31 ottobre, 2014

Faccio la brava.

Che ancora devo capire cosa significa, Fai la Brava.
Me lo dicevano sempre, mia madre, mia nonna, soprattutto lei. Sii buona, Stai brava. Fai la brava.
Non so se ci sono stata mai, brava.
Non so se la sono diventata, buona,
E qualora, non so se ci voglio rimanere, buona. Buona e scema.

Faccio la brava.
Cammino come in equilibrio, su una fune, soffro di vertigini già al quinto piano, ho abitato al nono, sono stata all'ottantacinquesimo e non so come faccio ad essere ancora viva.
Faccio la brava.
Scanso con cura le cose che mi fanno del male, eppure mi capitano sempre addosso, come la grandine, come il riso agli sposi, io non l'ho voluto, il riso, avevo già un bel pò di figlioli da guardare fuori dal Municipio, mancava solo il riso.

Faccio la brava.
Mi tengo le cose che ho, mi tengo strette le cose che ho trovato, come i sassolini verdi della spiaggia, quelli che sembrano smeraldi e invece non lo sono.
Non so se ho imparato a fare la brava, ho cercato sempre di esserlo, ho fatto degli sforzi enormi, ho cercato sempre di essere sì come sono ma anche un pò come gli altri volevano che io fossi.
Un pò ci sono riuscita, un pò no.

Faccio la brava, non che se ne abbiano grandi vantaggi, nonostante si cammini in bilico, sulle punte come le ballerine, attenta a schivare, non sfiorare, come per rubare il Topkapi, a non interferire con i raggi infrarossi, che sono le persone assurde che ti capitano sulla strada, ma non è che sono tutte così, a volte, sulla tua strada ci capitano delle persone graziose e carine, persino piacevoli, ogni tanto. Raramente. Ma ci sono.
e me le tengo.
le altre, un calcio nel culo.
Gli stessi che danno a me, spesso.

Faccio di questi giorni dei giorni di lezione.
Imparo, faccio i compiti, faccio la lista delle cose che si fanno e di quelle che non si fanno, mi invento giorni nuovissimi, oggi, una torta a forma di zucca, per una festa.
Ho pensieri lontano, mediamente lontano, vicino e vicinissimo.
Li tengo lì, li guardo come si guarda un nemico, con la faccia di quando sali le scale del dentista. 
Ma imparo.

Imparo e basta.
Scrivo sul quaderno a quadretti, che tengo ordinato e senza pieghine, raccolgo sassi colorati, sono così brava da trasformarli in smeraldi purissimi, mi tengo insieme come posso, come riesco, come so, schivo i raggi, cerco di sorridere, salgo in alto e non guardo giù, se no, mi vengono i brividi e batto i denti, così, come al PoloNord, come nei film dove hanno i ghiacciolini anche sulle ciglia.

Sarò brava, farò la brava nei i miei giorni nuovi con  la nebbia che avvolge il sole, il sole che sembra non esserci e invece c'è, faccio la brava, non ho scelta ma mi piace, in fondo.
Il dentista, invece, no. 



27 ottobre, 2014

La Leggenda delle Rose Distratte.


Che strani esseri, erano, le rose.
Boccioli un giorno, profumatissime subito dopo, e poi gambi spelacchiati, pioggia di petali, triste cambio di colore dal rosa confetto al giallo polveroso di muffa.

Le Rose Distratte vivevano nella vigna accanto al Prato Grande, da sempre la VignaDiGioia.
Crescevano in due cespugli, fra le foglie rosse e i filari, quell'anno nessuno si era preso la briga di cogliere l'uva che c'era e che adesso era ancora lì. Colorate e perfette, illuminate dal sole stanco di quello strano ottobre, fa caldo, non lo fa, sarà un lungo inverno, rigido e freddissimo, ma chi può dirlo, alla fine.

Le Rose Distratte non si curavano di nulla e di nessuno.
Non che fossero una gran bellezza, nessuno le curava, altro che trattamenti e pidocchi e vitamine, e fertilizzanti, le Rose Distratte si erano fatte da sole.
Però, avevano fascino.
Le potevi scorgere all'improvviso, appena fuori dalla porta, scendendo la piccola discesa, prima di arrivare al Grano. Ci sono posti che non hanno nome, ma che alla fine un nome ce l'hanno eccome, il Prato Grande, il Noce Saggio, il Grano. Corro Fino al Grano, era stato un obiettivo raggiunto quell'estate sciocca, passata, per fortuna, e arrivare al Grano significava fermarsi a prender fiato, ad allacciarsi le scarpe con una scusa. Dal Grano si può vedere tutta la Collina Dietro ed è bello perdersi nei suoi colori, in qualunque stagione. I colori, sono tutti belli, se li riesci a vedere bene.

Così, quel pomeriggio, fu un trionfo di Rose Distratte.
Vennero colte con cura, misurati per bene i gambi, e sistemati con apparente noncuranza in un vaso di vetro, sul camino.

Da quel momento, l'Incantesimo delle Rose Distratte, sprigionò tutti i suoi effetti, i più miracolosi, i più meravigliosi effetti mai perpetrati da pochi bocciòli di rose selvatiche.

Si era dormito poco nei giorni indietro, c'erano stati brividi di paura, di freddo, di influenza o tutto insieme, chi lo sa, e a nulla era servito aggiungere un'altra coperta, di quelle pesante, non quelle ridicole che si consigliano sul divano.

Da quel momento, più nulla.
Il profumo delle Rose Distratte, nella cucina grande piena di colori, si era sovrapposto a quello della torta, del detersivo per i piatti e del pollo arrosto dell'Esselunga, che era stato pranzo provvidenziale per la formazione ridotta lassù, nella Casa in Collina.

Fu tutto meglio.
Più colorato, più ordinato e profumato, più bello.
I nonostante c'erano ancora tutti, e non si parlava di glicini, certo che no, ma quel giorno si decise di lasciarli stare, per un pò, di sorridere molto, di far finta di nulla, di dire più spesso NonFaNiente, che niente non fa mai, ma alla fine, a ripeterlo, un pochino aiuta.

Quella sera prometteva un bel tramonto, dei colori da ricordarsi per un pò, il buio dolce che la bistrattata ora solare regalava a tutti. 
Si mise in prima fila, per non perdersi lo spettacolo.

L'Incantesimo delle Rose Distratte non sarebbe durato a lungo.
Occorreva far presto.

23 ottobre, 2014

Aspetto.


arriverà il freddo.
quello da tre maglioni, le calze a righe pesanti, la sciarpa avvoltolata, gli occhiali che si appannano appena entri in casa. 
Il freddo vero, quello che ti gela i pensieri appena apri la finestra, quello del piumone fin sopra agli occhi, quello del thè al pomeriggio, per berlo, sì, ma anche per sentirne il profumo, il calore, abbracciando la tazza con la mano.

Che arrivi.
Vengo da 30 gradi e sole a picco, ma questo freddo non mi fa paura.
Anzi.
Ho una scorta di calze colorate da perdere la testa, le ho fatte io, Come, Fai La Calza? Eccerto, pochissimi al mondo sanno quanto è cool farsi le calze da sè.
Ho pronti sciarpe, e cappelli buffi, maglioni pesanti, copertine leggere da tenere vicino, da aggiungere se per caso, e il caso lo è spesso, magari quando è appena chiaro, e guardi fuori, controlli che ancora ci sia tempo per stare lì, e immagini in freddo fuori e pensi Ancora Cinque Minuti, e allora che siano cinque minuti regali, con un'altra coperta, così.

Raccolgo forze e progetti, ho imparato a non farmi più tante domande, tante menate, a non avere più certezze, se non quelle che ho più prossime, a non fidarmi, a non fare programmi, a divertirmi di più, ancora, con niente.
E a non avere paura.

Accolgo l'autunno e il freddo e le castagne, aspetto le noci dell'albero in fondo al sentiero, guardo l'uva dimenticata nei filari, le rose che ancora fioriscono nonostante tutto, e i gerani ormai da buttare, cosa ci metterò nei vasi sul davanzale, non so.

Aspetto il gelo, il vento forte, il freddo chiaro che piace a me, aspetto cose belle, pensieri dolci, aspetto il cielo tirato a lucido, aspetto di essere sempre io, aspetto me, aspetto di partire, aspetto di tornare, aspetto di capire.

Aspetto e basta.

Ci sarà modo, ci sarà tempo, cambierà tutto o non cambierà niente, non sarà facile o lo sarà, non sarà subito, non sarà un attimo, nel frattempo, vado avanti e aspetto, non penso e aspetto, sorrido e aspetto.





14 ottobre, 2014

Foglie.

Decido dal letto, che giornata sarà.
Come mi voglio.
Come mi vorrei.
Chi sarò, nelle prossime ore.

Oggi sarò foglia.
Sono ovunque,  Nel pratino, sulla stradina accanto al ribes, dietro il cancello, sotto l'AceroRosso. Scendendo in città, lungo il viale di platani, nelle auiole di rose spossate che ancora fioriscono, a dispetto di erbacce, incuria e indifferenza.

Le foglie di oggi sono foglie spiaccicate, stremate dalla pioggia, si incollano una all'altra in un abbraccio senza fine, ne raccogli una te ne arrivano cinque, le foglie che cadono non sanno stare da sole.

Amo le foglie secche, quelle che scricchiolano, che fanno un rumore bello, mi piacciono i rumori, ieri il temporale mi ha sorpresa in macchina e che meraviglia è stata sentire i goccioloni sul vetro, beh, meraviglia non tanto alla fine, se nemmeno vedevo la strada dove andare.
Le meraviglie me le invento da sola, non è una novità.
A volte, fanno pure male.

Anche le foglie bagnate hanno il loro significato,  lucidissime, imbellettate da tutta l'acqua che è venuta giù, pericolosissime da farti scivolare in un secondo se non ci stai attenta.

Sono giorni sospesi, come miliardi di altri giorni prima di questo.
Assetti famigliari scompaginati, stravolti, mischiati, messi in un tumblr come il più sofisticato dei cocktail, shakerati e versati, ecco, tu di qui, tu di là, tu lontanissimo, tu un pò meno, mossi come i dadi e lanciati, vediamo cosa viene.

Nel delirio, si trova il tempo di osservare dalla finestra, di fare una passeggiata lenta non troppo nel fango, un pensiero a chi di fango ne mescola da giorni, i pensieri volano veloci e, se sei brava a farli, arrivano dritti dritti dove devono, dove scaldano, dove fanno un pò bene.

Si trova il tempo di guardare, dentro e fuori di sè, di pensare tanto senza far rumore, di decidere se essere foglia croccante o foglia spiaccicata, se rossastra o arancio o marroncina, se canticchiare sottovoce o farsi infradiciare dalla pioggia, quella che ti fa insopportabile, quella che ti fa pensare solo al brutto del mondo, e se, e se, e se.

Scelgo di essere foglia.
Croccante o spiaccicata, deciderò poi.





07 ottobre, 2014

Zolle e rose.


Ci sono delle zolle così belle nel campo, all'inizio della strada.
Non ho capito che cosa hanno fatto, non conosco i processi dell'agricoltura, so che mi piace vedere quello che fanno, anche se è solo terra smossa, la pioggia di stanotte l'ha lucidata e alla fine sembra una scultura perfetta.

Ti porterò delle rose.
Le ultime dell'aiuola, sono profumatissime, più di quelle dell'estate, le avvolgerò nella stagnola e te le porterò.
Ti piaceranno.

Ci sono dolori che non si incollano, che credi passati e invece sono lì, sotto al tappeto, dietro gli armadi, seduti vicino a te, sempre. E non le candeline, le uova di cioccolata, i natali e i battesimi, il matrimonio.  E' l'assenza che c'è che diventa abitudine aspra, consuetudine che schiaccia, eppure.

Ricordo di quel giorno ogni singolo dettaglio, ogni frammento, ogni fotogramma, tutto.
E' rimasto tutto lì come in una scatola impolverata, la mia gonna a pieghe, gli occhi persi di mia madre, la gente, ricordo l'odore dei fiori e della mia vita cambiata in un secondo, la radio da non accendere, gli avanzi della mia torta di compleanno ancora nel frigo. 
Nessuno la mangerà più.
Finiranno buttati.

Ricordo me, perchè mia figlia ha adesso la mia età di allora e capisco la catastrofe senza fine, l'urgano attraverso il quale sono passata, e mi stupisco di essere ancora tutta intera.
Chi l'ha detto che la sia, poi.

Ho fatto del mio meglio, lo abbiamo fatto tutti, in questa enormità di anni che sono passati, perchè passano lo stesso, ma magari sarebbero passati meglio, chi può dirlo, chi lo sa.

Così, mi porto in giro questa scatola impolverata, con dentro le immagini di una vita fa, il passaggio dalla vita di prima a quella che sarebbe venuta dopo, io a diciassette anni, la treccia lunga e la gonna blu a pieghe che ho buttato via di nascosto, tanto mi faceva orrore vederla ancora nell'armadio.

Ti porterò le rose dell'aiuola, so che sai tutte le cose che devi sapere di me, di noi tutti qui, e so che forse sei stato tu a non permettermi di andare in frantumi, di cadere sotto tutto quel dolore, che non passa, non passa mai.

Piove.
Le zolle del campo saranno ancora più lucide, appena prima di sciogliersi e diventare fango.
Ti porterò le rose.

mi manchi sempre, papà.






01 ottobre, 2014

Ottobre, ciao.

Mi piaci.
Perchè sei il mio mese, perchè un pò mi somigli, non sei estate, non sei inverno, non sai nemmeno tu che cosa sei.
Sei nebbia e pioggerellina, e sole, sole ancora caldino, tramonti e albe che fan restare lì, così, a guardarle per minuti e minuti, non è che durino tanto, le albe e i tramonti, non è che puoi star lì a guardarli per ore, si sa.
Sei foglie secche e colori da perdersi, rossi, arancioni e gialli forti, il giallo non mi piace, ma tu lo mischi ai bordeaux e ai verdi scuri come nessuno.

Portami cose belle, ottobre che sei qui.
Portami sorrisi e abbracci, e cestini di cose graziose,
Portami le sere intorno al tavolo della cucina, a ridere come una scema coi miei figli, come solo loro, come solo con loro.

Portami la mia vita di sempre, i miei momenti perfetti, le mie abitudini piccolissime, da fare col cuore leggero, non con il respiro che non so dove trovare, non con gli occhi pesti e l'ansia sottile che diventa macigno.

Portami un rossetto, uno smalto fighissimo, il mio profumo dell'autunno che sa di isole lontane, portami cose stupide, una canzone da cantare portando la Princi a scuola, che lei le sa tutte, come me alla sua età, e niente la mondo mi somiglia più di lei, che è forza e dolcezza in un mix sapiente di occhi verdi, perle, piercing e sorrisi che incantano il mondo.

Portami nuovi libri, nuovi posti dove perdersi, trovare riparo quando vuoi essere altrove, Parigi, Marrakesh, Dublino, portami via per finta per qualche ora, fammi stare al Flore, contrattare teiere nel souk, chiacchierare  in un pub, così, solo per un pò.

Portami un maglione pesante, le lenzuola del corredo di mia madre, portami un quaderno a quadretti, una scatola di vitamine, un film nuovo da vedere, la forza che mi serve e che ho, ma che a volte perdo e cerco dovunque, sotto il letto, nell'armadio e che non trovo, eppure c'era, era qui, non la trovo, qualche volta no.

Portami le foglie secche del viale, portami i colori che sai, la nebbia che amo la mattina presto, portami colazioni tranquille e telefonate lunghissime, e aeroporti, lato arrivi, e valigie da fare e da disfare, portami la me di sempre, che chiudo gli occhi e tutto è come prima.

Non è troppo, se pieghi bene ci sta tutto.

E domani, non scordare la torta.





Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...