02 novembre, 2009

Ne cambi più tu...

...di Obama! Questo mi disse un attimo fa la mia Amica del Muretto, quella del 12, quella che sa i venti, quella che ci scambiamo il pane e il basilico, quella che abbiamo 8 figli in due, quella che chiacchieriamo delle ore, quella che mi ha insegnato una canzone in sardo, quella che mi scrive con la stilografica verde.

Vero è ben, ho cambiato numero di cellulare e fede abbiate, perciò, chi aveva il mio vecchio presto avrà quello nuovo. Sono solo alla C. Abbiate pietà.
Perchè, Barack, l' affascinantisssssimo Barack, quanti numeri cambierà? Dovrò chiedercelo, a quella del 12
.

E' così che piove.

Piove così e basta. E' un giorno strano di un pò festa e un pò no, Commemorazione dei Defunti, come è scritto sul calendario, il giorno dei morti, si dice così. La Princi a casa da scuola, il Liceale invece no, il Giurisprudente e la Biondina da qualche parte per casa, il JuniorIng già tornato al Politecnico. Si comincia così una settimana che sarà più corta del solito, lo vedi, lunedì è già quasi passato, a colazione si è guardato fuori e si è detto Che Meraviglia per darsi un tono, un bel mix di pioggia e nebbia sul pratino e sui fiori dell'ibisco che non ne vogliono sapere di smettere di sbocciare. Millemilioni di cose da fare, come sempre, e più di sempre, non se ne ha granchè voglia, se ne avrebbe invece di un libro e di una tazza di latte, o di quel thè prezioso che arriva da chissà dove, da bere, certo, soprattutto da annusare, come le rose, come la Coccoina, come i profumi che ti spruzzi in profumeria, questo che buono, questo sa di mela, ma che t'importa, hai sempre il tuo appiccicato addosso, persino sul telefono ne rimane un pò, non avrai esagerato? Piove e piove e basta, nulla c'è da dire, c'è disordine su questo tavolo, e quando lo noto io vuol proprio dire che non è in disordine, di più, ma in questo groviglio di gomitolipennefogliappuntipostitevidenziatoricd
burrocacao pastelli monetine una stringa
matitepile bigliettidellametro libri uncucchiaino l'iPod

ci trovo tutto il mio universo, e ho zero voglia di mettere a posto e allora e perciò senti le gocce sul vetro che rumore che fanno, come che cosa, non senti che piove.

Senza titolo.

I poeti lavorano di notte
quando il tempo non urge su di loro,
quando tace il rumore della folla
e termina il linciaggio delle ore.

I poeti lavorano nel buio
come falchi notturni od usignoli
dal dolcissimo canto
e temono di offendere Iddio.

Ma i poeti, nel loro silenzio
fanno ben più rumore
di una dorata cupola di stelle.


Alda Merini

31 ottobre, 2009

Il cielo che cade.

C'è un cielo così strano, quando è di nebbia. C'è una luce rarefatta, finta, come finta? sì, finta. Perchè la nebbia la filtra e te la fa arrivare non proprio brillante com'è. Ho perso le parole, mi ci sono inciampata e non riesco a dire quello che voglio. Mi succede di rado. Sarebbe un pomeriggio da divano e nient'altro. Mi piacciono così tanto i pomeriggi da divano, con intorno soltanto le cose che posso fare da qui. Leggere, dormire, un bel niente. Mi sa che è l'inizio dell'influenza, o che ne so, forse ho Saturno contro, i pianeti messi di traverso, o di traverso sono soltanto io. Non mi concentro, non ne infilo una, non mi riesce di formulare un pensiero corretto che sia uno, non che abbia sonno, ma è come se la nebbia di fuori mi sia calata anche nel cervello. Forse un Cebion mi salverà la vita, una coperta leggera e un momento di ferma, facciamo mezz'ora. Il tempo che mi serve a ripigliarmi un pochino, a non sentirmi un frullatore nella testa e gli occhi pesti.,che anche a girarli mi fanno male. La luce di fuori è sempre strana, le foglie appiccicate una all'altra, non è vero che scricchiolano se ci cammini sopra, oggi no, fa freddo, più freddo, mi sa che ho la febbre e mi ronzano le orecchie, mi succede sempre così quando c'è il cielo che cade.

29 ottobre, 2009

Pace fatta.

Con la Zimmerman, intendo. Dacchè è noto ai più che c'ho litigato parecchie volte, con la Signora, che il Coro degli Angeli La Accolga, tanto da credere di essere vittima di una fattura, un sortilegio, un incantesimo. Le altre del Knit, che fra l'altro c'è quest'oggi, hanno fatto di tutto, scialli e sciarpe e scarpette e teli mare, borse e copricapi, sacchetti per conservarci il riso, teli per coprire la bici, insomma, di tutto. E io, l'ultimissima della classe, quella dell'ultimo banco, ci sono arrivata da poco, alla fine, only the brave, lo so, ma anche only the zuccons, non so se mi spiego. Complice il mio figliolo Liceale, che si è finalmente accorto che la sua mamma non fa mica presine e babbucce della nonna, ma che riesce, in grazia di Dio, a fare anche delle cose che sono di gran moda in questo tiepido, meraviglioso autunno. E così, invidiosissimo dello scaldacollo per la moto che Afef ha fatto al suo figliolone, quello del tonno, per intenderci, timidamente ha fatto la sua richiesta E Io? Già, ettù? Agguantata che ebbi una lana morbidissima e preziosa, lo ben si sa che i colli dei motociclisti son così delicati, e che la sciarpa, orrore, non si mette nemmeno sotto tortura. Così, oggi, al Knit consueto del giovedì pomeriggio al Bio Cafè, ultimerò in tutta scioltezza lo scaldacollo per il Liceale Spilungone BelloComeIlSole. Dovrò spiegargli che è fatto in lana Merinos di Debbie Bliss, col Magic Loop di Elizabeth Zimmerman e coi ferri circolari di cristallo purissimo (!) KnitPicks? Meglio lasciar perdere. Gli uomini, di queste cose, mica ci capiscono. Per loro, sempre presine sono.

28 ottobre, 2009

Senza titolo.

Trovata così, nel cortile di una vecchia cascina, usata da deposito per vecchi mobili, carabattole che non vuole nessuno, scatole di latta, cestini di vimini, vecchie sedie, salotti di velluto stracciato, tavolini che stanno sotto gli acquazzoni, servizi di piatti spaiati, tazzine, portadolci, casseruole, ferri da stiro, una Olivetti, lampade e lampadari a goccia senza gocce, nè lampadine, nè niente. Sono andata lì per il mio progetto, ho scelto qualche mobile qua e là, un armadio, dei banchi, delle cose. Starò sospesa. Dirò e non dirò, come quando ho cose tanto belle da dire e che non dico, non so, per paura che scòppino, bolle di sapone, palloncini persi per aria, sogni schiacciati. E' così simpatico quest'omino, mi racconta sempre un sacco di storie, questo armadio viene da e questo organo, anche. Questo tavolo déco, non ha una gamba, ma non è bellissimo? Lo è, infatti. Questi posti mi affascinano, luoghi dove si accatastano tante vite e tante storie, e si intrecciano mille destini, mille facce, mille esistenze passate, forse, sparite, probabile. Mi piacerebbe sapere chi si è seduto in questo banco da chiesa, e quali preghiere e quali peccati, e quali mani hanno acceso questa lampada elegante, in quale salotto, da quale promessa sposa, o zitella iniacidita, o maestra di pianoforte, col ricamo in quel cestino di vimini, e la borsetta a mezza punto. E quale rosolio ha versato in questi bicchierini sbeccati e pieni di acqua piovana e di foglie, e di terra, e quali biscotti ha conservato questa scatola di latta con la Mole, offerti al notabile del paese, seduto all'orlo di questa seggiolina sbrecciata, che ci esce l'imbottitura da una parte, e questo appendiabiti, ha forse accolto il mantello del medico condotto, con quella borsa di cuoio, che veniva in visita alla signora malata, il viso sofferente tra i cuscini ricamati, intristiti dal tempo e dai topi, forse, ma una volta candidi e perfetti, resi immacolati dalle sapienti mani della servitù, che accompagnava il piccolo di casa all'asilo, la merenda in quel cestino con la chiusura rossa, e quel camion di latta, con la scritta Shell che si vede a malapena. Volevo una lavagna di scuola e un banco, di quelli di legno, in un pezzo solo, con il buco per il calamaio. L'omino della cascina non ce l'aveva. E quando ho visto questa insegna, abbracciata da mille rami di rovi umidi e foglie di vite vergine e tralci e terra, bagnata, pesantissima, l'ho portata via con me. Perchè nessun segno del destino è più forte di questo.

Da stamattina presto.

Arresa.


Avviso ai naviganti: non è un post a sfondo fetish, nemmeno per sogno. La realtà è che mi sono arresa. Tutti a dirmi ti ammalerai, lo vedi, hai già un pò di tosse, per forza, fa un freddo polare e tu giri ancora senza calze. Vero. Fino a due giorni fa. Poi, alla fine, un briciolo di buon senso e a malincuore ho capitolato. Non che le calze non mi piacciano, anzi, a pizzi, trine, righine e fiorellini, monastiche o da Grande Raccordo Anulare, coprentissime o velatissime, mi piacciono eccome. Solo, rimetterle dopo l'estate, con ancora un accenno di abbronzatura, mi sembra un delitto, ecco. E con la gonna e il cappottino, chi ti vede in ballerine e gamba nuda, potrebbe anche chiamare il 118. Ben perciò, ecco che ieri mi sono vestita di tutto punto, calze comprese. La cosa che più mi disturba, però, è l'avere imprigionato sotto un velo di filanca nera, quel portafortuna greco, che ho da mesi legato alla caviglia, quello coi campanellini, che non potrei fare un colpo al museo in stile Eva Kant, perchè appena mi muovo sono tutto uno scampanellio. Ma non lo tolgo, no che non lo tolgo, sono esperta di queste cose e i portafortuna acquistati per euro 2 nelle isole greche non si strappano per tirarli via, ma si aspetta pazienti che si sfilaccino e si tolgano da soli, sennò i tre desideri mica si avverano, lo sanno anche i sassi. Perciò, e va bene le calze, però quel cordino viola stinto, con l'occhio del mare e le perline di legno, nonostante la calza, rimane al posto suo. la campanellina non si sente quasi, ma l'effetto desiderio è assicurato. Mica posso andare contro il volere degli déi.

27 ottobre, 2009

Di nebbia, mercurio e stelline.

Lo so bene che è impopolare,ma a me la nebbia piace, e anche tanto. Sarà perchè ci sono nata, ricordo certe nebbie a lenzuolo, che non si vedeva neppure la casa di fronte, e il pulmino giallo che mi portava a scuola appariva solo all'ultimo, mica dal fondo della strada, eppure era giallo, colore che non sopporto, che non è nella mia palette di colori, di giallo non ho proprio niente, anche se compro cose gialle, in realtà, ma le regalo, alla Cognata del Mio Sposo, che in realtà era mia, insomma una faccenda complicata, ma così. La nebbia di stamattina era bellissima, era la prima, o la seconda, non so e mi rende tutto così bello e magico, che perfino il suono delle campane mi arriva come incartato, nella velina, quella che scriccchiola un pò, da avvolgerci le tazzine nel trasloco, viola, magari, quella da incartarci i regali, quelli che vedi e anche quelli che non vedi, che non occorre incartare, che sono i baci, le carezze, le parole e i silenzi e i pensieri, anche quelli, che lanci lontano, che non riesci ad afferrare e a dar loro un senso, come quella volta che ho rotto il termometro e il mercurio e scappato via sulle mattonelle, e io cercavo di fermarlo ma nemmeno tanto, perchè volevo vedere lo spettacolo che non mi sarebbe ricapitato di certo, tutte quelle palline impazzite e anche il Liceale di pochissimi anni lo guardava dal lettino, era a lui che misuravo la febbre quella volta, e mi ha chiesto Ma Sono Stelline? massì, le stelline del termomentro, e da quella volta mai che si sia fatto pregare per farsi misurare la febbre, e si teneva stretto quel termometro sotto il braccio e so che in cuor suo sperava che di stelline ne uscissero ancora e che la sua mamma, fatina distratta, ne facesse uscire ancora, nonostante gliel'avesse menata per mesi, col cucchiaio dell'antibiotico, Ti Ricordi Le Stelline, un attimo prima che esso, l'antibiotico, venisse sputato nel ficus banjamin. Divago, stamattina, che passo dalla nebbia all'antibiotico e di cose da fare ne ho una tonnellata e una tonnellata ne ho fatte di già, ma mi sono fermata un attimo a leggere le notizie, e ho bevuto un caffè solinga nella mia cucina, e che guardavo di fuori e pensavo che forse si potrebbe mettere l'erica nei vasi perchè la salvia e il basilico sono disintegrati come i cachi che ho comprato ieri all'Esselunga e sono volati giù dal nastro della cassa e la cassiera lo so mi voleva strangolare lì per lì, e avrebbe anche potuto accoltellarmi, tanto poi arriva l'omino con la segatura e cancellava ogni traccia, me che oca che sono questa mattina, che mi specchio nello specchio (ovvio, e dove se no) del forno e volteggio e canticchio e di stirare nemmeno per l'anticamera, farò una torta, massì, e missà che un pò di quel mercurio, quella volta là, mi è finito nel cervello, ecco, ora si spiegano molte cose.

26 ottobre, 2009

Cadeaux.

La luce orrenda, la foto pure. Ho fretta, ci s'accontenta, questa casa è un delirio, due giorni lontano dal focolare domestico, ma quale focolare, fa un caldo feroce che sembra aprile, due giorni lontano da qui e la si paga, ossì che la si paga. Ho fretta, millemilioni di cose da fare e star qui a cincischiare e a baloccarmi con le cose comprate a Parigi, coi regali ricevuti, ancora???eppure il mio compleanno è passato da un pò. Regali e regali, questa pennina dalle mie AmicheTutte, me l'hanno data ieri, Avevamo Visto che Ti Piaceva Tanto, ed è vero, che donne sono che scoprono e sanno quando una cosa mi piace e anche tanto e che pensiero morbido per me. E' una penna da pucciare, non so come si dice in francese, non ha mica le cartucce, ma un botticino di inchiostro che sembra uscito da Il Nome Della Rosa, che sa di viola perchè è viola, e scrive viola, pensa un pò. E sì che mi piacerebbe stare qui a raccontare di quei boulevard, signora cara, e tutti quei gomitoli, e quei negozi di fiori sul lungoSenna che mi sarei portata via un cinque vasi e mille mazzi, ma di mazzi, mi aiuti a dire, me ne devo fare uno soltanto e qui, dacchè la mia umile magione, in grazia di Dio, non è più in stato di magione, dopo due giorni di giustificata assenza. Così, racconterò più in là di quel che è stato, di knitting e chiacchiere oggi non se ne parla proprio, devo girare come una trottola e occuparmi testè del mio Sposo e dei figlioli, e rimpinguare il frigorifero saccheggiato e dare un senso alla lavanderia. Un cul a cabane, madame. C'est ça.

Laggìta.

E tutti curiosi come scimmie, a scrivere, a chiedere e allora? e allora? com'è andata, che avete fatto, che c'avete combinato lassù, e poi, e siete andate lì e siete andate là, e avete visto questo e poi, invece? Dirò e non dirò. Siamo state così bene che non ci sembrava neanche vero, una specie di gita scolatica, per quasi tutte, mogli e madri, diciassette figli in sette, non so se mi spiego, era la prima volta che si andava via senza corteo di figli e mariti. Uno spasso vero. Siamo passate indenni persino attraverso le dodici ore ( sì, dodici ore, ho scritto giusto), passate in aeroporto venerdì, causa dannatissimo e stramaledettissimo sciopero che ci ha rosicchiato una giornata intera di quai, di quoi, di combien, di faubourg, di gare, di métro. Ma noi, stoiche e granitiche non ci siamo fatte minimamente scalfire e siamo state lì, noi si va apparigi, e da qui non ci muoviamo. Bello. Ora, quel che si vede è questo qua. Notre Dame de Paris, senza gobbi e esmeralde, e noi 7. Il cuore del Cuore. E quindi, con enfasi le presento al Grande Pubblico. Da sinistra, l'Amica delle Provette, Biancaneve, MeStessaMedesima, l'Amica delle Perle, Afef, la Milanesa, e Knitaly. Sette meraviglie del mondo, sette donne fatte che qualchevolta tornano in quarta superiore, sette cuori colorati, sei Amiche che adoro e ringrazio, sei abbracci in fila, e sei sorrisi e sei voci, che hanno per me attenzioni speciali, che sanno di me tutto quel che da sapere c'è, e che con me hanno inventato qualcosa. Sette Cuori A Parigi. Da farci Un Film.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...