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15 febbraio, 2009

La mia compagna di banco.


Non l'ho mica riconosciuta subito. Una bella voce squillante, da bimbetta, la sua, quella che ha avuto sempre. Ho fatto un salto sulla sedia, che stavo litigando con un pattern in inglese, ma neanche inglese, in greco antico, mi sa che non ci ho capito una beata e che invece di una scarpetta ci salterà fuori una presina. Mi ha chiamato la mia compagna di banco. Quella che ha fatto con me, prima che andassi via, quattro anni delle superiori, un pò davanti, un pò dietro, spesso alla destra o alla sinistra, i banchi erano da tre, mica da due, e potevi averne anche due di vicine di banco, una cosa furba, un lusso in un certo senso. Ci siamo divertite tanto, abbiamo litigato tanto, abbiamo fatto gite e canti sguaiati e pianti nei cessi, e abbiamo ripassato febbrilmente, ci siamo passate compiti, io la brava di italiano, lei e la Manu le brave di matematica, e bigliettini e scritte sul banco, e assemblee, e scioperi, e giustificazioni e cuori trafitti e cineforum e merende divise e alzate di mano, e discussioni. Mi ha chiamato la mia compagna di banco e mi ha fatto venire un magone che mi piace, e mi sono stupita che non mi abbia chiesto i compiti che ci sono domani. Ha figli lei, ho figli io, è passato un secolo, ma oggi ho sedici anni, ho qualcuno che non mi ha scordato e che non ho scordato mai, e ho un cuore felice che balla e sorride.

20 luglio, 2018

Le Righe di Terza.


Ero sempre così concentrata nelle prove di bella scrittura. 
Stavo attenta a toccare tutte le righe, a pensare bene dove dovevo andare, quale riga dovevo toccare, se stare in quella sotto o superarla, o andare giù o fermarmi a metà. 
Niente ti insegna a scrivere bene come le righe di terza.

Ero una bambina coi capelli lunghissimi, il colletto di pizzo, il grembiule nero e lo scudetto al braccio con scritto III e avevo una compagna di banco che si chiamava Claudia. 
Una volta le nostre mamme ci comprarono senza saperlo le stesse scarpe di vernice col cinturino. Eravamo felicissime e ci sembrò un’ingiustizia quando la maestra ci cambiò di posto, avevamo le stesse scarpe, come osava. 

La mia terza elementare la ricordo a sprazzi, ero incaricata di ritirare i quaderni e cancellare la lavagna. Perché, spiegava la maestra a mia madre, Se Non la Faccio Alzare, Chiacchiera Troppo.

I miei pensierini  erano sempre quelli appesi nel Cartellone dei Pensierini che si faceva ogni mese.
Non sapevo fare i problemi, nemmeno quelli La mamma ha 2 dozzine di uova, e ne rompe 3 , per dire.
Ma scrivevo bene. Forse, era merito delle righe di terza.

Sono righe strane, non comuni, non so nemmeno se si usano ancora. Non ho più figlioli alle elementari e credo che l’ultima nemmeno li abbia usati a scuola, glieli facevo usare io a casa, affinchè si esercitasse a scrivere bene, con una bella grafia, che è importante scrivere ordinate e bene. Non so se ci sono riuscita, ma i messaggi di mia figlia sulla lavagna della cucina mi spiace sempre cancellarli.

Le righe di terza non è vero che ti fanno sacrificare le lettere, forse si schiacciano un pochino, ma tu devi dare alle lettere la giusta rotondità, perdonarti un pò quando non tocchi la riga in alto, e andare lentamente con la penna o con la stilo, in modo da pensare bene a quello che scrivi.
E prima di scrivere devi avere chiarissimo quello che devi dire, le parole hanno un senso, un peso, un colore e un modo. Feriscono, abbracciano, cullano e uccidono.  Sanno consolare e strangolare, sanno essere salvezza e condanna,  carezza e schiaffo, ambrosia e fiele.

Scrivo spesso a mano, scrivo biglietti e appunti e le poesie che so a memoria, una volta in treno ho scritto un pezzo dell’Adelchi che so a memoria, perché non avevo un libro e nessun lavoro a maglia, e credo che la mia vicina sbirciando avesse detto, Questa è Scema.

Le righe si terza mi hanno insegnato a scrivere meglio di quello che so per certo, con le maiuscole quando serve perché le maiuscole vogliono dire educazione, le minuscole invece sono un esercito di piccoli soldati che insieme fanno una pagina di sillabe e le sillabe parole e le parole pensieri e i pensieri quel che ti detta l’anima, il cuore, il sentimento e i suoi inganni, la vita stessa, la mente e i suoi disegni,  il mondo intero.

Ho trovato un quaderno mai usato, ho provato a scriverci e le mie parole sono rotonde, maiuscole e minuscole, non escono dai bordi, stanno a margine ordinate, scivolano fuori dalla penna, nascono dall’inchiostro come piccolissimi arabeschi, disegnano un romanzo mai scritto e obbligano a scrivere lentamente, anche ascoltando l’impercettibile fruscio del pennino sulla carta Fabriano.

Ho mille cose sparse in giro, alcune già caricate su un furgone, tutta la mia vita, quella dei miei figli e di tutte le cose che ho fatto, altre case, cartoline, feste, biglietti, fotografie nastrini e cose, il mio cappellino da sposa con i fiori rinsecchiti,  e ogni cosa un racconto, un'immagine di persone lontane o vicinissime e sensazioni e ho troppe cose e non posso fermarmi ma mi siederei qui, fra la scatola dell'Allegro Chirurgo e gli spartiti e i dizionari e farne  un racconto lunghissimo, scritto in bella scrittura, lentamente, su un quaderno a righe di terza.

09 luglio, 2006

Era l'anno dei Mondiali...


...quelli dell'82, però. L'anno del mio esame di maturità. Non un grande momento, per me. In una città che ancora non amavo e che vedevo troppo grande ed ostile, con compagni che non mi amavano e che non mi avrebbero amato mai. Per loro, ero soltanto una sciocca provinciale, con tutte le E larghe, tranne quella di verde. Non ne ricordo nessuno o quasi e sono certa che nessuno di loro si ricorda di me. Avevo troppa confusione, troppa solitudine e troppo dolore da mangiare. A diciannove anni, non è un granchè. Ma ricordo, lucida quella sera di luglio. Venticinquemila lire per il biglietto dei Rolling Stones. Ho gli orali il giorno dopo, ma posso mancare? Ho i capelli legati con un nastrino tricolore che ho preso dal fioraio, ho sempre avuto la mania dei nastrini. Ci vado con la mia compagna di banco e due amici del mare. Saremo lì dalle 3 del pomeriggio, farà un caldo infernale e ci bagneranno con gli elicotteri. Mi porto gli appunti di economia, e provo anche a ripassare. Non servirà. Avrò 5 di economia e 9 di italiano. Forse, ho sbagliato qualcosa nella scegliere un istituto tecnico, lo dicevo io, ma non l'ho scelto, purtroppo. Forse, una secondogenita senza papà ha mai fatto un liceo? Alle 9 arriva Mick Jagger, ha la maglia degli azzurri e lo stadio insorge. E'stata una sera speciale, di confusione e di bandiere, di quelle sere che non scordi, e che ancora racconti, dopo anni, ventiquattro, appena ieri. Quell'anno, abbiamo vinto i Mondiali. Dopodomani i Rolling Stones saranno a Milano. Non dico nulla. Non ho mai imparato l'economia, cito Dante a memoria e ho sempre la mania dei nastrini. Mia figlia sta infilando da stamattina braccialettini tricolori per tutti. Per una sera che sarà speciale. Forse, un pò di più.

18 febbraio, 2010

Ode alla Pastiglia Valda.

Le ho ritrovate da poco. E' un articolo prettamente invernale, del quale non si può proprio fare a meno, come il Vicks e la Citrosodina. Cura un pò tutti i mali, dalla tosse al raffreddore, al mal di gola, che non è vero niente, ma ti basta succhiarla un pò per sentirti già meglio. Esistono due scuole di pensiero: c'è chi la consuma singolarmente, una per volta, e chi invece, a due a due. Già la scatola di latta è un must, ne puoi fare collezione, se vuoi, e tenerci i bottoni, i marcapunti, gli spilli, se ne possiedi. Aprire la scatoletta, ruotandola leggermente e sollevandola con grazia è già puro piacere, anzi, il piacere inizia già da prima, quando si sente dal fondo della borsa uno sbatacchiare discreto, che ti fa ricordare che sono lì, Vuoi Una Caramellina? La pastiglia Valda si estrae dalla sua sede con eleganza, a due a due, appunto, perchè quella è l'unità di misura, uno vuol dire due, da mettere insieme e far combaciare la base con millimetrica precisione, ci hai fatto caso, sono fatte a pino, dimmi che non lo sapevi. Essa, la pastiglia, si lascia sciogliere con pazienza, si toglie via tutto lo zucchero e si attende l'esplosione della menta che non tarderà ad arrivare. Mia nonna mi diceva Disinfetta, e in realtà la sensazione è proprio quella, l'aroma deciso di clorofilla e erbe balsamiche si sprigiona con deliziosa sfacciataggine e rende il nostro respiro corroborato, salubre, balsamico, appunto. Non importa se hai il raffreddore o non ce l'hai, la Valda si presta a una quantità di giochini che conoscono tutti, tipo quello di succhiarla un pò e poi mettersela al dito come uno smeraldo, come faceva la mia compagna di banco delle elementari, oppure tracannarci un bicchierone d'acqua subito dopo, per provare quella sensazione di vuoto glaciale che si ha dopo un esperimento come questo. Son cose. Ma la vera magia è quando le pastiglie sono finite e sul fondo della scatola rimane tutto quello zuccherino mentoso, e allora, col dito, si compie una circonferenza tutt'intorno e poi, a piccolissimi, impercettibili colpetti, si raccoglie con l'indice, che si succhierà con grande contegno. Certo, ci vuole allenamento. Da farsi al chiuso, però, e senza spettatori, che simili esercizi in pubblico, signora mia, non è mica tanto elegante sa?

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...