17 novembre, 2009

Tiffany scopre i cavalli.

Deliziosa lo è. Un pò petulante, qualche volta, dispettosissima, snob, principessa, altezzosa. E bella, bella da morire. Stamattina, nella quasi quotidiana passeggiata sulla collina, questa cosa che non è cane, non è gatto e che non sa nemmeno lei bene che cosa è, ha scoperto i cavalli. Ed è, com'è ovvio che sia, uscita di senno. Ora, vàlle a spiegare che i cavalli sono mansueti sì, e se ne stanno lì nel loro recinto al maneggio ai piedi della collina, belli e pacifici a brucare l'erba con la rugiada, che si sa, è quella più ambita, ma che se si imbizzarriscono, i cavalli medesimi, e si stufano di avere intorno un fagotto di pelo che abbaia e abbaia, essi, appunto, ne possono fare polpette di un Cavalier King petulante. Nulla. Non ha voluto sentire ragioni. E ci ho messo una buona mezz'ora a chiamarla, e richiamarla, e a dire, Dai, Che Ho Freddo e devo tornare in casa, perchè il giro in collina si fa vestiti da casa e col piumino, senza calze, ovvio, e c'è la rugiada e la brina e sì che affondo la faccia nella sciarpa ma non basta. E allora, sbrìgati, cagnino minuscolo che scompari nell'erba alta, e che corri, corri, con le orecchie che ti girano a elica, guarda che ti dà una pannocchia, non erano la tua passione, fino a due minuti fa? La mattina volge al termine, si è fatto molto, in verità, progettato, scritto e persino, bleah! stirato e una mezz'ora persa nel Prato Grande, con l'erba bagnata, le foglie cadute e un cielo discreto, ma dimmelo tu che male può fare.

Stelle a manciate.

Stanotte, sì. E lo so che non è agosto e non si è in mezzo al mare, che di solito, è da lì che si guardano, o coricati nel patio di casa, i ragazzi in gruppi sparsi alla vedetta, da dove si sorvegliano gli incendi, è il punto più alto di quel luogo che si adora, l'estate, nell'Isola che era Atlantide, lo sai? lo ha detto anche Voyager, ieri sera. E' insolito, vederle qui, le stelle che cadono, e stasera, si dice, ne cadranno una quantità tale che sarà uno spettacolo vero, bellissimo, inusuale, anche se succede ogni anno, il diciassette novembre, maddai, sai che non lo sapevo? Si organizzerà una piccola spedizione, forse uscire nel pratino non basterà, se spettacolo deve essere, chessìa, nella collina dietro la casa, nel Prato Grande, o alle Rose Selvatiche, laggiù, accanto all'Alloro Gigante che sembra una Sequoia, non è di nessuno e nessuno lo taglia mai, è enorme, disordinato, bellissimo. Farà freddo, stasera, ma in grazia di Dio quel che non ci manca sono sciarpe e sciarpone, di ogni foggia, filato e qualità, a ben pensarci ne potrei vendere, se volessi, ma le ho messe già e hanno ancora il mio profumo, non si fanno mica regali così. Di stelle ne cadranno a tonnellate, esclusive, riservate, per chi non soffre il freddo e guarda pochissimo la televisione, per chi si incanta a guardare il cielo, la Luna, le nuvole che corrono, per chi annusa il vento e ama il rumore delle foglie calpestate, della pioggia sul terrazzo e contro i vetri, per chi guarda l'alba e si affascina e innamora, ogni volta un pò di più. Per chi come me si sveglia e sorride, per chi ha un cuore colorato che salta gli ostacoli e la paura, per chi esprime desideri impossibili, guardando le stelle d'autunno.

16 novembre, 2009

Ode al melograno.

E' un frutto così superbo, austero, nella sua complicata semplicità. E' un controsenso di frutto, ha un colore così insulso, dorato, beige, non si capisce, beh? non è che in questo autunno scombinato hai pure disimparato a distinguere i colori? E' un colore senza senzo, il melograno da fuori. Certo, che scoperta, non è mica da guardare da fuori, ma da dentro. Ci vuole mestiere anche ad aprire un melograno, non è che prendi un coltello e voilà, ci vuole arte, cura e tenerezza, non è da tutti. Il melograno lo apre uno solo dei commensali, di solito, e uno solo basta per tutti, facciamo due, se a tavola siede un reggimento come quello che occupa la casa in collina. Non occorre tanta scena, il melograno si mangia con le mani, si succhia perlopiù, non è che abbia un gusto così deciso, ci sta bene nell'insalata ma solo perchè ha un bel colore, per il resto non è determinante. La disposizione dei chicchi mi ha sempre affascinato, messi lì per bene, con ingegnerisitica precisione della quale ne sono totalmente e assolutamente priva. Perciò mi affascina. Così mi innamoro dei chicchi messi in bell'ordine, di quel rosso rubino che incanta, di quel gusto sottile di selvatico e corteccia, dolcissima, certo, ma aspra, e acidula, qualche volta. Sorprendente melograno, scrigno fatato di gioielli perfetti, lucido frutto di questo autunno scombinato e perfetto, caldo e nebbioso, pigro ed esaltante, un controsenso, pure lui.

13 novembre, 2009

Appena colti.

O meglio, appiccicàti. Comprati al volo questa mattina, insieme a un quaderno a righe, spesso, senza margini, impazzirò un giorno o l'altro, un tubetto di colla, le cartucce per la stilografica. Non è mistero, mi piacciono tanto i tulipani. Meglio se viola, ma erano finiti, e poi quelli, ci pensa Biancaneve a portarmeli da Amsterdam. Così, mi sono incamminata in questa avventura, denominata l'Appiccicamento dei Tulipani. Io non sono un tipo preciso, e quindi, presa dalla voglia di vederli finalmente tutti insieme sulla porta del mio umile studiolo, non ho letto le istruzioni accluse. Perchemmai, son mica scema che devo leggere le istruzioni per attaccare due tulipani? Ci vorrà mica un architetto, un fisico nucleare, un ingegnere, magari, che in grazia di Dio siamo in overbooking da queste parti. Così li ho attaccati alla brutta, così, senza un ordine preciso, a seconda del colore, quello arancio qui, il fucsia di qui che ci sta bene. Errore. I tulipani, nella loro scatola, erano con un ordine ben preciso, me ne sono accorta dopo aver attaccato l'ultimo. Erano tutti contrassegnati, A, B, C, insomma, avevano un senso. E forse sarebbero stati anche meglio, e avrebbero avuto la giusta inclinazione. Ma a ben guardare, a me piacciono così, la porta è la mia, i tulipani sono miei e ne faccio quello che voglio, echissenefrega se dovevano essere messi in un altro modo, non verrà nessuno a controllare, e allora, e perciò, io li trovo bellissimi, anche un pò sghembi, senza un senso e non in ordine, e non mi è servita la bolla viola, che peraltro possiedo, regalo del Regio Architetto fornitore della Real Casa, non mi è servito nemmeno quell'aggeggio per misurare con le lucine che io userei solo a Capodanno, per fare un pò di scena, perchè io, imprecisa e pasticciona, sono e resto la Dea Incontrastata delle Cose Senza Senso. Operazione Appiccicamento Tulipani Completata. E bene che stanno.

11 novembre, 2009

L'estate di San Martino.

Lo sai?, si chiama estate di San Martino. Te la raccontavano alle elementari, e fa parte di quelle cose che sai, ma che hai nascosto in qualche parte della memoria e che quando qualcuno te la racconta, dici, massì, quella, come ho fatto a non pensarci, San Martino, il mantello e tutto il resto. Il resto è qui, oggi. E' in questo sole caldo, è nel giro coi cani nel primissimo pomeriggio e caldo lo fa davvero, una specie di regalo, in una giornata storta, ma storta per davvero, con un'ora buona passata nello scantinato di un ospedale, non proprio una passeggiata in Montenapoleone, anche se smanettavo come una pazza sul Blackberry, per non perdere il filo, il senso, la grazia. La paura è una roba strana, che ti assale anche quando una vera ragione non c'è, ma chi non ha paura di andare in ospedale, foss'anche per un controllo, foss'anche per una roba da niente. La passeggiata, perciò, è un regalo che mi sono fatta, ad annusare il sole di fuori, a camminare sulle foglie secche e sentire lo scratch! sotto le scarpe, e vedere, magguarda, che fra le foglie secchissime c'è un'erbetta che è una delizia, verde smeraldo, gioielli per me. Le colline laggiù, la città, il campanile del Duomo che si vedono così bene in giornate come questa. L'estate di San Martino è un evento che non accade, se non lo fai accadere tu, se qualcuno non ti racconta la storia, se non dici, ma è vero, senti un pò che caldo che fa, di stare ancora senza calze, freddo non ce n'è. Il sole scalda di più nei giorni in cui hai avuto paura, nei giorni in cui ti sei sentita un pò persa e un pò nei guai. E allora scaldami, sole di novembre, abbracciami e stringimi come sai, regalami le foglie secche, un pò gialle e un pò rosse, fammi sorridere, consola questa fifona che non sono altro, raccontami tutte le storie inventate. Ascolterò, intrecciando una corona di smeraldi con l'erba nuova della collina.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...