08 novembre, 2006

L'intolleranza.


Senza un vero motivo grave, stamattina m'è punta vaghezza di sottopormi volontariamente al test delle intolleranze alimentari. Una roba di moda, lo so, ma già avevo qualche sospetto, e volevo andare a fondo della questione una volta per tutte. Risultato. Sono intollerante ad una quantità spropositata di alimenti di consumo quasi quotidiano e che, disdetta, mi piacciono pure. Uno su tutti, il frumento. Grido di dolore, ma come, che ne sarà di me, se non posso mangiare le due uniche, insulse, avulse e convulse fette biscottate tuffate nel caffelatte che costituiscono la mia colazione? E che fine farò mai, se nemmeno un assaggino di focaccia o una forchettata di pasta avanzata dai figlioli, magari mangiata direttamente dalla pentola, che fa tanto zingaro ma ti fa sentire così libera e randagia e un pò homeless, in realtà, dandoti un gusto sottile di trasgressivo casalingo, potrà mai oltrepassare la soglia della mia bocca? Risposta non v'è. Staremo a vedere, il turpe esperimento dura solo due mesi in fondo, e posso sopravvivere. Ma oggi, mentre riflettevo oltre che sulle sciagure umane in generale e sulla mia in particolare, mi è sorta, spontanea, una domanda. Potrebbe esistere mai un aggeggio che stabilisce con esattezza matematica e senza tema di smentita, l'intolleranza a certi tipi di personaggi? Si potrà un giorno arrivare a dire, sono allergica al lievito, alle graminacee e agli ignoranti, ai beceri, ai superbi e ai coglioni, signora cara, io non dico parolacce, ma questa ce l'avevo qui, e proprio non ce l'ho fatta a trattenermi, abbia pazienza ma io, sinceramente, le cose che devo dire le dico e poi siamo amici come prima. Potrei offrire il mio corpo alla scienza e fare da cavia. Avrei anche già pronto un bel campionario di sagome da inserire nell'astruso macchinario. Solo, loro non si individuano come i cavolfiori, al contrario sono subdoli, striscianti e ben si nascondono ad una prima occhiata. Mah, signora mia, anche se quando li cucino il tinello mi si ammorba, beh, meglio i cavolfiori. Non lo pensa anche lei?

Trovato antidoto.


Proprio non sono il tipo che sviene alla vista dei vipspsps. Passando l'estate dove la passo, diciamo che è abbastanza normale imbattersi in volti noti, ritagliati dai giornali di gossip, quelli che si leggono dal parrucchiere o dal dentista e un pò ci si vergogna a comprare, allora ci si fa un personale Bignami all'Esselunga, passando lente davanti al chioschetto delle riviste, che già lì il traffico è intasato perchè qualcuno si ferma sempre a sfogliare La Gazza, e tu fai finta di imprecare ma dentro di te lo benedici e fai incetta, mentalmente, di chi fa le corna a chi, giusto così, per amor d'informazione. Detta premessa per raccontare quanto segue. Ieri ho incontrato un vip. Bah, che c'è di strano. Torino è diventata il centro del mondo, lo ben si sa. Ma Egli era di una tale beltade, che, forse, uno svenimento lì per lì ci stava anche anche bene. Bello, sì. L'Olimpico Aldo Montano è ben più che carino. E' proprio bono, signora mia, stò ragazzone, due spalle, stì riccioli scomposti, stà faccia da bastardo menefreghista eppure così tanto un bravo figliolo, sa? Povero, quell'Arcuri gli ha spezzato il cuore, proprio non se lo meritava, ma è una donna poco seria, e nemmeno tanto intelligente, uno così andava tenuto stretto. Va beh. Ieri, una via Roma già piena di luci, e che luci, ha fatto da sfondo a questo incontro che galeotto non è stato per niente, accidenti. Ho informato il mio sposo. Il quale si è sentito rassicurato dai circa 15 anni di differenza. Ma che ci fa? Non lo sa che la vera tendenza è il toy boy, Golino e Scamarcio insegnano. Come si nota, all'Esselunga studio bene. Ho omesso di dire che il Prode mi ha lanciato uno sguardo uguale a quello con cui guarderebbe un distributore automatico di bevande calde. Recava al suo fianco una figliola spaziale, magrerrima, alta tre metri circa e senza tacco, pallida e boccoluta. Sì, ma anche io mi difendevo per bene. Sfido chiunque ad incontrare per caso un tale Monumento con la messimpiega appena fatta. Sono cose da professioniste nate. E io, modestia a parte, la nacqui.

07 novembre, 2006

Inversa.


Niente di speciale. Non di grave, almeno. Niente che ti faccia sentire particolarmente male. Ma nemmeno particolarmente bene. Vedi tutto a testa in giù, storto, pasticciato, non fluido e regolare come dovrebbe essere. Un malessere. E dici che è influenza ma nessun bugiardino recita alla voce Indicazioni e Posologia, "adatto agli stati di buco nello stomaco, leggera vertigine, ansia moderata ma presente, nessuna voglia di alcunchè". Non è gradevole. Cercasi antidoto, in compresse o in confetti, che mi renda tranquilla, serena e in pace col mondo come, vediamo, solo ieri. Si sa, siamo così, è difficile spiegare, cantava la Mannoia, ma io posso spiegarlo benissimo, in italiano corretto e grammaticamente e sintatticamente pressochè perfetto, forse non nobilmente, ma comprensibilissimo. Mi girano. O forse sono io a girare intorno a cose che non comprendo, forse sono soltanto io a volere una vita così dannatamente e meravigliosamente normale e senza troppi sbalzi, scossoni, curve a tornante e correnti di gelo, forse sono solo io a voler proteggermi, cullarmi e un pò nascondermi, e poi fidarmi e trasalire, e poi amare e prendere calci in culo, signora mia, quando ci vuole ci vuole. Non sono brava col trapezio. Non ci ho nemmeno mai provato, a ben pensarci potrei aggregarmi al prossimo Cirque du Soleil che passa per di qua. E forse, non sono nemmeno così brava con l'italiano. Sintatticamente perfetto ma incomprensibile ai più. No, scommetto che non è vero. E che a testa in giù, in un giorno qualsiasi, si sentono in molti. Chiamo per il trapezio, allora.

06 novembre, 2006

La fiaba del mattino.


"...Ogni mamma , il lunedì mattina, và a svegliare i suoi bambini con un bacio.
Uno sulle orecchie, cosicchè, per tutta la settimana, sentano solo cose bellissime..
Uno sugli occhi, cosicchè vedano cose magiche e colorate.
Uno sul naso, per sentire profumi buonissimi, di viole e biscotti.
Uno sulla bocca, perchè dicano solo cose carine."

La princi ha sorriso e mi ha abbracciato, stretta, con gli occhi ancora chiusi e un sorrisino di zucchero.
Coi maschi manco ci ho provato.
I grugniti, dopo tanta poesia, non li avrei sopportati.

05 novembre, 2006

Caldarroste.

Una passeggiata in città, la domenica mattina, per noi che siamo gente di collina e che rifuggiamo la confusione, è un evento da raccontare. I nostri fine settimana sono da sempre caratterizzati dall' "Ognuno Fa Quello Che Vuole", basta che questo non implichi code, clamore, file e, passatemi il termine, casino. Inizia la stagione dello stare in casa, amici, libri, una torta, chiacchiere, coccole e qualche film. Ci si carica per la settimana successiva. Stamattina invece, qualcosa di diverso. Accompagnando il Mediano alla partita di calcio, avendo urlato da casa in città, 8 km, non di più, perchè il valoroso aveva ben pensato di scordarsi la giacca pesante e uscire in tuta al freddo e al gelo, un'inversione di rotta con la Princi al seguito. Lasciato al campo l'infreddolito e coraggioso fanciullo tuonando Andrai a Scuola Anche con 40 di Febbre, cosa peraltro assolutamente non vera (ah, se mi conosco), un giro sotto i portici. Il sole, la piazza con le bancarelle di cose totalmente inutili, che da sempre mi divertono. Immagino il salotto buono dove facevano bella mostra le poltroncine color cremisi, lise e un pò scalcagnate, magari avevano accolto un fidanzato, nei primi anni 20, che chiedeva timidamente la mano dell'amata. E poi ancora, i barattoli da cucina, i servizi di piatti scompagnati, le zuppiere, star indiscusse di tanti pranzi domenicali, quanto fumo di brodo uscito dal coperchio sollevato con grazia. Fascino allo stato puro, fantasia, storie incollate agli oggetti, agli abiti, alle case. E' un gioco che mi diverte da sempre. Anche mia figlia, benchè non abbia ancora il gusto di camminare alla scoperta di cose inusuali, osservava incuriosita i 45 giri, le tessere telefoniche, le grattugie per la mela, gli ombrellini da sole, le damine che stavano sui letti, i boule de neige, le copie dell'Intrepido. Altri mondi. Poi, la bancarella delle caldarroste, un fagottino a scaldare le mani, il profumo inconfondibile di autunno, di caldo e di freddo insieme, che non si spiega ma si sa. Unico tocco frivolo della mattinata: ci siamo chiuse in un chiosco per le fotografie, quelle dove anche Monica Bellucci risulterebbe come ricercata, e ci siamo fatte ritrarre, ridendo come oche, in bianco e nero. Bellissime, ovvio, con un baffo di fuliggine, stile spazzacamino. La caldarrosta, si badi bene, certo scalda, talvolta sporca. Ma niente ci fa.

03 novembre, 2006

Dal sandalo al piumino.


Una bella botta. Arresa, alla fine. Al piumino, alla maglia a collo alto, e, sventurata, alla calza. Il sole beffardo è sempre qui, mi piacerebbe che ci fosse uno di quei tempi da lupi che avallerebbe la mia non più prorogabile decisione. Fa freddo, certo, ma c'è il sole e se guardi dalla finestra ti dici, ma come, io, con le calze? E sì certo, è il 3 di novembre, bellezza, e forse è ora, non foss'altro per quella sequela di starnuti nemmeno tanto chic che ha reso partecipe il resto della casa del tuo risveglio mattutino. e che ti ha accompagnato, scarruffata e barcollante e imprecante e amabilmente orribile in quella vestaglia a quadrettini rossi che hai comprato la settimana scorsa, che è tanto country e che ti fa tanta allegria ma se chiedi a tuo marito avrebbe magari preferito un effetto più Ti-Vedo-e-Non-Ti-Vedo che non quello, ahimè, Sciura-Marisa-Che-Fa-I-Mestieri. Va bene. Arresa, si diceva, alla calza coprente. Nera come la notte. Ci si concederà qualche divagazione sul tema, non son tipo da reggicalze se non per occasioni, come posso dire, da combattimento. Ah, signora mia, l'uomo, si sa, ama il reggicalze, se lo faccia dire da me che modestia a parte ne so qualcosa, una vera donna toglie e mette il reggicalze con disinvoltura, così come prepara la caffettiera. Che donna sarò mai, allora, se ci metto un quarto d'ora ad agganciarlo, e poi mi dà noia e poi la calza mi scende, tapina, fino a metà coscia, e poi mi verrebbe voglia, magari nel bel mezzo di una cena stra-importante, di correre a casa e infilarmi un bel paio di calzerotti di spugna, quelli da tennis, col pomponcino rosa dietro alla caviglia? Ma il tubino nero si impone, cara la mia bella contadinotta, e che la calza sia velata. Farò un giro da Calzedonia, cercherò quelle Pierre Mantoux di pizzo che impazzavano negli anni 80. Ma la calza coprente è il mio must. Semplice, nera, non so quanti denari, ma coprente. Che ha i suoi bei vantaggi. Uno su tutti, puoi anche scordare di prenotare la ceretta. Se si chiama coprente qualche cosa vorrà dire, no?

02 novembre, 2006

Il sole.



Ci si è messo il sole. Inconsueto, piacevole eppure un po’ scomodo, inusuale in giornate come queste, dove era di solito la nebbia a far da regina, invitata non gradita, in questi giri di tristezza, a far tornar malinconie mai sopite, dolori mai cancellati, ricordi che non passano, mai. Si cammina facendo attenzione, si scoprono volti che non vorresti trovare lì, e ti dici, non lo sapevo, era così giovane. E ti sembra che qualcosa ti scivoli di mano, ti scappi via come le farfalle dal buco del retino. Faccio questa strada da anni, da quando ci andavo, bimbetta, con mia nonna, a portare i fiori nei sotterranei. Ero fiera di non averne paura, che strano senso del macabro hanno i bambini, ricordo le macchie di umidità, i fiori avvizziti e le fotografie dei soldati e dei bambini e delle giovani spose. Ho sempre giocato sulle scale che conducevano alla piccola cappella, mentre mia nonna si intratteneva con le amiche, si chiacchiera anche in posti così, una volta ricordo che aveva dato la ricetta delle ciambelle, quelle col buco e con tanto burro, che profumavano la cucina e che andavamo insieme a cuocere nel forno del panettiere, perchè a legna era meglio. E' un luogo che mi è famigliare. Sono stata mesi senza andarci, poi, d'un tratto, eccomi lì, tutti i giorni, tutti i santi giorni, appena dopo pranzo e appena prima dei compiti. Mi sedevo e stavo lì. Non facevo niente, non ho portato fiori mai, i primi tempi. Era come ammettere qualcosa che mi straziava, e non volevo. Una sfida. Voglio vedere, se adesso faccio finta di niente si stuferà, pensavo, e tutto torna come prima. Che sciocco modo di plasmare il dolore hanno i ragazzi di diciassette anni. Ieri ho compiuto lo stesso giro con mia figlia, sottovoce la stessa preghiera, a tutti, a mia nonna delle ciambelle che mi sorride col suo vestito della festa, a quel nonno mai conosciuto, allo zio fucilato e a tutti gli altri. A mio padre la stessa carezza di sempre, metà pizzico metà buffetto, lo stesso sorriso che ha perso le domande dei primi tempi, adesso il mio per lui è un sorriso un pò sconfitto e un pò soddisfatto, di portargli la mia bambina che non ha mai tenuto sulle ginocchia, i miei maschiacci che non ha mai accompagnato a pescare, ai quali non ha mai insegnato ad andare senza rotelle. E una specie di pace mi avvolge, non credo di aver mai recitato nessuna preghiera ma parlato tra me, come se mi ascoltasse davvero. I dolori come questo non passano. Ma ci sono volte che, chissà come, un pò ci si abitua, e no che non vanno via ma si sentono come più leggeri. Il sole di oggi era lì per questo. Ne sono certa.

01 novembre, 2006

Insisto.


Non mollo. Il progetto poncho non mi fa dormire la notte. Solo, io sbaglio. Ma non i punti, lavoro in velocità e scioltezza. Mia madre, in tenera età, mi ha insegnato i misteri e le magie del diritto e del rovescio (ci ha provato anche un maestro di tennis qualche anno dopo, con risultati pressochè inesistenti, tanto che il poverello ha messo un banco di frutta e verdura, non ritenendosi portato per insegnare il nobile sport). Ma tornando alla maglia, ecco, ho comprato questa lanona enorme, bellissima e morbidissima, e dei ferri in bachelite n.12 che, per le loro dimensioni, potrebbero alla bisogna agilmente rendere i loro servigi anche per mescolare la polenta o riattizzare il fuoco del camino. Ebbene, il risultato delle prime righe mi dissaude dal continuare. La consistenza del risultato ottenuto non è tanto dissimile dall'armatura di Lancillotto. Pesa. Rimane rigido. Insomma, più che un poncho un Eternit, quelle che usavano in campagna per fare coprire i pollai. Non è cosa. Così, se fare e disfare sono due lavori ben distinti, come diceva mia nonna, oggi mi occuperò del secondo. Disferò, con le lacrime agli occhi. E riproverò, non so come, ma riproverò. Repetita juvant. Sì, ma a tutto c'è un limite.

30 ottobre, 2006

Il mercato.


E' giorno di mercato, il lunedì. Non ci andavo da tanto, avevo voglia di un giro nel sole prezioso di questi giorni. E voglia di pensare. Penso meglio se cammino. Questa bancarella mi piaceva, nella sua semplicità barocca, nella sua approssimativa precisione. Carina. Non tanto diversa da me. Io sembro molto. Distratta. Ma non mi sfugge niente o quasi, non un gesto, un'occhiata, un trasalimento, un velo di tristezza, l'ombra di una cattiveria, due occhi che brillano. Superficiale. Ma ho nel cuore cose pesanti come sassi, difficili e che segnano, per sempre, forse. Sfacciata. Ma a volte mi sforzo di esserlo, per poi trovarmi spossata e un pò stupida, mi intimidisco davanti alle decisioni, bianco o nero? ma non si può decidere domani, che non mi sono preparata, che non ho studiato, per favore, adesso no. Sembro. Sembro, che niente mi smuova, che le cose mi passino sopra come l'acqua sulle oche, ma sarà vero, l'acqua sulle oche, intendo. Sembro sicura, sembro un pò vuota, sembro che un'alzata di spalle e chi se ne frega. E invece, mi intenerisco, ci soffro, e mi taglierei a pezzettini per chi amo e anche per chi non amo, se serve, e non serve quasi mai, e mi dico una dozzina di volte che la colpa è la mia, e di chi se no, e non mi sento adeguata e mi dicono che parlo troppo poco di me qui, ma non lo faccio per gli altri, lo faccio per me, e agli altri, di me, quasi niente importa, lo so. Quasi. Ma quasi nessuno sa. Quasi nessuno sa le cose di me che davvero contano, quasi nessuno che sappia come sono sul serio, se ho paura e di cosa, cosa mi fa immensamente felice e cosa non sopporto, quasi nessuno che avrebbe scommesso, ma dai, che avrei fotografato la bancarella delle noci. Perchè è barocca, semplice e piena zeppa di cose. Un pò come me.

28 ottobre, 2006

Grazie.


A Parigi, a Daniela, a Calme et Cacao, grazie. Infinite. Come le Fragole.

In giro.


Raramente vado in centro il sabato pomeriggio, non amo la confusione. Oggi però sono stata invitata, nell'ambito di alcuni eventi riguardanti il mese della prevenzione, a vedere la presentazione del tanto chiacchierato Kitchen Aid, di un bel colore rosa pastello. Complice un teporino quasi primaverile, la presentazione si è svolta in un suggestivo vicoletto, apparecchiato a festa e tirato a lucido per l'occasione. Bello.


Non è propriamente scoccata la scintilla, nel senso che l'oggettino ha il suo perchè, è carino e funzionale, e mi servirebbe pure, non ultimo non starebbe nemmeno male sul ripiano della mia cucina (e lì rimanere, non è quel genere di cose che si usa e si ripone, è pesantuccio, il ragazzo, e vuole un luogo tutto per sè). Ma insomma, non mi ha convinto. Vedremo. In compenso, adocchiati piatti...


....posate....


...e una quantità invereconda di oggetti di desiderio.

Felice di esserci stata, felice del pomeriggio inusuale, felice della passeggiata, seppur brevissima, con la mia Amica. Rallegramenti a me medesima.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...