12 giugno, 2006

Papaveri senza papere.


Mettono allegria. E vogliono dire tante cose. Innanzitutto li adoro in quanto facenti parte di quella categoria di fiori ben riconoscibili e appartenenti ad un periodo ben preciso dell'anno. Nel senso che non si possono vedere papaveri a novembre inoltrato, come le rose del fioraio, per esempio o le margheritine delle aiuole. Non sono per le indecisioni, caratterialmente, e il papavero in quanto tale mi dà la sicurezza matematica di dire, ok, ci siamo, è estate. In più, sono fiori che hanno ragione di essere solo in un contesto ben definito. Nessun mazzo di papaveri, in letteratura, è mai stato avvistato. Non resistono a sterili vasi pieni di acqua, non si regalano, non si comprano, come il glicine, e come i loro lontani cugini fiordalisi. Il papavero si lascia guardare. E dà, in questo periodo, ai campi lungo la strada di casa, un aspetto di festa, di vestito nuovo, di bellezza semplice e contadina che fa stare bene. Mette allegria, appunto. Da piccola facevo un gioco che ho insegnato anche ai miei figli. Ingredienti: un bocciolo di papavero, quelli pelosetti e fatti ad oliva. Bene, si deve indovinare il colore al suo interno perchè, c'è anche chi non lo sa, il papavero dapprima è bianco e poi è rosa, per poi esplodere nel suo colore rossissimo. Vince chi indovina il maggior numero di olivette. Gioco rilassante e un pò demodè. Ma grazioso. E fa dimenticare che, tanto bellini, colorati, lucidi ed allegri ma sempre di pianta infestante si tratta. Perdoniamoli.

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