24 giugno, 2006

Cinquemila.


E grazie. Delle cinquemila volte che avete letto le mie cose, perchè proprio non saprei come chiamarle, cose, ecco. Delle cinquemila volte che avete detto, massì, andiamo a leggere che cosa ha scritto questa mattina. Delle cinquemila volte che avete un pò spiato, un pò vissuto, un pò guardato dal buco della serratura. Delle cinquemila volte che avete un pò riso e un pò pianto, un pò stampato le "cose" per averle sempre lì, un pò ricopiato le improbabili ricette, condiviso o dissentito. A tutti, grazie mille. Ma che dico, CINQUEMILA!!!!

E poi, alla fine.


Anche il sole si è deciso. Oggi, estate piena. La meraviglia pura. Una brezza leggera, che ti fa decidere se spiaggia, piscina, o il nulla liscio, un libro all'ombra, o guardare in sù, a niente fare. Pensieri, parecchi, e confusi, perlopiù. Mi dico che in posto così, con un cielo così e un mare così, non ci può permettere nemmeno per un secondo di stare male. Infatti, non è esatto. Non sto male. Non io, almeno. E visto che sono abituata a condividere, con la mia ristrettissima cerchia di persone care, ogni risata, ogni sospiro, ogni lacrima, ogni sorriso e ogni singhiozzo, oggi vorrei essere accanto a chi di me forse un pò avrebbe bisogno, per non sentire il rumore che fa il suo cuore, per asciugarsi gli occhi, per sentirsi forse, meno sola. Da dire non ho niente, scrivo e scrivo, ma nei momenti giusti non mi esce niente di appropriato, non sono brava, ecco. Pasticciona. Ma è da stamattina che mi ronza in testa la frase di una canzone di Ligabue. "Quando il cuore senza un pezzo il suo ritmo prenderà." Perchè lo riprenderà, acciaccato, aggiustato, ma lo riprenderà. C'è da scommetterci.

22 giugno, 2006

Corni da nebbia.


Un pò Jane Eyre, un pò Anita Garibaldi. Però, che fascino. Stamattina non mi stupirei se vedessi su Maddalena le guglie del Duomo. E ieri, dal porto, questi corni da nebbia dei traghetti, sordi e un pò sinistri, mai sentiti prima. Certo, non è bel tempo. Dirò. Che magari oggi cucinerò qualcosa di complicato, forse anche una torta per gli infanti, e magari andremo a vedere La Tomba del Gigante, che altro non è che un ammasso di sassi, ma che già il nome mette una certa agitazione. Dirò. Che questa estate beffarda, incerta e strana non finisce di sorprendermi, nel bene e nel male. E soprattutto dirò, dal profondo del cuore, una frase che ho trovato in un libro da ragazzina, ricordo vagamente il contesto, ma che ho portato con me, negli anni, e che ho persino ricamato per la camera dei miei figli appena nati. "Ogni bambino che viene la mondo porta il messaggio che Dio non si è ancora stancato degli uomini". A chi sa.

21 giugno, 2006

Giugno, Ventuno


Più che solstizio d'estate sembra Santa Lucia. O San Martino, meglio. La nebbia, infatti impedisce questa mattina la vista della Maddalena, di solito proprio lì, da spolverare. Non è importante. In questo posto, anche la nebbia ha un suo fascino. E in attesa di una maestralata che spazzi via tutto e ci restituisca il cielo di raso che siamo soliti vedere, vediamo di organizzarci la giornata. Un'amica, ieri, accingendosi a preparare la valigia per le sue vacanze, mi ha chiesto novità dalla Costa. Onorata di essere stata investita da cotanta responsabilità, ci ho riflettuto. La vera novità è che non ci sono novità. E vado ad illustrare. Niente di stravolgente, per l'estate duemilasei a quanto pare. Sembra infatti che si prediliga il classico, il certo, e che la semplicità sia la protagonista. A parte le zeppe di sughero che le più lungimiranti modaiole portano, modestia a parte, da anni, sono le cose già viste ad essere di tendenza. Le solite Havaianas, le solite, ma mica tanto, ceste di paglia. Dopo un solo giorno sulla spiaggia, ecco il mio frettoloso ma veritiero resoconto. Certo, sarà ben più dettagliato quando le spiagge saranno un tantino più affollate, e magari la temperatura salirà un pochino. Ma come recita un antico adagio "Meglio la nebbia in vacanza che il sole a picco in città". Se non erro.

20 giugno, 2006

Niente male.


Arrivati in tutta scioltezza. La famiglia a ranghi serrati, "solo" 2 figlioli e "solo" un micino, Philadelphia, ancora troppo piccina (o piccino????) per stare a casa accudito dai vicini. La nostra fama deve averci preceduto, a sorpresa, in nave ci è stata assegnata la Suite Imperiale Dodici Stelle Ultralusso TipTap Gold, che tradotto vuol dire un letto matrimoniale e due lettini. Viola, per giunta. Si vede che si sono detti, beh, questi qua sono stati già abbastanza bersagliati nell'ultimo mese, facciamoli iniziare le vacanze comme il faut. Certo, arrivavamo da Vienna, il che vorrà ben dire un qualche cosa, no? Che dire, tutto liscissimo, più che perfetto. C'è un solino smilzo ma niente ci fa, ha fatto freddo fino a ieri, si racconta. Così, in questo primo pomeriggio di un giugno qualunque, dò ufficialmente inizio alle vacanze duemilasei. Che ne sarà di me ancora non mi è propriamente chiaro, considerando che, così, tanto per dirne una, la deliziosa signora peruviana alle dipendenze della mia turbolenta famiglia, ha ben pensato di rassegnare le sue dimissioni circa 6 ore prima della nostra partenza alla volta dell'Isola. Un gioco da ragazzi. Si sopravvive, certo. Ho giusto comprato un set di spugnette viola ciclamino che si intonano a meraviglia con il rosa del lavandino genovese (e sottolineo, genovese) della cucina. Se Cenerentola dev'essere, che sia quantomeno con una discreta dose di charme. Dovrò solo risolvere il problema del Cif. Il giallo, signora mia, è troppo out quest'estate. Anche in Perù. Ma questo, avrei dovuto immaginarlo.

19 giugno, 2006

Sanno.


Di biscotto e borotalco, quando rimbocco loro le coperte nelle notti d’inverno, quando mi sveglio e vado a guardarli, il respirare tranquillo e i loro sogni segreti dietro le palpebre chiuse, le ciglia lunghissime immobili, una specie di sorriso addormentato. Sanno di sonno e di pigiama, la mattina presto, a tirarsi le coperte oltre la testa e a dire no, ancora cinque minuti. Di vento, quando tornano a casa, il motorino lì fuori, il casco in mano e le lacrime di traverso agli occhi, quelle innocue però, quelle che l’aria e i moscerini. Sanno di buono, di matita temperata, di mani sporche di terra e di inchiostro, di thè alla pesca e di dentifricio. Sanno di appena stirato, di fresco e di baci, quelli veloci dei saluti, non fare tardi e comportati bene, quelli più caldi delle coccole, i baci che consolano, ho preso 5 mamma, e ho studiato tanto, sono caduta dalla bici, ho sbagliato un rigore. Sanno di pioggia, di acqua calda, usciti dalla doccia a gocciolare in giro, la festa è tra poco, di aria calda del phon, di deodorante, di profumo rubato ai fratelli più grandi, al loro padre, a me. La camicia delle grandi occasioni, quella bianca dei diciottesimi e delle cresime e delle comunioni, magari coi jeans strappati e le mutande di fuori. Sanno di neve, le guance rossissime e gelate, le labbra bianche di burrocacao e il casco fucsia, il pile per non prendere freddo, il numero per la gara e l’emozione che ho nel guardarli venire giù. Sanno di sale, sanno di mare, di crema e di cocco, di sabbia e di Cornetto Algida. Sanno di quaderno nuovo, di bagnoschiuma alla ciliegia, di balsamo per i capelli e di cioccolata. Sanno di me. E ogni volta, ogni singolo giorno, nonostante le urla e le sgridate, ogni volta mi ritrovo a raccontarmi di quanto li amo, di quanto stia bene insieme a loro, di quanto li veda crescere e cambiare, di quanto siano per me la mia anima e il mio cuore. Perché i miei figli, più di tutto, sanno d’amore. Il più grande che c’è.

18 giugno, 2006

Il valzer di Strauss


Sassolini ce n'erano, e tanti anche. Ma si sa, visitare un castello non è roba da tutti i giorni. La meraviglia vera. E le rose, i gelsomini e i caprifogli, tutti perfetti, disegnati, profumatissimi. Sono sempre un pò intimidita e fiera quando sono in questi posti, senza tempo, senza data, gli stessi dei libri di storia, cose che abbiamo imparato a memoria, nomi che abbiamo in massima parte un pò odiato, diciamocelo. Metternich, Maria Luisa d'Austria, e quel Congresso di Vienna nel? nel? e cosa hanno deciso? e chi c'era? Insomma, non importa. Bello davvero. La città mi è piaciuta molto, troppo ordinata e perfetta, ma mi piaceva quello che si respirava. I viennesi un pochino meno. Freddini, vagamente scortesi e sospettosi. Non bocciati, solo rimandati al prossimo viaggio. E, signora mia, niente infradito per visitare i castelli. La Principessa, ben lo si sa, ancora Prada non la conosceva.

13 giugno, 2006

L'approvvigionamento.

Il progetto Strofinaccio da Cucina prosegue. A rilento, ma. Qualche giorno fa mi sono recata in visita non già pastorale, ma di ricognizione, ad una filanda. O meglio, a una teleria. Meglio detta Tessitura. Ho faticato a trovarla. Nella mia mente una tessitura doveva essere una specie di basso fabbricato con una bella insegna, magari consunta, ma visibilissima. Mi sbagliavo. Proverbiale è la mia assoluta mancanza di senso dell'orientamento, qualche volta devo pensare per bene anche per fare una strada cittadina, con indicazioni in lingua italiana, popolata da umani. Credo sia una questione di geni, una roba ereditaria, che raggiunge i suoi massimi considerando altresì la mia totale ignoranza in materia di navigatori satellitari che non so impostare, nè mettere in funzione nè tantomeno seguirne le indicazioni. Sono un caso umano, pietà. La Tessitura in questione, sapevo essere ubicata in prossimità del camposanto. Il Cielo mi ascolterà e perdonerà, se per raggiungerla, dopo alcuni giri a vuoto e sconforto crescente, ho trovato del tutto innocente imbucarmi in un funerale. Sì, confesso, e mai verbo fu più appropriato, di aver seguito un carro funebre, che, tanto, più che lì non poteva andare. Ho recitato sommessamente una prece alla cara, sconosciuta salma, parcheggiato nelle vicinanze, e mi sono diretta verso il numero civico 4. Una palazzina anni 50, di 3 piani, all'ultimo l'abitazione della famiglia, i primi 2 destinati alla tessitura. Mi è venuta incontro una signora gentilissima, camice blù e calze coprenti, che mi ha mostrato l'intero magazzino. Il delirio. Tovaglie di fiandra e lino, chilometri di tela colorata, tonnellate di asciugamani di ogni colore. Pronti da ricamare e con la possibilità di averli su disegno, e del colore preferito. Ne ho comprati una ventina. Conchiglie e giardini, pesciolini e gnomi. Per uso personale (stupefacente!) e per uso pubblico. Leggi: amiche deliziose, compleanni, cene a tema e regalini-senza-perchè. Il marchio è già pronto. Ma, una domanda. L'imprenditoria può essere vista anche alla voce Strofinacci Da Cucina? Ho i miei seri dubbi. Pazienza.

Leggerollo.


Me ne hanno detto meraviglie. In previsione del viaggio aereo di domani, verso Vienna, primo breve assaggio di vacanza, mi sono portata avanti. Non viaggio mai senza l'iPod e un libro nuovissimo, da iniziare. Farò fatica a lasciarlo lì, davvero mi hanno detto che si legge d'un fiato. La straordinaria capacità dei libri di farsi cercare, scegliere, desiderare. E amare, anche. Un pò come le persone, in fondo. E come loro, se le rileggi, qualche volta le interpreti in modo diverso. Quasi sempre al meglio. Quasi, ecco.

12 giugno, 2006

Perle di saggezza.

Tutto sono tranne che una filosofa. Come dire, non ne ho la stoffa. Ma stamattina, pronti via, per risciacquare un pochino lo sguardo vacuo del mio sposo che era troppo appannato, ho coniato lì per lì una di quelle frasette che servono, qualche volta, per tirarsi sù il morale. Abbiamo avuto un periodo come dire, effervescente, e adesso sembra tutto migliorare. La scuola è finita, ieri sera una cena tra amici, fra tetti e campane, cose buone e profumo di gelsomino, le vacanze vicine, insomma, volge tutto al meglio. Così, mi cito. " E' come quando trovi un puzzle negli ovetti Kinder: le tessere sono tutte ingarbugliate e mischiate, ma poi le disponi con grazia, le giri, le raggruppi per colore e in men che non si dica, voilà, il puzzle è fatto." Lui ha sorriso, risollevato, mi è parso. Dopotutto mi ha sposato. Che si sia pentito, questa mattina, seduto stante, dopo la vicenda del puzzle?

Papaveri senza papere.


Mettono allegria. E vogliono dire tante cose. Innanzitutto li adoro in quanto facenti parte di quella categoria di fiori ben riconoscibili e appartenenti ad un periodo ben preciso dell'anno. Nel senso che non si possono vedere papaveri a novembre inoltrato, come le rose del fioraio, per esempio o le margheritine delle aiuole. Non sono per le indecisioni, caratterialmente, e il papavero in quanto tale mi dà la sicurezza matematica di dire, ok, ci siamo, è estate. In più, sono fiori che hanno ragione di essere solo in un contesto ben definito. Nessun mazzo di papaveri, in letteratura, è mai stato avvistato. Non resistono a sterili vasi pieni di acqua, non si regalano, non si comprano, come il glicine, e come i loro lontani cugini fiordalisi. Il papavero si lascia guardare. E dà, in questo periodo, ai campi lungo la strada di casa, un aspetto di festa, di vestito nuovo, di bellezza semplice e contadina che fa stare bene. Mette allegria, appunto. Da piccola facevo un gioco che ho insegnato anche ai miei figli. Ingredienti: un bocciolo di papavero, quelli pelosetti e fatti ad oliva. Bene, si deve indovinare il colore al suo interno perchè, c'è anche chi non lo sa, il papavero dapprima è bianco e poi è rosa, per poi esplodere nel suo colore rossissimo. Vince chi indovina il maggior numero di olivette. Gioco rilassante e un pò demodè. Ma grazioso. E fa dimenticare che, tanto bellini, colorati, lucidi ed allegri ma sempre di pianta infestante si tratta. Perdoniamoli.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...