28 dicembre, 2007

And so, this is Christmas.

Il mio, almeno. Il nostro. Un pò Mamma ho Perso l'Aereo un pò Quella casa nella Prateria. Bello da sciogliersi, in ogni caso. Scoprire, ancora una volta che siamo una falange armata, che siamo forti e invincibili, e un pò fuori, anche. Un Natale diverso dagli altri, ma forse per questo più caldo di tanti altri, seduti a tavola col vestito bello, con l'insalata russa, il panettone e le zie. Un Natale così.

Che magico, Covent Garden alla Vigilia, in giro solo noi o quasi, un artista di strada cantava "Hello, Is It Me You're Lookin'For?" Sì, certo, stavo cercando proprio questo, le persone che ho qui con me sono le sole cose che voglio al mondo.

E abbiamo girato e girato, con pioggia e sole, e abbiamo riso, riso tantissimo e camminato e sù e giù, e siamo stati bene e non abbiamo perso nessuno in metropolitana, i ragazzi sembravano più in gita scolastica che in viaggio con la famiglia e ovunque canzoncine di Natale e atmosfera di Natale, e cose di Natale ma che strano Natale è questo qua.


Adesso, c'è da riordinare tutto, biglietti, scarpe, magliette impossibili, libri, ferri da maglia n.25, cose, bustine di zucchero e fotografie. Tutto quello che è stato, per un Natale così perfetto da sembrare davvero un film, per un natale come il nostro, per un Natale così.
E così.

E così.
E così, in una Londra viola e nera e colorata e luccicante, un delirio di facce e persone e cose e passi e sacchetti e saldi e sorrisi e caffè e lingue e sorry e chador. Magnifica, direi.
E' stato bellissimo. Così bello che quasi dimenticavo, accidenti, Buon Natale, ma sono in ritardo, e allora non vale più. So sorry, appunto.

20 dicembre, 2007

Luna di giorno.


E lì, Appiccicata, adesiva, di carta velina. Trasparente, un pochino, la devi cercare, non è che guardi in alto e la trovi subito. E' preziosa, mica si fa trovare così facilmente. In questi giorni, c'è. Anche alle 2 del pomeriggio. Provare a cercarla. E' uno strano gioco del destino, un amuleto per la chi la vuole, porta fortuna, coraggio e calore, si trova, si trova, a cercarla col cuore. E' una finta, un inganno, una sciocca bugia, sembra una fata e par che la sia. Porta sogni, civette, bacioni e babà, porta consigli, porta conigli, porta preziosi nascondigli, forse sbadigli, magici intrugli, porta conchiglie, stupide biglie, mazzi vistosi di rosse giunchiglie. Non sembra una luna a vederla così, forse tra un attimo si stacca da lì, nessuno sa bene se c'è o se non c'è, ognuno, dal cuore, la tiene per sè. Nasconde un segreto che ancora non sa, sembra che piova ma non pioverà, la luna di giorno è fatta così, sembra soltanto, un pò no, un pò sì.

19 dicembre, 2007

Il treno.


Mi piacciono, i treni. Lo so, sono sporchi e rotti e in ritardo, quasi sempre, e affollati e maleodoranti. Ci andavo a scuola, in treno. Ci ho letto, studiato, cantato, dormito, pianto, riso, pensato e pensato, dondolata dal vagone, come dice Guccini, a guardare fuori, gli alberi, gli orti, le luci nelle case, i panni stesi, le macchine ferme ai passaggi livello, i campi da calcio, le cose che sembrano essere di un altro mondo, non del tuo, che è tutto lì, nel vagone, appunto. Mi piace viaggiare in treno. Mi piace la gente che c'è, le storie che portano in giro, dentro la valigia che si mette sù, dentro le teste che appoggiano sulla stoffa lisa dei sedili, dentro i giornali che è un proprio un'impresa leggere in treno, meglio un libro. Ho viaggiato moltissimo, in treno. Ci viaggerei ancora. Oggi, soprattutto. Andrei alla stazione e prenderei un biglietto, qualunque, direi all'omino dello sportello Faccia Lei, Roma, Parigi, Cinisello Balsamo, Reggio Calabria. E partirei. Mi accomoderei in uno scompartimento semivuoto, aprendo a fatica la porta scorrevole, o in quei sedili tutti in fila, con scritto Trenitalia. Mi siederei e mi lascerei trasportare, guardando fuori, lasciando liberi i pensieri di andare dove vogliono, sui fili e sulle nuvole, al di là. Scapperei, insomma. Succede spesso a molti, di voler andare via, solo per poco, per un giorno o poche ore. Non si può. Per il momento, l'unico treno che sento è quello che mi passa dentro, velocissimo, che non si ferma a nessuna stazione, che fischia e sbuffa e sibila, proprio qui nello stomaco, un treno immaginario eppure così chiaro da ascoltare, che sfreccia così veloce che non riesci nemmeno a vedere le facce di chi ci sta sopra, dove vanno e chi sono e cosa fanno, e a cosa pensano, chissà.

18 dicembre, 2007

La molla.

Ci vorrebbe una molla. Anzi, due. Da fissare sotto le scarpe, e fare doing! doing! per uscire di casa. Per buttarsi nella centrifuga dei giorni che ci sono fuori. Per avere l'ispirazione anche solo per portare i ragazzi a scuola, fare le cose da fare, che ti piacciono o no. Qualcosa che ti faccia venire la voglia, insomma. Fuori, vento e gelo, dentro, un disordine appena accennato, la coperta con gli orsi che hai messo alla Princi ieri sera, quando si è addormentata stecchita sul divano, qualche foglio sparso, le tazze della colazione, la scatola delle vitamine. Allo specchio, una faccia color totano, capelli inanimati e sguardo vacuo, come a dire, ma che ci faccio qui. All'opera. Doccia sferzante, una nuvola di profumo di fiori, una passata di brilli dovunque. Scongiurando l'effetto stellacometa alle 8 del mattino, se proprio non si riesce a sentire niente di natalizio, almeno si sarà provato, luccicanti e sfavillanti, a trovarlo da qualche parte. Quanto allo sguardo, beh, ci si deve fare coraggio. Si prova a mettere in fila una serie di pensieri, vediamo quale ci farà sentire un pò meglio, ci si canticchia una canzoncina sottovoce, (noooooooooooo, LastChristmas, nooooooooooo), si sceglie dall'armadio qualcosa di non banale, non come quelle volte che si pesca a caso, una camicia, una maglia e chìssene. Così, coi capelli vaporosi, sberlucciche e profumate, si è pronte per un altro giro di giostra. Forse la voglia non ci sarà comunque, ma è l'intenzione quella che conta. Il pensiero, no? Ci si è già portati avanti: i pensieri cupi e torvi di poco prima, hanno lasciato il posto a quelli più frivoli, quelli che non sai nemmeno tu da che parte arrivano, che hai solo quando sei al semaforo, magari, e quando ti chiedono A Che Pensi, quasi ti vergogni a confessare. Le molle sotto alle scarpe forse non le avevi fissate molto bene, ma sei stata brava a cercare di pensare ad altro. Però, proprio niente male quel Sarkozy! Vale tutto, bellezza.

17 dicembre, 2007

Non è Natale se.


Se non senti per sette volte al giorno Last Christmas degli Wham!
E anche And so this is Christmas di John Lennon.
Se "Quest'anno non regalo niente a nessuno".
Se "Mi mancano ancora 11 regali e poi ho finito".
Se "Cosa fate a Capodanno?".
Se alla tv non c'è Telethon, e tutti con la sciarpa colorata.
Se i tg non fanno i servizi su cosa mangeranno gli italiani.
Se i tg non fanno i sondaggi Panettone o Pandoro.
Se i tg non comunicano che a gennaio tutto sarà molto più caro.
Se in giro non ci sono decine e decine di Babbi Natale.
Se la pasta sfoglia Buitoni non ha le palline disegnate sulla carta.
Se il Mulino Bianco e la Nutella non fanno le confezioni con le stelline.
Se da Ikea non vendono la casetta di Hansel e Gretel.
Se "Ah, guarda, quest'anno mi riposo".
Se "Figurati, siamo in ventidue al pranzo".
Se nei negozi non ti salutano con arrivederciauguri.
Ne ho un pò nausea, di già.
E manca ancora una settimana.

15 dicembre, 2007

Vento da nord.


Gelo. Gelo vero. Di quello che si vede, col vento persino, un vento rabbioso e sibilante, che sbatte di qua e di là i rami dell'abete, forse anche i tronco se guardi bene. Si vede stando a letto, in un sabato mattina un pò prima di Natale, guardi fuori, da sotto una coperta caldissima, con la princi che ci si è infilata stamattina presto, lo Sposo uscito nel gelo e nella brina coi figlioli grandi, che di sabato a scuola ci vanno eccome. Fai un check, delle cose che vorresti fare, di quelle che vorresti e non ne hai voglia, di quelle da fare e basta senza farsi troppe domande, forse, ma forse, ma sì. Di bello c'è che ci sarà il sole, che farà brillare le stelline appese alle finestre, che il vento ha scompigliato e arruffato, ma loro, regali, non si sono mica arrabbiate. e poi, che elegante è un addobbo un pò spettinato, una cascata di lucine che sembrano messe alla rinfusa, niente in questa casa è tradizional-natalizio, l'albero nero, la fascina con le palline tricot, e poi il presepe, ingegneristico, fatto con tutti i fiocchi e i controfiocchi, il piano regolatore, la cascata con l'acqua vera e il mulino che gira, la divisione tra ambulanti e lavoratori, l'arrotino non è mica vicino al pescivendolo. E i pastori, già i Re Magi, ma pazienza, non andiamo tanto per il sottile, il Gran Visir del Presepe così ha deciso. Questo vento freddo freddissimo farà bene a noi di casa. Piccole compere di Natale, le ultime, credo, regalo cose fatte da me e poco altro, come ogni anno, del resto. Le prove della recita della Princi, una sera tranquilla, dopo i tanti amici di ieri sera nella Casa nella Prateria nuova di zecca. Il vento gelido spazzerà, ripulirà, farà lucido e brillante il cielo e il prato davanti a casa, conforterà le anime buone che vivono sotto questo tetto, le ammanterà di speranza e di coraggio, regalerà loro una piccola, sorda tranquillità, una calma sottile dopo la tempesta, la voglia di sorridere e di stare al caldo, che di strada ancora ce n'è e di voglia anche e di vento quanto ne vuoi, forse, ma forse, ma sì.

14 dicembre, 2007

La bolla.


Si và così. Galleggiando, fluttuando, volando un pò. I pensieri, beh, quelli mica se ne vanno in un secondo. E hai un bel dire, sì certo, niente di nuovo, lo sapevamo già, lo sappiamo da sempre, lui, il figlio che viene da lontano, ha un mondo tutto suo, una vita tutta sua, fragile e complessa, una realtà dove non fa entrare nessuno di noi, nè l'Universitario, nè il Maturando, nè il Liceale, nè la Princi. Nè suo padre. Nè me, che non sono nessuno o quasi. E sua madre, poi. E' disarmante e candido, come lo sono i bambini che imparano a camminare, peccato che è il più grande di tutti e che sia così difficile. L'amore, certe volte, non basta. E' complicato, persino da spiegare, da capire dal di fuori, da comprendere fino in fondo, se non si vede, se non si sa. Noi qui siamo silenziosi, anche se niente di nuovo ci è stato svelato, è arrivato così, dal Paese della Samba e del Caffè. Lo amiamo così. E così siamo in pena per lui, che non ne vuole sapere di questa casa e di questa vita, che ha già la sua, semplice e difficilissima, e che si chiude in quel suo mondo fatto di insicurezze e di animali, che sa a memoria le bandiere del globo intero, e che ogni tanto si ferma e si eclissa, in una bolla invisibile, lì con noi eppure lontanissimo, come a seguire un richiamo impercettibile, un profumo di caffè e le note gioiose e assordanti di uno strano, indistinto, infinito carnevale.

12 dicembre, 2007

L'uomo che piange.


Non mi capita spesso di vederlo così. Anzi, mai. Non è mai facile vedere un uomo piangere, soprattutto se non ti ci ha abituata, sei sempre tu quella che frigna, ogni tanto, lui mai. E' sempre forte, diretto, determinato, granitico. In ogni decisione, in ogni frangente, in ogni occasione è sempre quello che, apparentemente, mantiene calma, lucidità e coerenza. Tranne. Se ne stava lì, frantumato sotto un peso enorme, polverizzato, curvo, sotto una cosa più grande di lui. E io. Che posso fare, se me ne sto a guardare e basta, se ti abbraccio e ti dico che passerà, ma cosa e come non lo sa nessuno, che posso dire, ferma in piedi davanti a te, a cercare alla rinfusa parole che vadano bene, ma dire, che cosa, poi. Serve l'amore, tutto l'amore che c'è qui dentro e tutt'attorno, le cose che abbiamo fatto e costruito, e disfatto e rifatto, e rischiato e perso e ritrovato e cambiato e affrontato, serve nasconderti le piccole grane degli altri figli, serve a sollevarti un pò da tutto il resto, ma che ti sollevo a fare, se hai sul cuore un sasso che non sai smuovere, se hai negli occhi lo smarrimento e quella tristezza amara, profonda, irrimediabile. Che strane le tue lacrime, scendono velocissime, lo sapevi? e poi si fermano solo un secondo, appena sulla spalla, prima che il maglione le assorba, qualcuna, e qualcun'altra invece, rimane lì, maleducata. Custodisco le tue lacrime di stamattina, che sono anche un pò le mie, forse. Le parole le ho perse per la strada, mi sa, ma ti dico sottovoce che sono qui vicino, e che ti cullo e che ti ascolto, e sono qui, che passa presto, vedrai, che non sarà come sembra, vedrai, che come te non so che cosa fare. Che come te, ma tu di più.

11 dicembre, 2007

L'uovo.


Lo sa il mondo intero, mi piace la nebbia. Quella di fuori, però, quella guardata dalla finestra, dal caldo. Avvolge e nasconde, ammanta e scolora. Stamattina è dovunque. Sia fuori che dentro. E non è il fumo del camino e nemmeno il vapore dei broccoli, e quel dentro, non è quel dentro lì. E più dentro ancora. C'è una specie di nebbia fitta, intorno al cuore, credo, una distesa di sofficità sgradevole, un'anestesia, non saprei definire, un gelo, anche. Che mi sembra di far tanto e non faccio proprio niente, come pedalare dentro al guscio di un uovo, pedalo e pedalo e non arrivo da nessuna parte e giro intorno e sbatto di qui e di là, un uovo non è mica così spazioso, scema che sei, pensi forse di trovare una strada? Sto lì, in un uovo immaginario, con le pareti biancastre e nessuna via d'uscita, e accuse, prese in silenzio come si fa la domenica col prete, La Messa è Finita, Andate in Pace, tu stai lì, come un broccolo, davvero, e non vedi l'ora di uscire, che freddo le domeniche d'inverno nella Chiesa della collina. Prendi e taci, prendi e porta a casa, e stai lì, adesso a lambiccarti, voce del verbo lambiccare, il cervello e a chiederti, dove ho sbagliato, dove sbaglio, dove sbaglierò. Le risposte si trovano a cercarle bene, ma la prima cosa da fare è smettere di fare il broccolo, e soprattutto smetterla, smetterla, smetterla di pedalare e pedalare dentro un assurdo uovo pieno di nebbia. Assurda, anche lei.

08 dicembre, 2007

E alla fine arrivò Zara.

Le ragazze lo aspettavano da tanto. Le signore, anche, in un certo senso. Curiose e attirate da tutto quello sfavillare, da tutto quel gran parlare, dalle favole metropolitane che ne hanno accompagnato l'apertura. Gli unici che non la volevano proprio erano loro, i negozianti. Dicono di aver visto qualcuno aggirarsi tra gli scaffali nuovi di zecca con le lacrime agli occhi. Zara impaurisce. Ma solo un certo tipo di negozi ha da temere. Quelli dalle commesse simpatiche come un herpes, simplex o zoster non fa differenza, quelle che continuano a piegare maglie e non ti degnano di uno sguardo o al limite ti apostrofano, Se Ha Bisogno Chieda Pure (ma nella nuvoletta sulle loro teste leggi, sì, va bene, ma meglio se non chiedi che stamattina c'ho i mazzi miei da pensare e non ne ho voglia). Quelli che appena entri e chiedi una cosa cominciano a scuotere la testa e fare di no, e nemmeno ti dicono Mi Dispiace, che dovrebbe dispiacergli molto, in fondo mandano via un cliente scontento, e invece ti fanno sentire una demente, ma come mi è venuto in mente di chiedere quella roba lì? certo che mi è venuto in mente, è fotografata su mille giornali, possibile che proprio loro non ne abbiano mai sentito parlare. Zara è la giustizia. Farà giustizia, nel mondo delle commesse dagli occhi bistrati e poco altro, di nero vestite e con lo sguardo interessante quanto un cacciavite, è vero che non c'entrano, ma chi le ha assunte, se non il proprietario, chi le ha addestrate se non il Capo Supremo, a sua immagine e somiglianza? Se è scorbutico il capo, sarà scorbutico il collaboratore, è una legge di natura. Granitici resisteranno egregiamente i negozi più caldi, dove si può entrare, provare mille cose e uscire con un sorriso, magari a prendere un caffè con le ancelle, amiche tue, che ti hanno dato una mano, venduto settimane orsono due scarpe da viale che sono un amore. Resisteranno con grazia quelli dalle commesse che sorridono, che non ti dicono Ciaodimmi, che anche se non ne hanno più voglia, sei sempre per loro un cliente speciale. Zara è lì. Ancora non l'ho visto, ma dicono sia luccicante e pieno all'inverosimile. Mi piacciono le cose di Zara così come quelle di Gucci, e pazienza se il cappotto ha perso tutti i bottoni e ha già le tasche bucate, che si pretende per 49,90? Fa pur sempre la sua bella figura. Zara equipara. Le Snob e le Squattrinate, le une per posa, le altre per necessità, Zara calmiera, le Dive e le Semplici, le Dame di Carità e le Donne Normali, le Impostate e le SenzaOgm, le RadicalChic e le Special Guest, le Equosolidali e le Griffatissime. Zara mi piace. Diventerà come spesso accade, non solo un enorme negozio ma un luogo dove riflettere, aggirandosi tra le gonne, accarezzando i cappotti, spostando le camicie per vederne bene il collo. Ci si troverà al mattino, prima di un caffè o di un appuntamento, nella pausa pranzo o mentre si aspettano i figlioli a danza, a musica, a calcio. Sarà una meta d'obbligo e poichè si mischieranno stili e marche, durata e qualità, fuori di lì, dentro di là, proprio di fronte e magari un pò più in là. E nel nostro armadio, accanto alla gonna a palloncino che abbiamo preso per vedere di nascosto l'effetto che fa, ci sarà sempre posto per un pantalone più serio e un golfino che proprio non potevamo lasciare lì. E che con le scarpe da viale, cara la mia signora, fa proprio un figurone.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...