E' il delirio. Una bicicletta insignificante, leggerissima. E l'acqua. Una lezione di aquabike è quanto di più faticoso si possa inventare per trascorrere un'ora. O due, come mi succede da qualche tempo. Serve un costume e una buona dose di autolesionismo. Spinning in acqua, per intenderci. Una meraviglia. Faticoso certamente, ma si esce da lì, rigenerate, endorfiniche, felici. E ben sode, il che non guasta. Nient'affatto.
31 marzo, 2006
E chi lo ha inventato.
E' il delirio. Una bicicletta insignificante, leggerissima. E l'acqua. Una lezione di aquabike è quanto di più faticoso si possa inventare per trascorrere un'ora. O due, come mi succede da qualche tempo. Serve un costume e una buona dose di autolesionismo. Spinning in acqua, per intenderci. Una meraviglia. Faticoso certamente, ma si esce da lì, rigenerate, endorfiniche, felici. E ben sode, il che non guasta. Nient'affatto.
Ore 10.
Non è male prendersi quei 10 minuti 10 di pausa, in una mattina di quasi week end, quando si viene in ufficio coi jeans coi brilli, chissà perchè, un messaggio al mondo per dire, guardate che sì, sto lavorando, ma solo per oggi, e poi mi aspettano 2 giorni di scialo. La pausa può essere di varia natura, un caffè, un thè verde, una mela verde anch'essa, uno yogurt. Parlo, per i plotoni di fanciulle che in vista della prova costume fanno uno sforzo sovrumano per non addentare la vetrina di brioche appena sfornate, o le torte fragranti preparate per la colazione dei figli. Lo yogurt è un buon compromesso. a gusto esotico o al malto d'orzo, soddisfa e tacita anche le fami più ataviche, quelle nutrite, com'è noto a bresaola e foglioline di rucola. Con tanto limone, e con la bottiglia dell'olio, quello calabrese, buonissimo, profumato, passata sopra. Col tappo, ovvio. Lo yogurt asseconda e mette l'anima in pace, chiudendo gli occhi si può immaginare non già uno scodellino di plastica, tristanzuolo, in realtà, ma una lussuriosa coppa di gelato Haagen Daz o della gelateria della piazzetta, quella che fa il gusto bacio coi Baci interi.
30 marzo, 2006
L'idea malsana.
Capita qualche volta che gli umani vogliano in ogni modo possibile e immaginabile, ma anche in quelli impossibili e mai immaginabili, complicarsi la già non proprio semplicissima vita. Niente da dire fin qui.
La zeppa.
La zeppa, è risaputo, ha il suo perchè. Guardata con sospetto dai più, idolatrata dagli stilisti, coccolata da chi, come la scrivente, non ha molta confidenza col tacco a stiletto e, anzi, lo trova piuttosto volgarotto, diciamocela tutta. La zeppa è IL compromesso. Rende regale un completino da segretaria, azzardato ma d'effetto l'abbinamento al gessato da CdA, assolutamente stellari con capri pants floreali o a quadrettini Vichy, che fa tanto primavera, cara la mia signora. Da non sottovalutare il lato estetico della questione. Allunga la coscia, alza il gluteo e mi va a conferire, con l'andatura esotica, quei 10 centimetri in più che male non fanno, nemmeno ai miei 170. Must have della prossima primavera, ma anche di oggi medesimo, merita un attento esame della vicenda specifica. E, all'uopo, oggi giro di ricognizione per farsene un'idea.
Direi che va bene.
29 marzo, 2006
Assolutamente no.
Il vero mistero è: ma chi ha iniziato? Non per fare la maestrina, stamattina sono sul classico, lo si sa. Ma non mi sta completamente in testa, o meglio, non capisco che bisogno ci sia mai. Dell'intercalare, intendo. Chi fu quel tale che per primo usò l'aberrata espressione "voglio dire"? A parte la Ventura, che detesto di cuore e che fortunatamente non incrocio più di tanto, non guardando la televisione quasi mai. Certo, bravissima: tenere in piedi un discorso a base di voglio dire, ecco, no? e altre amenità, non è roba per tutti. Vuoi dire? Allora dillo. Sono le sei, voglio dire. Ecco, l'hai detto. Erede dell' ormai vetusto cioè, il voglio dire si è insinuato beffardamente nel nostro parlare comune. Non chiaro se sia un rafforzativo, una presa di tempo o cosa diavolo. Cerco, non lo sopporto. E non è da meno l'altra chicca che la grammatica italiana ha scoperto di avere e che usa a dismisura. L'Assolutamente Sì. Ora, l'affermazione sì è, fin dai tempi antichi sinonimo di sè stesso. Sì, e basta. Sì, punto. Assolutamente ce lo abbiamo aggiunto così, per vezzo, per pura inutilità. Sì non può essere assolutamente. Altrimenti sarebbe un sìissimo e, da quanto ne so, non si può fare un superlativo assoluto di un'affermazione. Assolutamente no. E se mai dovessi sposarmi una seconda volta (e speriamo di no), alla domanda di rito potrei rispondere Assolutamente Sì e poi girarmi a guardare la faccia del mio Sposo e degli astanti tutti.
Odore di dicembre.
Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...
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C'era un libro, una volta, così intitolato. Mi pare fosse di Luca Goldoni, indagherò. Colgo l'occasione per spiegare. In realtà da s...
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La Casa in Collina, con tutti i suoi abitanti, era da sempre teatro di storie e leggende, di piccole e grandi tradizioni, qualcuna impara...