22 giugno, 2015

Cattiva.



Si riprende piano. 
A passi piccolissimi, uno avanti e tre indietro, poi sette avanti.
 Poi un altro indietro. Il peggiore.

Si fanno cose semplici, cose anche mai fatte, ci si scopre trapiantatrice di erbe aromatiche, di piantine grasse, si riutilizzano vecchi vasi di terracotta, e lattine vuote che non si ha cuore di buttare, dacchè si è ripulito il sottotetto, il garage e pure la cantina e la quantità di cose che è saltata fuori è inimmaginabile, da arredarci altre tre case, per dire.

C’è una sorta di rito a buttare le cose che non servono più, a trovare loro un altro riutilizzo, un altro posto nel mondo, un’altra collocazione. Mentre si tengono stretti ricordi cari, sassi piatti raccolti in quella spiaggia là, e quel pareo coi gechi e quel libro e quel pass. Ci si rende conto di aver vissuto mille vite, di essere stata mille persone in una, rimanendo sempre la stessa, sempre io.

adesso, forse diversa.

Mi sono riscoperta cattiva, in questi giorni, cattiva e arrabbiata. E stanca. A tratti disperata.  Ho placato la rabbia e il dolore pulendo a specchio posti che non ne avevano bisogno, riordinando al millimetro cassetti di cose, buttandone montagne, le carte d’imbarco che ho conservato per anni, le magliette stinte che mi ricordavano cose che non voglio ricordare più, mentre ho stirato con devozione tovagliette un po’ sdrucite, scucite in un angolo, non le ho rammendate perché non sono tanto capace, ricamo con maestria ma non so attaccare un bottone, cucio male e storto, lo so da me.

La cattiveria si manifesta in mille modi, quando butti con forza il vetro nella campana, so che qualcuno ha corso fino in cima a una collina e da lì ha gridato forte, più forte che poteva. Non ne ho il coraggio, ma forse lo farei anche io, se solo riuscissi a stargli dietro a correre.

Faccio cose di una banalità mondiale, dò un significato speciale a queste piantine nuove, a queste lattine tutte in fila sul terrazzo, alcune le terrò, molte le regalerò, ho una fascina di basilico per farci qualcosa, il sole va e viene e nemmeno mi dispiace, è un’estate così  ruvida e crudele che non ne voglio sapere nulla, né di lei né del suo sole, dei suoi gelati, del suo mare. Non ancora, almeno.

Le piantine del terrazzo mi portano un sorriso accennato, non sarò certo io a scoprire il senso della vita, del segreto della morte e del suo significato, di dove vanno le persone quando non ci sono più, ma so che se il piangere ogni tanto un pochino aiuta, so anche molto bene che non risolve un bel niente, e che ti lascia sfatta e sfiancata e con gli occhi pesti, il respiro corto, e una pallottola di carta umida fra le mani.

La cattiveria mi passerà. Non subito.

Così, faccio piantine, studio ricette, disegno golfini colorati per bambini che verranno, mi metterò uno smalto corallo, sabato la festa  ci sarà lo stesso, e la sua foto in cucina, sorridente su Amaranta, fra il libro di Cracco e le tazzine.


2 commenti:

liliana ha detto...

BRAVA!!!

Anonimo ha detto...

Ho letto tante volte questo post.... Grazie. Grazie di cuore. Anch'io vorrei tanto correre e urlare... ma continuo a piantare piantine....
Paola

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