La vedo spesso.
Mi è capitato di parlarle, qualche volta, ma non è una che attacca bottone, come si dice.
E' sempre così discreta, così quasi invisibile, o come a farsi. Ti guarda dritto negli occhi, accenna un sorriso impercettibile e guarda altrove.
L'ho vista questa mattina.
Non ha una casa. ha solo un posto dove passare la notte, vive di una carità che non chiede mai.
E' sempre troppo vestita, ma ha un suo vezzo nel farlo. D'inverno ha un cappottone con un collo di pelliccia. A volte, delle borse colorate, tolto quella del supermercato, tenuta insieme col nastro adesivo, dove ha forse tutta la sua vita. O quel che resta di.
Stamattina era seduta sulla panchina. Elegante a suo modo, le gambe accavallate, le calze a righe maschili in un paio di francesine dal tacco consunto. Ho avuto l'impressione che le stessero larghe, da come dondolava il piede, come a far passare il tempo.
Che tempo avrà mai, la Signora della Panchina, e cosa pensa quando si perde, davanti alla Posta Centrale, sotto gli alberi, all'ombra, in questo maggio che ci ha sorpreso senza abituarci, al suo sole sfacciato, ai suoi profumo di tiglio e gelsomino. E rose.
Suonavano le campane del mezzogiorno, si è girata e ha guardato la meridiana del Comune, da poco messo a nuovo, come a contemplare la straordinaria bellezza di quel palazzone rosso che nessuno vede più.
Poi, è tornata ai suoi pensieri.
A dondolare avanti e indietro la gamba accavallata, sulla panchina.
Di lato, un sacchetto del pane e una piccola borsa di carta. Forse, della frutta.
La gente era in fila per la Posta, presa dai fatti propri, dal telefono, dal chiacchiericcio stupido di lamentele e malattie.
nessuno ha sentito le campane.
nessuno ha guardato la meridiana di Palazzo Rosso.
Solo la Signora della Panchina.