26 aprile, 2006

Di corda, di paglia e di tricot.


Chiamarla Bibbia non è sacrilego. Semplicemente, la è. Ad ogni cambio di stagione, Elle insegna, per tempo e per benino, come muoversi, cosa comprare e dove, le cose che piaceranno, i cocktail che si berranno, le spiagge da non perdere. Si legge e si sceglie. Se averle oppure no. Di solito, sì. L'estate che sta arrivando porta con sè, accidenti, una fresca ventata di cose che, c'è da farci la firma, personalmente adoro. La corda, le zeppe, le ceste di paglia, il tricot. Basterebbe già per un accenno di valigia. Non serve altro. Parei di mille colori, da usare addosso o per stendersi, camicie candide, ceste enormi, magari con fiorellini applicati, occhiali non banali, zero gioielli zero, al massimo un braccialettino coi sonaglini, ma ho già provveduto. Coraggio, l'estate arriverà, tra non molto. Giusto per portarmi avanti, i miei must della stagione, o meglio, alcuni di essi, ce li ho già. Ho un aureo costume, tanto per cominciare. Da non abbinare all'aureo pareo per scongiurare l'effetto gianduiotto. Poi ho i miei Ray Ban rosa dello scorso anno. E siamo a due. Di seguito, ho un cestino da picnic, di quelli superlusso che desideravo da sempre, con i piatti veri, le posate vere e non già di plastica, un tagliere e il suo bel posticino per tenerci al fresco una bottiglia di qualche cosa, coi suoi bravi calici, veri anch'essi. Puro lusso. Direi che ci siamo quasi. A giudicare dalla quantità del bagaglio che segna le mie partenze, tutto questo è poca cosa. Ho due mesi di tempo per fare il resto. Questo significa avere il senso della pianificazione e dell'organizzazione più pura. Ma tutte le volte che parto mi dico, quest'anno mi porto pochissimo. Di solito non dico bugie. Ho detto "di solito".

Il curriculum, mandalo a me.


No, anche lui. Dopo Mentana, anche lui se ne va da Mediaset. Ben vi sta, mi vien da dire, ve lo siete meritati. Mi dispiace. Sposini mi piaceva. Cioè, mi piace. Perchè ha sempre le gambe incrociate e le braccia conserte, da professore un pò scazzato, si può dire?.Che dice le notizie più atroci con innata classe e segue i servizi sul monitor come se fosse il filmino di nozze del cugino Mario. E un ghigno beffardissimo, e una faccia simpatica e signorile, austera e un pò da vicino di casa che preghi ogni sera che gli manchi un limone per la bresaola. Oppure che so, da incontrare al parco mentre porti a spasso il cane, è un labrador anche il suo, ma che carino e via così. Che roba. Sembra che sia disoccupato, alla data. E che mandi i curriculum a destra e manca. Ebbene, mi propongo. Non so bene che tipo di lavoro, ma ci posso pensare. Diciamo una mezzoretta. Potrebbe fare i temi ai miei figlioli, provare le tabelline all'Infanta, accompagnarmi a fare la spesa. Forse, il mio sposo proprio contentissimo non sarebbe, ma vuoi mettere, il figurone all'Esselunga?

Cento di questi post.


Cento. Proprio 100. Cento confessioni, cento frivolezze, cento storielle da niente, cento pensieri liquidi che escono di qui e volano, lontano o vicinissimo, non importa molto dove. Cose che faccio, che dico, che vivo e che ho ascoltato, che ho sofferto e che ho voluto, che ho pensato, pianto anche, giocato spesso, amato, sempre. Perchè è l'amore che muove tutto. Per i libri, per scrivere, per le persone attorno a me, per la mia casa, i miei gatti, il cane e il pettirosso, le mie cose più nascoste, quelle vere e quelle finte, quelle serie e quelle no, quelle di carta e quelle di plastica, quelle di vetro da guardarci dentro come le biglie, e di lana pesante, che scaldano d'inverno, quelle dorate per le sere con la luna, quelle d'argento per la notte di Natale, quelle di sole, per il mare che ho dentro, le cose più mie, quelle che penso prima di dormire, quelle che trovo sul cuscino al mattino, quelle che tengo per me, quelle che preparo per le feste, quelle che aspettano le fate coi campanelli, quelle che fanno bene al cuore, quelle che inforno coi biscotti, che mescolo al latte, che ricamo per me. Quelle che vedo dalla finestra, che trovo al supermercato, che colgo nel mio giardino. E' l'amore da raccontare, da tenere nascosto, conservare per quando se ne avrà più bisogno, come il pane , non ce n'è mai abbastanza. L'amore per le storie che vivo, le più banali, le più sciocche e le più grandi, importanti e splendide. Non vorrei che andassero perse, le ho amate troppo e così le scrivo, le fermo e le regalo, a chi le vuole, a chi le ascolta e a chi le legge, a chi sa e a chi non sa, a chi capisce e a chi no, non fa niente. Tutti, proprio tutti, sanno che dentro ogni post, ogni foto e ogni racconto, c'è tutto l'amore che ho. Sincero e lucido, preparato con tutto, proprio tutto l'amore che c'è. Teneteli lì, vicini, comprateli, a mazzi come i tulipani, a dozzine come le rose e le uova, a mazzolini teneri come le viole, a chili come le Fragole. E che siano, non c'è di che, Infinite.

L'uomo dei Tulipani.


Era la dichiarazione d'amore più tenace che il porto di Amsterdam avesse mai ascoltato.
Era la promessa di un'attesa eterna, era la dichiarazione incontrovertibile della loro unità. Erano fatti l'uno per l'altra e niente li avrebbe separati.
Era un arrivederci.
Certi anni passano come gli attimi.
Era un addio.
Certi attimi non passano mai.
Lorenzo Marini, L'Uomo Dei Tulipani

25 aprile, 2006

Il Lapo cattivo.


Eccolo, il Lapo. Avvistato questo week end a Portofino, in lino stropicciato ed immancabile basettone da rockstar. Intendiamoci, Lapo mi sta simpatico. Non lo trovo nè bello nè affascinante, non è il tipo mio, direbbe mio marito, ma mi è simpatico. Mi è dispiaciuto dell'incidente occorsogli, e che tanto ci si abbia ricamato sopra, con particolari che il buon gusto e la buona educazione forse avrebbero dovuto far tacere, ma si sa, l'Italia è un paese di santi, poeti e di gossippari e allora via ai dettagli, era in guepière, c'era questo e c'era quello. Il rampollo Agnelli sembra, in questo week end, che abbia una buona cera. Accompagnato da due amiche, femmine di razza bianca, ha fatto un giretto a Portofino. Prima uscita pubblica italiana, mi sa, dato che tutti ma proprio tutti hanno notato che, alle Olimpiadi nella sua città proprio non si era fatto vedere nemmeno per sbaglio. La Famiglia, forse, ha pensato bene che non era cosa. Dopotutto era (l'imperfetto è d'obbligo, purtroppo) l'Uomo Immagine del Gruppo Fiat. Che poi abbia fatto uno scivolone, annusato troppo, frequentato personcine che forse l'illustre Zio e neppure l'imbalsamato Fratello condividerebbero, beh, questa è storia nota. Ma un appello vorrei fare al piccolo Lapo. Torna. Torna, guarito, coi tuoi cravattoni da una piazza e mezza e le tue basette con l'extension, la camicia fuori dai pantaloni e quella tua aria gigiona, i congiuntivi a casaccio e quel sorriso sornione da sette in condotta. Torna, fatti una fidanzata come si conviene, daranno i numerini come alla posta per questo incarico vacante, fatica certo non farai. E torna a produrre, Lapo Elkann. Senza di te, non si sa proprio che felpa comprare, la prossima estate. E va bene così, senza parole.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...