02 novembre, 2015

Il Vestito di Pizzo.

Non erano gran giorni, quelli.
Il sole sì, una leggerezza sottile, si sorprendeva a cantare sottovoce, riordinando un cassetto, togliendo le foglie secche a tutte quelle piante viola del davanzale, avrebbe dovuto metterle al riparo, non avrebbero resistito al gelo del'inverno.

Erano giorni pesanti, con sforzi giganti per uscirne fuori, e grandi soddisfazioni nel vedere che sorriso chiamava risata, che leggerezza chiamava divertimento.

Era un pomeriggio faticoso, quello.
C'erano ricordi a schiacciarla, una solitudine più marcata, un magone fortissimo, di singhiozzi soffocati, quelli che proprio non trattieni, la certezza che proprio da lì non si sarebbe tornati indietro. La consapevolezza.

Aveva un abito di pizzo nell'armadio.
Lo aveva indossato a una festa, dove aveva ballato e riso, riso e ballato e cantato e riso, e ancora riso, tanto fino alle lacrime, che belle sono le donne che ridono e si sfanno il trucco, e tentanto di ricomporsi mente ancora ridono e ridono.

In quel pomeriggio difficile, ebbe voglia di ritrovare quella risata.
Aprì lentamente l'armadio, quello dei vestiti belli, dei vestiti delle feste, quello più in alto.
Il vestito di pizzo era lì, allineato accanto all'abito da sposa, ai vestitini belli delle comunioni, all'abito nero dei 40 anni.

Lo indossò e si guardò allo specchio. Certo, con le calze a righe, i capelli sfatti e quella faccia grigia da domenica pomeriggio non aveva lo stesso effetto.
Forse, tirava un pò sui fianchi, ma si fece una smorfia, un giro su se stessa, la gonna a ruota volò e volò, improvvisò una danza, una faccia da copertina, un pò da scema.

Immaginò ancora quella volta e quella festa, a chiudere gli occhi ne sentiva la musica, le voci di sottofondo, fotogrammi perfetti, c'era questo e c'era quello. E c'era lei.


Ridicola, nella cabina armadio, coi calzettoni  a righe un pò scesi e quell'improbabile abito di pizzo, finalmente si sorrise, sentendo su di sè un altro sorriso, da Dovunque Fosse.

Il Vestito di Pizzo tornò nell'armadio in alto, quello dei vestiti belli.
Ogni volta che vorrò ritrovarti, lo indosserò.






26 ottobre, 2015

Ci voleva la nebbia.

E quanta stamattina.
La strada che sparisce, le foglie gialle che spiccano di più, i fari che brillano male, come non messi a fuoco, non so come dire.
La nebbia mi piace.
Lo so che non si dice, ma è bella, a modo suo.

Ci ho inventato storie, fatto viaggi impossibili, ci ho corso dentro e sarà meglio che riprenda, si corre meglio dentro alla nebbia, l'ho guardata miliardi di volte, dal divano, dal letto, nei miei guardare fuori che fanno male, qualche volta, in piedi con la fronte stampata sul vetro, Ma Cosa Guardi? Non So.

La nebbia ha un suo perchè, una sua ragione ben precisa, nel disegno della natura e delle cose, nulla è lasciato al caso, nemmeno lei.

La nebbia è velluto incolore che ti fa uscire i pensieri più belli, non è vero che fa malinconia, certo, qualche volta sì, ma più spesso ti fa romantica e calma, non è pioggia a innervosire, o caldo afoso a stremarti, o neve candida che fa allegria. 

La nebbia racconta sottovoce le storie che sai a memoria ma che solo con lei saltano fuori, ti porta profumo di funghi e umidità, e castagne e noci da raccogliere sotto l'albero e spaccare con la pietra sul muretto.

Ti racconta di misteri e di segreti, di piccolissime magie, le cose che nasconde fino all'ultimo e che ti appaiono all'improvviso, come certi pensieri, come certe soluzioni a questioni con le quali ti lambicchi il cervello da giorni. Era così facile, come ho fatto a non pensarci prima.

Con la nebbia sono più tranquilla, mi piace  e non mi fa paura, ci sono nata, ha un fascino speciale per me che vengo dalla bassa, regala al mio giardino un mantello nuovo, opaco e morbido, certamente elegante, decadente e un pò nostalgico, non per questo triste o scialbo.

Lascio che la nebbia faccia il suo dovere, la guardo dalla finestra e me la prendo comoda, mi racconto una storia nuova così, giusto perchè c'è l'ora solare e farà buio presto, metto in fila le cose da fare e le faccio con calma, la storia sarà lunga, me l'ha raccontata la nebbia, e lei di storie corte non ne sa.





05 ottobre, 2015

Una Famiglia Sgangherata



Tanti
Belli
Bellissimi
Tutti
E sparsi
Sparsissimi
Quasi tutti.

Ho una famiglia numerosa.
Una famiglia numerosa e bellissima
Una famiglia numerosa, bellissima, e sgangherata.
Sgangheratissima. Uno di qui, l'altro di là.
Valigie e zaini. E borse. E contenitori per il ragù, gli agnolotti quelli buoni, il piumone da portare sù, che è quasi ora.
E il volo seguito sul computer. Atterrerà fra 5 minuti.
E Skype a manetta
E messaggi su whatsapp., Condividi la Posizione, così sappiamo dove sei e siamo tranquilli.

Il casino.
L'ansia a mille, qualche volta.
la solitudine di certe sere.

Forse, se avessimo fatto diversamente, se ognuno di noi si fosse sempre fatto i fatti suoi, chiuso nel suo mondo, adesso, forse staremmo meglio e non ci faremmo tanto caso.
Invece no.
Noi siamo quelli che stiamo tanto insieme, che  bussiamo alla porta di quelli che studiano per dire, Prendi Un Caffè Con Me e allora si scende in cucina e si parla per una mezz'ora, magari ci si azzuffa pure, 
Noi siamo quelli che siamo sempre tanti e abbiamo sempre qualcuno in più, fidanzati o amici, siamo quelli che tutti o nessuno, siamo la voglia di stare insieme sempre, dei viaggi di Natale, della casa senza tante porte, per vederci sempre e non chiudersi a chiave.
Siamo quelli che le questioni le discutiamo a cena, e volano paroloni e piatti sul soffitto, beh, quello una volta soltanto, e quando lo  raccontiamo e nemmeno si stupiscono tanto. Il mio Sposo urlava, io piangevo, scene da malavita, e a ricordarlo adesso ma che ridere.

Chi tanto ama tanto urla, si sa.
Siamo quelli del chilo di pasta, dei carrelli stracolmi, delle pentole da reggimento, quelli delle 60 polpette, quelli che il cambio di tutte le lenzuola è una roba tipo da hotel, quelli delle 20 uova.

Ora invece no.
ora, noi siamo quelli sparsi
Siamo quelli uno di qui e l'altro di là, come è giusto che sia.
Ma succede sempre tutto insieme e non è che vada tanto bene.
Amo questa famiglia di un amore infinito e purissimo, di quelle cose da mal di stomaco, insomma, quelle che per loro affronteresti leoni e iene, e pure il topolino minuscolo  che il gatto ti ha portato ieri mattina sulla zerbino, per dire, perchè nessuno ha il coraggio di toglierlo da lì.

Urlo ancora, ovvio, non a tutti insieme, però.
A uno per volta, che forse è meno scenografico.
Ma i vicini, i vicini lo sanno bene.


Prima siamo tanti e il giorno dopo solo due.
In attesa sempre, di essere di nuovo tanti, che dura sempre troppo poco.

Nel frattempo, si congelano ragù e cose, si mettono le lenzuola con le stelle di Natale perchè sarà a Natale che saremo ancora tutti insieme, si cerca di non badarci tanto e ci si concentra su quella volta che li avresti strangolati a turno,  tutti, per non ricordo cosa.

Che ridere, però.




02 ottobre, 2015

Sapessi.






Sapessi che giorni ci sono, da queste parti
Frenetici, incredibili dalla bellezza, incredibili dalla confusione, dai panni da stirare, dal disordine, dalla pulizia maniacale, dall’infinito silenzio, come infinito, il silenzio non è infinito, finisce quando urli e di urlare qualche volta ne ho troppa voglia e qualche volta nemmeno ci riesco.

Sapessi che belli i pomeriggi, quelli come ieri che c’era ancora il sole e sembrava ancora estate, potremmo andare dritto, prendere l’autostrada e andare al mare, sapessi che bello il mare quando è autunno, il mare non si arrende mai al freddo e alle nuvole, il mare non le sa le stagioni, il mare non sa fare i conti proprio come me e allora è bello sempre, anche quando fa freddo e quando pioviggina piano piano, che non fa rumore e nemmeno te ne accorgi.
 Ecco,il mare è bello anche così.

Sapessi che belle le sere che la luna è grande quasi mezzo cielo, così piatta e lucida, che sono io la prima a vederla, perché spunta dietro l’albero di questa stagione e a cena sono seduta così, davanti all’albero, è sempre questo il mio posto, anche con mille ospiti, ognuno in questa casa ha un suo posto quando c’è, il mio è sempre questo, così vedo l’albero, così vedo la luna, per prima.

E sapessi le cose che mi vengono in mente, sapessi i giorni, le ore, i minuti, sapessi che voglia che ho di fare una festa grandissima, con tutte le persone che più amo al mondo, e sapessi che tristezza infinita mi viene quando ci penso, sapessi che male, proprio qui, fra il cuore e l’anima, ma l’anima di preciso dove sta, che non l’ho studiato.

Oggi è un giorno bello, per me, è il mio compleanno e vorrei sentirmi felice e leggera, vorrei farmi una torta, ho già comprato le candeline, stasera saremo non so nemmeno quanti, non tanti, però.

Voglio un giorno di quelli perfetti
Voglio un bel compleanno, voglio un giorno per me, voglio me per un giorno, un giorno soltanto, fare cose normali in un modo speciale.

Voglio essere come il mare.

Che non sa fare i conti, che non si arrende alle nuvole e alla pioggia, che non sa le stagioni ma che è bello anche così. 

17 settembre, 2015

Che nemmeno le nuvole.

                          ph.Robert Doisneau

La Stupidera.
Non saprei come chiamarla, se no.
E' quel che mi prende a questo punto dell'anno, che non è estate e non è autunno, che un pò piove e un pò no e il sole non si vede, c'è quel tempo immobile ma che non fa freddo, che ancora l'abbronzatura appena appena, ancora i sandali, magari, le calze ma và, per quelle si aspetta novembre, e poi ancora.

La Stupidera non è una patologia, ma uno stato dell'anima.
I guai e i pensieri si sono ammucchiati per bene in un angolo della casa, con la scopa nuova colorata, quella con l'Infinito scritto sul manico di legno, ce l'ho scritto io a pennarello.
Si è presa la paletta carina, quella con la principessa e il principe, e si son raccolti tutti.
Dopodichè si è aperta la pattumiera dell'indifferenziato e si sono buttati lì, con grazia e soddisfazione.
Operazione completata.

La Stupidera può manifestarsi con vari sintomi.
I più diffusi sono risate cristalline, dopocena a tavola a dir scemenze con questo o quel figliolo che transita da questa casa, scelta accurata di smalti, rossetti e financo burrocacao, riunioni indette per decidere apparecchiature per matrimoni, e quale scarpa e quale borsa, scelte di filati, mi faccio la frangia, mi iscrivo a tango, dò il bianco in cucina, che ne dici?

La Stupidera acchiappa, secca e improvvisa, dopo mesi di buio totale o quasi.
Dopo giorni pesantissimi, faticosi come scalare montagne di sassi, che ti franano mentre cammini e pensi di essere in cima e invece scivoli un pò più giù, un pò più giù ogni volta e non arrivi mai.
Dopo notti assurde, dove il cuscino è spine e vetri rotti, dove dormi a tratti, dove spalanchi gli occhi e studi il soffitto, le piante sul davanzale, i tetti davanti e ti alzi e giri e giri, come a cercare qualcosa che hai perso, e sai benissimo che quella persa sei proprio tu e vatti a trovare, adesso.

La Stupidera  non dura mai tantissimo e non so se è un bene o un male, ma occorre approfittarne e di corsa, come il detersivo per i piatti in offerta all'Esselunga.

Perciò, mi regalo questi giorni stupidi di cose leggerissime, di piccoli passi verso il meglio del mondo, ognuno ne ha uno di Suo Meglio del Mondo e il mio meglio è questo qua, per ora, questa vaghezza morbida, questa elegante indolenza, questa lentezza con la quale faccio diecimila cose insieme, questi pensieri di critallo, lucidissimi e fragili che niente incrina, niente graffia, niente fa opaco,  nemmeno le nuvole.







Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...