20 marzo, 2007

Son le sere.


Che si cena presto e si lascia ancora apparecchiato e si resta a chiacchierare per un po’ prima di salire, a ripassare, prima di mettersi a leggere una cosa o a ricamarne un’altra, o a niente fare, semplicemente, stare lì, un film, forse, dipende. Son le sere che fa di nuovo freddo, una specie di inverno ritrovato e mai vissuto, ma che fa, domani è primavera, si sente, c'è un'aria così bella, stasera, e belle le nuvole, sì, per una volta, povere nuvole, che male fanno. Son le sere che si esce, copriti che fa freschino, ma basta una felpa, e si porta il vetro alla campana, col cane vicino e un profumo di erba e di fiori. E' solo mia la convinzione che qualche volta, dalla collina di casa si sente il profumo del mare. Ma dove, il mare è lontano, nemmeno tanto in realtà, ma è bello pensare che sia lì, dietro una curva, improvvisamente il mare. Il vento ha fatto cadere i petali del ciliegio, e c'è un tappetino rosato tutt'intorno, che a camminarci sopra fai peccato. Pioverà, stanotte. ma domattina saranno ancora lì, i fiori gialli delle forsizie, le primule e le prime rose. Son le sere che ci si sente così in pace che a chiederci che vuoi? ci si dovrebbe pensare una mezz’ora prima di parlare, per non dire una cosa che si ha già, come le figurine, per non fare doppioni, ce l’ho, ce l’ho, ce l’ho. Son le sere che non è inverno e non è niente, son le sere di casa, di semplice e normale, di musica pianissimo, di risate sulle scale. Sere da raccontare, da conservare, da tenere lì. Sere di pensieri e di segreti, di progetti e piccole cose, che farò domani, dopodomani, chissà. E ci si culla un po’, che ancora non è notte e di dormire non se ne parla, non ancora, non è mica tardi, e di tempo ce n’è, è solo sera. Così, solo sera.

L'eco nel frigo.


Ho girato e rigirato, senza sapere dove andare, e invece un piffero, dove andare sapevo benissimo, di qua e di là, di sù e di giù, inconcludente, per un certo momento, ho una casa con troppe scale, e fai di qui e fai di là, ma il mio studiolo è proprio in piccionaia e spesso il cellulare sta di sotto, e allora, fàmose 'ste 4 rampe di scale, che il gluteo ne giova. Di lavoro in senso stretto, una parvenza, di riordino qualcosina, di cazzeggio, una svalangata. ma di chi è la colpa, se volevo avere dettagli su Mastrogiacomo, rispondere a qualche mail, vedere cosa c'era di nuovo sul sito Vuitton (il jeans, signora cara, il jeans), scaricare qualche schema gratuito per la lezione di oggi, guardare i blog amici e vedere se era ancora il caso di comprare le arance di Ribera. E poi, schizzare fuori e fare una spesa mondiale, di quelle che ti casca tutto dal carrello, che ieri i miei figlioli mi hanno detto, Hai Molto da Fare, vero Mamma?, perchè si sa, quando ho molto da fare non riesco a fare la spesa, e mi si perdoni il bisticcio di parole, ma stamattina da fare non avevo nulla o meglio, nulla ho fatto di quel che dovevo fare, ma Santo Cielo, sono una donna mica un frullatore, mica mi chiamo Girmi, e Pastamatic, la forza di venti braccia. E non sono il Mago Zurlì e la Fata Turchina e la spesa, figliolanza adorata, non riesco a farla comparire con la mia bacchetta, ma è, come dite voi, uno sbattone andarla a fare. Perciò e quindi, state buoni. Ho progetti. Ho lungimiranze. Ho cose. Ho eventi. Dal più serio al più frivolo, ma ce li ho. Prossimamente su questi schermi. La trottola, giragira. E magari, qualche cosa combina pure. E il frigo semivuoto, chessaramai, bisogna metterlo in conto. Vivere con una celebrità non è affatto facile. Deh, come vi capisco!

19 marzo, 2007

...

Alla fine, le tabelline le ho imparate. Fischiando, come dicevi tu. Ho fatto una quantità di cose, in questo tempo, belle e meno belle, qualcuna la condivideresti, altre nemmeno per sogno. E' stata una vita difficile, per un certo periodo, eri appena andato via, e un pò ti odiavo per questo. E' stato strano riprendere, incominciare, anzi, ricominciare o fare cosa, come si dice quando hai un vuoto dentro e tutto intorno e non hai forza nè voglia nè coraggio nè sai da dove partire, per fare le cose che devi fare. Studiare, lavorare, iscriversi all'università. Cocciuta la sono sempre stata, ma forse, un pò ti somiglio. Che dirti, adesso, che non ti abbia detto ancora, le volte che prego e bisbiglio e guardo in sù, ma non ti trovo. Che dire a me, che da quando sei via ho faticato a trovare la mia strada. Se l'ho trovata, non lo so. Sono felice, certo, volevi per me una vita perfetta, ebbene, ce l'ho. Ma non è vicino. E vicino a me, non ho nessuno. Nessuno di noi, intendo. Oh, sì, mi sono sposata, ma questo lo sai già. Te lo sono venuta a dire, un pomeriggio che piovigginava, da sola, e ho corso le scale di marmo che portano a te, e mi sono fermata lì davanti, a fissarti, a guardare i fiori di stoffa e quel sorriso che vedo che non è il tuo, ma fa lo stesso, che brutte sono le fotografie sulla ceramica. Il tuo sorriso è qui, dentro di me, da dove nessuno lo può portare via. E mille volte ti ho portato i miei bambini, e l'uomo che ho sposato che ha tanto di te, certe volte, e ti sono venuta a raccontare che è sempre così difficile non pensarti, e che non passerà mai, e che qualche volta sono così sola che urlerei, e mi viene così facile pensare che niente sarebbe com'è se fossi qui, le cose storte, intendo, perchè niente è stato uguale e ci siamo persi per strada. Se la mia strada l'ho trovata non lo so, ma sono contenta della vita che ho, e mi piacerebbe che i baci che i miei figli mandano al Cielo, potessero darteli sulla guancia con lo schiocco, di quelli che rintronano. E vorrei ogni tanto, farmi abbracciare e farmi dire non è niente, stai tranquilla, passa subito. Ma adesso il bacio al Cielo lo mando io, io, questa sciocca mamma che è anche figlia e che crede che la festa del papà si festeggi anche lì. Dove sei tu.

18 marzo, 2007

Provare, provare, provare e...

Dire che è semplice è una bestialità vera. E' un delirio. Imparare ad usare 4 ferri da maglia insieme, anche per chi lavora a maglia da parecchio, è impresa titanica. Almeno per la scrivente. Dire che è leggero, men che meno. So di persone che si sono talmente concentrate da essersi persino dimenticate di andare in bagno, con licenza parlando. E di un' altra che ad un certo punto, le è andata talmente insieme la vista (è un lombardismo, diciamo che le si incrociavano gli occhi), che ha acchiappato ferri e gomitoli, li ha fatti sù alla rinfusissima e ha detto, basta, non gliela fò. Dire che è stato gradevolissimo, piacevolissimo, interessantissimo e divertentissimo, è assolutamente d'obbligo. Siamo state d'incanto. Già la location faceva la sua parte, la Triennale, coi finestroni sul parco, le sedie di design e quella sua aria intellettual-chic, già da sola la fa da padrona.Le partecipanti poi, datesi appuntamento lì per imparare o insegnare la nobile arte del calzino ai ferri, erano davvero deliziose. Lì per lì mi è preso un colpo, quando hanno estratto, non solo calze che erano vere e proprie opere d'arte, ma un manuale di maglia in lingua estone. Va bene la cultura, mi accontento di parlare correttamente inglese e francese, mi manca il russo e il tedesco, ma all'estone, signora mia, proprio non ci avevo ancora pensato. Ma le fanciulle, pazienti e dolcissime, hanno dischiuso per le astanti un mondo difficile sì, ma fatto di chiacchiere sommesse e caffè in tranquillità, e pazienza se ho dovuto disfare il mio prototipo di calzino due volte due, e mi cascavano i punti, e mi trovavo nodi e pasticci che non sapevo dipanare, e mi intruppavo con ferri e fili. Bel pomeriggio, da ripetere, in assoluto.


Ma il vero colpo, signora mia, non ci crederà mai, è stato Lui. Era lì, a un passo da me, da tutte noi. Avrei voluto fargli una foto, o farla insieme a Lui, e invece niente, niente di niente, sono così timida in queste cose, e non dica Ma Mi Faccia Il Piacere, che è un'espressione che odio. Niente, non ho spiaccicato una sola parola, occhi bassi sul mio agglomerato di fili e ferri, non un gesto che mi portasse verso di Lui. Mi consolerò. Gli confezionerò un bel paio di calzini, da sfoggiare sulle fredde nevi del Sestriére o ad Aspen, magari. E Lui, stregato da cotanta casalinghitudine, sarà mio per sempre. Resta da perfezionare la tecnica del calzino. Sono indietro, mi sa. E tanto, anche.

15 marzo, 2007

Escape.




Avevamo voglia di andarcene per un pò. Scappare, ecco. Senza dire niente a nessuno, senza farci scoprire. E senza far del male a nessuno. Avevamo voglia di stare un pò insieme, a parlare o a stare zitti, in macchina, magari, che non hai idea di quante cose si dicono, in macchina, nei viaggi più o meno brevi. Avevamo voglia di fare qualcosa, ci vediamo così poco, in fondo, o meglio, poche sono le volte in cui decidiamo di fare le cose che ci vengono in mente, senza dover sottostare a dei disegni, delle cose già scritte, o assecondare i bisogni di chi vive con noi. Ne avevamo voglia, di curiosare una città che non è nostra, ma che lo è stata, per un pò, volevo portarlo a vedere quell'Eataly e avevo già visto da sola, ma che con lui è stata tutta un'altra cosa. Lui guarda le cose che io non vedo, osserva la ristrutturazione, la gente che c'è, io guardo le marmellate di Cedroni e lui i pavimenti, io leggo da dove viene la pasta e lui le targhe commemorative del vecchio stabilimento Carpano. Siamo tornati in tempo, per non destare sospetti, e per far fronte agli impegni che ci eravamo presi con le persone che amiamo. Scappare così, una volta ogni tanto, non può che fare bene. E lei, curiosa e odiosa, cara la mia signora che non vede l'ora di andare a spiattellare tutto a quella pettegola del quinto piano, quella che scrolla la tovaglia giù dalla finestra e sui miei gerani, a lei, dico che mi dispiace deluderla. Nessuna storia torbida alla data, nessun amorazzo da nascondere, nessun amante cui scrivere lettere melense profumate alla violetta. Quest'uomo qui è elegante e raffinato, colto e distinto, belloccio e affascinante. Da sposare? Già fatto, signora mia, già fatto!

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...