20 febbraio, 2009

La camomilla.

Non che mi faccia impazzire il sapore. Ho anche trovato una foto che non mi piace, questa tazza coi girasoli mai e poi mai la comprerei. Solo, di camomilla avevo bisogno. Perchè in realtà, non mi piace il gusto ma tutto quello che la camomilla rappresenta. A cominciare da quando da piccola, aiutavo mia nonna a raccoglierla, spargela sui teli al sole prima e a sgranarla dopo, per conservarla poi, fiori intatti, nal vaso di vetro con tappo dorato che era stato della marmellata. Mi piace il profumo che ha, che si sente per la casa, mica solo in cucina. E poi mi piace il calore della tazza, quello che senti abbracciandola con la mano, e quel rumore che fa il soffiarci sopra per farla raffreddare, credo che la camomilla insieme al brodo di pollo sia la cosa che si raffreddi più lentamente in assoluto. Stasera avevo voglia di camomilla, forse per quel dolore sciocco che ho, non figurato, un dolore vero, non forte ma insistente, proprio qui, al cuore. Non so bene che cosa sia, di sicuro niente di grave, ovvio, ma per me che sono ansiosa, ansiogena, ansioserrima, sembra una cosa terribile. Perciò, ecco la medicina. Ho scaldato l'acqua nel pentolino, mica nel bollitore, perchè il bollitore serve per il thè e la tisana, una camomilla che si rispetti si fa solo nel pentolino, meglio quello un pò ammaccato, quello che mi è rimasto attraverso i mille traslochi e che per niente al mondo mai butterei via. Così, comincia il rito del mescolare e mescolare e soffiare, e assaggiare dal cucchiaino, e mescolare e mescolare, ma cosa mescolo se è senza zucchero. Mescolo perchè mi sembra che salga meglio il profumo, e dentro ci sento tutto quello che ci voglio sentire, è odore di buono e di cose che conosco, e so che mi farà bene e mi farà stare tranquilla e passare tutto, qual che sento e quello che no, e che è vero il sapore non è che mi faccia impazzire, ma la camomilla del pentolino mi guarirà e non è quella col fiore intero che mia nonna passava nel colino, ma un pò ci assomiglia e un pò me la ricorda, e a ben sentire, quel dolore insistente al cuore forse mi sta già passando. Anzi, è passato, di già.

19 febbraio, 2009

Il caos.


...gomitoli, schemi, forbici, giornali, ferri, cappellini, pon pon, bigliettini, fascette, scontrini, appunti, traduzioni, spille, sacchetti, rocche, centimetri, campioni, fili, scarpine, ferri, copertine, cuoricini, cose...
Se da tutto questo nasce questo...allora, vuol dire che va bene.
A tutte, grazie.

18 febbraio, 2009

Le rose bianche.

Di quelle senza pretese. Comprate al volo da un ambulante, che camminava sorridente e abbracciato al suo secchio colorato. Che bello è un viso che sorride in mezzo ai grugni della mattina, signori in grisaglia con l'aria rassegnata, donne con la spesa e le calze coprenti, baby sitter che spingono non convinte preziosi passeggini, fanciulli fuori scuola, chissà perchè, spazzini, nullafacenti, vigili, gente e gente, varia umanità e stessa faccia triste. Così, le ho comprate. Ho sottratto da quel mazzo vivace le rose più discrete, le più belle, ho tirato un pò sul prezzo ma tanto non sono capace a contrattare e poi nemmeno mi va. Ma belle, che sono. Le ho portate a casa trionfante, insieme al pacco della tintoria, alla focaccia per i figlioli, al Giardino dei Finzi-Contini che il Liceale deve leggere in una settimana, e ce l'avevo sì, l'ho letto tre volte, ma vallo a trovare nei meandri di questa casa, forse l'ho prestato e non è più tornato, che brutto quando perdi i libri così, sarebbe meglio dimenticarli in treno o su una panchina e immaginare per loro un viaggio fantastico, molte mani a sfogliarli, invece di saperli per certo ammuffire fermi in una mensola stantia. Le mie rose ora mi guardano, bianche d'avorio dai petali perfetti, profumate, ma pochissimo. Discrete. Le ho sistemate nel vaso bello, quello che se si rompe sbatto la testa contro il muro, quello che non permetto a nessuno di toccare e maneggiare e lavare, solo spolverare con grande, grandissima cura. Lo tocco io e io soltanto, è un regalo del matrimonio, e come, se no, di quegli oggetti che mai e poi mai ti compreresti da sola, ci sono apposta i matrimoni, per questo. Sono semplici rose bianche di un candore che disarma, ho comprato insieme a loro un pò di leggerezza, un'eleganza semplice sul tavolo della cucina, una carezza, impercettibile, se vi si posano gli occhi, e un profumo di bello, di calmo, di buono, che si sente appena, le rose bianche son così, profumate, ma pochissimo.

17 febbraio, 2009

La scorta.

Oh, yesssss,stamattina s'è fatta una giratina. Biella, per cominciare. E un sacco enorme di lana, per finire. Si è attesa l'ora giusta, si è sbrigato qualche faccenda, e con l'Amica delle Perle ci si è avventurate sù per i bricchi, alla ricerca. Comprato molto, ricevuto in dono, anche. Il risvolto gradevole di tutta la questione è che si chiacchiera amabilmente, ci si ferma per la strada a rifocillarsi, si ride come oche giulive perchè nonostante cartelli e navigatore ci si infila non si sa nè perchè, nè percome, in una specie di sentierino strettissimo e senza uscita. Il delirio. La missione si è compiuta con grande professionalità e morigeratezza, compunte e distinte, educate e rispettose. Ora, non resta che fare una tonnellata di gomitoli.E tutto ciò che ne consegue. Si prescrivono gite di tale portata una volta alla settimana, meglio se dopo un periodo immagonato e tristanzuolo. Esse portano una serenità diffusa, una bella pace dell'anima, un bel momento di inimmaginabile tranquillità e svago. Senza avere fretta, preparando teglie da scaldare nel microonde, organizzando con precisione chirurgica figlioli e consorti, senza dare orari, a dire Torno Alle. Si dice Torno Verso Sera. E' così che và il mondo.

15 febbraio, 2009

La mia compagna di banco.


Non l'ho mica riconosciuta subito. Una bella voce squillante, da bimbetta, la sua, quella che ha avuto sempre. Ho fatto un salto sulla sedia, che stavo litigando con un pattern in inglese, ma neanche inglese, in greco antico, mi sa che non ci ho capito una beata e che invece di una scarpetta ci salterà fuori una presina. Mi ha chiamato la mia compagna di banco. Quella che ha fatto con me, prima che andassi via, quattro anni delle superiori, un pò davanti, un pò dietro, spesso alla destra o alla sinistra, i banchi erano da tre, mica da due, e potevi averne anche due di vicine di banco, una cosa furba, un lusso in un certo senso. Ci siamo divertite tanto, abbiamo litigato tanto, abbiamo fatto gite e canti sguaiati e pianti nei cessi, e abbiamo ripassato febbrilmente, ci siamo passate compiti, io la brava di italiano, lei e la Manu le brave di matematica, e bigliettini e scritte sul banco, e assemblee, e scioperi, e giustificazioni e cuori trafitti e cineforum e merende divise e alzate di mano, e discussioni. Mi ha chiamato la mia compagna di banco e mi ha fatto venire un magone che mi piace, e mi sono stupita che non mi abbia chiesto i compiti che ci sono domani. Ha figli lei, ho figli io, è passato un secolo, ma oggi ho sedici anni, ho qualcuno che non mi ha scordato e che non ho scordato mai, e ho un cuore felice che balla e sorride.

14 febbraio, 2009

Gelosissima....



Di quel pacchettino che ho trovato ieri, nella cassetta della posta. Gelosissima di quel cuscinetto meraviglioso che questo donnino qui ha confezionato con le sue mani per la piccolina di casa. Gelosissima lei, la piccolina di casa, del suo cuscinetto personale, che ho anche faticato a toglierlo dalle grinfie, sennò, quel bel nastrino vellutato color viola-di-sentiero, emmarameo che ci rimaneva attaccato. Gelosissima l'altra cagnona, che si è vista arrivare come regalo di Natale, tra capo e collo, questo scricciolo tutto baci e vitalità e dolcezze e frignatine se viene lasciata sola per più di cinque minuti. Gelosissima io del bigliettino in bella grafia, dedicato a lei sola e a lei soltanto. Sob. Ma felice, felicissima, felicerrima che la piccola Tiffy abbia fan in tutta Italia. Quasi quasi faccio un gruppo su Facebook.
E a quel bel donnino di Roma, voglio dire un grazie grosso come una casa, e dirle che la stimo e che so come fa le cose e con che cuore e so che lo sa anche lei e allora va bene.


13 febbraio, 2009

Di meno, anche io.

Origami.

Chi è stato, stanotte, che si è preso la briga di ritagliare e ritagliare laggiù, in fondo, la sagome dalle montagne? Chi è che ha lucidato con lo spruzzino tutto il cielo, senza nemmeno un alone, e con uno straccio adatto che non lascia nemmeno un pelucco? Chi è stato ad appiccicare quella luna trasparente, e queste nuvole innocue, lilline, che meraviglia, soffici a guardarle? Bello. Tempo non c'è per fare le lagne, tempo non c'è per le solite solfe, e dovrei anche esserci abituata, ogni tanto, a dei giorni così, non proprio grigi ma senza colore, che è peggio. Tempo non c'è per le tristerie e i batticuori, ma di quelli che ti fanno stare male, non i batticuori di sorpresa o di emozione, quelli sinistri, che il cuore te lo senti battere anche in testa, e nello stomaco, difficile a spiegarsi. Tempo non c'è, fine della questione. Ci sono cose da fare, le stesse che abbiamo chiuso fuori dalla porta, ieri, ci sono piccole splendide cose da assaporare piano piano, da vivere con tranquillità, e cancellare con la gomma da penna tutte quelle che ti hanno fatto un pò male, che ti hanno resa impossibile, si può essere impossibili, qualche volta, ingestibili, insopportabili, ecco, così. Si cancella per bene, con una forza leggera, tale da far scomparire tutto ma non bucare il foglio, e poi, si soffia, si manda via con la mano quel che resta, quelle bricioline di gomma cancellata, vedi? è andato via tutto. Pronti a riscrivere, a inventare, a stare bene, a guardare le cose, il cielo lucidato, la luna appiccicata, le nuvole lavanda, gli origami laggiù con un sorriso da niente, appena appena, che non si vede ma c'è.

12 febbraio, 2009

Peter Coniglio.


Bastasse il sole. Bastassero le montagne con la neve che si vedono laggiù. Bastasse quella luna bianchissima appiccicata sui palazzi in città, la mattina presto. Non basta niente. Si prosegue così, un passo dopo l'altro, funambola inesperta, trapezista senza rete, scema, per dirla con una parola sola. Infilata in un cunicolo che non porta da nessuna parte, non sbuca in un orto pieno di carote, un coniglio impacciato che non può nascondersi nemmeno dentro l'innaffiatoio come Peter, ma quante volte l'ho raccontata questa storia e a quanti figli, e in quanti viaggi in macchina e in quante sere di antibiotico e sciroppo per la tosse. Ora, vorrei qualcuno che la raccontasse a me. Si galleggia, in una mattina di riorganizzazione pressochè totale, di vicende da sbrigare, e di nessunissima anche lontana ispirazione per portare a termine le cose iniziate. Verrà da sola. Se fossi brava me la disegnerei da me, colorandola con i pastelli e mi scrollerei di dosso questa sensazione che non sopporto e che conosco così bene, cercando il sentiero nell'orto, fra cavoli e patate, e scaverei e scaverei, fino a trovarmi nel giardino del Signor McGregor. La mia giacca rimarrà impigliata nella rete del cancello, avrò perso un bottone e so che prima o poi qualcuno farà di me un pasticcio di coniglio. Ma forse, lo sono già.

11 febbraio, 2009

Paura del vento.

Contro ogni più rosea e lucida previsione. Si stava così bene, da settimane, mesi oramai, e qualche magone e quelche tristeria ma così, così forte no, non più almeno. Si pensava che sì, forse se ne era davvero fuori, forse si era davvero un pò guariti ma guariti da che cosa poi, si crede forse che nessuno al mondo abbia le stesse cose, gli stessi sintomi, gli stessi assurdi pensieri, le stesse ansie e anche di più? E' un giorno di vento. Che mi piace sul mare e che non reggo in città, almeno, non questo, gelido, sferzante, mi piace il venticello di aprile che porta quassù il profumo del mare, dei fiori, dell'erba nuova. Di questo, ne ho paura. Così mi rintano nel luogo più segreto, e progetto e scrivo e lavoro, e il solo pensiero di uscire di casa mi fa rabbrividire, ma mica di freddo. Di quei brividi invisibili, che si hanno soltanto quando non trovi il senso a certe cose, quando ti senti che stai male ma non così male, quando non gira eppure è tutto a posto, quando hai la testa pesante e gli occhi stanchi e la faccia verdina, ma prendi gli antibiotici da una settimana, quello sarà. Questa è una di quelle volte che si catalogano alla voce Magoni, che a descriverli li sai bene, è poi a scacciarli che fai fatica, che hai inventato una quantità di similitudine per spiegarli agli altri, ma li spiegi agli altri per spiegarli a te, e allora i vetri e i chiodi, e questo senso di inadeguato e di imperfetto, e queste colpe che ci si dà ogni tanto, E' Colpa Mia, non puà esser che così. Questo è uno di quei casi in cui è meglio tacere, che è meglio stare immobili ed aspettare che passi, che è meglio andare avanti con ricercata lentezza per la propria strada,e non cercare ad ogni costo di riempirsi la testa con millecinquecento attività, ma fare il minimo che si può, come si può, al meglio che si può, catalogando il tutto alla voce Magoni, e alla fine dar la colpa al vento, che è meglio così.

10 febbraio, 2009

Il muso.

Non c'è un vero motivo per averlo, e di solito non ce l'ho proprio mai, non ci sono abituata a portare il muso, a fare il broncio, a pestare i piedi e a gridare da isterica, non lo facevo nemmeno da bambina, mai, anzi, solo una volta che volevo lo zucchero filato rosa, che lo vedevo per la prima volta e lo volevo e lo volevo e frignavo e insistevo e mio padre mi ha mollato un lordone (do you know lordone ?) che ancora me lo ricordo, proprio davanti al negozio di casalinghi dove adesso c'è una banca, credo, e da allora, ogniqualcolta mi imbatto in un chioschetto di zucchero filato sia esso rosa, bianco o a quadretti, giuro, mi viene da vomitare. Insomma non ho il muso, ma se fossi una da muso oggi lo metterei, lo metterei eccome. E sarei antipatica e insopportabile e nevrastenica e sibilerei dei monosillabi, sarei acida e ingestibile, una m@rda, insomma. Oggi è una giornata così, che mi girano, non so se si può dire, ma in un mondo così, dove mi sento un pò marziana, un pò selvaggia, un pò paracadutata da una galassia lontana, un pò credulona e molto, molto scema, e non so se sono più triste o più arrabbiata o più delusa o più ingenua, ma che ne so, e alla fine non me ne importa un granchè di quello che sono, o meglio io lo so bene come sono, e questo mi basta,e allora, sapete che c'è, muso o non muso, sto caricando un bel vaffa, come dicono i miei figli, e allora e perciò, accomodatevi pure, pensate quel che volete, io continuerò a non capire, io continuerò a fare boh?!, e a restarci male e a chiedermi il perchè, il percome e l'allorquando. E già che ci sono, mi scrivo col pennarello un bel cartellone e me lo attacco al collo, così, CHE NESSUNO MI PARLI. Per tutto il giorno. Facciamo 3 ore. Facciamo un quarto d'ora e non se ne parli più.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...