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27 ottobre, 2020

Piantine.

 

Una specie di nursery.

Una terapia intensiva per piantine da ogni dove, raccolte fra le rocce scoscese delle isole, le volte che le ho viste da terra a terra, nei giardini abbandonati delle case, nelle siepi selvagge, la parte più nascosta, per non fare troppo male.

C'è di tutto, dai cactus con le spine a quelli di vellutino, dall'immancabile pothus a una serie di piccole piante grasse delle quali non so il nome. E poi, la nuova scoperta, il nocciolo ci avocado che promette meraviglie se solo si fa un pò di attenzione, e allora, perchè non provare, alla fine.

Riciclo vasi e vasetti, lattine della passata di pomodoro, vasi che contenevano marmellatine stupende, lattiere preziose e vasini di cartone. 

Non sono brava con le piante, ma ho scoperto che buttandoci un occhio spesso, magari innaffiandole pure, esse, le pinate, sanno essere strtaordinarie e ripagarti con fioriture e foglioline tenerissime che ti svoltano la giornata.

Le ispeziono ogni santa mattina, mi sono dotata di uno spruzzino e una serie di mini attrezzi, mini rastrello, mini paletta, mini di tutto, cosa, questa, che mi fa sentire un pò Beatrix Potter nel giardino del signor McGregor.

Non ci parlo ancora, ma a volte mi sorprendo a canticchiare pianissimo mentre strappo con inusitata delicatezza misteriosi e sottilissimi fili d'erba che spuntano nell'esigua superficie del terreno, a staccare le foglioline secche, a piantare dei piccoli tutori che spesso consistono in matite, stecchi di legno o ferri da calza. 

Il Pothus Rigoglioso del Frigorifero, il capostipite di tutta questa ridondanza, è quello che mi da più soddisfazioni. Ho infatti cosparso le case di figli e amici di mini pothussini che a loro volta sono diventati Rigogliosi Pothus e che a loro volta hanno dato vita ad altri mini-mini e via così.

Moltiplicare la bellezza, in un momento così indeciso, imperfetto, a tratti infelice e spesso impossibile da vivere, mi pare una buona formula, un modo semplice per non perdere il controllo, per non sentirsi andare giù giù giù, in un vortice che spesso sembra non avere mai fine. 

Ogni mattina le mie piantine mi guardano e mi sorridono dal ripiano sotto lo specchio, in salone, il posto che ho scelto per loro per crescere bene, per stare bene, con la luce giusta e il giusto calore.

Coltivare la bellezza e moltiplicarla.

Le mie piantine mi insegnano molto, da piccole cose nascono grandi cose, da foglioline lucide trasportate nel bagaglio a mano con ogni cura possibile, possono nascere cactus spettacolari con e senza spine.

Meglio senza.



04 luglio, 2018

I Saggi consigli del Giardino Abbandonato


Si scorgeva dalla strada, alzandosi in punta di piedi.
Doveva essere stata una casa meravigliosa, di quelle piene di bambini che correvano, e saltavano dai gradini della scala di pietra dell'ingresso, prima 1, poi, 2, poi dal terzo gradino. La prova di coraggio era saltare da 4, ed era affare riservato ai più grandi.

Bambini coi pantaloni al ginocchio, peraltro sempre sbucciato, bimbe con vestitini candidi e nei capelli fiocchi di raso, qualcuno che rimaneva impigliato nella siepe laggiù, accanto al vaso grande del ficodindia.

E grida, e passi sulla ghiaia piccola del viale e signori distinti, e signore vere, il vezzo di perle e i guanti di filo la domenica, e il velo di pizzo prezioso per andare a messa.
Profumi di timballo e torte per la merenda, limonate fresche in pomeriggi torridi,e rosolio in bicchierini fragilissimi, serviti in vassoi tondi d'argento bello, posati con cura sul tavolo in ferro battuto accanto alla voliera.

Era la casa del notaio Puglisi, un omone alto e baffuto, in paese stimato e rispettato uomo di buonsenso, così come la moglie Agata, insegnante di pianoforte e cuoca sopraffina. Sue le torte, le conserve, i biscottini e quei cannoli meravigliosi, fatti con la ricotta fresca che le portava il fattore, Salvo, devoto aiutante della famiglia.

Il notaio e la signora Agata avevano cinque figlioli, Cosimo, Antonio e Michele, e le gemelle Immacolata e Anna.


Ora la casa era silenziosa, abbandonata, e con lei il giardino.
E chissà quale tempesta aveva rovesciato quel vaso, quello grande delle piante grasse che ora crescevano disordinate e assenti lungo tutto il muro, o che strisciavano lungo il selciato fiorito di muschio o che tentavano di salire sul muro oltre la finestra.
Ovunque erbacce, piante secche, e lattine, vecchi giornali portati lì da chissà quale vento,  financo un triciclo arrugginito.

L'ibisco, invece, fioriva e fioriva.
A dispetto di quel degrado, di un rosso fiero, con i suoi petali perfetti e fuori scala.
E la pomelia, non lontana, con le foglie come zampilli verdi a coronare i fiorellini bianchi e profumati, coi quali le bambine di casa Puglisi si adornavano i capelli per giocare alle principesse.

Il giardino abbandonato non raccontava nessuna storia.
Ma a guardarlo, nella sua elegante desolazione, faceva pensare e, a suo modo, confortava.
E dava consigli, sottovoce, bisbigliando appena.

"Raccogli ogni fiore, ogni bocciolo, ogni piccolissimo germoglio, così come ogni ramo secco, pianta arida o zolle arse dal sole d'estate.
Non ti fidare mai dei rampicanti, sono campanule graziose e delicate alla vista, ma sono erba cattiva e arrampicandosi sul pino lo hanno soffocato in un falso abbraccio di bellezza e lo hanno fatto morire.

Non cedere all'inganno dei fichidindia, sono frutti dolcissimi ma hanno spine infide e velenose e raramente puoi raggiungere i loro tesori senza trovarti poi le loro spine sulle dita o sul palmo della mano.
Sorridi invece al rosso dell'ibisco, è quanto di più sicuro tu possa trovare in una siepe di rovi e rosmarino, è un fiore che non ha paura, che non capisce le regole dei giardini abbandonati e continua a fiorire perchè sa che può cambiarle e trasformare un abbandono in una nuova fonte di vita e di colore.

E piangi, piangi pure, piangi forte quando il tuo cuore sta per rompersi in mille pezzi, quando non riconosci più la strada che va dal cancello alla porta di casa, sono solo pochi passi ma sembrano mille, mille e mille ancora.

Piangi forte, quando non ti sente nessuno, siediti qui, fra queste bottiglie vuote e queste cartacce,  e asciugati gli occhi, quando senti che non hai più respiro vuol dire che è ora di smetterla anche di piangere, non darla vinta alle erbe secche e alle ortiche e a nessuno al mondo, perchè nessuno al mondo è padrone del tuo destino più di quanto non lo sia tu stesso.
Nessuno sa come si vive nelle vite degli altri, ma forse questo giardino sì.
Ne ha viste tante, di vite, la severità del notaio, la dolcezza di sua moglie e il baccano meraviglioso dei bambini.
E te lo racconta, e ti fa pensare e un pò sognare, su questa scala di pietra piena di petali della jacaranda sfiorita, lo vedi, c'è un gradino sbrecciato, saltane uno, poi due, poi tre, e poi quattro.

Sei grande abbastanza per saltarli tutti insieme.
Il giardino lo sa e adesso, lo sai anche tu.

Perciò, sorridi.



25 giugno, 2018

L'Irrimediabile Sortilegio del Fiore del Cappero


Nasce nei muri
Esplode di foglie tondeggianti e vellutate, belle alla vista e alle carezze.
Nasce nei muri.
Al sole, senza terra, senza acqua, con tanta luce, al sole bello delle Isole dal mare di fuori, le più lontane, le più cariche di storia e si fascino e di case principesche in campagne abbandonate, o in borghi intatti che dall'alto dominano lo Stretto e tutto il blu che puoi immaginare, che i tuoi occhi possono guardare. E comprendere.

E' un fiore elegante ed austero, che non si può cogliere nè conservare, nè farne un mazzolino, nessuna sposa mai avrà fiori di cappero nel suo giorno più bello.

Ha un profumo sottile, a ricordare quello che era, dacchè è il cappero a formare il fiore e non viceversa, cosa credi.

E' dal cappero che viene, bottoncino squisito e prezioso, del quale fiore ne è il bocciolo. Non è il fiore che diventa cappero. Ma il cappero a diventare fiore.

La bellezza esplode sempre,in qualunque modo tu la possa intendere. Se dal muro o dalla terra arsa poco importa.

Come certi amori, come certe vite, come certe storie, il fiore del cappero incanta, in gioco sapiente di colori e sfumature e filamenti viola e corolle candide come ali.

Diventa perciò fiore raro e sconosciuto, che non si coglie e non si trova, o si ritrova poi, fra le pagine di un libro letto in poche ore un giorno di fulmini perfetti in mezzo al mare, oppure accartocciato sul fondo di uno zaino tra la sabbia residua e i sassi verdi trovati sulla riva e conservati, come si fa da sempre, in qualunque mare.

Amo il fiore del cappero che nessuno conosce e nessuno sa, perchè a volte, fiore di cappero mi sento anche io,
Che fiorisco senza acqua e senza terra, col sole e col mare, salvo poi trovarmi accartocciata da qualche parte, ammaccata e senza colore, e i petali candidi sono di un giallo malato e senza forma.
Lasciata lì, sul fondo di uno zaino, in compagnia di sassi di mare che non sanno più che storia raccontarmi per farmi sorridere.

Sono fiore di cappero e cappero salatissimo, sono aiuola disordinata che spunta da un muro, sono storia incredibile raccontata in un aranceto abbandonato, e di storie ne so tante, e tante ne invento per restare viva e non perdermi, e tante ne scrivo per non dimenticarmele, e ho sempre con me un quaderno e una penna, e quando non ne avrò più da raccontare allora sì che sarò persa, troverò il modo, la strada, la forza, i colori, non so.

Intanto, ciao Fiore di Cappero, non ti conoscevo fino a due giorni fa,  dimmi che anche tu hai una storia bella da raccontare.


Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...