13 giugno, 2006

L'approvvigionamento.

Il progetto Strofinaccio da Cucina prosegue. A rilento, ma. Qualche giorno fa mi sono recata in visita non già pastorale, ma di ricognizione, ad una filanda. O meglio, a una teleria. Meglio detta Tessitura. Ho faticato a trovarla. Nella mia mente una tessitura doveva essere una specie di basso fabbricato con una bella insegna, magari consunta, ma visibilissima. Mi sbagliavo. Proverbiale è la mia assoluta mancanza di senso dell'orientamento, qualche volta devo pensare per bene anche per fare una strada cittadina, con indicazioni in lingua italiana, popolata da umani. Credo sia una questione di geni, una roba ereditaria, che raggiunge i suoi massimi considerando altresì la mia totale ignoranza in materia di navigatori satellitari che non so impostare, nè mettere in funzione nè tantomeno seguirne le indicazioni. Sono un caso umano, pietà. La Tessitura in questione, sapevo essere ubicata in prossimità del camposanto. Il Cielo mi ascolterà e perdonerà, se per raggiungerla, dopo alcuni giri a vuoto e sconforto crescente, ho trovato del tutto innocente imbucarmi in un funerale. Sì, confesso, e mai verbo fu più appropriato, di aver seguito un carro funebre, che, tanto, più che lì non poteva andare. Ho recitato sommessamente una prece alla cara, sconosciuta salma, parcheggiato nelle vicinanze, e mi sono diretta verso il numero civico 4. Una palazzina anni 50, di 3 piani, all'ultimo l'abitazione della famiglia, i primi 2 destinati alla tessitura. Mi è venuta incontro una signora gentilissima, camice blù e calze coprenti, che mi ha mostrato l'intero magazzino. Il delirio. Tovaglie di fiandra e lino, chilometri di tela colorata, tonnellate di asciugamani di ogni colore. Pronti da ricamare e con la possibilità di averli su disegno, e del colore preferito. Ne ho comprati una ventina. Conchiglie e giardini, pesciolini e gnomi. Per uso personale (stupefacente!) e per uso pubblico. Leggi: amiche deliziose, compleanni, cene a tema e regalini-senza-perchè. Il marchio è già pronto. Ma, una domanda. L'imprenditoria può essere vista anche alla voce Strofinacci Da Cucina? Ho i miei seri dubbi. Pazienza.

Leggerollo.


Me ne hanno detto meraviglie. In previsione del viaggio aereo di domani, verso Vienna, primo breve assaggio di vacanza, mi sono portata avanti. Non viaggio mai senza l'iPod e un libro nuovissimo, da iniziare. Farò fatica a lasciarlo lì, davvero mi hanno detto che si legge d'un fiato. La straordinaria capacità dei libri di farsi cercare, scegliere, desiderare. E amare, anche. Un pò come le persone, in fondo. E come loro, se le rileggi, qualche volta le interpreti in modo diverso. Quasi sempre al meglio. Quasi, ecco.

12 giugno, 2006

Perle di saggezza.

Tutto sono tranne che una filosofa. Come dire, non ne ho la stoffa. Ma stamattina, pronti via, per risciacquare un pochino lo sguardo vacuo del mio sposo che era troppo appannato, ho coniato lì per lì una di quelle frasette che servono, qualche volta, per tirarsi sù il morale. Abbiamo avuto un periodo come dire, effervescente, e adesso sembra tutto migliorare. La scuola è finita, ieri sera una cena tra amici, fra tetti e campane, cose buone e profumo di gelsomino, le vacanze vicine, insomma, volge tutto al meglio. Così, mi cito. " E' come quando trovi un puzzle negli ovetti Kinder: le tessere sono tutte ingarbugliate e mischiate, ma poi le disponi con grazia, le giri, le raggruppi per colore e in men che non si dica, voilà, il puzzle è fatto." Lui ha sorriso, risollevato, mi è parso. Dopotutto mi ha sposato. Che si sia pentito, questa mattina, seduto stante, dopo la vicenda del puzzle?

Papaveri senza papere.


Mettono allegria. E vogliono dire tante cose. Innanzitutto li adoro in quanto facenti parte di quella categoria di fiori ben riconoscibili e appartenenti ad un periodo ben preciso dell'anno. Nel senso che non si possono vedere papaveri a novembre inoltrato, come le rose del fioraio, per esempio o le margheritine delle aiuole. Non sono per le indecisioni, caratterialmente, e il papavero in quanto tale mi dà la sicurezza matematica di dire, ok, ci siamo, è estate. In più, sono fiori che hanno ragione di essere solo in un contesto ben definito. Nessun mazzo di papaveri, in letteratura, è mai stato avvistato. Non resistono a sterili vasi pieni di acqua, non si regalano, non si comprano, come il glicine, e come i loro lontani cugini fiordalisi. Il papavero si lascia guardare. E dà, in questo periodo, ai campi lungo la strada di casa, un aspetto di festa, di vestito nuovo, di bellezza semplice e contadina che fa stare bene. Mette allegria, appunto. Da piccola facevo un gioco che ho insegnato anche ai miei figli. Ingredienti: un bocciolo di papavero, quelli pelosetti e fatti ad oliva. Bene, si deve indovinare il colore al suo interno perchè, c'è anche chi non lo sa, il papavero dapprima è bianco e poi è rosa, per poi esplodere nel suo colore rossissimo. Vince chi indovina il maggior numero di olivette. Gioco rilassante e un pò demodè. Ma grazioso. E fa dimenticare che, tanto bellini, colorati, lucidi ed allegri ma sempre di pianta infestante si tratta. Perdoniamoli.

10 giugno, 2006

Ines, la coccinella.


Qualcuno sostiene che, se non avesse quel suo bel cappottino a pallini, i più la tratterebbero più o meno con la stessa schifata considerazione che si ha per uno scarafaggio. Ma tant'è. Ha stile e lo sa, ha classe da vendere, soprattutto quando si esercita in uno di quei suoi bei voli brevi ed intensi, diventando a tutti gli effetti un insetto quale è, e non uno squisito oggetto di design come sembra. Le adoro. Le coccinelle sono nell'immaginario collettivo, portatrici di buona sorte. Così ho salutato stamattina la mia compagna di viaggio, che con ogni probabilità ha passato la notte aggrappata al finestrino della mia automobile. Se ne è stata lì, tutto il tempo che è servito per andare da casa mia in città, scrutandomi, potrei giurarlo e facendosi una passeggiata sui miei pantaloni, ingannata forse dai fiori stampati sopra, che ha scambiato per veri. Come, alle coccinelle piace Cavalli? Di lei, nulla so d'altro. O forse sì. Se ne intende anche di musica. E' stata infatti un bel 5 minuti, appena prima di volare via chissà dove, ben attenta, pettoruta e un pò spocchiosa, sul display dell'autoradio. Le coccinelle, questo invece ben lo si sa, vanno pazze per il Buddha Bar. Volume IV, per l'esattezza. Diabolici insetti zen.

Cuore.


C'è profumo di tiglio quest'oggi nella piazza davanti alla scuola elementare. Lo Senti, Mamma? Quando c'è Questo Odore Vuol Dire che La Scuola è Finita. Già. Oggi è l'ultimo giorno di scuola. Invocato da mamme e alunni per i lunghi mesi invernali, adesso che è qui, beh, sì, siamo tutti contenti ma con una malinconia sottile, una specie di morbida tristezza, un pochino, ecco. Da sempre, l'ultimo giorno di scuola mi rattrista, anche quando non ero davanti ad aspettare, ma ero io ad uscire. Voleva dire che qualcosa era finito, che si concludeva un momento, che qualcosa cambiava. E i cambiamenti non mi sono piaciuti mai. Significava ovvio, non rivedere più certi compagni, non dividere più con loro il quotidiano. Forse, significava solo crescere. Oggi, in quella piazza dove staziono da anni, dove da anni aspetto le 16,20, anche io mi sono un pò commossa, come i bambini della quinta elementare, che hanno abbracciato forte le maestre, piangendo di un pianto buffo e impacciato, disperato, anche, quasi a dire, No, Dai, Rimaniamo Ancora Qui per Un Pò. L'ultimo giorno di scuola ha il suo fascino. Da domani, tanti giorni vuoti di compiti, di zaini e di voti, e pieni di giochi, di niente fare, di sveglie alle 11, di vacanze, di nessun orario. Cambiano i ritmi da domani e si è già tutti un pò in vacanza, non foss'altro per la sveglia che suona sì, ma possiamo prendercela con calma, una mezz'ora in più, male non fa. Sarà estate e poi autunno e allora, ancora saremo su questa piazza davanti ai Carabinieri, ancora zaini e ancora merende, a scrutare i genitori nuovi dei bambini della prima, infreddoliti nei cappotti e nelle sciarpe, a soffiare nasi e ad aspettare le 16,20. Fino al prossimo inebriante, unico, assoluto Profumo di Tiglio.

09 giugno, 2006

Laifisnau.


Ma quanto ci avrà messo la Creatura, ad impararlo? L’accento certo non è dei migliori, ma col suo faccino borgataro, belloccio ma a bocca chiusa, e la parlata country, Francesco Totti riesce persino ad essere simpatico. Ormai in televisione vuoi per i Mondiali, vuoi per gli spot, lo si vede ogni 5 minuti. Mi ha intenerito giorni fa quando alla radio ho sentito che il desiderio segreto del Nostro sarebbe quello di passeggiare in Via del Corso, senza essere assaltato dai tifosi e dai fotografi. Si ode il coro, Sì, Ma Ha Cinque Fantastiliardi In Banca, ohi, ma come siete venali, orsù! Insomma, un desiderio legittimo. Beh, in fondo ad esaudirlo non ci vorrebbe molto. Basterebbe avere una mogliettina meno appariscente, con una french manicure un po’ più discreta (Ilary, tesoro, ma lo sia che la french così ce l’hanno solo le domatrici oramai?), un bimbetto con un nome più consono, che so, Fabio Massimo, o Caligola, ma Cristian, accidenti, e senza nemmeno la h, per cortesia. Potrebbero rifarsi e la prossima pupina chiamarla Flaminia, o Appia Antica, anche Casilina male non sarebbe. E infine, Lui, forse, dovrebbe azzeccare un congiuntivo ogni tanto, dovrebbe essere meno presente nelle barzellette e fare meno cucchiai. Qui si fermano le mie nozioni calcistiche. E non si può neppure pretendere un inglese fluently da chi ha idee confuse anche sulle sua lingua madre. Vabbè. Però Francesco Totti mi sta così simpatico che magari qualche lezioncina di inglese, grammatica e fonetica, gliela darei io. Dopotutto, sono stata al Trinity College di Oxford, mica alla Scuola Radio Elettra. E sarei onesta con Lui, non gli chiederei autografi e applicherei una tariffa moderata per il Pupone, facciamo 50 euro. “ Ahò, sò cento sacchi!!!!”

Lapo 2, il ritorno.


E’ tornato. Non già a Portofino come qualche settimana fa, ma proprio lì, al lavoro, in ufficio, al Consiglio di Amministrazione, insomma, al suo posto. Lo hanno trovato in forma, bello non lo è e quindi si dice che è un tipo, arrivato con la sua Alfa 156 Sport Wagon, con un bel completino azzurro cielo, e una splendida cravatta tricot. Mi ha fatto felice. Tanto per cominciare, le cravatte all’uncinetto le facevo alle medie nell’ora di applicazioni tecniche e quindi mi sono già portata avanti. E poi perché, in assoluto, ha una bella macchina. Bella scoperta, ma com’è che fa la sua mamma di cognome, Agnelli, per caso? E cosa fanno gli Agnelli, formaggio? Vabbè, eravamo rimasti alla macchina. Mi piace e molto. Sono una donna anomala, che è già una bella dichiarazione, nel senso che le automobili mi piacciono. Non proprio come agli uomini ma quasi, e che ci posso fare, sarà mica peccato, no? E se adesso, in questo periodo di Suv, probabilmente, dovendo scegliere una nuova automobile, sceglierei proprio quella del Lapo. Magari di un bel rosso lacca, che so, un Pirate di Chanel lo vedrei bene, ma si è mai visto qualcuno che si reca ad acquistare un’automobile con una boccettina di smalto? In controtendenza, italianissima, non di moda, non riconoscibile. Grazie Lapo di questa grande idea sul mio prossimo acquisto. Felice che tu sia tornato, il tuo completo celeste spiccava e di molto su tutta quella grisaglia. Ti ho già palesato la mia stima, mi diverte quel tuo modo di fare, giullare fra le mummie, l'occhio spiritato anche in tempi non sospetti, il basettone, l'aria trasognata. Si sbaglia tutti, tesoro, chi un po’ di più, chi un po’ di meno. La cosa importante è non ricascarci, me lo prometti? Ah, una precisazione. Sul fatto che gli Agnelli non facciano il formaggio, beh, ho sottomano un indirizzo: Caseificio Agnelli, Località San Pasquale, Palau, Sassari. E t’ho detto tutto.

08 giugno, 2006

Egli.


Il consiglio è vecchio come il mondo. Vuoi tirarti sù? Fatti un giro dal parrucchiere. Risaputo, scontato, trito e ritrito ma sempre efficace. In linea di massima un giro dal parrucchiere, una, se deve proprio farlo, che lo faccia in grande stile. E che sia, in assoluto IL PARRUCCHIERE. Nella città che è stata la tua, e che ancora smodatamente ami, che hai girato questa mattina un pò da turista, le Olimpiadi lontane, regalandoti il privilegio sottile di fare anche qualche fotografia, a questa città intatta, pulitissima, un pò svizzera, anche. ma veniamo a Lui. Lui non taglia. Crea. Vuoi il caschetto così, la sfumatura così, la lunghezza così? Ma starai mica scherzando, vero? Sarai mica tu a decidere, cocca. Decide la moda, la tendenza, il tuo viso tondo che non si intona a caschetti Valentina style, ma come, se lo porto da mille anni? Appunto. Più che un salone di bellezza un opificio. Sono in tanti. Fanno pensare a un esercito napoleonico e il celere ubbidir qui proprio uno scherzo non è. Anche se ancora la differenza tra chi ha la Tshirt bianca e chi invece ce l'ha nera ancora non l'ho capita. La vera essenza di un parrucchiere di grido si vede già al lavatesta. Non scappa uno schizzo che sia uno, il massaggio per lo shampoo è a metà tra uno shiatsu e una terapia intensiva. La goduria vera. In più, alla fine, la signorina ti flauta sommessa, Facciamo Un Risciacquo ad Acqua Fredda? e lì è il delirio vero. Si passa poi nelle sue mani. Che muove peraltro con una grazia tutta sua, un pò Barnard un pò Michelangelo, che dire di più? Un taglio qua, accorciamo qui, alleggeriamo di là, la frangia và così, voilà, in cinque e tre otto l'Artista ha creato la sua opera. Sono uno schianto. Non importa se domani l'incanto svanirà, mi basta oggi. Un taglio ottimale devo essere splendido anche dopo mesi. E questo, che secondo i miei calcoli dovrebbe arrivare intonso fono ad ottobre inoltrato, modestamente lo sarà. Certi trattamenti, a ben pensarci, dovrebbe passarli la mutua.

Ce la si fa.


Ci si tira fuori. Si sta meglio, all'improvviso, come all'improvviso si era stati da cani. Basta pochissimo, in realtà. Basta che ti sveglino coi baci alle 5 del mattino e tu a tirare cuscinate e farfugliare una serie di sproloqui all'indirizzo del coinquilino del tuo letto. Basta che ti si dica, Voglio il Tuo Profumo, Mamma, basta una colazione a ridere di stupidaggini dopo mattine grigissime, basta organizzare una giornata di puro scialo, purissimo svago, cose da niente ma che fanno bene al cuore. Un cuore incerottato ma stilosissimo, bistrattato ma con glamour, affaticato ma molto cool. Eh, sì, cara la mia signora, i cuori più trendy son fatti così.

07 giugno, 2006

Il cerotto.

Un cerotto e passa tutto. Anche dove non c'è niente, neanche un graffio o una sbucciatura, il cerotto infonde, da tempo immemore, la sua bella fetta di sicurezza. L'operazione diventa un tantino difficile quando il suddetto và apposto sul cuore. Lo ben si sa, il cuore è viscido, scivola via e non ne ha nessuna voglia di farsi curare. Neppure da me, allenata da improbe somministrazioni di sciroppi e antibiotici a fanciulli recalcitranti e ogni sorta di medicine a cani e gatti, si sorvoli sul paragone. Esso, il cuore, è uno strano aggeggio. Che a lui non si comandi è cosa nota, ma qualche volta ti verrebbe da prenderlo a schiaffi, lì per lì. Come, fedifrago, è proprio il momento in cui ho più bisogno di te, e tu, sciocco d'un muscolo che non sei altro, ti metti a battere troppo forte e a non reggere più o quasi? Come sarebbe a dire, cuorucolo da mercato, che proprio adesso fai il prezioso e dici beh, fai senza di me? Lo so, lo so. Forse hai avuto un periodo di grande lavoro, surmenage si dice, vero?, e allora, dai, forse ti sei un pò scocciato e allora, vedi, un cerotto e passa tutto. Avrò più cura di te, ma averla di te è averla di me, cura e maestria nell'essere più forte, non farsi scalfire dalle cose, non farsi squassare il petto dalla paura e dall'ansia perchè lì sotto ci sei tu. Imparerò. Un cerotto, comunque, per cominciare. Ma, una domanda, Gucci fa cerotti? Sarebbe un'idea.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...