all'Ufficio Postale.






26 maggio, 2017

Ciao, Gelsomino

Gelsomino.
Maiuscolo.
Nome proprio di persona maschile.
Gelsomino.

Così ti chiami.
Non so nemmeno se tu lo sia davvero, un gelsomino, Gelsomino. 
Ma non fa niente.
Non fa mai niente.
A forza di non fa niente, si va avanti così.
Ogni mille NonFaNiente si vince un tostapane. Ne ho 11. Undici.

Gelsomino stamattina mi ha sorriso.
Così rigoglioso e profumato, così bello, nel suo essere tutto ingarbugliato alla grata, così testardo a voler salire lungo il muro, così elegante a voler abbracciare la casina dei Pettirossi, sfitta, quest'anno, perchè hanno preferito il Pino Grande del Prato Di Là.

Gelsomino mi ha sorriso. 
A colazione, una colazione sontuosa stamattina, ci si è concessi una carezza in più, per far naufragare le malinconie sottili di un giorno senza sole, in una tazza bella scelta con cura, di latte di soia che alla fine è buonissimo, ci si abitua a tutto, alle distanze, alle mancanze, ai ritorni e alle partenze, al latte di soia e alle malinconie. E a tutto il resto.

Ma l'abitudine mi fa orrore.
E Gelsomino lo sa.
Per questo, quest'anno ha volto essere diverso, ha voluto essere prepotente con la sua dolcezza, caparbio nella sua carineria, ed è fiorito più che poteva, ancora e ancora, sempre più sù, fin quasi ad arrivare alle finestre della Camera sulle Colline, la più bella della casa, da dove lo spettacolo del Monferrato è qualcosa che non si spiega, che ne sapete voi che avete il mare e i fiumi e i laghi, se non conoscete l'incanto della nebbia vista da qui, le albe immobili di certi lugli, i temporali che illuminano a giorno la Collina, e la neve, spruzzata a caso, e certi autunni rossi e arancio.

Gelsomino mi ha parlato.
Detto che sì, sono iniziati i giorni delle colazioni in terrazza, scalza e scarmigliata, da qui non passa nessuno o quasi e, qualora fosse, difficilmente ti vedono, la Siepe non è stata tagliata, sembra una casa abbandonata da fuori, non fosse per il Pratino tagliato di fresco e per i vasi tutti in fila e le ortensie ancora acerbe.

Detto che da un pò mi vede sorridente anche la mattina presto, qualche volta ancora spersa coi pensieri che mi ronzano intorno come calabroni incazzati, e che io scaccio con un NonFaNiente, come, un altro? sì, in NonFaNiente non sono mai abbastanza.

Brindo a te, Gelsomino, a noi due, che facciamo colazione insieme ogni mattina fino a settembre, fra non molto sarò in qualche mare, ma tu, custodisci i miei pensieri e i miei segreti, così come fanno da sempre il Pratino e le Rose.

Brindo a noi, Gelsomino, fiorisci e fiorisci anche quando fra non molto  sarò in qualche mare, ti racconto tutto al mio ritorno.
E brinderemo di nuovo, tu ed io, ancora con una tazza bella scelta per bene, mai abituati mai, sempre a prendere sempre il bello delle cose e tutto il resto NonFaNiente.
Che mi serve un altro tostapane.

25 aprile, 2017

Ci pensi mai.

                                             

Ci penso sì.
Oppure no, mai.
Cioè, qualche volta.
No, invece. Ci penso sempre.

le vite che passiamo a pensare. A recriminare, ricordare, rimpiangere, immaginare, supporre. O forse, solo per vivere.
pensare, pensare alle cose fatte, da fare, a quelle che si rifarebbero domani, a quelle che invece nemmeno per sogno, a quelli che hai lì e che ti dici Un Giorno o L'altro Lo Farò, che siano cose belle o cose che rimandi perchè non le vuoi fare, le cacci sotto come le cose noiose da stirare, come le cose da piegare e rimettere nell'armadio, la noia proprio.

pensare, pensare, raccontarsi delle storie belle, scrivere dei libri immaginari, da quant'è che devo scriverlo, un libro, e ce l'ho, lo giuro, salvato nel pc, ogni tanto lo riprendo, e lo rileggo da capo e amo così tanto leggere che alla fine so a memoria fin dove l'ho scritto e non mi riesce di continuare, perchè mai, mai mi verrà qualcosa da scrivere all'altezza di quello che ho già scritto, chissà se funziona così anche per gli scrittori quelli veri.

Come quando sistemo la libreria, e mi ci vuole un mese a sistemarla tutta, perchè mi fermo, smetto di spolverare e prendo ogni libro di ci mi sono innamorata, e sono un sacco, e lo sfoglio un pò e lo accarezzo, e lo annuso, per ritrovare la me che ero quando l'ho letto, o per dimenticarmela,non so, e allora resto lì, lo straccio in mano e leggo, sul pavimento, perchè mi piace leggere seduta sul terra, vicino alla libreria stracolma, e leggo per delle mezzore e ciao che alla fine finisco di sistemare.

Ci penso, ci penso sì, immagino sempre le cose che non esistono, era un trucco che mi sono insegnata da sola, lo so che insegnare non è riflessivo, ma è così, l'ho insegnato a me, da ragazzina, sui diciassette anni, la famiglia disintegrata in pochissimo e una città nuova, e nuovi amici, nuovi libri, novo indirizzo, nuova quinta, avrei dovuto fare la quinta D al mio vecchio istituto e invece ho fatto la quinta e basta, ma per far finta di nulla ho scritto QUINTA D lo stesso, sul diario del Maffei a Torino, e nessuno capiva che cosa volesse dire. ma io sì.

Mi sono raccontata ogni genere di storie, inventata vite delle persone che incontravo, sul tipo che vendeva i libri usati in piazza Carlo Alberto, sul lattaio del corso, sulla segretaria del notaio che abitava di fronte a me, le calze coprenti, lo smalto rosa perlato e la piega sempre fatta, nubile e devota al suo notaio burbero, del quale secondo me, era innamorata da sempre. E quelle gonne a pieghe e quelle borse assurde, che hanno ispirato il genere Segretaria Di Notaio, quando mi vesto come non mi piace.

Continuo a pensare e pensare, inventare storie su case abbandonate, su addii alle stazioni durante la guerra, su incontri fra vicini, sulle scale col corrimano di legno nelle case d'epoca, con gli ascensori con le porte doppie, che fanno clang! quando si chiudono, e c'è sempre un cartello di metallo, Vietato Sbattere le Porte, ma nessuno lo rispetta e la vita di quel palazzo è scandito dalle porte dell'ascensore che sbattono.

C'è una casina in fondo alla strada dietro al campo, una casa piccolissima che è in vendita da sempre e che non vuole nessuno perchè troppo piccola, malconcia e  fuori mano. Ci sono passata l'altro giorno tornando dal vivaio e mi ci fermo sempre. Non ha più il glicine, chissà perchè, il cartello Vendesi è scolorito e nemmeno si legge più il numero da chiamare. Meglio così.

Nessuno la comprerà, nella mia mente l'ho già comprata e ristrutturata mille volte, e mille storie ci ho inventato, di chi ci abitava, di chi ci tornava, di chi ci faceva il pane nel piccolo forno che ha sul retro e di quali misteri nasconda il pozzo e quel tiglio e quel piccolo frutteto.

Ho già comprato delle tende di mille fogge diverse, l'aveva vista anche Silvia, ci eravamo dette che l'avremmo comprata per farci le feste, ma quali feste che siamo sempre in mille e non ci stiamo, ma adesso di feste non se ne fanno più, e in mille non siamo più, o forse sì, ma manca lei e allora che feste si devono mai fare.

Così, ci penso, penso a cosa si potrebbe fare in quella casina diroccata, e mi racconto delle storie complicatissime, con intrighi e misteri, è questa la tecnica, raccontarsi storie belle per non sentire la paura, farsi gioielli con le margherite del pratino, anelli preziosi con le gabbiette dello champagne di Natale e conservarli, conservare tutto, i pensieri le emozioni, il cuore che batte fortissimo sotto al lenzuolo, darsi forza, ballare e cantare sempre, anche quando ti siederesti sul pavimento, la testa piegata sulle ginocchia e non vorresti sentire e vedere niente.

è dal niente che nascono le storie più belle.

E chissà se la segretaria del notaio gliel'ha mai detto, che si era innamorata.








Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...