14 dicembre, 2007

La bolla.


Si và così. Galleggiando, fluttuando, volando un pò. I pensieri, beh, quelli mica se ne vanno in un secondo. E hai un bel dire, sì certo, niente di nuovo, lo sapevamo già, lo sappiamo da sempre, lui, il figlio che viene da lontano, ha un mondo tutto suo, una vita tutta sua, fragile e complessa, una realtà dove non fa entrare nessuno di noi, nè l'Universitario, nè il Maturando, nè il Liceale, nè la Princi. Nè suo padre. Nè me, che non sono nessuno o quasi. E sua madre, poi. E' disarmante e candido, come lo sono i bambini che imparano a camminare, peccato che è il più grande di tutti e che sia così difficile. L'amore, certe volte, non basta. E' complicato, persino da spiegare, da capire dal di fuori, da comprendere fino in fondo, se non si vede, se non si sa. Noi qui siamo silenziosi, anche se niente di nuovo ci è stato svelato, è arrivato così, dal Paese della Samba e del Caffè. Lo amiamo così. E così siamo in pena per lui, che non ne vuole sapere di questa casa e di questa vita, che ha già la sua, semplice e difficilissima, e che si chiude in quel suo mondo fatto di insicurezze e di animali, che sa a memoria le bandiere del globo intero, e che ogni tanto si ferma e si eclissa, in una bolla invisibile, lì con noi eppure lontanissimo, come a seguire un richiamo impercettibile, un profumo di caffè e le note gioiose e assordanti di uno strano, indistinto, infinito carnevale.

12 dicembre, 2007

L'uomo che piange.


Non mi capita spesso di vederlo così. Anzi, mai. Non è mai facile vedere un uomo piangere, soprattutto se non ti ci ha abituata, sei sempre tu quella che frigna, ogni tanto, lui mai. E' sempre forte, diretto, determinato, granitico. In ogni decisione, in ogni frangente, in ogni occasione è sempre quello che, apparentemente, mantiene calma, lucidità e coerenza. Tranne. Se ne stava lì, frantumato sotto un peso enorme, polverizzato, curvo, sotto una cosa più grande di lui. E io. Che posso fare, se me ne sto a guardare e basta, se ti abbraccio e ti dico che passerà, ma cosa e come non lo sa nessuno, che posso dire, ferma in piedi davanti a te, a cercare alla rinfusa parole che vadano bene, ma dire, che cosa, poi. Serve l'amore, tutto l'amore che c'è qui dentro e tutt'attorno, le cose che abbiamo fatto e costruito, e disfatto e rifatto, e rischiato e perso e ritrovato e cambiato e affrontato, serve nasconderti le piccole grane degli altri figli, serve a sollevarti un pò da tutto il resto, ma che ti sollevo a fare, se hai sul cuore un sasso che non sai smuovere, se hai negli occhi lo smarrimento e quella tristezza amara, profonda, irrimediabile. Che strane le tue lacrime, scendono velocissime, lo sapevi? e poi si fermano solo un secondo, appena sulla spalla, prima che il maglione le assorba, qualcuna, e qualcun'altra invece, rimane lì, maleducata. Custodisco le tue lacrime di stamattina, che sono anche un pò le mie, forse. Le parole le ho perse per la strada, mi sa, ma ti dico sottovoce che sono qui vicino, e che ti cullo e che ti ascolto, e sono qui, che passa presto, vedrai, che non sarà come sembra, vedrai, che come te non so che cosa fare. Che come te, ma tu di più.

11 dicembre, 2007

L'uovo.


Lo sa il mondo intero, mi piace la nebbia. Quella di fuori, però, quella guardata dalla finestra, dal caldo. Avvolge e nasconde, ammanta e scolora. Stamattina è dovunque. Sia fuori che dentro. E non è il fumo del camino e nemmeno il vapore dei broccoli, e quel dentro, non è quel dentro lì. E più dentro ancora. C'è una specie di nebbia fitta, intorno al cuore, credo, una distesa di sofficità sgradevole, un'anestesia, non saprei definire, un gelo, anche. Che mi sembra di far tanto e non faccio proprio niente, come pedalare dentro al guscio di un uovo, pedalo e pedalo e non arrivo da nessuna parte e giro intorno e sbatto di qui e di là, un uovo non è mica così spazioso, scema che sei, pensi forse di trovare una strada? Sto lì, in un uovo immaginario, con le pareti biancastre e nessuna via d'uscita, e accuse, prese in silenzio come si fa la domenica col prete, La Messa è Finita, Andate in Pace, tu stai lì, come un broccolo, davvero, e non vedi l'ora di uscire, che freddo le domeniche d'inverno nella Chiesa della collina. Prendi e taci, prendi e porta a casa, e stai lì, adesso a lambiccarti, voce del verbo lambiccare, il cervello e a chiederti, dove ho sbagliato, dove sbaglio, dove sbaglierò. Le risposte si trovano a cercarle bene, ma la prima cosa da fare è smettere di fare il broccolo, e soprattutto smetterla, smetterla, smetterla di pedalare e pedalare dentro un assurdo uovo pieno di nebbia. Assurda, anche lei.

08 dicembre, 2007

E alla fine arrivò Zara.

Le ragazze lo aspettavano da tanto. Le signore, anche, in un certo senso. Curiose e attirate da tutto quello sfavillare, da tutto quel gran parlare, dalle favole metropolitane che ne hanno accompagnato l'apertura. Gli unici che non la volevano proprio erano loro, i negozianti. Dicono di aver visto qualcuno aggirarsi tra gli scaffali nuovi di zecca con le lacrime agli occhi. Zara impaurisce. Ma solo un certo tipo di negozi ha da temere. Quelli dalle commesse simpatiche come un herpes, simplex o zoster non fa differenza, quelle che continuano a piegare maglie e non ti degnano di uno sguardo o al limite ti apostrofano, Se Ha Bisogno Chieda Pure (ma nella nuvoletta sulle loro teste leggi, sì, va bene, ma meglio se non chiedi che stamattina c'ho i mazzi miei da pensare e non ne ho voglia). Quelli che appena entri e chiedi una cosa cominciano a scuotere la testa e fare di no, e nemmeno ti dicono Mi Dispiace, che dovrebbe dispiacergli molto, in fondo mandano via un cliente scontento, e invece ti fanno sentire una demente, ma come mi è venuto in mente di chiedere quella roba lì? certo che mi è venuto in mente, è fotografata su mille giornali, possibile che proprio loro non ne abbiano mai sentito parlare. Zara è la giustizia. Farà giustizia, nel mondo delle commesse dagli occhi bistrati e poco altro, di nero vestite e con lo sguardo interessante quanto un cacciavite, è vero che non c'entrano, ma chi le ha assunte, se non il proprietario, chi le ha addestrate se non il Capo Supremo, a sua immagine e somiglianza? Se è scorbutico il capo, sarà scorbutico il collaboratore, è una legge di natura. Granitici resisteranno egregiamente i negozi più caldi, dove si può entrare, provare mille cose e uscire con un sorriso, magari a prendere un caffè con le ancelle, amiche tue, che ti hanno dato una mano, venduto settimane orsono due scarpe da viale che sono un amore. Resisteranno con grazia quelli dalle commesse che sorridono, che non ti dicono Ciaodimmi, che anche se non ne hanno più voglia, sei sempre per loro un cliente speciale. Zara è lì. Ancora non l'ho visto, ma dicono sia luccicante e pieno all'inverosimile. Mi piacciono le cose di Zara così come quelle di Gucci, e pazienza se il cappotto ha perso tutti i bottoni e ha già le tasche bucate, che si pretende per 49,90? Fa pur sempre la sua bella figura. Zara equipara. Le Snob e le Squattrinate, le une per posa, le altre per necessità, Zara calmiera, le Dive e le Semplici, le Dame di Carità e le Donne Normali, le Impostate e le SenzaOgm, le RadicalChic e le Special Guest, le Equosolidali e le Griffatissime. Zara mi piace. Diventerà come spesso accade, non solo un enorme negozio ma un luogo dove riflettere, aggirandosi tra le gonne, accarezzando i cappotti, spostando le camicie per vederne bene il collo. Ci si troverà al mattino, prima di un caffè o di un appuntamento, nella pausa pranzo o mentre si aspettano i figlioli a danza, a musica, a calcio. Sarà una meta d'obbligo e poichè si mischieranno stili e marche, durata e qualità, fuori di lì, dentro di là, proprio di fronte e magari un pò più in là. E nel nostro armadio, accanto alla gonna a palloncino che abbiamo preso per vedere di nascosto l'effetto che fa, ci sarà sempre posto per un pantalone più serio e un golfino che proprio non potevamo lasciare lì. E che con le scarpe da viale, cara la mia signora, fa proprio un figurone.

Ma guarda un pò qui.



Ci siamo quasi. A vederli tutti in fila, strofinacci, strisce per la porta, cuscinetti e tovagliette, non sembra nemmeno a noi dell' Officina di aver ricamato tutta quella roba. Ma è così. E domani è il grande giorno. La prova, in un certo senso, visto che il vero mercatino di Natale sarà domenica 16 dicembre, in piazza Santo Stefano ad Alessandria. Ma noi, che non vogliamo arrivare impreparate a tale evento, ci alleniamo, per così dire, anche domenica 9, al pomeriggio, e sempre in Santo Stefano. Merita un giro. Deliziosi strofinacci natalizi e non, cuscinetti da sistribuire bellamente sul divano della festa, strisce da appendere alle porte per dare il benvenuto nel calore della propria casa, e le tovagliette, vera novità di tutta questa avventura, che sono anche segnaposti e regalino, da arrotolare e portarsi via dopo il pranzo, avendo cura di non spiaccicarci sopra nessuna uvetta del panettone. Se no, non vien bene.

Così, non fate i pigrissimi. Mentre fate un giro per vetrine lucenti e sciccosissime, spingetevi senza indugio fino da noi. Il nostro è un gazebo candido, tutto tempestato di palline e stelline e cose. COME, DI CHE COLORE???????

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...