Si riprende piano.
A passi piccolissimi, uno avanti e tre
indietro, poi sette avanti.
Poi un altro indietro. Il peggiore.
Si fanno cose semplici, cose anche mai fatte, ci si scopre
trapiantatrice di erbe aromatiche, di piantine grasse, si riutilizzano vecchi
vasi di terracotta, e lattine vuote che non si ha cuore di buttare, dacchè si è ripulito il sottotetto, il garage e pure la
cantina e la quantità di cose che è saltata fuori è inimmaginabile, da
arredarci altre tre case, per dire.
C’è una sorta di rito a buttare le cose che non servono più,
a trovare loro un altro riutilizzo, un altro posto nel mondo, un’altra
collocazione. Mentre si tengono stretti ricordi cari, sassi piatti raccolti in
quella spiaggia là, e quel pareo coi gechi e quel libro e quel pass. Ci si
rende conto di aver vissuto mille vite, di essere stata mille persone in una,
rimanendo sempre la stessa, sempre io.
adesso, forse diversa.
Mi sono riscoperta cattiva, in questi giorni, cattiva e
arrabbiata. E stanca. A tratti disperata. Ho placato la rabbia e il dolore pulendo a
specchio posti che non ne avevano bisogno, riordinando al millimetro cassetti
di cose, buttandone montagne, le carte d’imbarco che ho conservato per anni, le
magliette stinte che mi ricordavano cose che non voglio ricordare più, mentre
ho stirato con devozione tovagliette un po’ sdrucite, scucite
in un angolo, non le ho rammendate perché non sono tanto capace, ricamo con
maestria ma non so attaccare un bottone, cucio male e storto, lo so da me.
La cattiveria si manifesta in mille modi, quando butti con
forza il vetro nella campana, so che qualcuno ha corso fino in cima a una
collina e da lì ha gridato forte, più forte che poteva. Non ne ho il coraggio,
ma forse lo farei anche io, se solo riuscissi a stargli dietro a correre.
Faccio cose di una banalità mondiale, dò un significato
speciale a queste piantine nuove, a queste lattine tutte in fila sul terrazzo,
alcune le terrò, molte le regalerò, ho una fascina di basilico per farci
qualcosa, il sole va e viene e nemmeno mi dispiace, è un’estate così ruvida e crudele che non ne voglio sapere
nulla, né di lei né del suo sole, dei suoi gelati, del suo mare. Non ancora,
almeno.
Le piantine del terrazzo mi portano un sorriso accennato,
non sarò certo io a scoprire il senso della vita, del segreto della morte e del
suo significato, di dove vanno le persone quando non ci sono più, ma so che se
il piangere ogni tanto un pochino aiuta, so anche molto bene che non risolve un
bel niente, e che ti lascia sfatta e sfiancata e con gli occhi pesti, il respiro corto, e una pallottola di carta umida fra le mani.
La cattiveria mi passerà. Non subito.
Così, faccio piantine, studio ricette, disegno golfini
colorati per bambini che verranno, mi metterò uno smalto corallo, sabato la
festa ci sarà lo stesso, e la sua foto
in cucina, sorridente su Amaranta, fra il libro di Cracco e le tazzine.
2 commenti:
BRAVA!!!
Ho letto tante volte questo post.... Grazie. Grazie di cuore. Anch'io vorrei tanto correre e urlare... ma continuo a piantare piantine....
Paola
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