30 novembre, 2006

Figlio del cuore.


Sì lo so che non è niente e che lo fanno tutti i calciatori. E che nemmeno gli faranno l'anestesia totale e che non sentirà male, me lo hanno ripetuto in mille, solo un pò di fastidio dopo e la lagna della riabilitazione, il tutore eccetera. Un intervento al legamento crociato, soprattutto se fatto da un luminare, oggi rappresenta un inghippo paragonabile all'estrazione di un dente suppergiù. Ma non è questo. E' che io non distinguo. Il mio cuore non distingue. Che di figli ne ho avuti tre e ne ho vinti altri due, e che questo, questo qui che ha 21 anni e mi abbraccia stretto come ne avesse 7, come quando era un bimbetto sdentato che non sapeva se guardarmi con ammirazione o con sospetto, quando gli insegnavo a disegnare le fragole coi puntini, nei week end in cui stava col padre e quindi con me, questo ragazzo che è un uomo, oramai, che studia da ingegnere e che si siede in cucina a parlare con me, che mi chiama Là e che racconta, non molto in realtà, ma che so da come apre la porta se qualcosa gli è andato storto, questo figlio acquisito che non è un "astro", suffisso bandito nella nostra famiglia, che mi dice Parla Tu Con Papà, e mi scrive nei post it Grazie e io ci piango come una scema, che conservo ancora quella melanzana salterina che mi ha regalato per la festa della mamma dieci anni fa. A lui, che stamattina ho fatto ridere sulla porta con le mie stupidaggini alle 6 del mattino, che aveva un pò paura ma non lo dava a vedere, ma sa che io so, a lui vorrei mandare, adesso, il più stretto dei miei abbracci, quelli che scaldano e danno coraggio, anche se è grande e sa che non è niente e che domenica sarà già qui, a casa, a casa sua. Non sono sua madre, ma da undici anni è come se. Il cuore non distingue, se i figli vengono dal cielo o dal mare. E i figli del cuore, col cuore, lo sanno.

29 novembre, 2006

Il cappotto di astrakan.


Maccerto, non è mica di astrakan, non sono mica scema, e poi, sotto il sole turco, ma mi volete dire chi se lo mette l'astrakan? Era solo così, per vezzo, perchè mi sembrava un bel titolo, rubato alla storia della cinematografia italiana, e per giunta, girato a Pavia, la città dove sono nata. Ma passiamo oltre. Vi era mai capitato di vedere un papa col cappotto? A me no. Certo, fa la sua figura. Da che mi ricordo, e io di papi ne ho visti 4, da Paolo VI in giù, passando da Papa Luciani e giungendo a Woiytila, per poi approdare a Ratzinger, nessun pontefice aveva mai osato tanto. Avevano il loro bel vestitino candido, magari osavano un cappellino o una giacca a vento quando erano in vacanza, ma nelle visite ufficiali mai. Si vede che non ho guardato bene. E dire che io della figura papale ho sempre avuto un pò soggezione, da quando, giovinetta e militante di Azione Cattolica, mi sono recata in visita alla Basilica di San Pietro e ho incrociato gli occhi di Paolo VI, che passava nella navata centrale e guardava proprio me. Avevo 13 anni, creatura, ed è stata una grande emozione, che ancora ricordo e porto con me. Ho traslato quindi su tutti gli altri la stessa aura di santità, come è giusto che sia, pur non avendoli mai visti così da vicino. Solo Ratzinger all'Angelus, lo scorso anno, nei primissimi giorni del suo Pontificato. Su di lui si è detto molto, ovvio, fatto vignette satiriche e al limite del blasfemo. Io non farò niente di tutto ciò. Mi proprongo solo per un piccolo regalo. A lui, nessuno farà nulla per il Santo Natale, no? Magari padre George arriva con una scatola di cioccolatini, ma, povera Santità, nemmeno un pacchettino da scartare per indovinare che cosa c'è? Così mi è fulminata l'idea che vado ad esporre: una bella sciarpa, fatta ai ferri, magari di un bel rosso ciliegia (rosso cardinale no, non va mica bene, non lo vogliamo mica far retrocedere di grado), che ben si intoni alla scarpina Prada che sfoggiava scendendo la scaletta in suolo turco. Che poi, curiosamente, nelle immagini del Tiggì, si è intravista l'interprete ed era proprio lei, Serra Yilmaz, l'attrice turca preferita da Ferzan Ozpetek, quella de le Fate Ignoranti e La Finestra di Fronte. Ma non divaghiamo. Eravamo rimasti alla sciarpa rosso ciliegia. Secondo me sarebbe gradita al Pontefice. Con tutta quell'aria che si prende da quella finestra, signora mia, con tutte stè bronchiti che ci sono in giro, non sarebbe meglio si coprisse un pochino, il nostro caro Benedetto? O, in alternativa, se l'idea della sciarpa fosse troppo come dire, plebea, si potrebbe ricamare su una tovaglietta di lino per le colazioni,il suo nome, abbreviato però, che per intero è troppo lungo e non ho tempo, con tutto quello che ho da fare. Basterebbe "Ben". Come dice? Ricorda troppo la Petacci? Meglio di no, allora. Non mettiamoci nei guai. Facciamo così, firmo anche io il bigliettino di Padre George e chi si è visto si è visto. Speriamo solo che la cioccolata non gli faccia male.

28 novembre, 2006

I ricami di Natale.

Si fa così. Si acquistano una serie di matassine, che tanto in casa ne hai già millecinquecento, frutto di 17 anni di ricamo, ma non quel verde lì e non quel rosso lì, e poi, vogliamo parlare di quelli metallizzati, mooooolto natalizi? Poi, si fa una rapida cernita di schemi, sia quelli già in possesso che quelli acquistabili via internet (un vero attentato). Successivamente si stila un elenco dei regali da fare, giacchè quest'anno ti è solleticata l'idea di fare tutto da te medesima. Giusto, non hai niente da fare e passi i tuoi pomeriggi a metterti lo smalto e sbadigliando guardar fuori. L'elenco degli eletti è mostruosamente lungo, il tempo per eseguire le tovagliette da colazione, i famosi strofinacci e altre corbellerie, impietosamente ristretto. Che fare? Organizzarsi è la parola d'ordine. Si allestirà un graziose cestino con all'interno tutto l'occorrente, forbicine a gabbiano comprese, e si vivrà inseparabili da lui fino al compimento di tutte le Grandi Opere progettate. Il che significa che, fino all'antivigilia, ogni mezz'ora che di solito viene dedicata allo svago, sarà testè occupata dall'arte ricamatoria. D'altra parte, non sono nuova ad esperienze del genere. Già con le bomboniere del cresimando avevo ricamato nei luoghi più improbi e alla fine il risultato è stato davvero grandioso. Per le Opere in progetto manca solo una cosa: l'ispirazione. Forse è troppo presto, ma quest'anno lo spirito natalizio non si è ancora posato sul mio bel capino, e al solo pensiero dell'affanno e degli auguri e del BuonaFineEBuonPrincipio mi viene la tosse. Ma, signori miei, non perdiamoci d'animo. La pace natalizia arriverà, tra borsellini vuoti e suocere da sopportare, tra arrosti venuti male, e regali da sbattere fuori dalla finestra, tra Capodanni da suicidio collettivo e maionesi impazzite. E ci si sentirà veramente in pace quando si potrà dire, bene, anche quest'anno ce lo siamo tolti di torno. Ma fino ad allora, un pò lo ameremo. Tanto vale cominciare da subito.

27 novembre, 2006

Passa.



Passa la pioggia, il freddo e le patate nello schiacciapatate. Passa il tempo, la febbre e la tosse, la stanchezza, passa il mal di testa e la paura. Passa il bruciore agli occhi, il male di una storta, il rosso di uno schiaffo. Passa la domenica. Che è stata bellissima, fino ad un certo punto, e che poi mi è scappata di mano e si è rotta, disintegrata in mille schegge, non sapevo proprio di avere domeniche di porcellana finissima, come le tazzine. Fortuna che durano un attimo. Ci si mette poco a scopare via i cocci, si raccolgono con la paletta, si cancella tutto e via. Si resta solo come intorpidite il giorno dopo, convalescenti, ecco, un po’ stordite, dispiaciute, anche, per aver sciupato qualcosa, come quando si rovina una maglia in lavatrice, o si scolorisce un tovagliolo con la candeggina, non sarà più uguale agli altri, che peccato, un servizio così bello. E allora ti dici che solo chi è capace di grandi amori e di grandi comprensioni, e di grandi affetti travolgenti e assoluti, è capace di grandi collere e grandissimi rancori, seppur brevissimi. E questa cosa fa di lui un essere speciale. Che importa se qualche volta frantumeresti la sua testa come la tazzina di cui sopra, che proprio diventa sordo e cieco e non vuole né ascoltare né parlare e tu vai in bestia e lo legheresti ad una sedia, imbavagliato, bene, adesso mi ascolti, e lui no, testardo e cocciuto come tutti i suoi figli, ecco da chi hanno preso allora. Ma che si deve fare, l’amore è porcellana e seta pura, cristallo di Boemia e di Murano, cachemire a mille fili e champagne millesimato. E l’amore, ma che ve lo dico a fare, no che non passa.

26 novembre, 2006

Fiocco rosso.

Mai più senza. Il corteggiamento è stato lungo, ma alla fine, LUI, è mio. E per sempre. Una specie di matrimonio, io vestita carina, jeans aurei e magliettina smilza. Alla ricerca di una ricetta per la nostra prima sera insieme, che potesse essere davvero indimenticabile. Viola, in sovrappiù. Deliziosi muffin ai mirtilli, un impasto di un colore da perdere la testa, ci avrei pitturato anche la candida parete di fianco, se avessi potuto, un punto di viola signora cara, che era un amore. Letta la ricetta su Kitchen, una rapida verifica degli ingredienti con la testa infilata ora nella dispensa ora in frigorifero, un figliolo che mi dettava e la Princi che aiutava, lesta e felice di questo nuovo giocattolo che troneggia da sabato sul ripiano della mia cucina, con il filo arrotolato e fermato con un fiocchetto di velluto, un elettrodomestico che ha un che di umano, che guardiamo ogni tanto come si guarda un parente stretto, un nuovo nato, un cucciolo appena arrivato. I muffin, buoni. Gustati per la prima colazione di domenica. Quando sono scesa ho guardato per bene che ci fosse ancora, e che avesse passato la notte tranquillo, nella nuova casa, fuori dal suo imballo e dopo quel lungo viaggio. E che nessuno si fosse intrufolato, nottetempo, per trafugarlo e strapparlo alla sua nuova famiglia. Fidarsi è bene, signora mia, e a pensar male si fa peccato, ma conosco due o tre individue (si può dire?) che farebbero carte false per averlo, nella loro casa arancione, o nel palazzotto, o nella dimora montana. Perciò, lo blindo. E' vero, faccio peccato, ma a pensare male ci prendo sempre. Non fa così anche lei?

24 novembre, 2006

Friday.


Ci si è vestiti un pò a caso. Non cosparsi di vinavil e rotolati nell'armadio, ma quasi. E' una piccola libertà che ci si concede, a fine settimana, un gesto di grande menefreghismo e che dà un senso di libertà, come a dire, ok, sono qui ma da domani non ci sono per nessuno. Il bello delle settimane frenetiche è che si inizia il fine settimana già dal venerdì mattina, scegliendo un jeans sobrio e un maglioncino, e niente tacchi e tailleur. Già in relax. Stasera, Grand Soirée con la picci, che è agitata da una settimana e che mi ha chiesto venti volte se sapevo la strada, non fidandosi del mio esiguo senso dell'orientamento. Ha ragione, creatura, ma mi sono preparata. L'aspetto positivo dell'aver avuto 7 giorni da miniera è rappresentato dal fatto che si diventa un pò bradipi, si ha voglia di nessuno o di pochissimi, di mangiare quando capita, cucinare forse, un film, perchè no. Niente vetrine e niente centro. Nulla o quasi. E niente potrà il tempo, che piova pure, che geli, che nevichi, se vuole, nulla ci smuoverà. Il fine settimana è tutto lì da disegnare, un gessetto e una lavagna, di quelle enormi e girevoli, quelle dei castighi, che dietro avevano scritto le cose più turpi, a quadretti da una parte e senza niente dall'altra, dotate di cancellino di feltro, rotondo a forma di frittella, che ci si tirava all'intervallo. Oh, yes, grande invenzione il venerdì. Peccato non conoscere Leopardi di persona. Gli avrei detto due paroline.

23 novembre, 2006

Diamo a Cesare...


...la ciambella col buco, o la moglie ubriaca, a piacere. E' tardi, lo so, anzi è presto, troppo presto, ho i pantaloni di velluto e la maglia del pigiama e devo schizzare via, tra pochissimo, i figlioli già a scuola e io a Milano, il mio sposo già via, con i suoi progetti e i suoi sogni che, stamattina, prenderanno forma e colore e dimensione e si potranno vedere e toccare. E' una mattina di colori lucidi di pastello, in un cielo di vetro e di cotone, non so bene, che buffi gli alberi gialli e rossi, come capovolti in una latta di colore e poi scrollati, per farli asciugare, ma lo sai che così le foglie cadono? Ho pochissimi secondi, giusto il tempo per raccontare, a queste Fragole che ormai che amo come se fossero vive e mie, del mio corso di cucina di ieri sera, che mi esalta e mi fa bene, mi fa sentire come se costruissi qualcosa, non so bene, se imparassi cose solo per me e non solo per me, è difficile da dire, ma so che un pò si capisce. Pochissimi secondi. Ma, Cielo, questo non è mica un blog di cucina, il blog di cucina ce l'abbiamo eccome, anche se di cucina si parla poco e si danno gli ingredienti e le dosi in ordine sparso e creativo, qualcuno mi ha detto che bisogna prima tradurle le ricette, per realizzarle, ma che ci fa? Racconterò presto su Santa Polenta le vicende di ieri sera, le tagliatelle, il nonnino, i miei compagni, la mia Amica, le crepes bruciacchiate e la Maestra. Non qui. Santa Polenta potrebbe offendersi. Così, ora corro verso il grand Milan, corro si fa per dire, ci sarà la fila e arriverò in ritardo, ma potrò mettermi il gloss nello specchietto, sentire la musica a palla, ripassare un pochino le cose da dirsi e fuori avrò un cielo di vetro e di cotone. E allora andrà bene.

22 novembre, 2006

Si va.


Si sa. Il mercoledì, è giorno di scuola. Di cucina, intendo. E di giornata libera, di scialo pressochè totale, non prima aver preparato la cena di stasera, non sia mai che gli infanti e lo Sposo muoiano di stenti senza neppure un tozzo di pane nero per combattere i morsi della fame. Così, si va. Seconda lezione di cucina, stasera, signora mia, i primi. Dettagli, domani, o qui o su Santa Polenta. Che mai, nemmeno dopo questa scorpacciata di sapere culinario diventerà un vero blog di cucina. mai e poi mai. Del resto, signora cara, c'è chi nasce cuoco e chi portinaio. E chi regina. ma che glielo dico affare!

21 novembre, 2006

Soirée.


E' una sera normale. Una casa normale, una famiglia normale o forse non proprio, ma chiassosa e colorata, impegnativa e bellissima. Si è cenato tardi, con le tagliatelle comprate al volo rientrando dalla piscina con la picci. E i mandarini biologici. E un quadretto di cioccolato fondente, mentre si chiacchiera attorno al tavolo, la gita, l'insufficiente di matematica, le 30 vasche, mi serve un paio di jeans nuovi. E mille cose. Il cane russa sotto il tavolo, si sa, non è una principessa, nonostante l'alto lignaggio, si siede male, rosicchia ogni cosa e russa. Ma è deliziosa. I gatti sono sparsi, Philadelphia dorme beato sul cuscino che ha eletto sua dimora personale. E quando tutti tornano nelle loro stanze a ripassare, a guardare la tv o a disegnare, si rimane sul divano, a chiacchierare, a non dire niente, a scrivere o leggere o a pensare, c'è un gomitolo di lana infilzato su due ferri, un libro, Olive Comprese, che vorrei finire, la posta da aprire, due cose da firmare. Non farò niente. Starò qui, a coccolare con gli occhi le cose che ho intorno, a fare un inventario, si fa sempre a fine anno, no? delle cose che ho stasera e a concludere che nessuna, nessuna, nessun'altra al mondo mi serve, adesso. Sprofondata nei cuscini, qualcuno chiede piove ancora? e chi lo sa. Il lusso vero è considerare che non ci importa nulla, che piova pure, se vuole, siamo qui, le gambe incrociate, i calzettoni a righe, la maglia di Topolino e una pace diffusa. C'è profumo di burro e di pino, per via di quelle goccine della farmacia che ho messo nel diffusore. E silenzio. Un telefilm al piano superiore, sommesso e discreto, ogni tanto una risata, vocina di zucchero o vocioni da uomo fatto, a scelta. Nient'altro serve. Ci si potrà anche regalare, tra una mezz'ora, una coperta leggera e un cuscino più morbido e leggere un poco, con lentezza esasperata, sapendo che magari, gli occhi si chiuderanno piano, nel calore che c'è, la giornata è scivolata veloce, che rara soddisfazione addormentarsi sul divano, un pò barboni un pò prìncipi. Il cuore sorride, lo si sente se lo si ascolta bene, sorride di una serenità semplice e ricercata, banale eppure rara, scontata eppur perfetta. La sera, in una casa qualsiasi, in una famiglia qualsiasi, è un magico senso di appagamento e di immortalità, di soddisfazione e di silenziosa felicità. La stessa che fa di un barbone, un principe.

Come se avessi accettato.

Alla fine, ha rinunciato. Sarà un'altra delle storie irrisolte di questo splendido, buffo, assurdo, meraviglioso, spietato Paese. Dove dall'America vengono per sposarsi in un castello ritagliato da un libro di fiabe, e pazienza se si dimenticano di invitare il Sindaco. Dove gli studenti di un liceo possono in tutta scioltezza allagare la scuola causando milioni di danni senza avere la minima conseguenza. Dove devi stare attento a non sbagliare bagno. E a non essere sommerso dai rifiuti. E a non fare telefonate torbide. Dove se sei rampolla di una famiglia di albergatori di lusso puoi spiaccicare due parole incomprensibili in uno spot per la 3. E prenderti gioco di tutti. Dove se fai la maestra puoi prenderti la licenza di fare educazione sessuale con lezioni di laboratorio e puoi legare i bimbetti con lo scotch se ti disturbano, in fondo, facevano un chiasso! Questo è il mio Paese. Non meglio e non peggio di altri. Guardo pochissimo la televisione, leggo i giornali sul web, non ne posso più di Porta a Porta, Matrix e altri capolavori. Prego solo per quel bambino. Non che abbia giustizia, che si trovi il colpevole, che qui e che là. Che abbia nuvole a sufficienza per giocare a nascondino. E che impari ad andare senza rotelle. E a giocare a pallone, lì dov'è. E che ricordi il volto della sua mamma, mentre cucina, si pettina o fa il caffè, mentre lo cambia o fa la spesa. Nient'altro.

19 novembre, 2006

Adesso, è Natale?


Personalmente, a vedere le luminarie e gli auguri e le luci natalizie già dai primi di novembre, mi mette una leggero e neanche tanto vago senso di nausea, con qualche capogiro. Considerando che non aspetto un altro bambino, direi che ho già dato, devo ricondurre questi semplici sintomi alla convinzione che i festeggiamenti e i preparativi andrebbero iniziati all'unisono l'8 di dicembre, col ponte dell'Immacolata. Prima di tale data, nessun lustrino, nessun nastrino, nessun abete e nessun Buon Natale dovrebbe comparire in giro, pena multe salatissime. Perchè, diciamola tutta, quando arrivano i giorni di festa tu ne hai già una noia mortale, hai presenziato a una dozzina di cene e aperitivi, accumulando una quantità indegna di calorie, la sola parola "salmone" o "vol-au-vent" ti provoca conati di vomito che nulla può la Citrosodina, hai speso una cifra invereconda in regali e regalini, hai detto circa 30 volte che no, per Capodanno ancora non avete organizzato niente e farete tutto all'ultimo minuto, ti sei, come ogni anno, imbufalita con la tua famiglia d'origine che avranno evitato casa tua scambiandola, come ogni anno, per il laboratorio dove è isolato il virus del vaiolo, e chi lo sa, magari si rompe un'ampolla. Le vacanze di Natale mi piacciono solo perchè si fa l'albero e sono così fiera del mio albero Zen, recuperato sulla spiaggia lo scorso anno e decorato in modo improbabile e moooooolto chic. Mi piace perchè c'è odore di mandarino e rumore di pacchi scartati e la sceneggiata per Babbo Natale che per la picci arriva ancora e passa dalla finestra e stropiccia la tovaglia e mangia i dolcetti e prende le carote per le renne. Mi piace per la musica, mi piace per le sorprese, per la neve, qualora, per il camino acceso e le candele dovunque. Odio gli sms di auguri la sera della Vigilia, odio le mail di auguri, odio le poesiole idiote, e i disegni di Santa Claus in pose erotiche, me ne sono arrivate a dozzine, l'anno scorso, anche da insospettabili commercialisti, che mi hanno lasciato di stucco. Odio i regali sbagliati, quelli che si vede lontano un chilometro che non ci hanno pensato nemmeno un pochino, a te, o, peggio, che è un riciclo bello e buono. Ma io mi sono portata avanti. In questa domenica di niente fare, ho creato il mio bel quadernino, dove scriverò tutte le cose che devo fare, le cene, di lavoro e di scialo, che cosa regalerò a chi. Saranno cose fatte da me. Il tempo lo troverò, in qualche modo. Odio che si parli troppo di Natale. Ne abbiamo quasi 20 ed è ancora novembre, e io sono già qui a parlarne. Non è mica un bel segno.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...