15 dicembre, 2007

Vento da nord.


Gelo. Gelo vero. Di quello che si vede, col vento persino, un vento rabbioso e sibilante, che sbatte di qua e di là i rami dell'abete, forse anche i tronco se guardi bene. Si vede stando a letto, in un sabato mattina un pò prima di Natale, guardi fuori, da sotto una coperta caldissima, con la princi che ci si è infilata stamattina presto, lo Sposo uscito nel gelo e nella brina coi figlioli grandi, che di sabato a scuola ci vanno eccome. Fai un check, delle cose che vorresti fare, di quelle che vorresti e non ne hai voglia, di quelle da fare e basta senza farsi troppe domande, forse, ma forse, ma sì. Di bello c'è che ci sarà il sole, che farà brillare le stelline appese alle finestre, che il vento ha scompigliato e arruffato, ma loro, regali, non si sono mica arrabbiate. e poi, che elegante è un addobbo un pò spettinato, una cascata di lucine che sembrano messe alla rinfusa, niente in questa casa è tradizional-natalizio, l'albero nero, la fascina con le palline tricot, e poi il presepe, ingegneristico, fatto con tutti i fiocchi e i controfiocchi, il piano regolatore, la cascata con l'acqua vera e il mulino che gira, la divisione tra ambulanti e lavoratori, l'arrotino non è mica vicino al pescivendolo. E i pastori, già i Re Magi, ma pazienza, non andiamo tanto per il sottile, il Gran Visir del Presepe così ha deciso. Questo vento freddo freddissimo farà bene a noi di casa. Piccole compere di Natale, le ultime, credo, regalo cose fatte da me e poco altro, come ogni anno, del resto. Le prove della recita della Princi, una sera tranquilla, dopo i tanti amici di ieri sera nella Casa nella Prateria nuova di zecca. Il vento gelido spazzerà, ripulirà, farà lucido e brillante il cielo e il prato davanti a casa, conforterà le anime buone che vivono sotto questo tetto, le ammanterà di speranza e di coraggio, regalerà loro una piccola, sorda tranquillità, una calma sottile dopo la tempesta, la voglia di sorridere e di stare al caldo, che di strada ancora ce n'è e di voglia anche e di vento quanto ne vuoi, forse, ma forse, ma sì.

14 dicembre, 2007

La bolla.


Si và così. Galleggiando, fluttuando, volando un pò. I pensieri, beh, quelli mica se ne vanno in un secondo. E hai un bel dire, sì certo, niente di nuovo, lo sapevamo già, lo sappiamo da sempre, lui, il figlio che viene da lontano, ha un mondo tutto suo, una vita tutta sua, fragile e complessa, una realtà dove non fa entrare nessuno di noi, nè l'Universitario, nè il Maturando, nè il Liceale, nè la Princi. Nè suo padre. Nè me, che non sono nessuno o quasi. E sua madre, poi. E' disarmante e candido, come lo sono i bambini che imparano a camminare, peccato che è il più grande di tutti e che sia così difficile. L'amore, certe volte, non basta. E' complicato, persino da spiegare, da capire dal di fuori, da comprendere fino in fondo, se non si vede, se non si sa. Noi qui siamo silenziosi, anche se niente di nuovo ci è stato svelato, è arrivato così, dal Paese della Samba e del Caffè. Lo amiamo così. E così siamo in pena per lui, che non ne vuole sapere di questa casa e di questa vita, che ha già la sua, semplice e difficilissima, e che si chiude in quel suo mondo fatto di insicurezze e di animali, che sa a memoria le bandiere del globo intero, e che ogni tanto si ferma e si eclissa, in una bolla invisibile, lì con noi eppure lontanissimo, come a seguire un richiamo impercettibile, un profumo di caffè e le note gioiose e assordanti di uno strano, indistinto, infinito carnevale.

12 dicembre, 2007

L'uomo che piange.


Non mi capita spesso di vederlo così. Anzi, mai. Non è mai facile vedere un uomo piangere, soprattutto se non ti ci ha abituata, sei sempre tu quella che frigna, ogni tanto, lui mai. E' sempre forte, diretto, determinato, granitico. In ogni decisione, in ogni frangente, in ogni occasione è sempre quello che, apparentemente, mantiene calma, lucidità e coerenza. Tranne. Se ne stava lì, frantumato sotto un peso enorme, polverizzato, curvo, sotto una cosa più grande di lui. E io. Che posso fare, se me ne sto a guardare e basta, se ti abbraccio e ti dico che passerà, ma cosa e come non lo sa nessuno, che posso dire, ferma in piedi davanti a te, a cercare alla rinfusa parole che vadano bene, ma dire, che cosa, poi. Serve l'amore, tutto l'amore che c'è qui dentro e tutt'attorno, le cose che abbiamo fatto e costruito, e disfatto e rifatto, e rischiato e perso e ritrovato e cambiato e affrontato, serve nasconderti le piccole grane degli altri figli, serve a sollevarti un pò da tutto il resto, ma che ti sollevo a fare, se hai sul cuore un sasso che non sai smuovere, se hai negli occhi lo smarrimento e quella tristezza amara, profonda, irrimediabile. Che strane le tue lacrime, scendono velocissime, lo sapevi? e poi si fermano solo un secondo, appena sulla spalla, prima che il maglione le assorba, qualcuna, e qualcun'altra invece, rimane lì, maleducata. Custodisco le tue lacrime di stamattina, che sono anche un pò le mie, forse. Le parole le ho perse per la strada, mi sa, ma ti dico sottovoce che sono qui vicino, e che ti cullo e che ti ascolto, e sono qui, che passa presto, vedrai, che non sarà come sembra, vedrai, che come te non so che cosa fare. Che come te, ma tu di più.

11 dicembre, 2007

L'uovo.


Lo sa il mondo intero, mi piace la nebbia. Quella di fuori, però, quella guardata dalla finestra, dal caldo. Avvolge e nasconde, ammanta e scolora. Stamattina è dovunque. Sia fuori che dentro. E non è il fumo del camino e nemmeno il vapore dei broccoli, e quel dentro, non è quel dentro lì. E più dentro ancora. C'è una specie di nebbia fitta, intorno al cuore, credo, una distesa di sofficità sgradevole, un'anestesia, non saprei definire, un gelo, anche. Che mi sembra di far tanto e non faccio proprio niente, come pedalare dentro al guscio di un uovo, pedalo e pedalo e non arrivo da nessuna parte e giro intorno e sbatto di qui e di là, un uovo non è mica così spazioso, scema che sei, pensi forse di trovare una strada? Sto lì, in un uovo immaginario, con le pareti biancastre e nessuna via d'uscita, e accuse, prese in silenzio come si fa la domenica col prete, La Messa è Finita, Andate in Pace, tu stai lì, come un broccolo, davvero, e non vedi l'ora di uscire, che freddo le domeniche d'inverno nella Chiesa della collina. Prendi e taci, prendi e porta a casa, e stai lì, adesso a lambiccarti, voce del verbo lambiccare, il cervello e a chiederti, dove ho sbagliato, dove sbaglio, dove sbaglierò. Le risposte si trovano a cercarle bene, ma la prima cosa da fare è smettere di fare il broccolo, e soprattutto smetterla, smetterla, smetterla di pedalare e pedalare dentro un assurdo uovo pieno di nebbia. Assurda, anche lei.

08 dicembre, 2007

E alla fine arrivò Zara.

Le ragazze lo aspettavano da tanto. Le signore, anche, in un certo senso. Curiose e attirate da tutto quello sfavillare, da tutto quel gran parlare, dalle favole metropolitane che ne hanno accompagnato l'apertura. Gli unici che non la volevano proprio erano loro, i negozianti. Dicono di aver visto qualcuno aggirarsi tra gli scaffali nuovi di zecca con le lacrime agli occhi. Zara impaurisce. Ma solo un certo tipo di negozi ha da temere. Quelli dalle commesse simpatiche come un herpes, simplex o zoster non fa differenza, quelle che continuano a piegare maglie e non ti degnano di uno sguardo o al limite ti apostrofano, Se Ha Bisogno Chieda Pure (ma nella nuvoletta sulle loro teste leggi, sì, va bene, ma meglio se non chiedi che stamattina c'ho i mazzi miei da pensare e non ne ho voglia). Quelli che appena entri e chiedi una cosa cominciano a scuotere la testa e fare di no, e nemmeno ti dicono Mi Dispiace, che dovrebbe dispiacergli molto, in fondo mandano via un cliente scontento, e invece ti fanno sentire una demente, ma come mi è venuto in mente di chiedere quella roba lì? certo che mi è venuto in mente, è fotografata su mille giornali, possibile che proprio loro non ne abbiano mai sentito parlare. Zara è la giustizia. Farà giustizia, nel mondo delle commesse dagli occhi bistrati e poco altro, di nero vestite e con lo sguardo interessante quanto un cacciavite, è vero che non c'entrano, ma chi le ha assunte, se non il proprietario, chi le ha addestrate se non il Capo Supremo, a sua immagine e somiglianza? Se è scorbutico il capo, sarà scorbutico il collaboratore, è una legge di natura. Granitici resisteranno egregiamente i negozi più caldi, dove si può entrare, provare mille cose e uscire con un sorriso, magari a prendere un caffè con le ancelle, amiche tue, che ti hanno dato una mano, venduto settimane orsono due scarpe da viale che sono un amore. Resisteranno con grazia quelli dalle commesse che sorridono, che non ti dicono Ciaodimmi, che anche se non ne hanno più voglia, sei sempre per loro un cliente speciale. Zara è lì. Ancora non l'ho visto, ma dicono sia luccicante e pieno all'inverosimile. Mi piacciono le cose di Zara così come quelle di Gucci, e pazienza se il cappotto ha perso tutti i bottoni e ha già le tasche bucate, che si pretende per 49,90? Fa pur sempre la sua bella figura. Zara equipara. Le Snob e le Squattrinate, le une per posa, le altre per necessità, Zara calmiera, le Dive e le Semplici, le Dame di Carità e le Donne Normali, le Impostate e le SenzaOgm, le RadicalChic e le Special Guest, le Equosolidali e le Griffatissime. Zara mi piace. Diventerà come spesso accade, non solo un enorme negozio ma un luogo dove riflettere, aggirandosi tra le gonne, accarezzando i cappotti, spostando le camicie per vederne bene il collo. Ci si troverà al mattino, prima di un caffè o di un appuntamento, nella pausa pranzo o mentre si aspettano i figlioli a danza, a musica, a calcio. Sarà una meta d'obbligo e poichè si mischieranno stili e marche, durata e qualità, fuori di lì, dentro di là, proprio di fronte e magari un pò più in là. E nel nostro armadio, accanto alla gonna a palloncino che abbiamo preso per vedere di nascosto l'effetto che fa, ci sarà sempre posto per un pantalone più serio e un golfino che proprio non potevamo lasciare lì. E che con le scarpe da viale, cara la mia signora, fa proprio un figurone.

Ma guarda un pò qui.



Ci siamo quasi. A vederli tutti in fila, strofinacci, strisce per la porta, cuscinetti e tovagliette, non sembra nemmeno a noi dell' Officina di aver ricamato tutta quella roba. Ma è così. E domani è il grande giorno. La prova, in un certo senso, visto che il vero mercatino di Natale sarà domenica 16 dicembre, in piazza Santo Stefano ad Alessandria. Ma noi, che non vogliamo arrivare impreparate a tale evento, ci alleniamo, per così dire, anche domenica 9, al pomeriggio, e sempre in Santo Stefano. Merita un giro. Deliziosi strofinacci natalizi e non, cuscinetti da sistribuire bellamente sul divano della festa, strisce da appendere alle porte per dare il benvenuto nel calore della propria casa, e le tovagliette, vera novità di tutta questa avventura, che sono anche segnaposti e regalino, da arrotolare e portarsi via dopo il pranzo, avendo cura di non spiaccicarci sopra nessuna uvetta del panettone. Se no, non vien bene.

Così, non fate i pigrissimi. Mentre fate un giro per vetrine lucenti e sciccosissime, spingetevi senza indugio fino da noi. Il nostro è un gazebo candido, tutto tempestato di palline e stelline e cose. COME, DI CHE COLORE???????

06 dicembre, 2007

La casa senza tende.


La casa aveva mille finestre. Larghe, luminose, trasparenti. Si poteva guardare fuori, in ogni momento, senza dover spostare le tende, che non c'erano, da nessuna parte, in nessuna finestra. Si guardava il mondo da dentro,e da dentro si teneva il conto delle stagioni, le prime viole dell'aiuola, il ciliegio e le sue gemme, le nuvole, che dici, pioverà?, il vento che spazzava le foglie nel prato, la neve che ricopriva i rami di quello spessore regale, che bella è la neve sui rami, li veste a festa, regala diamanti luccicanti, li avvolge di un tulle soffice e li fa da sposa, candidi, intatti, morbidissimi. E poi il sole, quello caldo di un silenzio assordante, che solo le cicale, l'aria ferma di agosto, la nebbia delle notti buie di novembre, le rose di maggio. Fuori dalla finestra, tutto il mondo girava e girava, le cose della vita si scrutavano dal caldo del divano, una coperta, magari, dal calore ovattato del letto, in inverno, o dal frescolino del lenzuolo soltanto. La finestra si affacciava sulla vita degli altri, custodendo quella dei suoi abitanti, li divideva, in un certo senso, dal dentro al fuori e dal fuori al dentro. A immaginare di guardarci attraverso i vetri, le mani ai lati degli occhi per vederci meglio, la Casa Senza Tende é uno scrigno fatato. Dentro, le luci, le cose, il fuoco, la storia di chi ci abita, disordine, forse, briciole, tazze, un gatto che dorme. Tutte le cose che amo sono al di quà di questa finestra, per vedere sempre il cielo, se l'azzurro o le nuvole, per non perdersi mai, per sapere sempre se piove o che cosa, senza tende, così i sogni che volano non trovano ostacoli.

05 dicembre, 2007

La rosa dell'inverno.


E' tutto così semplice, in fondo. Ci si è preparati con più calma, stamattina, sarà stato quel pò di atmosfera di palline e di lustrini, un pochino ci voleva, non chiassosa e non volgare, una piccola renna sul camino, l'albero zen con le palline nerissime, fascine coi fiocchi e tendine di luci alle finestre. Ci si sente un pochino già in festa, un pò ci si obbliga, anche, perchè mai passare giorni schiacciati dalle tristezze e dalla quotidianità, perchè sentirsi sempre come spaesati, come chi passa per caso, come chi non si sente a suo agio in nessun luogo al mondo. Si sta bene. L'aria freddissima della mattina, una canzone cantata in macchina con la PrinciDiBrina, e il giorno prende già una piega piacevole. Si faranno le cose ad una ad una, si cercherà di dare loro il giusto peso, quest'oggi niente arrabbiature, niente tensioni, tristezze o chissà che. Sereni, ecco. Le rose dell'inverno han questo effeto su di me. Sono lì, intirizzite e bellissime, ghiacciatine e affascinanti, coloratissime, nonostante il gelo che c'è. Non l'ho colta, l'ho lasciata lì, accanto ai boccioli ancora sigillati, illuminata un pochino dalle lucine del portone. Ed è bello pensare che sarà lì, quando arriveranno i ragazzi e tornerò a casa. Una rosa nel gelo. Un miracolo, in un certo senso, per lei, figlia del caldo e del sole. Proverò, ogni giorno che viene, a cercare la mia rosa dell'inverno, cioccolata calda in un giorno rigido, qualcosa di cui sorridere un pò, che faccia stare un pò bene, accidenti, non sarà mica difficile. Ogni giorno una rosa, ogni giorno un abbraccio, ogni giorno una piccola rosa che scalda nel freddo che c'è.

Knit con la Kappa.


Va bene, è colpa mia. Non l'ho detto subito, eppure lo sapevo da un pezzo, soltanto che sa, mi sono un pò lasciata prendere dagli eventi e dalle cose e dai giri in giro e dalle questioni e dalle vicende. Ecco la mia giustificazione: motivi personali, può andare bene? Chiedo scusissima di non averlo comunicato prima, ma si sa, le cose dell'ultimo momento son ben quelle che vengono meglio, non è così che funziona? E poi, è così bello un gran bell' imprevisto, poter dire al lavoro, scusate tanto ma quest'oggi farete senza di me, sapete com'è, ho un impegno improvviso. Ci si troverà, stesso luogo e stessa ora, anzi, mezz'oretta prima perchè qualcuno verrà da fuori, lo so, per il solito esilarante, rilassantissimo e molto cool, pomeriggio di tricottamento. Molto bene. Recatevi in massa, quindi, al Salotto di Josephine per l'ultimo Knit Cafè del 2007. Giust'appunto per knittare, in tutta scioltezza, calze per la befana, sciarpe dalle mille fogge da far trovare sotto l'abero, maglioncini di lana di nuvola che sono un amore. Così, tra una chiacchera e un thè, tra un rovescio e un diritto, ci scapperanno anche gli auguri per il prossimo Natale. Scusate il ritardo. Ma mi avete già perdonato, lo ben so.
A Casa di Josephine
Via Parma 10
Alessandria
Dalle 15,30 alle 19

03 dicembre, 2007

La prima cena.



Di quelle natalizie, intendo. E proprio perchè prima, di sicuro molto gradita. Tranquilla. Di quelle che non verresti mai via, che continueresti a chiacchierare con la tua Amica dei Cuscini, ne hai comprati una tonnellata, a parlare fitto davanti alla stufa, che non sai se il caldo che senti è quello lì o quello che ti è attorno, hai qui gli amici più cari, quelli che ci sono sempre, quelli che sì, ci discuti, ci hai litigato anche, una volta, e siete rimasti bisticciati per ben un mese, ma loro ci sono, da sempre, e sono sempre i primi della lista quando decidi di invitare qualcuno, così, coi nomi attaccati, silviaeeugenio, sempre, ad ogni cena, ad ogni pic nic, ad ogni cresima, ad ogni compleanno. E poi, la padrona di casa, che chiamarla Amica della Pastiera, adesso è proprio riduttivo, accidenti, ci ha messo sù un menù da fare invidia a Cortesie per Gli Ospiti, avrebbe vinto la coccarda rossa, gliel'ho già detto. Si sta bene, in quella casa, c'è un vai e vieni di figli, SuodiLei, SuodiLui, di quel marito aristocratico nei modi e semplice nell'anima, di un'educazione fina che solo i nobili quelli veri, di un rigore, onestà e candore che non si trovano mica spesso, sa? Si sta bene, a impartire al volo lezioni di ricamo su quel divano, l'albero di Natale con le piume, lo sfavillio delle stoviglie e dei suoi occhi, ha lavorato un giorno intero per noi, noi che arriviamo e solo quando siamo lì sai in quanti siamo, s'ha da essere abili per invitarci, bisogna aggiungere o togliere coperti con eleganza e senza farsi scorgere, che non sta bene. Quasi sempre aggiungere, perciò ci invitano in pochi. Che serata pacifica, dove niente è andato storto, dove si è tanto chiacchierato e progettato, almeno sei viaggi e quattro vacanze, come facciamo spesso e invitato anche. Sono stata bene, siamo stati bene tutti, è bello sapere che possiamo avere in qualche momento sere così, con il pane caldo, il fuoco, la conserva fatta in casa e gli amici che scaldano. Sia fuori che dentro.

01 dicembre, 2007

Christmas fever.


Detto, fatto, il deliro è pressochè iniziato. Col primo dicembre, ci si sdilinquisce, in qualche modo, ci si ritrova in questa specie di atmosfera sospesa, che magari si avrebbe anche voglia di fare festa o non ancora, ma forse la magia ancora non c'è, l'atmosfera, come si dice?, quella delle zampogne e dei baci sotto il vischio e il profumo dei mandarini. Piuttosto, ci si abitua più ad altri rumori, le imprecazioni per il traffico, son tutti in giro per le spese di Natale, lo strisciare delle carte di credito, il dlin! dei registratori di cassa, lo sssvraappp! della forbice per arricciare il nastro sui pacchetti, il crepitare delle carte e delle buste, di carta, per carità. Ecco, appunto, la parola d'ordine è Ri-Ci-CLA-RE! Infattamente, io riciclo. Di carta regalo non ne voglio proprio sentir parlare, quella tutti a babbini e rennine, che se a maggio uno dei figlioli deve fare un pacchettino, col piffero che trovi una carta degna, son tutte dorate e sbrillantate. Così, mi inventerò qualcosa. Farò artistici pacchi con la carta dei quotidiani, per esempio, che abbellirò con un delizioso bastoncino di cannella, o una rosa seccata, che ne so, mi verrà al momento, una biglia in un tulle, una molletta da bucato. Ma ancora non sono nel mood giusto. Troppo presto. Solo che, conoscendomi, la febbre natalizia mi sale improvvisa, quando mi aggirerò per casa con scatole e scatoloni, palline e festoni, statuine e comete. Per il momento, sto calma e tranquilla a guardare le vetrine, i negozi semideserti, ancora, le luminarie che vedevo già da metà ottobre. Son serena. Anche quest'anno, per i miei amici, solo regali home made, che fa così chic, e allora mi tocca lavorare alacremente perchè, come si dice, va bene il pacchetto riciclato, va bene lo spago rustico con la Gazzetta dello Sport, ma almeno dovrò averci un qualchecosa da metterci dentro, no?

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...