12 maggio, 2009

La Carovana.

Che mai si creda che tutto faccia rima con solecuoreamore, quassù, nella casa in collina. Pur romanzata, pur sdrammatizzata, molto spesso infiocchettata, così, per rendere gradevoli cose che altrimenti sarebbero tremende di per se stesse, la vita qui è comune a molte vite, i giorni son comuni a molti giorni, e forse, a quel che mi si dice negli scritti che mi arrivano, è proprio questo che rende il tutto se non bello, interessante. Meglio che non ci si incammini in questioni e concetti così spinosi di prima mattina. Si hanno pensieri e spine nel cuore, pensieri lievi e pesantissimi, preoccupazioni di vario tipo, conti da far quadrare, annose questioni, cose di tutti i giorni, invisibili eppure presentissime, vicende, affari, cose. Noi qui ci si è un pò divisi i compiti, a me, manco a dirlo, tocca tenere alto il morale della truppa, niente di grave, certo, le cose solite, ma sono io l'Addetta Cazzate, mi si perdoni il termine ma le qualifiche son qualifiche, io che mi devo inventare in cinque e tre otto un sorriso rassicurante, come a dire SonQua, PossoFareQualcosa, io che mi sforzo un pochino a capire complicati meccanismi, che spolvero e lucido l'equilibrio perfetto raggiunto a fatica in questa bizzarra e adorata famiglia, io che riordino con grazia non già il mio armadio o i miei cassetti, troppo facile, ma i pensieri dei miei figli, i primi bronci della PrinciCheCresce, gli occhi liquidi del Giurisprudente, il pallore del Liceale Risanato, la morbida ribellione del JuniorIng., il mondo incantato e lontano del FiglioDiBahia. E, ultimo ma non ultimo, le vicende del mio Sposo Eccelso, i suoi entusiasmi trascinanti, i suoi progetti che sono i nostri, le sue ansie che sono le mie, i suoi crucci che mi appartengono, le sue tristezze che conosco bene, le sue paure che so a memoria, le preoccupazioni che potei disegnare. Non proprio semplicissimo. Portare avanti questa carovana, fare in modo che non scappi una ruota, che non si caracolli giù da un burrone, che non caschino le valigie dal tetto, che non si venga assaltati dagli indiani o dai cowboy, non fa differenza, che non si finisca a mollo nel Mississippi-Missouri, che qualche cavallo non si imbizzarrisca, che non ci caschi una sequoia sulla testa, beh, proprio un gioco da ragazzi non è. Noi ci si prova. Sembrando solo distaccata e vanesia e un pò scema qualche volta, attentissima ad ogni minimo rumore, fruscio, sospiro, cambiamento, occhiataccia, occhio perso-occhio pesto-occhio lontano, accudendo con dedizione ogni mossa, studiandone gli effetti, cercando di capirne le cause. Il tutto, farcito dalle cose che so fare meglio, canticchiando sommessa scendendo le scale, improvvisando un minuetto con la Princi, giocando un pò coi miei figlioloni grandi, già più grandi di me, accidenti. E a dire al mio IsosceleSposo che noi si condivide, che nella buona e nella cattiva sorte e che in salute e in malattia, e che è vero che non lo abbiamo detto al prete, ma che fino ad ora ha funzionato così bene anche detto al Sindaco, tanto da far pensare che sì, forse tutto fa rima con solecuoreamore. O forse, è la Sezione Cazzate di questa casa ad avere una Presidentessa confusa, vanesia, sfarfalleggiante. Ma sul pezzo. E non è nemmeno una velina.

11 maggio, 2009

Wanted.

Ci ha conquistati un pò tutti, primo in assoluto il mio Illustrissimo Sposo Adorato e Glorificato. Ha una faccia buffa, è dolcissima e dispettosa, capricciosa e adorabile, tenera e vivacissima. Poichè ci seguirà ovunque, date le sue ridotte dimensioni, una specie di gatto che abbaia, avrà i suoi bei documenti, perchè noi, si sa, si fan le cose in regola. E questa la foto tessera da apporre al suo passaporto, che mai si dica che il nostro cane è clandestino, di questi tempi poi, mi aiuti a dire. Restano un mistero le impronte digitali. Ma per allora, ci si sarà attrezzati.

10 maggio, 2009

Carezze.

Le carezze della domenica. Quelle leggere, che si fanno passando, senza fermarsi, che quasi non si sentono ma che fanno così bene. Mica è detto che si fanno con le mani, le carezze. Non solo, almeno. prima di tutto può essere considerata una carezza il fatto di fare colazione intorno alle 11, sul terrazzo di casa inondato dal sole brillante di maggio, che la domenica mattina è ancora più brillante e sembra più caldo, che scoperta, oggi è domenica, si vede benissimo che non potrebbe essere nessun altro giorno al mondo, e che questo sole qui farà asciugare di sicuro le lenzuola stese, o meglio adagiate, io non so stendere le lenzuola nello stendino, c'è qualcuna che è così brava da insegnarmelo? Ho un orpello apposito per le lenzuola ma mi piace che sappiano di sole e di aria pulita e di erba, un pò, e se c'è il sole stendo fuori. In questa affollata casa, con figlioli accampati in ogni dove, si pensa a un pranzo domenicale, ma lo si fa guardando lontano, oltre il pratino verde smeraldissimo, le colline, il cielo, i fiori dell'acacia e quel suo profumo discreto. Si sta così, si beve una pace discreta, un sole così atteso, una beata calma, una specie di quiete composta e profumata, domenicale, morbida, semplicissima. Oggi, la voce sottile della PrinciCorista, che mi commuove sempre un pochino, una merenda sul prato e una domenica sera che scivola via, pigra e silenziosa. Ci sono compiti da finire e lezioni da ultimare, il Liceale Convalescente ma che domani forse andrà a scuola, e carezze, carezze invisibili e silenziose, mille carezze cha fanno un abbraccio, una sera di maggio, nella casa in collina.

06 maggio, 2009

L'infermeria.

Nè tempo, nè voglia, ne grande concentrazione e ispirazione per fermarsi un secondo a rastrellare pensieri sparsi e metterli qui. L'infermeria, situata all'ultimo piano della casa sulla collina, lavora a ritmo incalzante. Antibiotici e spremute, enterogermine e tachipirine a nastro, frullati e banane disintegrate ma comunque di difficilissima ingestione per il Liceale Malato. Miglioramenti ben pochi, ma si dice essere il decorso normale della malattia, che ha avuto la meglio sul vaccino somministrato in tenera età. Che dire. Si fa come si può, non già come si vuole. Così ci si organizza, e volendosi ben fare del male fino in fondo, si attaccano gli armadi, soprattutto quello dell'ingresso, dove vivono in beata promiscuità felpe dimenticate, caschi di figlioli raminghi non meglio identificati e comunque non miei, guinzagli, borse ecologiche della spesa, piumini Moncler e giacchine leggere, impermeabili macchiati e sciarpone tricot. Certo, non che sia una terapia azzeccata. Riordinare un armadio, si sa, ha numerosi effetti collaterali da non sottovalutare: a metà dell'opera si può essere invasi da uno sconforto cosmico,e dentro di sè si ode martellante la domanda Ma Chi Me Lo Ha Fatto Fare. Così, non è raro assistere all'abbandono, seduta stante, della titanica impresa. Si spinge tutto dentro alla bell'e meglio, si butta e si piega quel che proprio non si può fare a meno di buttare e piegare e si chiude l'armadio con un sospiro, meglio se di spalle, senza guardare. Il Pianeta non avrà danni irreparabili se ancora per un pò piumini e cose convivranno more uxorio nell'armadio dell'ingresso. Nel frattempo, salgo in infermeria. Il Liceale deve prendere il suo antibiotico. E io, core di mamma, è già un quarto d'ora che non lo controllo. Gonfio sì, ma bello come il sole.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...