14 gennaio, 2019

Il Talento.

Non credo di averne, nessuno.
E se ne ho qualcuno, è per cose insignificanti e totalmente inutili. 
Ho talento per imparare le canzoni a memoria e le poesie. Di fissare le scie delle aerei fin quando non scompaiono, o si dissolvono nel cielo. 
Ho un talento spiccato e naturale per perdere le cose, prendere multe, dimenticare le chiavi.
E dimenticare me.

Sono giorni freddi ma mica tanto, sono giorni strani di nuove condizioni e nuove situazioni, prima fra tutte la cose che vedo dalla finestra appena apro gli occhi. E sono altre finestre e altre tende e un balcone delizioso che ha ancora una cometa illuminata. Anzi, adesso controllo se c'è ancora. 

Nuove direzioni e nuovi pensieri, belli, liquidi, come gli occhi delle persone che sanno essere straordinarie nel loro modo semplice di esistere e di guardare, e di arrendersi dolcemente alle cose della vita. Non è da tutti, non l'ho mai imparato, non so se ci riuscirò mai.

Gennaio è un mese ingrato e meraviglioso, è il mese dei grandi inizi e dei progetti interstellari, e poco importa se alla fine non se ne farà niente. Ho un talento sublime per fare sogni grossi come case, voli supersonici fra le nuvole più belle dell'Universo Creato, io, Sognatrice Indiscussa, Regina delle Cose Inutili di Tutte Le Terre Emerse, che si schianta  con fragore al suolo, di faccia, sbammm! e zero talento ad indovinare che sarebbe successo, meno di zero.

Ho un cuore stropicciato dentro una busta di plastica. Lo tengo lì, al caldo, qualche volta lo accarezzo e gli dico piano che andrà tutto bene, ma lo dico da così tanti anni che alla fine, il mio cuore non mi crede più.
Ha fatto un degno lavoro, per me, ha amato tanto, soccorso, accudito, consolato e insegnato. E ha sofferto, più di ogni altra cosa al mondo. Ed è stato così felice da non crederlo possibile. E poi disperato e stanco, da desiderare di fermarsi, da non farcela più.

I cuori guariscono sempre, loro sì che hanno talento.
Sanno sempre esattamente la direzione da prendere, sanno con precisione che se vai di lì troverai un prato e se invece vai di là una siepe di rovi. Più in là ancora, una cascata di acqua cristallina e spumeggiante e di là ancora una palude di sabbie mobili.

Eppure, ci vanno lo stesso.
E forse, il segreto sta tutto lì.

Vivere, vivere a manciate, a sorsi lunghissimi, come l'acqua gelata d'estate, vivere a sacchi, a cesti stracolmi come quelli del frutteto, vivere e non fermarsi, nemmeno quando ti manca il respiro e dici, Non Ce La Farò Mai.

Voglio imparare dal mio cuore, voglio avere il suo talento nel riconoscere le cose della vita che arrivano quando non sai, quando non credi, quando hai freddo, fame e sonno e invece guarda lì, che meraviglia che c'è.

Trovo un'altra direzione, prendo questa strada che non so, ho un talento superbo per indovinare la strada giusta, non è vero ma faccio finta, il mio cuore sussurra e mi dice, Vai, E' Tutto Ok, è La Strada Perfetta, ma lui che ne sa, che da lì dov'è nemmeno vede fuori.

Ma io lo sento sorridere.
La cometa del balcone di fronte è ancora lì.



06 gennaio, 2019

Disfo l'albero.

Lo faccio oggi, subito.
Altrimenti, rimarrebbe lì per giorni, e disfarlo sarebbe un compito gravoso e non mi ricorderei per questo di quanto mi sia piaciuto.
Guardarlo,anche se senza lucine e con le gocce di vecchi lampadari e i nastrini dei regali, guardarlo, dal posto d'angolo del divano candido, è casa nuova anche per lui, in fondo, si è dovuto ambientare.

Lo disfo oggi, subito, l'ultimo giorno di queste vacanze d'inverno, che se ne sono andati tutti, e la casa è silenziosa e un pò vuota. 
Lo disfo, avvolgo tutto con cura e lo sistemo nella scatola, quella che ha ancora scritto Natale Rosso 200004 con la grafia incerta di non so quale bambino.

Si guarda avanti, lontano, si fanno piccoli sogni di neve, in questo mese lieve che è gennaio, si procede lenti verso l'allungarsi delle giornate, ci vorrebbe solo la neve e la sua luce, perchè anche la neve ha la sua luce, tutta bianca com'è..
Si fanno liste di cose, o anche solo a memoria, a volte faccio liste delle parole che mi piacciono, basilico, sorriso, Elelys che era una fabbrica in Val D'Aosta, sillabe, frantoio. Chissà perchè mi piacciono le parole e il suono che hanno, al di là del senso e del significato. Chissà.

E' una domenica più domenica di tutte le domeniche dell'universo creato.
Disfo l'albero con calma olimpica, un pò alla moviola, mi fermo a guardare le cose, e quello che mi piace di più è guardare dentro il boule de neige, dopo averlo scosso un pochino.
Si crea una tempesta perfetta al suo interno e tu puoi decidere dove vorresti essere, se Parigi o in piazza Genova, e osservi tutti i minuscoli fiocchi di neve, e pensi che lì dentro è così bello stare, in quella bolla al riparo da tutto.

Ognuno ha il suo boule de neige personalissimo e privato, il luogo del cuore dove rifugiarsi per non sentire, per non ascoltare, per non vedere altro che fiocchi e brina, e strade bianche e sentire i rumori ovattati, e tutto il bianco intorno che ti fanno male gli occhi dal bianco che c'è, come quando piangi tanto, o pensi tanto a qualcuno, o prendi freddo in bici o in moto, sì, anche gli occhi fanno male, certe volte.

Affido al boule de neige qualche segreto, prima di riporlo nella scatola del Natale, accanto allo gnomo e ai campanellini, gli racconto che è stato un bel Natale e lo ringrazio, di vero cuore, per avermi ospitato al suo interno.

Ho vissuto in una bolla, di calma e di pace, e di cose belle e semplici, e di calore.
E ho cambiato idea.
Disfo l'albero, sì.
Ma questa bolla resta.
Resta.

Di quella volta che un boule de neige salvò la vita a una sognatrice disordinata.



02 gennaio, 2019

Brilli.

E stelle e paillettes e luccichii, e brilli, brilli ovunque, nelle penne, nei quaderni che ho comprato per scriverci chissà cosa, le lettere che non spedisco mai e i racconti che mi racconto da sola, quando viaggio in treno o quando devo aspettare da qualche parte.

Mi piacciono i brilli e ogni cosa che luccica, avevo una collezione di pennine meravigliose che scrivevano di glitter, ho avuto tovagliette di perline, e portachiavi e collane di perline rotte una volta in una strada coi sanpietrini e mai più ricomposta, troppo complicata l'operazione di recupero delle perline minuscole.  E pioveva pure.

Ho avuto dei pantaloni di paillettes, tre o quattro natali fa, e  sembravo Pollicino, perchè seminavo brilli ovunque, sulle scale e per la strada e in macchina e ovunque passassi.

Mi piacciono le cose che luccicano.
La lana che brilla, i cappelli, le sciarpe, ho sempre una cosa che brilla addosso, per non perdermi nella nebbia, mi sa, o per non perdermi io stessa.

Mi son persa mille volte e per mille volte ho ritrovato al strada. E l'ho percorsa all'inverso, anche se non so leggere le cartine, ma conosco i nomi dei venti e so da dove arrivano e dove portano.
E leggo le stelle, leggo le carte e le scie degli aerei, leggo le foglie secche, leggo le impronte nel bosco, leggo le mani e soprattutto gli occhi.

Ho pensato tanto, si pensa sempre tanto nei giorni di fine d'anno, e alla fine,l'unica cosa che sono riuscita a fare è stata buttar via l'agenda dell'anno passato, io, che ho ancora i diari di quando avevo sedici anni.

Ho pensato che non voglio propositi, per il 2019. 
Non dirò, Farò Così o Farò Cosà, non dirò Divento Questo, Divento Quello.
Resto io. Resto quella che sono.

Mi piacciono i primi giorni dell'anno, carichi di promesse e di cose intatte, nuove, da scoprire.
Mi piaccio io, mi piacciono i miei quaderni nuovi che luccicano, le penne d'oro e d'argento, i brilli, perfino l'agenda quest'anno è dorata, perchè sia festa bella tutto l'anno, perchè tutto sia come deve essere, e vada come deve andare, con l'augurio di essere dannatamente contenta sempre, perchè contenta è più di felice, essere contenti è uno stato dell'anima, ed è l'anima che voglio, leggera, trasparente, che vola, che luccica.

E piena di brilli. 
Arriverà la nebbia e non mi perderò.




29 dicembre, 2018

Indiani e cowboy.

Ho sempre amato questi giorni, un pò vacanza e un pò no.
I giorni in cui ti chiedi Ma Che Giorno E' e non fa una grande differenza alla fine.
Transumanze di figliolanza e fidanzati di figliolanza e amici e amici di amici, Passavo di Qua. Già, perchè adesso da questa casa ci si può passare anche per caso, non come l'altra che ci dovevi venire apposta.
Amo i giorni che vanno da Natale a Capodanno, quando hai tutti i regali scartati ma sempre sotto l'albero, sono regali fino al 6 gennaio e lì devono stare.
Che hai avanzi di cose un pò dovunque, ciotoline di cioccolatini e nastrini e carte ripiegate, o appallottolate, ne ho rinvenute un paio dietro al divano, che affanno comprare le carte dei regali, sono così belle e poi finiscono miseramente abbandonate e dimenticate, non come i nastrini, quelli li conservo sempre, ho imparato da mia nonna, e infatti non li compro mai, riciclo quelli che ho e conservo quelli che mi arrivano.

Sono giorni di cose sospese, di colate di brilli ovunque, si progetti iniziati o lasciati a metà, ho un ricamo con la scritta Merry Chr, che così rimarrà fino all'anno prossimo, io ricamo di Natale solo a Natale e non è una gran furbata, i gionri di Natale non sono mica mille,  ma io devo essere ispirata, se non non funziona.

Questi giorni, rifletto. Riflettiamo un pò tutti in realtà, si fanno bilanci e conti, io no, è noto al mondo che i conti non li so fare, ma quelli con le cose mie, con le mie giornate e la mia vita. beh, quelli sono gli unici che mi riescono per bene.

Diciamo che non è stato l'anno migliore della mia vita.
Diciamo anzi che è stato bruttino
Diciamo altresì che è stato unammerda.
Perciò, caro 2018 non sono triste se te ne vai. Anzi.

Ho provato a precipitare e a risalire, a riprecipitare e a risalire ancora, con le mani rovinate dalla pietre del burrone, e le scarpe non adatte, io non ho mai le scarpe adatte, ho i tacchi in montagna e le sneakers alle feste. Sono stata sott'acqua, non respiravo ma stavo lì, con gli squali a mangiarmi e io immobile a farmi mangiare. Sono risalita con un respiro profondo che più che un respiro era un grido, infinito, impossibile da contenere, inimmaginabile. Ho provato a respirare forte, ho provato a saltare, a correre, a girare su me stessa, ma ero di pietra e roccia e nessun movimento mi riusciva.

Ho dovuto imparare di nuovo.
A camminare, a respirare, a guardarmi allo specchio, a farmi la treccia, a mettermi il rossetto e a cantare in cucina la mattina presto, sottovoce, mentre mi chiedo chi mai ha fatto il caffè e stretto così forte la caffettiera che non si apre, e qualche volta sono io e mi faccio i complimenti da sola.
Perchè ho dovuto imparare a credere ancora in quello che sono.

E ora che te ne vai, 2018, devi portare con te ogni cosa, ogni lacrima, e sono state tante, ogni vomito, ogni notte che sono stata sveglia e ogni volta che ho dormito troppo, ogni volta che mi sono lasciata cadere sulla sedia, sfinita, solo per aver salito le scale.
Portati via le carte, l'odio, le frecce e i pugnali, non erano di plastica e giocare agli indiani non mi è piaciuto mai, ed era mio fratello che faceva il cattivo ma cattivo cosa se poi mi prestava il cavallo per scappare e poi mia madre cercava la scopa e c'ero sopra io.

Vattene, 2018. Lasciami la bellezza dei tramonti dall'autostrada, le persone che ho incontrato, i miei libri e le mie penne, i miei ricami a metà, i miei gomitoli arruffati che non ho voglia di dipanare, la mia casa col citofono e i cuori alle finestre. Lasciami i miei affetti, quelli che guardano di sottecchi se sorrido oppure no, lasciami le mattine in cui mi sento ancora quella di prima, quella degli unicorni e delle poesie a memoria, lasciami il mio disordine e questo cuore affaticato e stanco e che non smette, non smette mai di sognare e sentire, di scrivere e credere nelle cose, nella gente, negli amuleti contro la tosse, nella magia della luna piena sopra alle case, nella zingara che balla intorno al fuoco, mi ha letto la mano ma non mi ha detto nulla, ha sorriso e ha continuato a ballare, ha una cavigliera di campanellini e un tamburello e io so che cosa ha da dirmi.

Dimmi zingara che questo anno che arriva non mi farà del male.
A me, che non ho mai fatto male ad anima viva, giocare agli indiani non è mai piaciuto.

ero sempre l'indiano, quello che moriva.
E anche se mio fratello mi prestava la scopa, io, non sono mai scappata.

E buon nuovo anno a me.







26 dicembre, 2018

Del Mondo Nuovo.

La sensazione di avere tutto il mondo chiuso nella mano, chiuso in una stanza, al tavolo di un giorno di festa, la tovaglia bella, le carte dei regali per terra, abbiamo fatto il Secret Santa, che casino di nastri e scatole, Amazon ci ha mandato un cesto di frutta esotica, da tanto comprare.

Le feste di Natale, e le feste in genere, per me, sono quelle in cui apparecchi per 12, poi siamo in 15, che a tortellini e ragù si va avanti per giorni, passano amici a salutare, portano cose e sorrisi, e quadretti coi disegni, e cuoricini ricamati e dolcetti.

I mondo di ognuno si completa, cambia, si rinnova, si pensa che sia lì e invece è da tutt'altra parte. Il mondo si può cambiare, non senza fatica, non senza lividi, ma si cambia e spesso nel mondo nuovo c'è sempre un pò di più.

Il mio mondo non so ancora dove sia, so chi c'è, ma è lo stato in luogo a mancarmi. Di certo in questa casa nuova nuova, coi pavimenti belli, le candele, i cuori alle finestre, Li Hai Messi Per Me?, certo, ho perso tante cose di Natale in questo trasloco, ne ho ritrovate altre, e nessuna che mi sembri vecchia o fuori luogo, le ho messe tutte, dalla scritta NOEL all'albero zen che viene da Spargi e mai come quest'anno mi è sembrato bello e un pò più zen, con le gocce dei lampadari, i nastrini bianchi e poco altro.

Il mio mondo si è scosso, succede poche volte in una vita che si voglia cambiare mondo, io l'ho fatto e non è male. Da tutti i mondi che ho attraversato nella vita, ho portato qualcosa e adesso è qui.

E poi, ci sono le cose nuove, i sentimenti nuovi, le nuove cose, i nuovi discorsi, i progetti lucidi come gli occhi, quando gli occhi sono lucidi, di freddo, di emozione, di Non Andare Via, di non importa cosa.
Il Mondo Nuovo è scommessa azzardata, senza previsione e senza filtro, alla fine di un anno meschino, porta fiori e piccoli cesti di frutta candita, porta colori appena temperati per colorarlo meglio, porta matite preziose per fare disegni di grandi cose.

O anche solo per scrivere, Ti Stavo Aspettando.



13 dicembre, 2018

Esiste il tango.

E le tovaglie di fiandra.
e i tavolini dei bar.
e i cappuccini tiepidi
e l'acqua gasata, con una s sola.

Esiste il tango, le parole che scivolano, gli sguardi belli, le luci alle finestre, e la gente che ti sembra che ti sorrida, a volte, magari, anche se non è vero.
e le sedie di velluto coi colori che sono carezze, e la bellezza, e il tintinnare dei cucchiaini dei bar.

Esistono le altalene, la cioccolata, e i bicchieri spaiati e le coperte del divano, che sono le coperte più calde di tutte le altre coperte del mondo, perchè devono cullare e abbracciare e accudirti e consolarti, non solo scaldarti, no.

Ognuno di noi pensa di aver costruito un mondo tutto suo, e che nulla lo potrà scalfire o cambiare, o far crollare, o incrinare o far sparire. Ma poi succede e allora.
e allora che.

Succede che ti cambi li occhi, forse li asciughi, e guardi meglio, e guardi oltre, guardi vicino e lontanissimo, guardi le tue mani e le mani degli altri, e dalla finestra e oltre il balcone e vedi che esiste, esiste un altro mondo, che forse non è il tuo ma chi può dirlo, è un mondo nuovo che ti apre le braccia, e forse sarà bello rifugiarsi e farsi stringere e scaldarti, come fa la coperta del divano, la tempesta non passa in un attimo ma ci sono porti sicuri dove ormeggiare, aspettando che passi.

E oltre la tempesta esiste il miele, le sciarpe morbide, i cappelli che luccicano. E il tango.

07 dicembre, 2018

Salgo.

Ho sempre amato le scale.
Forse più a salirle che a scenderle, non saprei.
Ho sempre avuto case con scale, dentro, intendo, quelle che per andare a dormire dicevi Vado a Dormire e quel Vado era un piccolo viaggio, salivi e trovavi come un altro mondo, i libri sul comodino, i silenzi delle altre stanze o la luce che ci passava da sotto, la testa affacciata, Non Dormi Ancora? Sì, 5 Minuti e Spengo.

Ora ho scale diverse da salire, salgo e trovo la mia casa, quella coi pavimenti colorati e anche i vetri, quella che ha balconi e citofono per dire Sono Io quando scordi le chiavi, e un pò mi piace scordare le chiavi, per farmi aprire, per capire che lì c'è qualcuno che mi aspetta.

Ho le scale di marmo del piccolo palazzo dove abito ora, col corrimano di ferro e non è come salire le scale di casa tua, è un piccolo passaggio dal mondo di fuori al mondo di dentro, e qualche volta ci incontro i vicini, Buonasera, Ciao, ed è bello fermarsi a chiacchierare ed è anche bello sentire gli altri che chiacchierano,ti senti parte di una cosa che non definisci, è' una sensazione che non ho mai provato prima, qualche volta mi viene da uscire a chiacchierare con loro, le parole sulle scale rimbombano un pochino e sembrano segreti importantissimi e invece sono solo la ricetta dell'arrosto o CheFreddoCheFa. Mi piace.

Le scale si salgono di corsa quando sei in bolla, si canta perfino qualche volta, si salgono ad uno ad uno quando ti trascini le gambe per la stanchezza e la paura, o soltanto perchè hai pensieri che ti avvolgono, belli o brutti che siano, e allora li vuoi pensare ancora un pò prima di aprire la porta e lasciarli lì, sullo zerbino con le scritte, accanto al corrimano di ferro che adesso è tutto una ghirlanda di pino finto ma che ha le pigne e sembra vera.

Le scale si scendono un pò in bambola la mattina presto, si scendono saltellando quando devi fare in fretta, o vuoi stare fuori poco, si scendono caracollando con la spazzatura, il vetro, la plastica,si scendono con i cartoni della pizza al domenica sera, ed è come buttare nel bidone un pò di festa, io non amo i cartoni della pizza, hanno sempre un significato, ambigui e un pò falsi, festa quando arrivano e tristezza quando li butti via, si fa così anche con le persone, quanti al mondo lo hanno fatto con me. 

Mi piacciono le scale, le guardo anche nei film, quelle a chiocciola, o quelle quadrate, e le scale dei palazzi d'epoca del centro e penso sempre a chi le ha fatte e come, e in che stato d'animo e ci faccio delle mini storie, ho Instagram nel cervello, mi sa, solo che le mie storie le vedo solo io, e va bene così.

Salgo le scale, salgo verso il caldo di casa mia, le lucine alla finestre e anche sulla libreria, illumino a festa anche i miei libri questa volta, che sono cura e viaggio e terapia e amici e coperta e pace quando fuori è guerra.
 Scendo le scale per andare nel mondo che c'è fuori, stamattina farà molto freddo, avrò un cappello luccicante e una sciarpa colorata, farò i gradini uno per volta,mi preparo alla città che si veste di Natale, un attimo ancora prima di aprire il portone, le mani in tasca, ho scordato apposta le chiavi per dire al citofono Sono Io,  questa ghirlanda di pino, è vero, sembra vera.

18 novembre, 2018

CityLife


E come è diversa la vita di città.
Non ho pratini o colline, ma palazzi e antenne e balconi e cose stese delle case di fronte. Imparo, che si tendono i calzini vicini per colore, e non come càpita, che perfino le mollette hanno un senso. 
La mia dirimpettaia le usa di legno, quella di fianco invece, stende le cose blu con le mollette azzurre, e le cose bianche con le mollette bianche. Ci deve essere del torbido, in tutto ciò.

E poi, se dimentico il latte non è che suono a Marina e le dico, Hai Mezzo Litro di Latte? e poi glielo restituisco con un nastrino e un fiore. Scendo e vado a comprarlo, anche vestita scialba, col maglione da casa che fa i pallini e i calzettoni a pois nelle Superga sfasciate che non butterò mai, e i capelli raccolti, che mia madre ieri mi ha detto che se mi avesse incontrato fuori dal supermercato, mi avrebbe dato un euro. 

La vita di città è cosa semplice, la Casa in Collina resta nel cuore, come è giusto che sia, come tutte le case che ho abitato, ma anche se i cambiamenti mi fanno orrore, ho dovuto mescolarne molti, mio malgrado, e non mi ci sono abituata ma insomma, ho messo a punto una tecnica per non rimanerci sotto.
Non sempre funziona, ma fa niente.

Novembre è il mese del niente e del tutto, è la tristezza, il gelo, la nebbia, non ha significato perchè non ci sono eventi se non la ghiaia dei cimiteri, i fiori freschi nelle tombe e questi giri assurdi di tortura per camposanti. Che uno non ci pensa perchè nei supermercati è già Natale e se non avessi la nausea a vedere torroni e palline, direi che sarei contenta.

Sarà un Natale diverso, il primo in città, e non so dove fare il mio albero zen e per la prima volta ho un balcone, anzi due e delle finestre altissime e occorrerà uno studio di settore per capire cosa mettere e dove.

Non ho più il Pratino ma ho il Viale delle Foglie Secche, e lì cammino e cammino, e arrivo lontanissimo senza rendermene conto, e penso tanto anche così, e so che il Pratino e il Viale si sono parlati e adesso è il Viale ad avere cura di me, ha tanti di quegli alberi che mi sussurrano cose quando passo, e ancora non le ho capite bene ma so che sono cose belle.

A loro non importa se sono vestita da stracciona, se ho le scarpe rotte e le occhiaie. 
Mi accolgono nei pomeriggi verso sera, quando alle 5 è già buio, oppure nelle mattine cariche di di programmi, incontri gli studenti e la gente con i cani, e sconosciuti che ti salutano per educazione.

Ho cerotti un pò dovunque, ho tagli profondi che non si rimargineranno mai, mai e poi mai, ho pezzi di vetro sotto alle scarpe e coltelli che mi sibilano accanto alle orecchie, ogni giorno, ogni singolo giorno.

Ma io non vedo e non sento.
Ho gli alberi davanti, le foglie secche che scricchiolano e devo andare a comprare il latte.
Marina, ti telefono.


14 novembre, 2018

Senti.



Senti con gli occhi, con le orecchie, e con le mani. 
Come quando sei al buio e cammini a tentoni, per non sbattere nello spigolo della credenza.

Senti e vedi le cose che accadono, le senti con gli occhi perchè li strizzi forte, per non vederli, sentirli solo,  c'è troppa luce, non ce la faccio a guardare, come quando salgo in alto e non guardo giù, soffro l'altezza, forse ho paura di avvicinarmi troppo al cielo, chi lo sa.
E con le orecchie senti il brusio, la gente, le chiacchiere, i discorsi, le parole, una sull'altra, che rotolano, macigni, sassi, vetri appuntiti e chiodi e coltelli e filo spinato e spilli, e male, male ovunque e sacchi, sacchi si sabbia, sul petto, sulle gambe,sacchi che ti sbarrano la strada e la sabbia che ne esce si infila ovunque, nei pantaloni, nelle scarpe, perfino in bocca e non sai ridere, non lo sai più, e non sai piangere, non lo sai più, urli e basta, gridi e basta e nemmeno respiri e nemmeno ce la fai a fare un suono, e cadi, e cerchi di correre e inciampi, e nemmeno a camminare riesci più, che le stringhe ti fanno inciampare e hai palle di piombo pensatissime legate alle caviglie,  e catene arrugginite, non più i campanellini che hai avuto per 5 anni, quanti erano, un filo viola e sei campanellini, che camminavi e facevi din din din anche d'inverno, anche sotto la doccia, anche nella neve, come in spiaggia, ma la neve non è spiaggia, la neve è gelo, gelo forte che ti squassa l'anima e tu sei lì, a non fare niente, a non sapere fare niente, più niente, a non essere più niente, non so più leggere, non so più scrivere, non ci sono più.

Ho giorni in fila che mi guardano e mi odiano, ho giorni in bagno a vomitare, ho giorni che mi aspettano seduti sul letto quando vado a dormire, per non lasciarmi dormire o per farmi dormire così tanto che mi sembra di morire un pochino, che non posso farlo adesso perchè nemmeno ci riesco, e quanti lo vorrebbero magari, e quanto male, quante ferite, quanti colpi durissimi che non riesco a parare, non ho corazza e non ho elmo, non ho esercito o cavallo, non ho parole nè sentimento, non ho più risposte e nemmeno domande.

Ho solo ferite, lividi e tagli, e occhi gonfi e mani stanche e gambe rigide e mi fa male il cuore.
Il cuore non fa male, cretina che sei, dormi, dormi e muori un pò, accontentale, dormi e non sentire nulla, nè con gli occhi, nè con le mani, le orecchie sì, quelle che sentono le parole e il male sentono ancora da lontano quei campanelli, din din din, senti quella che eri, che non trova la strada, ti hanno ucciso e lo sanno,  la spiaggia è lontana, non ci arriverai mai.









12 ottobre, 2018

A-social


E basta.
Sono stata un'entusiasta dei social. Di tutti i social.
Ho avuto Facebook per 10 anni. Ho incontrato vecchi amici persi, rivisto facce di fidanzati delle medie, e chi non lo ha fatto, compagne di banco, vicine di casa.
Ho fatto volare un'associazione e trovato chi se ne occupasse in tutta Italia.
Ho fatto il Gioco delle Scatole di Latta, il Giorno della Teiera e il Colino Day.
E riso, riso tantissimo.
Pianto anche, qualche volta.
Condiviso notizie belle, bisticciato per opinioni controverse, ma appena appena, con le faccine alla fine, come a dire, non discutiamo per queste cose e proprio qui.
Ho avuto Instagram per 5 anni.
Fotografato torte, libri, candeline, risotti, albe e tamonti e scie di aerei, colazioni su prati e su tavoli con le briciole.
E scarpe.
Fra le foglie, al mare, sul muro di Berlino, in barca, sulle scalette degli aerei.
Quelle foto le ho perse tutte, la mia pagina è stata hackerata da non so chi.
Ho perso tanto.
Ne ho aperta un'altra, ma non c'era più lo stesso gusto. 
Come quando scaldi la minestrina. Che perde ogni sapore possibile.
Solo la pastasciutta è più buona riscaldata. Con la crosticina e il sugo buono.

Mi sono tolta da tutto.
Mi sono tolta dal mondo, da Facebook, da Instagram, tengo Twitter per leggere le notizie, per guardare i commenti a XFactor, per leggere Ester Viola e Vittorio Zucconi.
Sono fuori dal mondo?  No. Ci sono di più. Nel mio.

Non era tutta sta passeggiata di salute, sui social l'odio passa velocissimo, in cinque minuti tutto il mondo può sapere che sei una terrorista, una stronza, una troia, una poco di buono. E una delinquente.
Anche se non è vero. Soprattutto se non è vero.
E ti condannano senza appello, senza poter dire Non è Così, che in fondo è del tutto inutile.

Perciò ho chiuso tutto, salvato le poche fotografie rimaste, di quella vacanza lontana, di quei compleanni, di quel ferragosto con una persona che non c'è più. Tutto il resto l'ho cancellato.

Ho ritrovato me.
Ho ritrovato le Fragole, che nessuno può portarmi via, così come i pensieri, le cose che scrivo,le sensazioni che ho e nessuna è molto bella, da qualche mese in qua. Ma devo guarire.

Ho ritrovato i miei libri, il mio ricamo, il lavoro a maglia quello sempre, la cucina, anche, che non sono bravissima ma mi piace e solo quando sono ispirata faccio cose da primato. E poi, ho una cucina nuova e un bel frigo rosa e uno sgabello che mentre cucini qualcuno può sedersi lì e chiacchierare con te mentre sbatti le uova. E farsi un giro se vuole, perchè lo sgabello ha le ruote.

Ma resta tutto qui.
In questa casa strana, con le mattonelle colorate, i balconi, il citofono e i gelsomini.

Ho ritrovato tempo e serenità, devo guarire e stare bene, soffocavo sotto una montagna di qualcosa che non so definire, che è più di cattiveria, più di infamia, e che mi sembra impossibile che nessuno ci abbia pensato mai, mai una volta.

Ritrovo me, sul divano da dove vedo i tetti delle case, che ho i fili per stendere e una gomma verdina per innaffiare i vasi. Non fotografo niente, non racconto niente se non qui, conservo energie e pensieri per raccontarli solo a me, che ne ho bisogno. Non ricordo a memoria un momento così complicato ma da ogni devastazione, da ogni dolore lancinante, da ogni desiderio di sparire, o di gridare, o di piangere così forte da farti bruciare gli occhi e la gola, deve nascere qualcosa di bello.
Di più bello.
E di reale.

Ho ritrovato il piacere di leggere per non impazzire, il gusto di scrivere per mettere ordine, solo per me, senza filtri, i blog sono passati di moda, come i citofoni e i fili per stendere.
Sarà per questo che li amo già così tanto.

Senza rancore Facebook, senza rancore Instagram.
Tenetevi tutto il bene.
Il male, quello no.
Sarebbe troppo, anche per voi.







01 agosto, 2018

Le Cartoline.

Nessuno le scrive più, oramai.
Se proprio vuol far sapere a qualcuno che lo pensi da un luogo di villeggiatura, meglio una foto del tramonto, o una granita, o un'immagine di te sul materassino. Arrivano subito e senza troppa poesia.

Ma a me, le cartoline piacciono sempre.
Mi fermo spesso a guardarle, qualche volta le compro anche, ma non le spedisco. Pensa alla faccia di chi riceve una cartolina, adesso.
Eppure, ne ho sempre scritte tantissime, e ricevute, ultimamente, qualcuna, dalla mia amica Renata, per esempio. Le ho conservate tutte.

Da ragazzina, passavo l'intera estate a Varigotti, in Liguria.
A una settimana dalla partenza, appena dopo aver finito i compiti delle vacanze, c'era, per mio fratello, mio cugino Maurizio e me, il Momento Cartoline.
Una noia mortale.
Ci si doveva ricordare del vicino di casa, della maestra, delle zie, della nonna...
Ma Cosa Le Scrivo Che La Vedo fra Poco?
Scrivi Che ti Diverti.
E poi tutti quei codici postali, mio nonno aveva un libriccino con tutti gli indirizzi possibili, ma non saprà mai che spesso, anzichè andarle a spedire alla buca rossa in vico Mendaro vicino al'Evelina, passavo prima dalla spiaggia a vedere chi c'era, e magari mi fermavo pure per il bagno o per giocare a pallavolo o chiacchierare. Le cartoline? Riportate a casa e consegnate a mano. 

Mi piacciono le cartoline e i loro espositori.
Quelli che girano, più di quelli fissi.
Mi piaceva farli girare, e trovare quella più adatta, sempre col sole, e senza scritte, spesso ci scrivevo un poema dietro e mio nonno mi diceva di stare molto attenta,  che il postino avrebbe letto tutto, allora cercavo di scrivere cose belle e in bella scrittura. Che scema.

L'espositore dell cartoline gira e gira. Lentamente se vuoi scegliere. Più forte se non sai che fare.
E càpita che,  a farlo girare troppo,  prenda una velocità supersonica, incontrollata, e giri e giri come una giostra immaginaria. E con la velocità, le cartoline scivolano fuori dai loro spazi, i tramonti, le spiagge, le barche, le luci, e SalutiDa vanno ovunque, sottili come sono e il vento le trascina, e le porta lontano, nei posti più impensati, e vanno e vanno e tu non riesci più a controllarle, e non sai più dove sono, e anche se le cerchi non le troverai e non potrai più metterle al loro posto, nell'espositore che gira.
Ormai, sono andate in giro per il mondo.

Così come certi amori, non sai più dove si sono cacciate.
Così come certe parole, che hai fatto uscire e disseminato per il marciapiede, sotto alle macchine, financo in cima alle palme di Vico Mendaro, non riesci a recuperarle per metterle al loro posto.
E arriverà l'inverno e le troverà, l'estate e le ritroverà, ingiallite dal sole, scolorite dalla pioggia, ma saranno sempre lì, sparse.

Scrivevo sempre Tanti Cari Saluti e Tanti Baci.
Chissà dove sono andati i baci che ho scritto sulle cartoline.
Chissà dove vanno le cartoline che spedisci nel mondo.
Restano sempre
Come certi amori, come certe parole.








Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...