Ero sempre così concentrata nelle prove di bella scrittura.
Stavo attenta a toccare tutte le righe, a pensare bene dove dovevo andare,
quale riga dovevo toccare, se stare in quella sotto o superarla, o andare giù o
fermarmi a metà.
Niente ti insegna a
scrivere bene come le righe di terza.
Ero una bambina coi capelli lunghissimi, il colletto di pizzo, il grembiule nero e lo
scudetto al braccio con scritto III e avevo una compagna di banco che si
chiamava Claudia.
Una volta le
nostre mamme ci comprarono senza saperlo le stesse scarpe di vernice col
cinturino. Eravamo felicissime e ci sembrò un’ingiustizia quando la maestra ci
cambiò di posto, avevamo le stesse scarpe, come osava.
La mia terza elementare la ricordo a sprazzi, ero incaricata
di ritirare i quaderni e cancellare la lavagna. Perché, spiegava la maestra a
mia madre, Se Non la Faccio Alzare, Chiacchiera Troppo.
I miei pensierini erano sempre quelli appesi nel Cartellone dei Pensierini che si faceva
ogni mese.
Non sapevo fare i problemi, nemmeno quelli La mamma ha 2
dozzine di uova, e ne rompe 3 , per dire.
Ma scrivevo bene. Forse, era merito delle righe di terza.
Sono righe strane, non comuni, non so nemmeno se si usano
ancora. Non ho più figlioli alle elementari e credo che l’ultima nemmeno li abbia
usati a scuola, glieli facevo usare io a casa, affinchè si esercitasse a scrivere
bene, con una bella grafia, che è importante scrivere ordinate e bene. Non so se
ci sono riuscita, ma i messaggi di mia figlia sulla lavagna della cucina mi
spiace sempre cancellarli.
Le righe di terza non è vero che ti fanno sacrificare le lettere, forse si schiacciano
un pochino, ma tu devi dare alle lettere la giusta rotondità, perdonarti un
pò quando non tocchi la riga in alto, e andare lentamente con la penna
o con la stilo, in modo da pensare bene a quello che scrivi.
E prima di scrivere devi avere chiarissimo quello che devi
dire, le parole hanno un senso, un peso, un colore e un modo. Feriscono,
abbracciano, cullano e uccidono. Sanno
consolare e strangolare, sanno essere salvezza e condanna, carezza e schiaffo, ambrosia e fiele.
Scrivo spesso a mano, scrivo biglietti e appunti e le poesie
che so a memoria, una volta in treno ho scritto un pezzo dell’Adelchi che so a memoria, perché
non avevo un libro e nessun lavoro a maglia, e credo che la mia vicina
sbirciando avesse detto, Questa è Scema.
Le righe si terza mi hanno insegnato a scrivere meglio di
quello che so per certo, con le maiuscole quando serve perché le maiuscole
vogliono dire educazione, le minuscole invece sono un esercito di piccoli
soldati che insieme fanno una pagina di sillabe e le sillabe parole e le parole
pensieri e i pensieri quel che ti detta l’anima, il cuore, il sentimento e i
suoi inganni, la vita stessa, la mente e i suoi disegni, il mondo intero.
Ho trovato un quaderno mai usato, ho provato a scriverci e le mie parole sono rotonde,
maiuscole e minuscole, non escono dai bordi, stanno a margine ordinate,
scivolano fuori dalla penna, nascono dall’inchiostro come piccolissimi
arabeschi, disegnano un romanzo mai scritto e obbligano a scrivere lentamente,
anche ascoltando l’impercettibile fruscio del pennino sulla carta Fabriano.
Ho mille cose sparse in giro, alcune già caricate su un furgone, tutta la mia vita, quella dei miei figli e di tutte le cose che ho fatto, altre case, cartoline, feste, biglietti, fotografie nastrini e cose, il mio cappellino da sposa con i fiori rinsecchiti, e ogni cosa un racconto, un'immagine di persone lontane o vicinissime e sensazioni e ho troppe cose e non posso fermarmi ma mi siederei qui, fra la scatola dell'Allegro Chirurgo e gli spartiti e i dizionari e farne un racconto lunghissimo, scritto in bella scrittura, lentamente, su un quaderno a righe di terza.