04 maggio, 2009

Mumps in NY, orecchioni a Manhattan.

Da non credere. Il nostro mini viaggio, la nostra piccola vacanza, in fondo quattro giorni e un pezzo sono un bell'andare, è stata praticamente perfetta, piuccheperfetta fino a sabato mattina. E fino ad allora su e giù per la Madison, e sù per l'Empire, e giù a Ground Zero, e dentro e fuori da un centinaio di negozi e calamite e souvenir e cappellini e mazze da baseball e palline da golf e l'hot dog per la strada e magliettine e sandalini. Poi, il nulla. O meglio, il tanto. Il mio figliolo Liceale ha ben pensato di ammalarsi e non già un raffreddore o un mal di pancia, chi ha figlioli sa che queste cose si mettono in conto. No, lui no. Lui si è preso gli orecchioni. Mumps. A New York. Al quindicesimo piano di un hotel sulla Quinta, un bel mattino si sveglia ed è un altro figliolo, di un bel colorino verde alabastro ceruleo e la guancia gonfissima. E un febbrone equino e male, tanto male. Ho mantenuto una calma da manuale, ho chiamato il Regio Medico in Italia, Che Faccio? Nulla, mi dice, tachipirina e antinfiammatorio, fine. E un giorno e mezzo di letto e di febbrissima, con frasi sconnesse e sonni pesantissimi. Affidata la Princi ad Afef, che l'ha condotta con sè nello scintillante mondo dello shopping newyorkese, io, madre ad accudire il mio figliolo malatissimo, a guardare fuori dalla finestra, a ricamare e a pregare che arrivasse in fretta il momento di andar via. Ora, a casa siamo. Lui sempre maluccio, ma l'odore del suo letto e della sua camera, di sicuro lo farà stare un pò meglio. Ora, si disfano le valigie, si radunano i regalini e le cose, si dosano medicine e spremute, ci si riprende dal jet lag. New York, New York. Come faceva la canzone?

28 aprile, 2009

Lez gò.

Liquido.

Come tutto intorno, ormai, da qualche giorno in qua. Liquido, come le goccioline sulla finestra, come i goccioloni che scendono giù, quelli che senti anche se non li vedi, che fanno quel bel rumore, senti che bel rumore, ma un rumore è bello se dura poco, non giorni e giorni e poi ancora giorni e pomeriggi interi, liquidi, fradici, di fango e di pozzanghere e di spruzzi e di laghi per la strada, e di impronte sul pavimento e di ombrelli, come non sopporto gli ombrelli, io. Io amo il sole e il caldo a stecca, e l'afa e la sabbia bollente e le finestre spalancate e il profumo dei fiori e le cicale e il grano appena verdolino, e i papaveri lungo i fossi e i sorbetti e pranzare in terrazza, e poi scappare dentro, c'è troppo sole. E invece, un bel niente. Il fiume limaccioso, rabbioso e altri mille aggettivi in -oso, schifoso, pure, pericoloso, forse. E il ponte chiuso e lunghe file per arrivare in città, e insomma, di questo liquido proprio non se ne può più. Quel che c'è da dire è che il pratino ne trae vantaggio, è di un verde smeraldo appena tolto dai gioielli della corona, le ortensie si sono colorate di quel rosa caramella, persino la regia salvia è diventata un cespuglio che ha sommerso il cartellino di terracotta con la scritta Sage, non perchè la debba riconoscere, ma perchè ci stava così bene e allora mi sono detta perchè no. L'unico ad essere depresso in questa casa, in questa specie di giardino di elfi e gnomi e coniglietti selvatici, pettirossi di Gucci, ramarri verde acido, talpe che fan danni ma che son così carine, ricci timidi e smarriti, cucù petulanti al mattino e barbagianni di sera, l'unico scemo di questo microcosmo è proprio lui, il basilico. Tanto ha fatto e tanto ha detto che si è ammutinato, è naufragato nel suo vaso di terriccio apposito, scelto con massima cura nel vivaio, e insomma, ha tirato gli ultimi, diventando un ammasso informe di foglie che nulla hanno a che vedere con le belle foglione rigogliose e turgide del terrazzo della mia Amica. Sob. Colpa dell'acqua, dico tra me, anche un pò colpa mia, và, che quella ce l'ho sempre. E intanto, piove e piove, io mi sforzo di pensare a sandali e parei, e granite e scottature, ma un bel niente: qui tutto liquido rimane. Per i sandali turchesi che sonnecchiano da mesi nel ripiano più alto del mio armadio, ancora tempo ci sarà. E chi se ne frega del basilico.

24 aprile, 2009

StrawberryTherapy.

Meglio. Oggi mi sento Donna Letizia. Onoratissima di esserlo, intendiamoci. E posso, in grazia di Dio, tiramela un pochino. Darmi un pò di arie. Fare un pò la boccuccia della Bellucci e lo sguardo da orata al forno. Mi volete proprio bene. Perciò me la tiro. Ho ricevuto mail, anzi emeils, messaggi, oltre ai commenti qui sulle Fragole: preoccupati per me, a dirmi Dai, Puoi Farcela, a consigliarmi, a dire, Anche Io, Sai? E' una soddisfazione enorme. E' un calore, non so. E' una vittoria, un fiocco su un pacchetto, una cosa bella. Non vi ho abituati a botte e risposte, qui non si finirebbe più, io scrivo e scrivo anche per capire delle cose di me, e questo mi fa bene, mi guarisce, fa un pò parte della terapia, per colmare da quei buchi dove inciampo ogni tanto, e quando finisco in fondo al pozzo, ma per fortuna, tardi o tosto, trovo sempre appigli e scalette e cordicelle e salvagenti per uscirne. Sarà così anche stavolta. Ho i miei globulini omeopatici in triplice confezione, nella tasca interna della borsa. E poi, oggi il mare, il mare che racconta e guarisce, che canta e sussurra, che culla e gioca. A voi tutti, che sapete, che provate a volte le stesse cose che provo io, che sentite il vuoto e la disarmonia, il disagio, la mancanza e l'impotenza, a voi tutti un abbraccio un pò speciale, siete tanti, conto i clic e non mi pare vero, e da tutto il mondo, c'è in Bolivia qualcuno che mi legge ogni mattina, e a Singapore e la mappa è piena di puntini rossi e allora grazie, grazie, grazie dalle Fragole, lo so che è autocelebrazione, ma l'avevo detto, oggi me la tiro, e allora, ok.

23 aprile, 2009

Ferma.

Come l'acqua dello stagno. Come il brodo nella pentola, se lo metti fuori, d'inverno. Ferma, come il ghiaccio sui rami, come i fiori nei vasi, come i libri sotto la polvere, vecchie scatole in cantina, le ragnatele, il grano sotto il sole di giugno, con le cicale. Ferma, così, Legata, tipo, come dicono i miei figli, A Che Ora Arrivi, Non so, Tipo le Quattro, ma che razza di lingua è. E' una specie di paura, una cosa che è così strisciante e vergognosa e bastardissima che neanche lei stessa sa bene che cosa è. Un pò ansia un pò tristezza, rincorsa come sei dai pensieri più cattivi, più disperati, dalle ipotesi che fai, e smettila un pò di fare la lagna, ma non ce la fai, ho pianto come una scema stamattina alle quattro, e sarei uscita fuori nel prato, avrei fatto una corsa intorno alla casa, come a scappare, come a dire, non mi prendi questa volta, e ho ripetuto fra me, guardando fuori che era ancora notte, e molto buio, che avevo mille cose da fare e che bello era stato ieri a Torino, e che belle cose sto facendo, e che presto farò un bel viaggio coi miei figli più piccoli, e che avventura sarà, e che oggi dovevo fare questo e quello e passare di qua e passare di là, ma niente, quel peso sul cuore, quello stato che odio e che non riesco a vincere mai, che mi blocca e perseguita e che non se ne va. E che mi fa male, mi fa stare di merda, si dice così, e sarà per questo e sarà per quello, sarà che son stati giorni brutti e che non passa in un momento, sarà, sarà. Ma intanto sto qui, è questa cosa che vince, che mi lega l'anima alla sedia, che mi fa guardare il niente fuori, che non mi fa venir voglia di uscire nemmeno da questa stanza in disordine dove vengo solo io e che mi fa essere così come non sopporto di essere, che è triste e impaurita e disperata tutto insieme, ferma, tipo.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...