12 settembre, 2006

Cos'è.


Che fa dormire agitati e sognare di vincere, cos'è che fa staccare dai baci e volar via i palloncini, e bruciare le pentole, e sparire le nuvole. Cos'è che non fa sentir soli, che fa scrivere i libri, e guardare i bambini, e fa chiudere gli occhi e sentirsi invincibili e solo un attimo dopo incapaci e un pò stupidi. Cos'è che fa guardare la luna, sorridere ai cani, cos'è che fa inciampare per strada e pestare le gomme, cos'è che fa l'erba bagnata, e scuotere i dadi e mischiare le carte, e comprare le fragole e giocar con le bambole. Cos'è che fa iniziare una storia, e che c'era una volta, e muovere i rami e ascoltare la musica. Cos'è che ci fa cambiar strada, che ci fa scegliere un disco, e sbagliare il casello, e trovare un centesimo, e staccare il telefono. Cos'è che ci fa dire sto male, cos'è che fa niente, che è passato già un secolo, e ti chiamo tra un attimo. Cos'è che non prendo sul serio, che ancora un momento, che ripasso domani, che non so se ci sono e che ci vuole del tempo. E le scale di corsa e una torta nel forno e il mio cuore, che bravo, ha saltato un ostacolo. Non so che cos'è. So che sto bene, ma certo, lo so, e che il risciacquo di ieri è già superato, e che il sole e l'autunno e le foglie che cadono. So che è un bel pomeriggio, che i miei figli di sopra, con il gatto che dorme e una tazza sul tavolo, e che tutto quest'oggi mi sembra perfetto, e le ultime rose e qualcosa da scrivere. Non importa che cosa. Allora, cos'è.

11 settembre, 2006

Risciacquata.


Non ce la si fa. Non ce la si può fare. Non così, almeno, non ancora. Forse è troppo presto, o troppo tardi, magari. La mente non risponde ancora o non risponde più. E’ come se le informazioni date e ricevute galleggiassero e vagassero senza meta all’interno della scatola cranica. La mia, nella fattispecie. Non sono collegata. Dimentico le cose, confondo, non capisco. E giuro che in condizioni normali sono un tantino meglio di così. Faccio fatica ad organizzarmi, a riprendere, persino a segnarmi le cose da non scordare, tutto mi sembra di una fatica ciclopica anche se di una banalità disarmante. Devo aver letto da qualche parte che si chiama Sindrome da Ripresa, e come succede sempre, una volta identificati i sintomi me li sono ritrovati tutti, stile ginocchio della lavandaia, per capirci. Arranco, balbetto anche, non mi vengono le parole, ostento una sicurezza che non ho, sono come appena sveglia, peccato che lo sono dalle 7 di stamattina e sono quasi le 23. E’ come se qualcuno avesse preso il mio cervello, lo avesse lavato per bene, come quando le magliette si macchiano di ciliegia, o di gelato, lo avesse candeggiato per toglierne ogni residuo di pensiero intelligente, di voglia di qualcosa, di entusiasmo e di qualsivoglia attività. Passerà? E chi può dirlo? Le cose da fare sono molte e qualcuna parecchio importante, per giunta. Devo solo abbandonare questa aria da Alice nel Paese delle Meraviglie, sforzarmi di stare attenta, concentrarmi. Devo solo ritrovare i miei pensieri, la mia strada, il sentiero del faro, che mi sa che è mancata la luce e mi son persa per davvero. Ma l’immagine della testa risciacquata rimane lì, perché è l’unica definizione calzante che mi viene, al momento. E per una mente risciacquata direi che è già più che sufficiente. Speriamo però che a nessuno venga in mente di premere il tasto Centrifuga. Sarebbero guai seri.

Undici settembre.


Si è visto tutto e si è scritto tutto e letto, anche. Sono passati cinque anni da quella fine estate e tutti, proprio tutti si ricordano esattamente dove erano e con chi. Quando. Quando è successo, quando hanno interrotto le trasmissioni e dato il via ad edizioni speciali di telegiornali e notiziari e aggiornamenti. Quando ci si è accorti che non era un film, non era un montaggio, ma che era tutto vero. la memoria storica dei bambini di allora si è arricchita di qualcosa che noi, per esempio, quelli della mia generazione, quarant'anni o giù di lì, non avevamo registrato ancora. Noi abbiamo Milena Sutter, il terremoto del Friuli, Piazza Fontana, Vermicino. Poche tremende cose. Oggi, cinque anni fa, i miei figli guardavano i cartoni con gli amici in piscina, io avevo un ghiacciolo alla menta, una maglia a fiorellini e stavo consolando mia figlia che era scivolata sui sassolini. Chiacchieravo con un'amica. Mio marito stava tornando dal golf e avremmo dovuto uscire a cena. Undici settembre duemilauno. Nessuno più è stato quello di prima, e forse un pò si è dimenticato, ma a rivederla e rivederla, quella immagine da viedogioco che videogioco non è, ci si ricorda all'stante dove si era e con chi. E chi si è chiamato al telefono per primo. Undici settembre duemilauno. Oggi, cinque anni fa.

10 settembre, 2006

Il regalo.


Non è Gucci e non è Prada. Nemmeno Chanel. E nemmeno lui della foto, purtroppo. Un libro, signora mia, comprato venerdì pomeriggio e bevuto d'un fiato,così, come un bicchiere d'acqua dopo una corsa, scivolato via. Il libro più bello degli ultimi sei mesi, ma non è vero, il libro più bello è sempre l'ultimo letto, si sa. In questi due giorni confusi e scioccanti, che il ritorno è stato un trauma vero, due giorni in cui non si è avuto tempo nè voglia di niente, intente a preparare, organizzare, controllare, libri, quaderni e astucci e zaini e matite e cose,e la spesa, accidenti, ma quanto ci vuole per riempire un frigorifero vuoto da mesi. Voglia zero, entusiasmo meno 2, come Bolzano. Lo so, la capiscono in pochi, ma non importa. E allora, via, con la spesa alle Regie Truppe si fa scivolare nel carrello l'ultimo romanzo di Andrea De Carlo, una specie di scialuppa di salvataggio in questa frenesia che mescola la fine delle vacanze e l'inizio della scuola, ancorchè. Lo si terrà per non perdersi, si leggerà sul divano, tra il frastuono della casa e le voci dei figli, o appena si hanno 5 minuti di pace, o prima di dormire. Ci si estranierà per proteggersi, ci si coccolerà per non schiattare, per sopravvivere, forse. Per scappare. Letto in due giorni scarsi, la bellezza vera, la violazione delle regole di grammatica, mai due "e" nello stesso periodo, e Lui ne mette una manciata, ma che importa. La storia è bellissima, ed è banale dirlo, ma prende, sinuosa, e non ti staccheresti mai e fa stare attenti e sospesi, come tutte le sue, perchè lo sa, cara la mia signora, io li ho letti tutti, ma proprio tutti, non lo sapeva, non me ne sono persa neppure uno. Bello, consigliato, 5 stelle lusso. "Mare delle Verità", Andrea de Carlo. Da acquistare domani stesso, domani stesso iniziare e dopodomani finire. Nonostante scuola, ufficio, frizzi e lazzi. Niente male.

08 settembre, 2006

A casa.

Un pò storditi. Ma contenti, in fondo. Moooooolto in fondo. Bene, si riprende, alla fine. Si cerca di concentrarsi sulle cose da fare, magari un progetto importante, forse il Salone Nautico, chi lo sa, oppure, più semplicemente, il riordinare il garage, o comprare dei bicchieri nuovi. Non funziona, eh? Comunque, bello. C'è qualcosa di splendido in ogni cosa, se ci si fa bene caso. Le valigie disfatte in pochissimo, come a volersi un pò liberare da tutta la sabbia, il sale, gli scontrini, gli abbronzanti a metà, i balsami per i capelli, le mollettine per la spiaggia, le conchiglie raccolte, i bastoncini dei gelati conservati, gli elastici colorati, i sassi fatti a cuore, i braccialetti comprati dagli ambulanti, il pettine a denti larghi, la carta da gioco trovata sulla spiaggia...vado avanti? Meglio di no. Oggi giro di Ricognizione & Rifornimento per quaderni e affini e Punto della Situazione per compiti delle vacanze. Lo splendido in ogni cosa? Beh, in quasi.

04 settembre, 2006

Calma piatta.


E un pò di freddo. E un'aria di fine estate, di poca gente in giro, di dismissione generale. L'estate è finita sul serio, stavolta. Si torna a casa fra 3 giorni. Si finiscono gli ultimi compiti, ci si dedica ai due più piccoli, non si hanno grandi programmi. La mente, inutile star lì a girarci intorno, è già a casa, al lavoro da riprendere, ai libri da ritirare, alle cose da fare, ai progetti perlopiù scellerati che nascono solo dai momenti di calma perfetta come questa. Si lavano i parei, le tende, i cuscini. In spiaggia, alle 7 fa troppo freddo per restare a vedere il sole che và giù, ci vuole un golfino. Ma è bello uguale. Si ha come la sensazione di dover collezionare, raccogliere una quantità di immagini e sensazioni da tenere lì, da ascoltare quando sarà inverno pieno, quando ci sarà la nebbia e la pioggia a scrosci, la neve, magari. Per il momento siamo ancora qui. E c'è qualche nuvola e il sole non si vede se non a tratti e ci si deve sforzare per mandare via quell'ansia, sottile e insolente, quella che si fa sentire solo prima dei cambiamenti, che ti fa visita di tanto in tanto, come una zia, come mia madre, che passa domani in visita pastorale, i 20 minuti canonici che mi dedica ogni sei mesi. Non ci si arrenderà. E anche se il cuore batte forte, a tratti, e a volte devi fermarti un secondo per sentirlo perchè ti sembra di non sentirlo più, non importa, non è grave. Respira forte. Passerà.

01 settembre, 2006

Ode al savoiardo.


Gli ingredienti sono semplicissimi. E’ lui ad essere complicato. Un incapace, ecco. Il savoiardo è uno strano biscotto, un bell’elemento, non c’è che dire. Una specie di Wanda Osiris della biscottiera. Se la tira. E’, innanzitutto, il più grosso di tutti. E su questo non ci piove. Soprattutto quello sardo, che è grosso il doppio. In più, ha quell’aspetto segaligno, dinoccolato, tristanzuolo anche; fa pensare a un maggiordomo, peccato che da solo, povero illuso, non serve proprio a niente. Nel senso che a morderlo è ottuso, un po’ gnucco, vagamente insipido e ti dona in men che non si dica la classica “secchezza delle fauci”. Se non fosse per i suoi amici, caffè, crema al mascarpone e cacao, passerebbe la sua vita negli scaffali del supermercato. O tutt’al più verrebbe acquistato da qualche fanciulla che decida, dopo un’estate di scialo calorico, di mettersi un po’ in riga. E poi, con lui si sbaglia sempre. Si inzuppa sempre o troppo o troppo poco. Se lo lasci un attimo di più a sguazzare nel latte, spaf! Ti si rituffa dentro, o meglio, mezzo dentro la tazza e il resto sulla tovaglia immacolata. Una tragedia. Lui, il savoiardo, non fa una piega. Non gli importa della sua scarsa personalità, della sua inettitudine, della sua totale incapacità di combinare, da solo, qualcosa di buono. Ma intanto cova in cuor suo la più atroce delle vendette, il modo più cruento di fargliela pagare. Ma come , a chi? Al suo acerrimo nemico, il mite Pavesino. Riuscirà il Pavesino ad avere la meglio? E’ quanto sapremo alla prossima puntata.

31 agosto, 2006

Mezza luna.



E mille cose a metà. Mezza torta nel frigo, con ancora le gocce di cera delle candeline e la panna un po’ squacciata, come si dice, mezza bottiglia di vino, quello un po’ sgasato che si tiene lì per cucinare. Il bicchiere, mezzo vuoto o mezzo pieno? E mezza vita ancora da fare e mezza baguette per favore, che sacrilegio tagliarla a metà, e mezzo vasetto di Nutella, così, tanto per tirarsi un po’ su. Mezze stagioni , e cara la mia signora, lo so bene che non ci sono più, mezzogiorno di fuoco e mezzo cuore, un pezzo a te e un pezzo a me. Mezzosangue come il principe di Harry Potter, mezza gomma Brooklyn, di quelle lunghe che non si comprano quasi più, solo confetti che non mi sono mai piaciuti. Mezzo panino per la dieta, mezza mela grattugiata per il picci di pochi mesi, mezza pastiglia per dormire, mezze maniche perché è già primavera, mezzo flacone di profumo per una sera che è LA sera, quella che deciderà per te, quella che ricorderai per tutta la vita. Ricami a metà e libri, corsi, e anche storie a metà, mezze situazioni che non sai bene dove cominciano e dove finiscono, mezzo riassunto, mezza poesia da studiare a memoria perché tutta è troppo lunga e la studieremo più in là. Personalmente, non sono per i mezzi. Sono del genere tutto o niente, lo si è ben capito, mi sa. Ma questa fettina che mi guarda, e che in foto sembra un puntino di pennarello, in questo ultimo di agosto, mi ha dato un’emozione sottile, una specie di mezzo brivido, perchè quando sarà piena andrò via di qua e vi racconterei tutto per bene se non fosse che, disdetta, si fa tardi devo andare, sarei nei pasticci se no, la mia carrozza si trasforma in una zucca. A mezzanotte, appunto..

30 agosto, 2006

Lo iodio aiuta.


Sono una mamma famosa fra gli amici dei figli, per non assillarli mai e dico mai, con i compiti delle vacanze, che trovo un'assoluta perdita di tempo. Cionondimeno ( e qui il Devoto Oli dà già i suoi bei risultati), essi, gli amici, non sanno, nel loro ingenuo idolatrare la scrivente, che infliggo ai miei figlioli uno sporco ricatto, a chiamarlo col suo nome. Cioè, io non li assillo con i compiti delle vacanze, ma loro, allorquando riporteranno un infimo voto nei suddetti, avranno revocati tutti i permessi di uscita, partite di calcetto, feste di compleanno, commemorazioni e affini, fino al 1 gennaio dell'anno successivo. Svelato l'arcano, gli amici dei miei infanti possono smetterla con le osanne. Il figliolo di terza media, brontolando arranca. Con l'inglese e il francese, con il tema Come Hai Trascorso Le Vacanze, analisi logiche, e come nelle migliori tradizioni, con la matematica. Il mio sposo ed io, per formazione e inclinazione, ci siamo divisi le forniture di assistenza. E indovinate a chi spetta la matematica. Trovandosi però ancora sull'Isola, quale migliore cornice di una spiaggia semideserta per completare gli ultimi problemi, gli ultimi odiosi teoremi, potenze e affini? Dicono che lo iodio sia un toccasana per le alte vie respiratorie, scongiuri i raffreddori e fortifichi i bronchi. Spero di poter presto testimoniare che schiuda anche le sinapsi celebrali, riuscendo finalmente a far entrare in zucca al mio splendido figliolo anche i più ostici numeri periodici. Nebbia totale o quasi, per me. Ma, a mia discolpa, potrei recitarvi qualcosa di Dante che so, il Canto Terzo del Paradiso, quello con Piccarda Donati, che mi piace tanto. A pensarci bene, anche io da ragazzina stavo al mare tutta l'estate. Allora, funziona!!!!!

Dicono di me.


Che spendo e spando. Che mi piacciono le cose belle (è vero, che devo fare, farmi piacere le orrendità?), che adoro girare per negozi, che conosco tutti i luoghi di scialo del globo terracqueo. Ciò non dista molto dalla realtà. Nel senso, sì, confesso, è vero. Ma i serpenti a sonagli che lo asseriscono con una certa qual saccenza appena velata, si sarebbero stupiti, ma che dico, sbalorditi, ma che dico, ci sarebbero rimasti secchi nel vedere il mio acquisto di ieri. Vento a 78 nodi, mica quisquilie, cara la mia signora, e giro nel porto a salutare l'ennesima famiglia di amici che s'imbarcava verso il continente. E io medesima nella fattispecie, in loco situata, non distante dalla Costa Smeralda, noto luogo di sdilinquimento del popolo adepto a carte di credito e affini, avrei potuto spendere una somma discreta in, in ordine alfabetico, borse, camiciole, maglioncini, stivali, zaini (sorry, non avevo articoli con la z). E invece, no. Io, che ho una passione per i libri, che compro solo Elle e Marie Claire e qualche rivista di arredamento, io, famosa per dilapidare ingenti somme in beni voluttuari, ebbene, io ho comprato, udite udite, Sorrisi e Canzoni Tv. E soltanto perchè, per la modica cifra di € 14,90 (quattordici e novanta), ho avuto anche una copia del dizionario della Lingua Italiana Devoto Oli. Lo desideravo, forse più di una Prada in canvas o di una Kelly turchese. Tutto ciò và testè a dimostrare che la calunnia è un venticello e che le dicerie, ogni tanto, non ci azzeccano. E che io, ahimè, ho bisogno di uno bravo. Ma questo, devo averlo già detto.

Ode alla formaggella.

Acquistata tiepida, di ritorno da una gita di sei chilometri sulle alture di Santa Teresa, e quindi meritatissima. La formaggella è, in sè e per sè, un dolce semplice. Ricotta, zucchero, uvetta e scorza d'arancia. Bella scoperta. ma è lo scrigno di pasta frolla, che frolla non è, a farne una vera delizia. Ho spiato dal bancone fin dentro il laboratorio la pasticcera, un donnone con gli avambracci possenti e un sorriso limpido, ma non sono riuscita a carpirne nessun segreto di preparazione. Solo, la generosa spolverata di zucchero, appena sfornata, che fa pensare al luogo dove il suddetto zucchero si posizionerà, se sul fianco o sul sedere, ma nulla ci fa. A sciocca insalatina e triste pollo penseremo al rientro. La formaggella è adatta a una colazione tranquilla, una merenda improvvisata, un fine cena, un bicchierino di mirto. La fortezza croccante della pasta intorno svelerà ben presto il morbido interno. Calorie? Tremila, credo. Ma l'aspetto più esaltante di questo sublime dolcetto, è la complicità. Essa infatti, comprendendo bene il peccato che rappresenta, si lascia consumare senza lasciare traccia. La formaggella non sbriciola. Il che, è già qualcosa.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...