30 novembre, 2020

Odore di dicembre.

 

Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente.

Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le pigne da colorare con lo spruzzo dorato, non ci sono le carte da scegliere, i centomila menù della vigilia, da scrivere e cancellare, scrivere e cancellare, e le liste della spesa infinite, e le vetrine, la gente, la folla, il vischio, i calici da lavare prima che è un anno esatto che non li usi, quelli si rompono solo a guardarli, son mica pazza.

Ah no.

Invento dicembre.

Invento che sia tutto normale, che arriveranno tutti e già rideranno nel citofono, siamo qui, con le borse dei pacchetti e il sonno del fuso orario, che arrivano in corridoio e non sanno chi salutare per primo, che ci abbracciamo tutti insieme, quanto mi fa piangere vedere i miei figli che si abbracciano e i maschi che si danno gran pacche sulle spalle, e lei, la Principessa, la fanno girare e girare, come sei bella, ma questa gonna non è troppo corta, e la chiamano col nomignolo di quando di anni ne aveva tre e lei che li guarda, adorante, ora come allora.

Invento che cucino per giorni, per mille, che scelgo con cura la tovaglia, la tovaglia di Natale è sempre quella, ma ne scruto la superficie se per caso non sia rimasta una qualche macchiolina, e continuo a chiedermi Ma Quanti Siamo, che è vero la famiglia, ma da questa casa a Natale passano tutti, amici, amici di amici, amici dei figli, fidanzate degli amici dei figli, in un delirio di presentazioni posticce e così belle, un pò sbronze, Ho Portato un Panettone, e baci, e chiacchiere e cose belle.

Invento il divano strapieno, la sera, le carte dei regali accartocciate, le coperte per guardare insieme la tv, tre ore per scegliere che film guardare e poi alla fine è tardi e non si guarda nulla, si parla e basta, si canta anche, Stasera non Ceno e poi invece, si riprende daccapo, ogni volta, Finiamo Gli Avanzi.

Ci penso tanto a questo dicembre che dicembre non è, mi porto avanti ricamando renne e facendo maglioni caldissimi da regalare non so a chi, a far braccialetti di perline coi nomi di tutti, che nessuno sa quando e se potranno essere qui.

Faccio finta di niente, invento che sia tutto normale e comincio oggi, a mettere così tante luci da far saltare il contatore, così tante palline da far sembrare questa casa un luna park, così tante renne e gnomi e brillantini e stellecomete da far girare la testa.

Invento il mio dicembre.

Mi hanno detto che si fa così.

27 ottobre, 2020

Piantine.

 

Una specie di nursery.

Una terapia intensiva per piantine da ogni dove, raccolte fra le rocce scoscese delle isole, le volte che le ho viste da terra a terra, nei giardini abbandonati delle case, nelle siepi selvagge, la parte più nascosta, per non fare troppo male.

C'è di tutto, dai cactus con le spine a quelli di vellutino, dall'immancabile pothus a una serie di piccole piante grasse delle quali non so il nome. E poi, la nuova scoperta, il nocciolo ci avocado che promette meraviglie se solo si fa un pò di attenzione, e allora, perchè non provare, alla fine.

Riciclo vasi e vasetti, lattine della passata di pomodoro, vasi che contenevano marmellatine stupende, lattiere preziose e vasini di cartone. 

Non sono brava con le piante, ma ho scoperto che buttandoci un occhio spesso, magari innaffiandole pure, esse, le pinate, sanno essere strtaordinarie e ripagarti con fioriture e foglioline tenerissime che ti svoltano la giornata.

Le ispeziono ogni santa mattina, mi sono dotata di uno spruzzino e una serie di mini attrezzi, mini rastrello, mini paletta, mini di tutto, cosa, questa, che mi fa sentire un pò Beatrix Potter nel giardino del signor McGregor.

Non ci parlo ancora, ma a volte mi sorprendo a canticchiare pianissimo mentre strappo con inusitata delicatezza misteriosi e sottilissimi fili d'erba che spuntano nell'esigua superficie del terreno, a staccare le foglioline secche, a piantare dei piccoli tutori che spesso consistono in matite, stecchi di legno o ferri da calza. 

Il Pothus Rigoglioso del Frigorifero, il capostipite di tutta questa ridondanza, è quello che mi da più soddisfazioni. Ho infatti cosparso le case di figli e amici di mini pothussini che a loro volta sono diventati Rigogliosi Pothus e che a loro volta hanno dato vita ad altri mini-mini e via così.

Moltiplicare la bellezza, in un momento così indeciso, imperfetto, a tratti infelice e spesso impossibile da vivere, mi pare una buona formula, un modo semplice per non perdere il controllo, per non sentirsi andare giù giù giù, in un vortice che spesso sembra non avere mai fine. 

Ogni mattina le mie piantine mi guardano e mi sorridono dal ripiano sotto lo specchio, in salone, il posto che ho scelto per loro per crescere bene, per stare bene, con la luce giusta e il giusto calore.

Coltivare la bellezza e moltiplicarla.

Le mie piantine mi insegnano molto, da piccole cose nascono grandi cose, da foglioline lucide trasportate nel bagaglio a mano con ogni cura possibile, possono nascere cactus spettacolari con e senza spine.

Meglio senza.



22 ottobre, 2020

Sparire.




 Si dimenticano le cose dove si ha voglia di tornare.

Sono giorni così complicati che non si sa da che parte cominciare, incerti, vani, pieni di ma., forse, chissà.

Già, chissà.

Chissà mille cose, chissà se è vero. e chissà dove, e chissà chi, e chissà se mai, qualche volta, e chissà perchè, già, chissà perchè, poi.

Non ci sono grandi soluzioni, o forse sì e solo una, una soltanto, una sola.

Sparire, scappare, dissolversi, sciogliersi, senza nascondersi, proprio non esistere più, non sopravvivere a nulla, non cercare di cambiare, di reagire, di fare, tanto avrà sempre ragione il mondo, quel mondo appiccicoso che non riconosci più, e come faresti, se non riconosci nemmeno te stessa, se non ricordi più la strada di casa, se non sai nemmeno il tuo nome, certe volte, già, il tuo nome, quello che nessuno vuole, quello che nessuno dice più, si diventa così. come, non lo sapevi, si marcisce nel portafrutta come le mele, si ammuffisce come i limoni dimenticati nel cassetto del frigo e allora sì che non se ne esce e allora, via, sparisci, vai via.

Sono un biscotto stantio nella scatola di latta della credenza, sono il prosciutto verde che è diventato secco nella sua confezione di plastica che non si chiude, potrebbero farle meglio le confezioni del prosciutto, se te ne dimentichi una fettina è finita.

Sono il giornale dell'altroieri, sono l'agenda del 2001, sono lo specchio rotto che ti fa spavento, sono il sugo bruciato, la cimice che ronza in cucina, sono i vermi nella farina che hai lasciato aperta, sono il topo trovato in cantina, sono il biglietto  di un tram che non passa più, sono il disco orario senza una rotella, sono il disagio, la calza strappata, lo sciroppo per la tosse scaduto da anni, la chiave di non sai che cosa, un libro in russo, due scarpe sinistre, la biscia che esce dalla siepe.

Sparisci, vattene, vai e non girarti indietro, non guardare niente e nessuno, non lasciare le tue orme nel fango, vai, cammina e sbrigati, anche, prima di cambiare idea, prima di asciugarti la faccia e ripensarci, non è tempo, non lo è più, non sono le scuse, i Mi Dispiace Non Volevo, vattene, a scomparire non sono capaci tutti, ci vuole attitudine, mestiere, ci vuole maniera, non importa se tu non ce l'hai, vattene, vattene e basta, vattene e non tornare più, e non dimenticare niente, si dimenticano le cose dove si ha voglia di tornare, ma tu, tu non tornerai, non tornerai mai più.



27 maggio, 2020

La Signora della Panchina.

La vedo spesso.
Mi è capitato di parlarle, qualche volta, ma non è una che attacca bottone, come si dice.
E' sempre così discreta, così quasi invisibile, o come a farsi. Ti guarda dritto negli occhi, accenna un sorriso impercettibile e guarda altrove.

L'ho vista questa mattina. 
Non ha una casa. ha solo un posto dove passare la notte, vive di una carità che non chiede mai.
E' sempre troppo vestita, ma ha un suo vezzo nel farlo. D'inverno ha un cappottone con un collo di pelliccia. A volte, delle borse colorate, tolto quella del supermercato, tenuta insieme col nastro adesivo, dove ha forse tutta la sua vita. O quel che resta di.

Stamattina era seduta sulla panchina. Elegante a suo modo, le gambe accavallate, le calze a righe maschili in un paio di francesine dal tacco consunto. Ho avuto l'impressione che le stessero larghe, da come dondolava il piede, come a far passare il tempo.

Che tempo avrà mai, la Signora della Panchina, e cosa pensa quando si perde, davanti alla Posta Centrale, sotto gli alberi, all'ombra, in questo maggio che ci ha sorpreso senza abituarci, al suo sole sfacciato, ai suoi profumo di tiglio e gelsomino. E rose.

Suonavano le campane del mezzogiorno, si è girata e ha guardato la meridiana del Comune, da poco messo a nuovo, come a contemplare la straordinaria bellezza di quel palazzone rosso che nessuno vede più.

Poi, è tornata ai suoi pensieri.
A dondolare avanti e indietro la gamba accavallata, sulla panchina.
Di lato, un sacchetto del pane e una piccola borsa di carta. Forse, della frutta.

La gente era in fila per la Posta, presa dai fatti propri, dal telefono, dal chiacchiericcio stupido di lamentele e malattie.

nessuno ha sentito le campane.
nessuno ha guardato la meridiana di Palazzo Rosso.

Solo la Signora della Panchina.


14 maggio, 2020

Il Rifugio.




A volte serve.
Non necessariamente un luogo, non una spiaggia, non un'isola, o una strada.
Qualche volta, rifugio può diventare qualsiasi cosa.
La Feltrinelli, per esempio.
Dove leggere e annusare e accarezzare le coste dei libri già letti come a dire, Lo So Chi Sei.

O una profumeria dove provare tutti gli smalti e i rossetti, i profumi quelli no, ho sempre il mio e non mi piace mischiare, nemmeno nelle cartine che ci spruzzi sopra e poi si perdono nella borsa e alla fine la borsa sa di buono ma non sai che buono sia perchè non ti ricordi che profumo era.

Ho avuto voglia di rifugi molte volte nella mia vita, ho avuto bisogno e desiderio e forse, anche un pò paura, quando dal mio rifugio non avrei voluto uscire più.

Sono stati mesi in cui ci si è rifugiati a casa, dove il rifugio era salvezza e dubbio e paura e sollievo.

Mi sono rifugiata anche io, e in tutte le cose che ho fatto e detto e pensato, mi ci sono seduta, sdraiata e davvero non ne avevo voglia di uscirne più. Dai pensieri, dalle cose, dagli angoli della casa che un pò ho scoperto, spostando mobili, usando piatti, mettendo tende.

E mi sono ritrovata, la mia parte di divano, i libri che ho riletto, quel lavoro improbo di ricamare una canzone intera su una coperta, il rivivere di certi pensieri, di certi stati d'animo che credevo persi per sempre, e invece, eccoli lì, intatti.

Non si cambia mai veramente, con un'anima ci nasci, te la cuciono addosso e cresce insieme a te, come la tua ombra,  come fa Wendy con Peter, e cammini e cammini e la tua ombra è sempre lì, e puoi girarti di scatto, nasconderti o far finta di scappare, sarai sempre tu.

Cercherò rifugi ancora e ancora, un abbraccio di quelli veri quando finalmente si potrà, porterò con me la mia ombra e tutte le esperienze e i calci nel culo e i baci che mi hanno fatto diventare quella che sono diventata fino a qui.

Chissà chi diventerò domani. 
Ho un quaderno rosa dove scrivo tutto, non voglio scordare nulla, nemmeno le cose più brutte.
La mia ombra ed io ne abbiamo passate tante. 
Ma ogni volta che mi giro di scatto o faccio finta di scappare o nascondermi, lei mi guarda.

E finalmente, ride.

24 aprile, 2020

Girogirogiro.

Mi piace l'uncinetto, anche.
E molto facile, anche.
E puoi fare molte cose, anche.

Ho dato fondo a scorte di cotone, regali di cotone, spesso, sottile, con brilli, senza brilli, sfumato, tinto a mano, misto seta, misto lino, misto tutto.E ho iniziato dei progetti.
Tutti tondi.

Ho fatto presine chiccosissime, un sacco di sottotazza, ma anche sotto tutto quel che si vuole, sotto fetta di torta per merenda, sotto bicchier d'acqua per le vitamine, sotto lattiera di mia nonna che ho voluto mettere un pò sul tavolo. E sotto piattino con vasettino di fiorellini, che i diminutivi, così come gli accrescitivi, fanno allegria.

Mi sono chiesta il perchè di queste cose tonde. Perchè sono a banali a farsi, è la risposta.
Perchè gli angoli non mi piacciono, e andare avanti e indietro fai rettangoli o quadrati e gli spigoli non fanno per me.

Così giro in tondo.

Ho girato spesso su me stessa.
Ricordo a sette anni una recita di scuola, sul palco a listoni di legno della palestra, con la gonna verde di carta crespa cucita da mia mamma, un fiocco di tulle in testa e le scarpe di vernice rossa. Dovevo fare tipo il filo d'erba, e non si capì mai, nell'assurda coreografia della maestra Baggini, perchemmai fili d'erba dovessero girare su se stessi.

Ho girato su me stessa per far la scema. per felicità e per disperazione, quando avevo l'anima talmente leggera da aver voglia di volare e quando invece era murata dentro un urlo che non ne voleva sapere di uscire.

Ho girato su me stessa per darmi coraggio, per stordirmi, per buttarmi poi sul letto e vedere che tutto girava e che poi piano piano ritornava al suo posto, ma ci sono cose che al loro posto non sono ritornate più, e allora che senso ha avuto, alla fine.

Giro.
Giro intorno ai punti dell'uncinetto, di questo cotone verde Tiffany che è una meraviglia, che diventerà il sotto di qualcosa, e giro e giro e i pensieri vanno e sono prima a casa, poi in mezzo al mare e poi sulla neve e poi a una festa, e poi in un prato.

Perchè forse sì, anche i fili d'erba girano su se stessi.
Con la gonna di carta crespa, però, era più bello.

22 aprile, 2020

La Ricrescita Felice.

Hanno un bel dire.

In questo periodo di isolamento, lockdown per i milanesi, ci si è scontrati, incontrati, abbracciati con una serie di nuove attività.
Abbiamo fatto di tutto. Cucinato pure le bucce delle mele, mercificato, seppur virtualmente, il nostro corpo per una bustina di lievito, ci siamo vestite mezze tailleur e mezzo pigiama con gli orsi, apparecchiate da Madre dello Sposo per andare a buttare il vetro.

Fatto tutorial per la qualsiasi cosa. Perlopiù, del tutto inutili
Ieri, una vip ha svelato all'etere come prepara l'insalata.
Quella pronta.
Già lavata.
Insomma, una serie di cose che sì, ci han fatto sorridere ma ora, come dicono quelli che hanno studiato, anche basta.
Ma.
C'è un ma.
Con la chiusura di barbieri e parrucchieri ci si è dovuti anche improvvisare e inventare un modo per sopravvivere.
Ai masculi, la barba incolta, se ben gestita, da un nonsoche di selvatico che fa la sua parte.
I capelli, pure, ma con l'uso del rasoio si sono viste sul web acconciature maschili degne dei Peaky Blinders, ma assolti per via della quarentena, e va bene.
Ma le femmine?
I capelli lunghi?
Le false bionde, le false rosse, le false more?
I capelli bianchi?
La ricrescita, quella cosa che non hai nemmeno il coraggio di citare ma che ti stampa l'orrore negli occhi quando la scruti al mattino nello specchio del bagno e preferiresti trovare una vedova nera, viva,  nell'armadietto piuttosto che gli abiurati fili argentei?
Le fifty-something alla lettura ben comprenderanno di quel che parlo.

Ci sono state diverse scuole di pensiero.
Le più brave si sono cimentate con il colore del supermercato, ottenendo risultati brillanti e con un minimo investimento, facendosi magari aiutare dal marito/compagno/figlio/figlia, dietro compenso di una pizza con lievito madre per merenda.

Le più chic si sono fatte mandare a casa la tinta  con formula personale, codificata, registrata e conservata nelle casseforti del proprio parrucchiere abituale.

Le più scellerate, come mia figlia, hanno cambiato colore, virando da biondo a rosso rame con riflessi rosa, ma Ella non è nuova a queste esperimenti, tanto che, quindicenne, fu verde, blu e arancione nella stessa settimana.

E poi ci siamo noi.
Quelle che resistono.
Che aspettano con pazienza, come amanti di marinaio sullo scoglio, il ritorno del parrucchiere.
e nel frattempo curano.
Trattano chiome con ogni genere di balsamo, olio, crema, intruglio.
Spazzolano, fanno impacchi, trecce, inventano acconciature e code basse, alte, medie, chignon fintamente spettinati ma con una procedura che richiede 32 minuti, look da doccia per uscire, ananas style per i lavori di casa, forcine di osso, bacchette giapponesi, penne bic, ferri da calza, uncinetti infilati per sorreggere chiome in posa con maschere all'avocado e banana.
Funzioneranno?
e chi lo sa.
Noi ci si prova. Dure e pure, resistiamo.
Che questa ricrescita da quarantena è lì, a testimoniare che abbiamo fatto le cose per bene, che siamo state a casa, abbiamo fatto la nostra parte e che sì, ci sentiamo belle lo stesso. Forse, un pò di più.
E adesso, scusate, vado di fretta.

Devo sciacquarmi un impacco di hennè naturale con una base di aceto e limone.
E no che non è un'insalata.
Per il tutorial, grazie, un'altra volta. 
E con i capelli per-fet-ti.



20 aprile, 2020

Ti conosco.

Si vedono solo gli occhi. 
Solo?

Se sorridi con gli occhi, passa anche dalla mascherina, pure da quella doppia, che ne hai due, quella classica e una all'uncinetto, che ti hanno criticato tutti, Ha i buchi, Non serve a niente, Che roba è, e adesso invece la vogliono, Me La Fai? 
E' da mettere sopra, è per fare allegria, e niente, bocciata. Echemmimportammè.

Passa, dagli occhi, tutto quello che senti, tutto quello che, vuoi o non vuoi, gli altri vedono di te. 

Ho sorriso stamattina, a una signora delicata affacciata alla finestra in camicia da notte. Le ho sorriso col mio cane, le ho sorriso perchè mi ha fatto tenerezza, perchè l'ho immaginata sola a casa, lì a guardare fuori, la pioggia, la pochissima gente che passava, di fretta, perlopiù.

Ho sorriso anche a me, che pensopensopenso e poi alla fine non ci dormo la notte, e guardo fuori, ho sempre avuto quest'abitudine, io dormo con la luce, avevo un pino da guardare, ora ho un palazzo rosa e un lampione, dal quale vedo se piove o no, se è giorno o no, se c'è il sole, la nebbia, le cose.

Penso. Di tutto il tempo che ho ne faccio pensieri e meditare è un parolone ma mi è capitato spesso, ultimamente, di epnsare tanto e di sentirmi un pò più calma, dopo.
Ci sono ferite che non passano e risate che non scordi, ci sono sensazioni e momenti che sono così pesanti da mandare via e qualche volta, fai la prova a dire, Non Ci Penso, e invece eccolì lì, ingombranti, pesanti, voluminosi. 
E non sempre sono cose brutte. Anzi.

Brindo col secondo caffè della mattina, sul balconcino fresco mentre scruto i gelsomini.
Brindo agli affetti che rimangono dopo le tempeste, brindo a quelli che naufragano pure col mare calmo e zero vento.
Agli amori nuovi, a quelli finiti chissà dove, alle amicizie tanto per fare, a chi crede di conoscerti bene e invece no, alle volte che ho sbagliato con gli altri e alle volte che gli altri hanno sbagliato con me. 
Alle frasi fatte, agli sguardi cattivi, che passano anche dalla mascherina, così come i sorrisi.
Ma i sorrisi sono cento volte meglio.

La signora alla finestra ha ricambiato un pò sorpresa, il mio sorriso che non si vedeva.
Passa tutto dagli occhi.

se guardo tanto i gelsomini, fioriranno prima.





09 aprile, 2020

Al Tempo.

E' il tempo a dilatarsi.
Col passare dei giorni, l'isolamento assume dei contorni netti, tali da rasentare la normalità.

Andare a letto più tardi, fermarsi a leggere un pò di più, a ricamare di più, a fare la maglia di più, a vedere un'altra puntata di quella serie che non è che ci entusiasmi ma i figli lontani han detto Guardala, è Bellissima, e allora se ne parlerà, alla prossima videochiamata dove siamo millecinquecento, che è un gran casino ma nessuno si stupisce, non è forse lo stesso a Natale, quando siamo tutti e parliamo tutti insieme, come nei peggiori bar di Caracas?

E' il tempo a offrirsi.
A dire, Sono Qui, fai di me le cose che vuoi fare, sistema una volta per tutte quell'armadio, e quelle scatole che dal trasloco non hai toccato, e stira la montagna di panni che hai chiuso da qualche parte e che ogni tanto guardi di sottecchi, richiudendo con cura dopo un istante.

E' il tempo a volerci.
Vieni qui. Puoi stare sul balcone a guardare la strada vuota, o a parlare col vicino, hai scoperto un pò della sua vita e lui un pò della tua. Puoi sederti accanto al gelsomino e raccontarti che va tutto bene perchè sarà così, ma a volte un pò di paura ce l'hai anche tu, si rassicurano sempre gli altri, vedrai, vedrai, ma alla fine leggi le notizie e speri di trovarci altro e invece no.

E' il tempo a dirci le cose preziose, è il tempo a colorale o a sbiadirle, è il tempo infine che ci darà ragione, è il tempo che vince, sempre, anche quello che non c'è mai stato.

Ho preso il mio tempo e ne ho fatto dei fiori.
Ho cercato di farne il meglio che posso, il meglio che so fare. 
Ho fatto mascherine di cotone e ne ho regalate a manciate, non servono a niente, se non a coprire quella vera, ma i sorrisi che mi hanno dato in cambio e quegli occhi lucidi di sconosciute mi hanno scaldato l'anima.
Ho fatto maglie, ricami e ho cucinato l'impossibile, pulito l'impensabile, lavato persino il frigo, un giorno che era particolarmente vuoto.

Poi, ho pensato a me.
E mi sono collocata nel mio tempo di ora, nei giorni strani di ora, nelle liste della spesa, nei bucati infiniti, nei vasi che non hanno fiori ma solo piantine prese da altre piantine e sono bellissimi anche così.

Si fa con quello che si ha.
Si fa con le piccole conquiste, ho imparato a stendere ordinato ed essere, forse, più ordinata anche io.
Imparerò anche il punto brioche maledetto e tirare la sfoglia sottilissima, col mattarello che con l'Imperia son capaci tutti.

Imparo che questa vita è meravigliosa e fragilissima, e ringrazio, ringrazio il tempo che mi insegna e mi dà, che mi toglie ansia e mi dà capacità e libri nuovi e nuove cose, e grazie anche di questi fiori e dei pensieri, davvero non dovevi, Tempo, mi piace un sacco stare con te, abbiamo un sacco di cose da fare, e di ore da impiegare,  che strane lo sembrano soltanto e invece stanno diventando normali.

Grazie di questi giorni intatti e per tutto quello che grazie a te ancora imparerò.

Compreso a distinguere le cose preziose da quelle no.





03 aprile, 2020

Fu d'aprile.

Fu ad aprile che tornarono.

Non era quel che si dice un aprile consueto, ma quali erano stati mesi consueti, da ultimo?
Si erano attraversati mesi infuocati e mesi ghiacciati e aridi ma anche colorati a pastello, appena appena, o a tempera fortissima, a tinte di immotivata, semplice felicità, così intatta che nemmeno ci si riteneva di figurare fra gli aventi diritto.

Superate le rocce e i deserti, furono prove tecniche di vita, di ritorno in un certo senso, alle rassicuranti consuetudini, così come ai cambi di corsia. alle corse in discesa, di quelle che ti fanno arrivare in fondo senza aver ben capito come hai fatto, eri tu che correvi o la strada che ti trascinava, eppure, eccoti lì.

Fu d'aprile, sì.
Un aprile di molte scoperte. di cose nuove che avevamo nascoste sotto al naso, della riscoperta di spazi di casa non utilizzati, di angolini ritrovati, di copertine morbide da cui farsi abbracciare su questa o quella poltrona, fino ad allora pressochè ignorata.

Si scoprì molto, in quell'aprile del duemilaventi.

Per esempio che si poteva sopravvivere e anche con una certa facilità, a non inorridire nello specchio alla visione dei propri capelli non proprio perfetti. Anzi, ci si dedicò con grande cura per risanarli, per liberarli almeno per un pò dallo choc delle tinture, dei riflessi e di tutti quei bei nomi affascinanti, shatush, balayage,caramel, well blended e altre corbellerie.
Per un pò, i capelli si sarebbero portati naturali, e le pieghe fatte nei modi più impensati, con le cuffie la notte, pure riscoprendo attrezzi diabolici in fondo ai cassetti come piastre e arricciatori. 
E con l'amato ritorno di Messer Bigodino.
Si scoprirono nuovi rossetti nell'armadio del bagno, e nuovi smalti da far asciugare all'aria, che si sbeccavano spesso, è vero, ma  che si potevano cambiare ogni giorno.

Non fu un delitto, in quell'aprile, sfoggiare i pigiami belli, quelli tenuti per sere speciali, e magari osare anche vestaglie che si erano acquistate per le maternità e mai messe o quasi.
Leggere un libro già letto non fu considerato da insani mentali, e di nessunissima patologia soffriva chi rivedeva per la quindicesima volta Pretty Woman o Indovina Chi Viene a Cena, anticipandone pure le battute.

Si stava molto in cucina, quell'aprile.
Si cucinava ogni genere di conforto, dapprima un pò sbuffando, poi prendendoci sempre più gusto.
Le torte diventavano sempre più raffinate e complicate, si sfornavano biscotti di ogni foggia, dolci e salati, qualcuno si avventurò nella preparazione degli gnocchi e non solo il giovedì, le torte salate erano considerate ormai di routine come preparare un caffè, dacchè la frolla non era stesa e pronta ma preparata anch'essa in casa, con il Kitchen Aid.

Si sopravvisse senza il rito dell'aperitivo nel verso sera, scoprendo che una chiacchiera alla finestra, con le patatine fatte nel forno e i calici di casa propria erano sento volte più belli.

Si imparò il nome del dirimpettaio, si imparò a cantare dal balcone e dal balcone stare in silenzio, che proprio silenzio non era mai, tante le sirene e le campane.
Questo segnava il passo di quell'aprile inconsueto, di quei giorni di alberi fioriti visti da lontano, di cose rimandate, di sentimenti misti, mancanze e vicinanze, perchè si comprese una volta di più che non la distanza, non il tempo, ma il cuore e il sentimento.
Le persone non cambiano.
E quelle buone restano buone e quelle piene di livore e di rabbia restano così, nè tali nè quali.
Il Come Stai assunse un significato diverso in quell'aprile.

Era sapere sì, lo stato di salute, ma voleva dire anche Cosa Pensi, lo so che sei triste, che vivi in una città martoriata oppure che hai perso qualcuno di famiglia o che sei medico in prima linea e infermiera di Terapia Intensiva e ti chiedo se sei stanca, se ce la fai, o che hai perso il lavoro e non hai da fare la spesa, e non hai la stampante per i compiti dei tuoi figli...e mille cose ancora.

Fu quell'aprile che si comprese molto della propria vita. In quei silenzi, in quel tempo, in tutto quel Niente da Fare si fece la conta delle ferite e delle carezze, dei baci e degli schiaffi in pieno viso, si dedicarono pensieri a persone lontane e perse, chissà come sta, chissà, chissà.

Ci fu tempo per tutto.
E fu in quell'aprile che tornarono le Fragole.
Dopotutto, era stagione.

Grazie a chi aspetta sempre, a chi non dimentica, a chi aiuta come può, a chi resta a casa, a chi non si da per vinto, a chi inventa ogni giorno un modo per sorridere, a chi balla in cucina lavando i piatti, a chi non si vergogna di aver paura, a chi rinasce ogni volta. 
Grazie a Carla, che in un istante, mi ha fatto tornare la voglia di scrivere, che mi salva sempre e che forse, salva anche lei.

E grazie, aprile duemilaventi, per averci preso così tanto ma così tanto insegnato.



01 ottobre, 2019

La Palestra.

Da poco, abito accanto a una palestra. Alla palestra di una scuola.
Ho spesso la finestra aperta, non mi arrendo ai temporali alle pioggerelline, nemmeno al frescolino di inizio autunno. E' la mia personale guerra contro la fine del tempo bello dell'estate.

Domani è il mio compleanno.
Mi faccio gli auguri da sola ogni anno, cerco di capire che tipo di persona sono diventata ogni anno che passa, se invecchio o se cresco, o tutt'e due, se quello che mi accade me lo merito oppure no, se il bene e il male mi cambiano e in che misura. 

La risposta non la so mai.
Mi guardo allo specchio e vedo sempre la mia faccia, ho i capelli lunghissimi, non mi va di tagliarli, non mi è mai piaciuto tagliarmi i capelli, mi faccio la treccia e poi la giro sul davanti, vuol dire proprio che sono lunghissimi.

Ho di nuovo mille idee e mille progetti da realizzare, mille cose da fare, mille libri da leggere e da scrivere, il mio è sempre lì, a volte lo rileggo e mi viene un pò da piangere, ma davvero ho scritto quelle cose lì? e poi la smetto, ho imparato nell'ultimo anno che smettere di piangere ti salva dal mondo.

Mi piace ascoltare i rumori delle case. Mi piaceva nella Casa in Collina, dove sentire la mia vicina urlare coi ragazzi mi faceva sentire meno sola. Certo, ho urlato un sacco anche io, ma non sono certa che lei fosse altrettanto contenta.

Da qualche giorno, entrano rumori nuovi dalla finestra aperta, quella di lato, dove ci sono i gelsomini e il Basilico Stremato da un'estate di stenti nelle mani scellerate di un figliolo che non c'era mai.

E' il rumore della palestra.

Ci ho riflettuto un pò, e ho pensato che la mia vita, da adesso in poi, la vorrei proprio come una palestra. 
Con i fischi se sbagli, con le grida, le risate, il rumore del pallone sul pavimento, che fa allegria, lo stridore delle scarpe di gomma, l'eco delle parole belle che ho sempre voglia di sentire, i nomi, le canzoni, i punteggi ovattati, non so mai esattamente che cosa ci facciano in quella palestra lì, ma non è importante, alla fine.
E' un mondo a sè, un microcosmo affascinante, che non posso spiare perchè ha i vetri opachi ma ne sento il rumore e l'unica cosa che so è che quel rumore mi piace, sembra un pò un' astronave, se ci pensi.

Voglio per me dei giorni lisci, che di gasati ne ho avuti abbastanza, dei time out per dirmi Fermiamoci Un Secondo, dei conti alla rovescia per partire di slancio, dei blocchi di partenza dove concentrarsi e dire Ce la Posso Fare, dei materassi morbidi dove cadere dopo un salto altissimo, un cronometro per misurare le volte che non sono più io e farli durare sempre meno, dei traguardi belli, dove tutti sono contenti e sì ci arrivi sfatta e col fiatone, così tanto che nemmeno riesci a bere o a parlare, ma che bello è correre così.

Una palestra.
Stasera sentirò ancora meglio quel rumore, di solito sono fuori che annaffio le piante. Anche il Basilico Stremato. Gli racconterò la storia della Palestra, chissà che non si riprenda un pochino anche lui.

e cose belle, finalmente, a me.




Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...