16 novembre, 2009

Ode al melograno.

E' un frutto così superbo, austero, nella sua complicata semplicità. E' un controsenso di frutto, ha un colore così insulso, dorato, beige, non si capisce, beh? non è che in questo autunno scombinato hai pure disimparato a distinguere i colori? E' un colore senza senzo, il melograno da fuori. Certo, che scoperta, non è mica da guardare da fuori, ma da dentro. Ci vuole mestiere anche ad aprire un melograno, non è che prendi un coltello e voilà, ci vuole arte, cura e tenerezza, non è da tutti. Il melograno lo apre uno solo dei commensali, di solito, e uno solo basta per tutti, facciamo due, se a tavola siede un reggimento come quello che occupa la casa in collina. Non occorre tanta scena, il melograno si mangia con le mani, si succhia perlopiù, non è che abbia un gusto così deciso, ci sta bene nell'insalata ma solo perchè ha un bel colore, per il resto non è determinante. La disposizione dei chicchi mi ha sempre affascinato, messi lì per bene, con ingegnerisitica precisione della quale ne sono totalmente e assolutamente priva. Perciò mi affascina. Così mi innamoro dei chicchi messi in bell'ordine, di quel rosso rubino che incanta, di quel gusto sottile di selvatico e corteccia, dolcissima, certo, ma aspra, e acidula, qualche volta. Sorprendente melograno, scrigno fatato di gioielli perfetti, lucido frutto di questo autunno scombinato e perfetto, caldo e nebbioso, pigro ed esaltante, un controsenso, pure lui.

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