20 luglio, 2018

Le Righe di Terza.


Ero sempre così concentrata nelle prove di bella scrittura. 
Stavo attenta a toccare tutte le righe, a pensare bene dove dovevo andare, quale riga dovevo toccare, se stare in quella sotto o superarla, o andare giù o fermarmi a metà. 
Niente ti insegna a scrivere bene come le righe di terza.

Ero una bambina coi capelli lunghissimi, il colletto di pizzo, il grembiule nero e lo scudetto al braccio con scritto III e avevo una compagna di banco che si chiamava Claudia. 
Una volta le nostre mamme ci comprarono senza saperlo le stesse scarpe di vernice col cinturino. Eravamo felicissime e ci sembrò un’ingiustizia quando la maestra ci cambiò di posto, avevamo le stesse scarpe, come osava. 

La mia terza elementare la ricordo a sprazzi, ero incaricata di ritirare i quaderni e cancellare la lavagna. Perché, spiegava la maestra a mia madre, Se Non la Faccio Alzare, Chiacchiera Troppo.

I miei pensierini  erano sempre quelli appesi nel Cartellone dei Pensierini che si faceva ogni mese.
Non sapevo fare i problemi, nemmeno quelli La mamma ha 2 dozzine di uova, e ne rompe 3 , per dire.
Ma scrivevo bene. Forse, era merito delle righe di terza.

Sono righe strane, non comuni, non so nemmeno se si usano ancora. Non ho più figlioli alle elementari e credo che l’ultima nemmeno li abbia usati a scuola, glieli facevo usare io a casa, affinchè si esercitasse a scrivere bene, con una bella grafia, che è importante scrivere ordinate e bene. Non so se ci sono riuscita, ma i messaggi di mia figlia sulla lavagna della cucina mi spiace sempre cancellarli.

Le righe di terza non è vero che ti fanno sacrificare le lettere, forse si schiacciano un pochino, ma tu devi dare alle lettere la giusta rotondità, perdonarti un pò quando non tocchi la riga in alto, e andare lentamente con la penna o con la stilo, in modo da pensare bene a quello che scrivi.
E prima di scrivere devi avere chiarissimo quello che devi dire, le parole hanno un senso, un peso, un colore e un modo. Feriscono, abbracciano, cullano e uccidono.  Sanno consolare e strangolare, sanno essere salvezza e condanna,  carezza e schiaffo, ambrosia e fiele.

Scrivo spesso a mano, scrivo biglietti e appunti e le poesie che so a memoria, una volta in treno ho scritto un pezzo dell’Adelchi che so a memoria, perché non avevo un libro e nessun lavoro a maglia, e credo che la mia vicina sbirciando avesse detto, Questa è Scema.

Le righe si terza mi hanno insegnato a scrivere meglio di quello che so per certo, con le maiuscole quando serve perché le maiuscole vogliono dire educazione, le minuscole invece sono un esercito di piccoli soldati che insieme fanno una pagina di sillabe e le sillabe parole e le parole pensieri e i pensieri quel che ti detta l’anima, il cuore, il sentimento e i suoi inganni, la vita stessa, la mente e i suoi disegni,  il mondo intero.

Ho trovato un quaderno mai usato, ho provato a scriverci e le mie parole sono rotonde, maiuscole e minuscole, non escono dai bordi, stanno a margine ordinate, scivolano fuori dalla penna, nascono dall’inchiostro come piccolissimi arabeschi, disegnano un romanzo mai scritto e obbligano a scrivere lentamente, anche ascoltando l’impercettibile fruscio del pennino sulla carta Fabriano.

Ho mille cose sparse in giro, alcune già caricate su un furgone, tutta la mia vita, quella dei miei figli e di tutte le cose che ho fatto, altre case, cartoline, feste, biglietti, fotografie nastrini e cose, il mio cappellino da sposa con i fiori rinsecchiti,  e ogni cosa un racconto, un'immagine di persone lontane o vicinissime e sensazioni e ho troppe cose e non posso fermarmi ma mi siederei qui, fra la scatola dell'Allegro Chirurgo e gli spartiti e i dizionari e farne  un racconto lunghissimo, scritto in bella scrittura, lentamente, su un quaderno a righe di terza.

10 luglio, 2018

La Collezione di Pastelli Viola.






Colorava il mondo così.
Possedeva una manciata di pastelli viola. Da anni.
Li aveva sottratti agli astucci in disuso dei figlioli alle elementari, ne aveva acquistato qualcuno, insieme alle matite da disegno, alle stilografiche, ai pennarelli, con la punta fine, spessa, media...viola, sempre.
E alle biro, quante biro viola sparse, i Tratto Pen, le penne a scatto.

ma i pastelli avevano un fascino speciale.
Ci colorava tutto, anche quello che colorare non si poteva, o che aveva perso lucentezza lungo la strada, lungo il cammino tortuoso e spesso infido che hanno certe cose

Aveva mano leggera, a colorare. e stava nei bordi. Diligente, iniziava prima dal centro, sempre nello stesso verso per dare omogeneità, e poi ai bordi, piano piano, con attenzione, girava il foglio per essere più comoda, e si fermava di tanto in tanto, storcendo un pò la testa di lato, e allontandosi un per vedere che effetto aveva tutto quel viola tutto insieme.

La Collezione di Pastelli Viola era preziosa, al pari di quell'altra, quella dei Pastelli Dimenticati, che però, erano di tutti i colori.

Colorava e colorava.
Giorni bui per farli più lucidi, giorni belli per farli ancora più lucenti, e case, strade nuove, l'insegna di un piccolo supermercato di città, non moderno, ma con la musica e le cassette di legno piene di insalata vera e non delle buste, e le offerte scritte a pennarello, Albicocche 2 Euro, con la scrittura bella che ti risulta con il pennarello a punta quadrata. Da professionisti.

 Colorava i vasi  per i balconi, e il campanello con i nomi nuovi di zecca,  il mazzo di chiavi sonnecchiava beato in fondo alla borsa, solo una targhetta, viola anch'essa, con il proprio nome, la cerimonia di consegna delle chiavi al resto della famiglia si sarebbe svolta fra qualche giorno. 

Colorava la farmacia, la piazza e la fontana, le mattonelle dell'ingresso e la cassetta della posta.

Coloro di viola queste scatole, queste lenzuola e questi piatti belli del giorno di Natale.
Coloro di viola i grembiulini dei miei figli, quelli col nome ricamato di lato, coloro le scarpe da calcio, le scarpette da danza e i costumi interi da piscina taglia 4 anni.

Coloro di viola il mio abito da sposa, il Monopoli del solaio, i biglietti dei compleanni di persone che non sono più nella mia vita. Coloro di viola gli zaini di scuola, gli sci, le tute di Amaranta, le tesine, i dizionari, la scatola del cucito, e le partecipazioni di nozze delle mie amiche. Che non ci sono più per davvero.

Coloro di viola anche i miei pensieri, che se sono viola sono più belli, ci faccio tutte le sfumature possibili, dal lillà al lavanda, che non è la stessa cosa, proprio no.

E poi, quando la punta è consumata, tempero piano, appena appena, per non sprecare nemmeno un pò di colore e con il merletto che esce dal temperino faccio il vestito di una ballerina che danza e danza sulle punte e gira su se stessa, e la testa non le gira mai, c'è una musica sottile e un palcoscenico immaginario, e coloro, coloro anche fuori dai bordi stavolta, la Collezione di Pastelli Viola la porterò con me ovunque andrò, la chiudo in una scatola, insieme alla ballerina, la musica era un carillon e il vestito solo matita temperata, i carillon non piacciono a nessuno e la ballerina è un pò rovinata, ma ha il vestito da ballo più bello del mondo e allora va bene.






04 luglio, 2018

I Saggi consigli del Giardino Abbandonato


Si scorgeva dalla strada, alzandosi in punta di piedi.
Doveva essere stata una casa meravigliosa, di quelle piene di bambini che correvano, e saltavano dai gradini della scala di pietra dell'ingresso, prima 1, poi, 2, poi dal terzo gradino. La prova di coraggio era saltare da 4, ed era affare riservato ai più grandi.

Bambini coi pantaloni al ginocchio, peraltro sempre sbucciato, bimbe con vestitini candidi e nei capelli fiocchi di raso, qualcuno che rimaneva impigliato nella siepe laggiù, accanto al vaso grande del ficodindia.

E grida, e passi sulla ghiaia piccola del viale e signori distinti, e signore vere, il vezzo di perle e i guanti di filo la domenica, e il velo di pizzo prezioso per andare a messa.
Profumi di timballo e torte per la merenda, limonate fresche in pomeriggi torridi,e rosolio in bicchierini fragilissimi, serviti in vassoi tondi d'argento bello, posati con cura sul tavolo in ferro battuto accanto alla voliera.

Era la casa del notaio Puglisi, un omone alto e baffuto, in paese stimato e rispettato uomo di buonsenso, così come la moglie Agata, insegnante di pianoforte e cuoca sopraffina. Sue le torte, le conserve, i biscottini e quei cannoli meravigliosi, fatti con la ricotta fresca che le portava il fattore, Salvo, devoto aiutante della famiglia.

Il notaio e la signora Agata avevano cinque figlioli, Cosimo, Antonio e Michele, e le gemelle Immacolata e Anna.


Ora la casa era silenziosa, abbandonata, e con lei il giardino.
E chissà quale tempesta aveva rovesciato quel vaso, quello grande delle piante grasse che ora crescevano disordinate e assenti lungo tutto il muro, o che strisciavano lungo il selciato fiorito di muschio o che tentavano di salire sul muro oltre la finestra.
Ovunque erbacce, piante secche, e lattine, vecchi giornali portati lì da chissà quale vento,  financo un triciclo arrugginito.

L'ibisco, invece, fioriva e fioriva.
A dispetto di quel degrado, di un rosso fiero, con i suoi petali perfetti e fuori scala.
E la pomelia, non lontana, con le foglie come zampilli verdi a coronare i fiorellini bianchi e profumati, coi quali le bambine di casa Puglisi si adornavano i capelli per giocare alle principesse.

Il giardino abbandonato non raccontava nessuna storia.
Ma a guardarlo, nella sua elegante desolazione, faceva pensare e, a suo modo, confortava.
E dava consigli, sottovoce, bisbigliando appena.

"Raccogli ogni fiore, ogni bocciolo, ogni piccolissimo germoglio, così come ogni ramo secco, pianta arida o zolle arse dal sole d'estate.
Non ti fidare mai dei rampicanti, sono campanule graziose e delicate alla vista, ma sono erba cattiva e arrampicandosi sul pino lo hanno soffocato in un falso abbraccio di bellezza e lo hanno fatto morire.

Non cedere all'inganno dei fichidindia, sono frutti dolcissimi ma hanno spine infide e velenose e raramente puoi raggiungere i loro tesori senza trovarti poi le loro spine sulle dita o sul palmo della mano.
Sorridi invece al rosso dell'ibisco, è quanto di più sicuro tu possa trovare in una siepe di rovi e rosmarino, è un fiore che non ha paura, che non capisce le regole dei giardini abbandonati e continua a fiorire perchè sa che può cambiarle e trasformare un abbandono in una nuova fonte di vita e di colore.

E piangi, piangi pure, piangi forte quando il tuo cuore sta per rompersi in mille pezzi, quando non riconosci più la strada che va dal cancello alla porta di casa, sono solo pochi passi ma sembrano mille, mille e mille ancora.

Piangi forte, quando non ti sente nessuno, siediti qui, fra queste bottiglie vuote e queste cartacce,  e asciugati gli occhi, quando senti che non hai più respiro vuol dire che è ora di smetterla anche di piangere, non darla vinta alle erbe secche e alle ortiche e a nessuno al mondo, perchè nessuno al mondo è padrone del tuo destino più di quanto non lo sia tu stesso.
Nessuno sa come si vive nelle vite degli altri, ma forse questo giardino sì.
Ne ha viste tante, di vite, la severità del notaio, la dolcezza di sua moglie e il baccano meraviglioso dei bambini.
E te lo racconta, e ti fa pensare e un pò sognare, su questa scala di pietra piena di petali della jacaranda sfiorita, lo vedi, c'è un gradino sbrecciato, saltane uno, poi due, poi tre, e poi quattro.

Sei grande abbastanza per saltarli tutti insieme.
Il giardino lo sa e adesso, lo sai anche tu.

Perciò, sorridi.



Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...