12 novembre, 2014

Rouge.


E' tempo di frivolezze, lassù nella Casa in Collina.
Ci si fa una sorta di piccola, piccolissima violenza, si cerca di concentrarsi su cose stupide, sciocche, vuote, vanesie e, appunto, frivole.
Ogni tanto, fanno bene al cuore.
Curano, perlopiù.

Le frivolezze medicano ogni sorta di male, le incomprensioni, gli  Io Ho Detto e Invece Tu Hai Detto, sigillano per sempre buste da buttare via, nemmeno nel cestino della carta, ma nell'indifferenziato, così si ha l'idea di averle  buttate più lontano e per sempre. Le leggerezze sbiadiscono paroloni e frasi ad effetto, ripicche, musi, atteggiamenti, offese, piccole ferite. Anche grandi, solo, ci vuole un pò più di tempo. 
Le parole taglienti fanno male, malissimo, bruciano un sacco come quando ti tagli con la carta, o sbucciando la mela, sembra cosa da nulla e invece fa male.

Serve perciò un piano d'attacco.

Ci si è ritagliati il tempo giusto, a metà mattina, per leggere i giornali, tutti, per vedere se si trovava da qualche parte online quella lana grossissima per il cappello con le orecchie, richiesto d'ufficio dall PrinciOcchidiMare.

La vera essenza del frivolo, però, è data dallo scegliere con cura il colore del prossimo smalto, indecisa se Rouge Carat, Rouge Rubis o Rouge Fatal, non è cosa da poco coglierne le sfumature, e poi, con dei nomi così belli, una se li comprerebbe proprio tutti, per il solo gusto di vederli lì, sul ripiano del bagno, o sul comodino, di bearsi degli astucci chiccosissimi neri e oro, o di provarli, con religiosa dedizione, appena dopo aver sparecchiato, caricato la lavastoviglie e rassettato la cucina, in quel momento perfetto che va dalle 14 alle 14,20.
Ci si siede un pò storte sulla sedia capotavola, non il mio posto ma la stessa del caffè di metà mattina, in piena luce e si dà il via alla prova. Meglio se con la Princi, c'è più gusto.

Si raccolgono briciole e sentimenti stropicciati, come un pacchetto di crackers dimenticati in fondo allo zaino.

Passerà, perchè passa tutto, e le discussioni e le divergenze si appianeranno, si aggiustano sempre, a un prezzo, certo, ma le cose si stirano sempre, una strada si trova sempre, che porti vicino, che porti lontano, che non porti da nessuna parte al mondo, ma un sentiero c'è sempre, fosse un viottolo di sassi che porta in cima a una montagna, fosse la stradina che da lì vedi il mare, fosse il vicolo di fango che lo attraversi e sei nel bosco.

Sia bosco o mare, sia sassi o sabbia, non mi son persa mai, non mi perdo nemmeno ora.

Rouge Fatal. Ho scelto.






09 novembre, 2014

Viaggio Sola.


Scapigliata.
Ingarbugliata.
Come quando un gomitolo arriva, non so come, fra le zampe di uno dei gatti che abitano la Casa in Collina. Che sono tre, alla data.
Spettinata.
Le domeniche di novembre non è che siano il massimo della vita, di solito.
Oggi, meno del solito.
Pensierosa, mi farò coccolare dal divano, leggerò fino a che mi faranno male gli occhi, è uno dei modi che conosco per non pensare a niente, leggo e scrivo, scrivo e leggo, scrivo e leggo e faccio la maglia, solo che a fare a maglia i pensieri te li ritrovi tutti ancora lì, punto dopo punto, aumento dopo aumento, ferro dopo ferro, e allora non è tanto terapeutico in domeniche come questa.

Oppure, mi trasporto da un'altra parte, vado a Parigi domani, adesso, fra mezz'ora, prendo un maglione e lo spazzolino, a Parigi ci si va da sole, quando si va con la testa e basta, testa che non si deve perdere, per così poco, poi, che testa vuoi perdere mai.

Così, quando si scappa per finta, ci si ritrova subito al Charles de Gaulle, e poi sulla metro e si arriva da qualche parte, ci si balocca un pomeriggio intero a Place del Vosges, si cercano vetrine scintillanti e piccoli negozi nascosti, e bancarelle di libri, e chioschi di fiori e poi il Flore, ma quanto la meno con 'sto Flore,  il Flore che amo così tanto e ci sono stata una volta soltanto, ho già sul tavolino di giunco  il mio cafè au lait nella tazzina spessa,  e so che la prossima volta sarà speciale, quella vera, intendo, al Flore ci sono stata milioni di altre volte col pensiero, leggendo quel libro che so quasi a memoria, in italiano e in francese, ci sono stata con l'anima, col cuore, coi pensieri, quando avevo voglia di andare via da qui, quando avevo voglia di andare via dagli altri, via da tutti e via da me.

Ci vado oggi, via da tutti.
Ho già la carta d'imbarco, sono già lì che guardo giù, dall'aereo intendo, e del resto, di tutto il resto non me ne importa un bel niente. O quasi.

Così, Parigi aspettami, arrivo fra mezz'ora, i viaggi più belli che so li ho fatti col pensiero, che chiudo gli occhi e sono dove ne ho voglia, come ne ho voglia, ma poi li riapro e sono ancora qui, sul divano, scapigliata come mai, arruffata, vestita a caso, con le calze diverse perchè non ne ho trovate due uguali nel cassetto,  a tratti un pò felice e a tratti molto meno, e fuori non ci sono i tetti di Parigi e il Flore ma i gerani quasi morti e un cielo che fa schifo, scrivo e leggo, leggo e scrivo, ma alla fine, i pensieri che non vuoi mica se ne vanno via così.








06 novembre, 2014

Vivace.


Questi giorni, ancora non li ho capiti.
Non che mi sforzi.
Di solito, capisco le cose abbastanza in fretta, al volo, la mia maestra delle elementari, quando ci andò a parlare,  disse a mia madre che avevo un'intelligenza vivace. Tornò e lo disse a tavola. Si guardarono tutti sbigottiti.
Intelligente è intelligente, si leggeva nelle facce, ma quel vivace rovinava un pò tutto.

Non sono migliorata, mi sa, con gli anni.
E forse, sono rimasta solo vivace. E basta.

Sono giorni che, messi in fila sembrano belli. Presi ad uno ad uno sono uno sfacelo.
Inconcludente, ciarliera, distratta, ho tremila progetti e ne ho finiti solo due, il tavolo ingombro di fili, bottoni, fogli e penne, stilografiche e matite, e gomme, per cancellare, non mi piaceva scrivere a matita, adesso invece, che ne ho comprate manciate di tutti i colori possibili, invece, mi piace.
Volubile che sei.

Sono giorni che dovrei rimettere mano all'armadio, ho cominciato il lavoro improbo del cambio di stagione con largo anticipo, per far la figa, per dire, lo faccio in pochissimo, che ci vuole, in fondo, siamo quattro gatti, stavolta.
Non ho fatto bene i conti.
Non ho fatto bene i conti con me.
Che non sopporto sistemare, mettere ordine, o meglio sì, ci sono volte che mi acchiappa e sistemo cassetti e dispense e ripiani e tavoli, e dopo pochissimo sono di nuovo distrutti dal disordine, dalle cose impilate, dai libri, dai foglietti. Da me.

Cerco di finire i progetti che ho, quelli sui ferri, quelli della tovaglia di Natale, che viaggerà arrotolata verso una casa diversa da questa, e che là sarà usata, per la prima volta, chissà.
Sono giorni che, a disegnarli, non saprei da dove cominciare, se prendere i pastelli o no, il cielo non promette nulla di esaltante, nemmeno ad impegnarsi, e chi come me è Campione Mondiale di Azzurro Oltre la Nebbia, sa che fatica, in giorni così.

Mi ostino.
Resisto.
Vedremo.

Farò di questi giorni, giorni che si possano colorare a piacimento, come Roselline di terza, il più difficile, quello senza i quadretti.
Dell'ordine, vedrò di non farmene importare nulla.
La mia intelligenza vivace mi fa trovare il maglione che cerco anche sotto tonnellate di altri maglioni.
E una volta trovato, sentirmi felice e fiera  e ridermi da sola nello specchio.

L'armadio resta com'è.
Tempero i miei pastelli e mi metto a disegnare.
Noi vivaci, siam fatti così. 









31 ottobre, 2014

Faccio la brava.

Che ancora devo capire cosa significa, Fai la Brava.
Me lo dicevano sempre, mia madre, mia nonna, soprattutto lei. Sii buona, Stai brava. Fai la brava.
Non so se ci sono stata mai, brava.
Non so se la sono diventata, buona,
E qualora, non so se ci voglio rimanere, buona. Buona e scema.

Faccio la brava.
Cammino come in equilibrio, su una fune, soffro di vertigini già al quinto piano, ho abitato al nono, sono stata all'ottantacinquesimo e non so come faccio ad essere ancora viva.
Faccio la brava.
Scanso con cura le cose che mi fanno del male, eppure mi capitano sempre addosso, come la grandine, come il riso agli sposi, io non l'ho voluto, il riso, avevo già un bel pò di figlioli da guardare fuori dal Municipio, mancava solo il riso.

Faccio la brava.
Mi tengo le cose che ho, mi tengo strette le cose che ho trovato, come i sassolini verdi della spiaggia, quelli che sembrano smeraldi e invece non lo sono.
Non so se ho imparato a fare la brava, ho cercato sempre di esserlo, ho fatto degli sforzi enormi, ho cercato sempre di essere sì come sono ma anche un pò come gli altri volevano che io fossi.
Un pò ci sono riuscita, un pò no.

Faccio la brava, non che se ne abbiano grandi vantaggi, nonostante si cammini in bilico, sulle punte come le ballerine, attenta a schivare, non sfiorare, come per rubare il Topkapi, a non interferire con i raggi infrarossi, che sono le persone assurde che ti capitano sulla strada, ma non è che sono tutte così, a volte, sulla tua strada ci capitano delle persone graziose e carine, persino piacevoli, ogni tanto. Raramente. Ma ci sono.
e me le tengo.
le altre, un calcio nel culo.
Gli stessi che danno a me, spesso.

Faccio di questi giorni dei giorni di lezione.
Imparo, faccio i compiti, faccio la lista delle cose che si fanno e di quelle che non si fanno, mi invento giorni nuovissimi, oggi, una torta a forma di zucca, per una festa.
Ho pensieri lontano, mediamente lontano, vicino e vicinissimo.
Li tengo lì, li guardo come si guarda un nemico, con la faccia di quando sali le scale del dentista. 
Ma imparo.

Imparo e basta.
Scrivo sul quaderno a quadretti, che tengo ordinato e senza pieghine, raccolgo sassi colorati, sono così brava da trasformarli in smeraldi purissimi, mi tengo insieme come posso, come riesco, come so, schivo i raggi, cerco di sorridere, salgo in alto e non guardo giù, se no, mi vengono i brividi e batto i denti, così, come al PoloNord, come nei film dove hanno i ghiacciolini anche sulle ciglia.

Sarò brava, farò la brava nei i miei giorni nuovi con  la nebbia che avvolge il sole, il sole che sembra non esserci e invece c'è, faccio la brava, non ho scelta ma mi piace, in fondo.
Il dentista, invece, no. 



27 ottobre, 2014

La Leggenda delle Rose Distratte.


Che strani esseri, erano, le rose.
Boccioli un giorno, profumatissime subito dopo, e poi gambi spelacchiati, pioggia di petali, triste cambio di colore dal rosa confetto al giallo polveroso di muffa.

Le Rose Distratte vivevano nella vigna accanto al Prato Grande, da sempre la VignaDiGioia.
Crescevano in due cespugli, fra le foglie rosse e i filari, quell'anno nessuno si era preso la briga di cogliere l'uva che c'era e che adesso era ancora lì. Colorate e perfette, illuminate dal sole stanco di quello strano ottobre, fa caldo, non lo fa, sarà un lungo inverno, rigido e freddissimo, ma chi può dirlo, alla fine.

Le Rose Distratte non si curavano di nulla e di nessuno.
Non che fossero una gran bellezza, nessuno le curava, altro che trattamenti e pidocchi e vitamine, e fertilizzanti, le Rose Distratte si erano fatte da sole.
Però, avevano fascino.
Le potevi scorgere all'improvviso, appena fuori dalla porta, scendendo la piccola discesa, prima di arrivare al Grano. Ci sono posti che non hanno nome, ma che alla fine un nome ce l'hanno eccome, il Prato Grande, il Noce Saggio, il Grano. Corro Fino al Grano, era stato un obiettivo raggiunto quell'estate sciocca, passata, per fortuna, e arrivare al Grano significava fermarsi a prender fiato, ad allacciarsi le scarpe con una scusa. Dal Grano si può vedere tutta la Collina Dietro ed è bello perdersi nei suoi colori, in qualunque stagione. I colori, sono tutti belli, se li riesci a vedere bene.

Così, quel pomeriggio, fu un trionfo di Rose Distratte.
Vennero colte con cura, misurati per bene i gambi, e sistemati con apparente noncuranza in un vaso di vetro, sul camino.

Da quel momento, l'Incantesimo delle Rose Distratte, sprigionò tutti i suoi effetti, i più miracolosi, i più meravigliosi effetti mai perpetrati da pochi bocciòli di rose selvatiche.

Si era dormito poco nei giorni indietro, c'erano stati brividi di paura, di freddo, di influenza o tutto insieme, chi lo sa, e a nulla era servito aggiungere un'altra coperta, di quelle pesante, non quelle ridicole che si consigliano sul divano.

Da quel momento, più nulla.
Il profumo delle Rose Distratte, nella cucina grande piena di colori, si era sovrapposto a quello della torta, del detersivo per i piatti e del pollo arrosto dell'Esselunga, che era stato pranzo provvidenziale per la formazione ridotta lassù, nella Casa in Collina.

Fu tutto meglio.
Più colorato, più ordinato e profumato, più bello.
I nonostante c'erano ancora tutti, e non si parlava di glicini, certo che no, ma quel giorno si decise di lasciarli stare, per un pò, di sorridere molto, di far finta di nulla, di dire più spesso NonFaNiente, che niente non fa mai, ma alla fine, a ripeterlo, un pochino aiuta.

Quella sera prometteva un bel tramonto, dei colori da ricordarsi per un pò, il buio dolce che la bistrattata ora solare regalava a tutti. 
Si mise in prima fila, per non perdersi lo spettacolo.

L'Incantesimo delle Rose Distratte non sarebbe durato a lungo.
Occorreva far presto.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...