21 giugno, 2006

Giugno, Ventuno


Più che solstizio d'estate sembra Santa Lucia. O San Martino, meglio. La nebbia, infatti impedisce questa mattina la vista della Maddalena, di solito proprio lì, da spolverare. Non è importante. In questo posto, anche la nebbia ha un suo fascino. E in attesa di una maestralata che spazzi via tutto e ci restituisca il cielo di raso che siamo soliti vedere, vediamo di organizzarci la giornata. Un'amica, ieri, accingendosi a preparare la valigia per le sue vacanze, mi ha chiesto novità dalla Costa. Onorata di essere stata investita da cotanta responsabilità, ci ho riflettuto. La vera novità è che non ci sono novità. E vado ad illustrare. Niente di stravolgente, per l'estate duemilasei a quanto pare. Sembra infatti che si prediliga il classico, il certo, e che la semplicità sia la protagonista. A parte le zeppe di sughero che le più lungimiranti modaiole portano, modestia a parte, da anni, sono le cose già viste ad essere di tendenza. Le solite Havaianas, le solite, ma mica tanto, ceste di paglia. Dopo un solo giorno sulla spiaggia, ecco il mio frettoloso ma veritiero resoconto. Certo, sarà ben più dettagliato quando le spiagge saranno un tantino più affollate, e magari la temperatura salirà un pochino. Ma come recita un antico adagio "Meglio la nebbia in vacanza che il sole a picco in città". Se non erro.

20 giugno, 2006

Niente male.


Arrivati in tutta scioltezza. La famiglia a ranghi serrati, "solo" 2 figlioli e "solo" un micino, Philadelphia, ancora troppo piccina (o piccino????) per stare a casa accudito dai vicini. La nostra fama deve averci preceduto, a sorpresa, in nave ci è stata assegnata la Suite Imperiale Dodici Stelle Ultralusso TipTap Gold, che tradotto vuol dire un letto matrimoniale e due lettini. Viola, per giunta. Si vede che si sono detti, beh, questi qua sono stati già abbastanza bersagliati nell'ultimo mese, facciamoli iniziare le vacanze comme il faut. Certo, arrivavamo da Vienna, il che vorrà ben dire un qualche cosa, no? Che dire, tutto liscissimo, più che perfetto. C'è un solino smilzo ma niente ci fa, ha fatto freddo fino a ieri, si racconta. Così, in questo primo pomeriggio di un giugno qualunque, dò ufficialmente inizio alle vacanze duemilasei. Che ne sarà di me ancora non mi è propriamente chiaro, considerando che, così, tanto per dirne una, la deliziosa signora peruviana alle dipendenze della mia turbolenta famiglia, ha ben pensato di rassegnare le sue dimissioni circa 6 ore prima della nostra partenza alla volta dell'Isola. Un gioco da ragazzi. Si sopravvive, certo. Ho giusto comprato un set di spugnette viola ciclamino che si intonano a meraviglia con il rosa del lavandino genovese (e sottolineo, genovese) della cucina. Se Cenerentola dev'essere, che sia quantomeno con una discreta dose di charme. Dovrò solo risolvere il problema del Cif. Il giallo, signora mia, è troppo out quest'estate. Anche in Perù. Ma questo, avrei dovuto immaginarlo.

19 giugno, 2006

Sanno.


Di biscotto e borotalco, quando rimbocco loro le coperte nelle notti d’inverno, quando mi sveglio e vado a guardarli, il respirare tranquillo e i loro sogni segreti dietro le palpebre chiuse, le ciglia lunghissime immobili, una specie di sorriso addormentato. Sanno di sonno e di pigiama, la mattina presto, a tirarsi le coperte oltre la testa e a dire no, ancora cinque minuti. Di vento, quando tornano a casa, il motorino lì fuori, il casco in mano e le lacrime di traverso agli occhi, quelle innocue però, quelle che l’aria e i moscerini. Sanno di buono, di matita temperata, di mani sporche di terra e di inchiostro, di thè alla pesca e di dentifricio. Sanno di appena stirato, di fresco e di baci, quelli veloci dei saluti, non fare tardi e comportati bene, quelli più caldi delle coccole, i baci che consolano, ho preso 5 mamma, e ho studiato tanto, sono caduta dalla bici, ho sbagliato un rigore. Sanno di pioggia, di acqua calda, usciti dalla doccia a gocciolare in giro, la festa è tra poco, di aria calda del phon, di deodorante, di profumo rubato ai fratelli più grandi, al loro padre, a me. La camicia delle grandi occasioni, quella bianca dei diciottesimi e delle cresime e delle comunioni, magari coi jeans strappati e le mutande di fuori. Sanno di neve, le guance rossissime e gelate, le labbra bianche di burrocacao e il casco fucsia, il pile per non prendere freddo, il numero per la gara e l’emozione che ho nel guardarli venire giù. Sanno di sale, sanno di mare, di crema e di cocco, di sabbia e di Cornetto Algida. Sanno di quaderno nuovo, di bagnoschiuma alla ciliegia, di balsamo per i capelli e di cioccolata. Sanno di me. E ogni volta, ogni singolo giorno, nonostante le urla e le sgridate, ogni volta mi ritrovo a raccontarmi di quanto li amo, di quanto stia bene insieme a loro, di quanto li veda crescere e cambiare, di quanto siano per me la mia anima e il mio cuore. Perché i miei figli, più di tutto, sanno d’amore. Il più grande che c’è.

18 giugno, 2006

Il valzer di Strauss


Sassolini ce n'erano, e tanti anche. Ma si sa, visitare un castello non è roba da tutti i giorni. La meraviglia vera. E le rose, i gelsomini e i caprifogli, tutti perfetti, disegnati, profumatissimi. Sono sempre un pò intimidita e fiera quando sono in questi posti, senza tempo, senza data, gli stessi dei libri di storia, cose che abbiamo imparato a memoria, nomi che abbiamo in massima parte un pò odiato, diciamocelo. Metternich, Maria Luisa d'Austria, e quel Congresso di Vienna nel? nel? e cosa hanno deciso? e chi c'era? Insomma, non importa. Bello davvero. La città mi è piaciuta molto, troppo ordinata e perfetta, ma mi piaceva quello che si respirava. I viennesi un pochino meno. Freddini, vagamente scortesi e sospettosi. Non bocciati, solo rimandati al prossimo viaggio. E, signora mia, niente infradito per visitare i castelli. La Principessa, ben lo si sa, ancora Prada non la conosceva.

13 giugno, 2006

L'approvvigionamento.

Il progetto Strofinaccio da Cucina prosegue. A rilento, ma. Qualche giorno fa mi sono recata in visita non già pastorale, ma di ricognizione, ad una filanda. O meglio, a una teleria. Meglio detta Tessitura. Ho faticato a trovarla. Nella mia mente una tessitura doveva essere una specie di basso fabbricato con una bella insegna, magari consunta, ma visibilissima. Mi sbagliavo. Proverbiale è la mia assoluta mancanza di senso dell'orientamento, qualche volta devo pensare per bene anche per fare una strada cittadina, con indicazioni in lingua italiana, popolata da umani. Credo sia una questione di geni, una roba ereditaria, che raggiunge i suoi massimi considerando altresì la mia totale ignoranza in materia di navigatori satellitari che non so impostare, nè mettere in funzione nè tantomeno seguirne le indicazioni. Sono un caso umano, pietà. La Tessitura in questione, sapevo essere ubicata in prossimità del camposanto. Il Cielo mi ascolterà e perdonerà, se per raggiungerla, dopo alcuni giri a vuoto e sconforto crescente, ho trovato del tutto innocente imbucarmi in un funerale. Sì, confesso, e mai verbo fu più appropriato, di aver seguito un carro funebre, che, tanto, più che lì non poteva andare. Ho recitato sommessamente una prece alla cara, sconosciuta salma, parcheggiato nelle vicinanze, e mi sono diretta verso il numero civico 4. Una palazzina anni 50, di 3 piani, all'ultimo l'abitazione della famiglia, i primi 2 destinati alla tessitura. Mi è venuta incontro una signora gentilissima, camice blù e calze coprenti, che mi ha mostrato l'intero magazzino. Il delirio. Tovaglie di fiandra e lino, chilometri di tela colorata, tonnellate di asciugamani di ogni colore. Pronti da ricamare e con la possibilità di averli su disegno, e del colore preferito. Ne ho comprati una ventina. Conchiglie e giardini, pesciolini e gnomi. Per uso personale (stupefacente!) e per uso pubblico. Leggi: amiche deliziose, compleanni, cene a tema e regalini-senza-perchè. Il marchio è già pronto. Ma, una domanda. L'imprenditoria può essere vista anche alla voce Strofinacci Da Cucina? Ho i miei seri dubbi. Pazienza.

Leggerollo.


Me ne hanno detto meraviglie. In previsione del viaggio aereo di domani, verso Vienna, primo breve assaggio di vacanza, mi sono portata avanti. Non viaggio mai senza l'iPod e un libro nuovissimo, da iniziare. Farò fatica a lasciarlo lì, davvero mi hanno detto che si legge d'un fiato. La straordinaria capacità dei libri di farsi cercare, scegliere, desiderare. E amare, anche. Un pò come le persone, in fondo. E come loro, se le rileggi, qualche volta le interpreti in modo diverso. Quasi sempre al meglio. Quasi, ecco.

12 giugno, 2006

Perle di saggezza.

Tutto sono tranne che una filosofa. Come dire, non ne ho la stoffa. Ma stamattina, pronti via, per risciacquare un pochino lo sguardo vacuo del mio sposo che era troppo appannato, ho coniato lì per lì una di quelle frasette che servono, qualche volta, per tirarsi sù il morale. Abbiamo avuto un periodo come dire, effervescente, e adesso sembra tutto migliorare. La scuola è finita, ieri sera una cena tra amici, fra tetti e campane, cose buone e profumo di gelsomino, le vacanze vicine, insomma, volge tutto al meglio. Così, mi cito. " E' come quando trovi un puzzle negli ovetti Kinder: le tessere sono tutte ingarbugliate e mischiate, ma poi le disponi con grazia, le giri, le raggruppi per colore e in men che non si dica, voilà, il puzzle è fatto." Lui ha sorriso, risollevato, mi è parso. Dopotutto mi ha sposato. Che si sia pentito, questa mattina, seduto stante, dopo la vicenda del puzzle?

Papaveri senza papere.


Mettono allegria. E vogliono dire tante cose. Innanzitutto li adoro in quanto facenti parte di quella categoria di fiori ben riconoscibili e appartenenti ad un periodo ben preciso dell'anno. Nel senso che non si possono vedere papaveri a novembre inoltrato, come le rose del fioraio, per esempio o le margheritine delle aiuole. Non sono per le indecisioni, caratterialmente, e il papavero in quanto tale mi dà la sicurezza matematica di dire, ok, ci siamo, è estate. In più, sono fiori che hanno ragione di essere solo in un contesto ben definito. Nessun mazzo di papaveri, in letteratura, è mai stato avvistato. Non resistono a sterili vasi pieni di acqua, non si regalano, non si comprano, come il glicine, e come i loro lontani cugini fiordalisi. Il papavero si lascia guardare. E dà, in questo periodo, ai campi lungo la strada di casa, un aspetto di festa, di vestito nuovo, di bellezza semplice e contadina che fa stare bene. Mette allegria, appunto. Da piccola facevo un gioco che ho insegnato anche ai miei figli. Ingredienti: un bocciolo di papavero, quelli pelosetti e fatti ad oliva. Bene, si deve indovinare il colore al suo interno perchè, c'è anche chi non lo sa, il papavero dapprima è bianco e poi è rosa, per poi esplodere nel suo colore rossissimo. Vince chi indovina il maggior numero di olivette. Gioco rilassante e un pò demodè. Ma grazioso. E fa dimenticare che, tanto bellini, colorati, lucidi ed allegri ma sempre di pianta infestante si tratta. Perdoniamoli.

10 giugno, 2006

Ines, la coccinella.


Qualcuno sostiene che, se non avesse quel suo bel cappottino a pallini, i più la tratterebbero più o meno con la stessa schifata considerazione che si ha per uno scarafaggio. Ma tant'è. Ha stile e lo sa, ha classe da vendere, soprattutto quando si esercita in uno di quei suoi bei voli brevi ed intensi, diventando a tutti gli effetti un insetto quale è, e non uno squisito oggetto di design come sembra. Le adoro. Le coccinelle sono nell'immaginario collettivo, portatrici di buona sorte. Così ho salutato stamattina la mia compagna di viaggio, che con ogni probabilità ha passato la notte aggrappata al finestrino della mia automobile. Se ne è stata lì, tutto il tempo che è servito per andare da casa mia in città, scrutandomi, potrei giurarlo e facendosi una passeggiata sui miei pantaloni, ingannata forse dai fiori stampati sopra, che ha scambiato per veri. Come, alle coccinelle piace Cavalli? Di lei, nulla so d'altro. O forse sì. Se ne intende anche di musica. E' stata infatti un bel 5 minuti, appena prima di volare via chissà dove, ben attenta, pettoruta e un pò spocchiosa, sul display dell'autoradio. Le coccinelle, questo invece ben lo si sa, vanno pazze per il Buddha Bar. Volume IV, per l'esattezza. Diabolici insetti zen.

Cuore.


C'è profumo di tiglio quest'oggi nella piazza davanti alla scuola elementare. Lo Senti, Mamma? Quando c'è Questo Odore Vuol Dire che La Scuola è Finita. Già. Oggi è l'ultimo giorno di scuola. Invocato da mamme e alunni per i lunghi mesi invernali, adesso che è qui, beh, sì, siamo tutti contenti ma con una malinconia sottile, una specie di morbida tristezza, un pochino, ecco. Da sempre, l'ultimo giorno di scuola mi rattrista, anche quando non ero davanti ad aspettare, ma ero io ad uscire. Voleva dire che qualcosa era finito, che si concludeva un momento, che qualcosa cambiava. E i cambiamenti non mi sono piaciuti mai. Significava ovvio, non rivedere più certi compagni, non dividere più con loro il quotidiano. Forse, significava solo crescere. Oggi, in quella piazza dove staziono da anni, dove da anni aspetto le 16,20, anche io mi sono un pò commossa, come i bambini della quinta elementare, che hanno abbracciato forte le maestre, piangendo di un pianto buffo e impacciato, disperato, anche, quasi a dire, No, Dai, Rimaniamo Ancora Qui per Un Pò. L'ultimo giorno di scuola ha il suo fascino. Da domani, tanti giorni vuoti di compiti, di zaini e di voti, e pieni di giochi, di niente fare, di sveglie alle 11, di vacanze, di nessun orario. Cambiano i ritmi da domani e si è già tutti un pò in vacanza, non foss'altro per la sveglia che suona sì, ma possiamo prendercela con calma, una mezz'ora in più, male non fa. Sarà estate e poi autunno e allora, ancora saremo su questa piazza davanti ai Carabinieri, ancora zaini e ancora merende, a scrutare i genitori nuovi dei bambini della prima, infreddoliti nei cappotti e nelle sciarpe, a soffiare nasi e ad aspettare le 16,20. Fino al prossimo inebriante, unico, assoluto Profumo di Tiglio.

09 giugno, 2006

Laifisnau.


Ma quanto ci avrà messo la Creatura, ad impararlo? L’accento certo non è dei migliori, ma col suo faccino borgataro, belloccio ma a bocca chiusa, e la parlata country, Francesco Totti riesce persino ad essere simpatico. Ormai in televisione vuoi per i Mondiali, vuoi per gli spot, lo si vede ogni 5 minuti. Mi ha intenerito giorni fa quando alla radio ho sentito che il desiderio segreto del Nostro sarebbe quello di passeggiare in Via del Corso, senza essere assaltato dai tifosi e dai fotografi. Si ode il coro, Sì, Ma Ha Cinque Fantastiliardi In Banca, ohi, ma come siete venali, orsù! Insomma, un desiderio legittimo. Beh, in fondo ad esaudirlo non ci vorrebbe molto. Basterebbe avere una mogliettina meno appariscente, con una french manicure un po’ più discreta (Ilary, tesoro, ma lo sia che la french così ce l’hanno solo le domatrici oramai?), un bimbetto con un nome più consono, che so, Fabio Massimo, o Caligola, ma Cristian, accidenti, e senza nemmeno la h, per cortesia. Potrebbero rifarsi e la prossima pupina chiamarla Flaminia, o Appia Antica, anche Casilina male non sarebbe. E infine, Lui, forse, dovrebbe azzeccare un congiuntivo ogni tanto, dovrebbe essere meno presente nelle barzellette e fare meno cucchiai. Qui si fermano le mie nozioni calcistiche. E non si può neppure pretendere un inglese fluently da chi ha idee confuse anche sulle sua lingua madre. Vabbè. Però Francesco Totti mi sta così simpatico che magari qualche lezioncina di inglese, grammatica e fonetica, gliela darei io. Dopotutto, sono stata al Trinity College di Oxford, mica alla Scuola Radio Elettra. E sarei onesta con Lui, non gli chiederei autografi e applicherei una tariffa moderata per il Pupone, facciamo 50 euro. “ Ahò, sò cento sacchi!!!!”

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...