05 aprile, 2012

La Leggenda del Lillà In Fondo Al Giardino.

Era stato un rigido inverno. Uno dei più freddi degli ultimi cinquant'anni, o almeno, così dicevano tutti. Nulla veniva risparmiato dalla morsa del gelo, come si era preso a chiamarla sui giornali e alla tv. Nessun giardino l'avrebbe avuta vinta, ma per vederne i risultati devastanti si sarebbe dovuto attendere la primavera. E infatti, sciolta la neve, passato il freddo, ecco tutti a contare le prime vittime. La siepe, il fiero alloro, il gelsomino erano soltanto un insieme di rametti secchi e tristi. A nulla serviva l'intervento amorevole di un giardiniere professionista, uno che sa esattamente dove tagliare, quando e se. Il verdetto era sempre lo stesso, dopo un accurato esame, spesso in ginocchio accanto alle piante a scrutarne le radici, a guardarne da vicino le foglie secche, si rialzava scuotendo la testa. Nemmeno questo aveva superato le temperature spietate dell'inverno. Vi era in fondo al pratino un alberello di lillà. Era stato un regalo, di quelli che ti colgono impreparata e che ti lasciano sorpresa e felice, Che Bello, Per Me? perchè in fondo è un privilegio essere felici di un regalo inaspettato, è un lusso semplice, una bella cosa. Il Lillà Aveva trovato posto in fondo al pratino, vicino alla siepe della salvia, in un angolo ben studiato, così da vederlo anche da casa, una volta esploso nella sua incomparabile nuvola viola. Ogni anno fioriva e fioriva. Ma stavolta non si avevano molte speranze, riguardo la sua salvezza, e si temeva il peggio anche per lui. Lo si era visto curvo sotto un cumulo di neve, intirizzito, gelato e fermo, i sui rami scarni verso il cielo. Poi, accadde. In un giro di ricognizione, ecco dai rami secchissimi spuntare minuscole gemme, foglioline appena accennate. E qualche giorno più tardi, già i primi grappoli, ancora chiusi, ma che già promettevano quel bel colore pulito, quei fiorini quadrati e perfetti, e quel profumo di buono. Rami che di lì a poco avrebbero formato quella nuvola colorata tanto attesa, da guardare da casa, rami da cogliere e da mettere sul tavolo, la domenica, nel vaso riciclato della marmellata, nei vecchi bicchieri spaiati.
Il lillà aveva vinto sul gelo e sulla neve.

Sono nata lillà, non gelsomino.

02 aprile, 2012

Vento da dove.





Dicono ci sia stato un ventaccio, ieri, da queste parti. Non posso saperlo, io non ero da queste parti ieri, perciò      non lo so.  Quello che so è che c'è stato sul serio, a giudicare dal delirio che ha lasciato sul pratino già in disordine di suo, non avendo ancora subìto alcun intervento di rassetto primaverile. Il vento di ieri ha staccato la casetta degli uccellini, e con essa il marchingegno da me amorevolmente brevettato per sfamarli, il loro bar, diciamo. Ha capovolto lo stendino e tutto quello che c'era sopra, anche se lo stendino di casa mia è sistemato in posizione strategica, che lo nasconde agli occhi del mio Sposo che non ne sopporta la vista. Non ci si chieda il motivo, Egli è fatto così. E' stato un vento della malora, di quelli improvvisi che spazzano via le cose che magari sono lì da un sacco di tempo. Succede, qualche volta Che arrivi una folata dopo l'altra, raffiche a mille all'ora e ti portino via delle cose, non soltanto le magliette stese, non soltanto il cibo degli uccellini. Ci si fa l'abitudine. Si commenta con un'alzata di spalle, dopo aver incassato il colpo, di dice Pazienza, non già con rassegnazione, ma con lo sguardo già al di là, lontano, già oltre. A guardarlo bene il giardino stamattina non è molto diverso dalle altre mattine, anzi, è proprio identico. Il ciliegio è sempre lì, la siepe anche, e anche le sedie strane, colorate, quelle col buco che il gatto ci scivola dentro, sono lì. Soffia pure, vento malvagio, vento arido che scuoti le vite di tutti, non sei quello profumato di schiuma e di mirto, sei un vento insipido che arriva chissà da dove e nemmeno ci tengo a saperlo. Soffia e porta via tutte le cose, spostale, capovolgile, fanne quel che vuoi. Non ruberai il ciliegio, al massimo gli farai cadere i petali, invidioso come sei di tanta bellezza  delicata.  Non  ruberai  la siepe, il lillà che sta fiorendo, anzi, scuotendolo ne farai uscire tutto il profumo e sarà peggio per te. Soffia, saccheggia, sfianca me e il mio giardino, non m'importa se dovrò lavare un'altra volta le lenzuola cadute sul prato. Ma guai a te se tocchi il resto. 

30 marzo, 2012

Il violino del Corso.

C'è un omino che suona, ogni mattina, sul Corso. Sempre lì, tra la banca e la farmacia. Non so da dove venga, credo sia slavo, non saprei. La gente del Corso va di fretta, quasi nessuno si ferma a guardare, men che meno a buttare qualche moneta nella custodia sdrucita, foderata di un velluto che un tempo doveva essere rosso e che adesso è lisa e consunta. Il violinista del Corso ha una giacca lucida sui gomiti e una cintura che tiene sù dei pantaloni di due taglie più grandi, forse. Suona. Niente è più struggente delle note del violino, sono graffi melodiosi, suonassero anche la musica più allegra del mondo c'è sempre un pò di malinconia, alla fine, hanno un retrogusto amaro come certe caramelle, come di nocciole acerbe, come di nostalgia, come di infinita tristezza mai cancellata, non so. Ieri mattina ho sentito le note del violino già da lontano, perchè sono così acute che ti entrano nelle orecchie anche se l'omino ancora non lo vedi, anche se sei ancora lontana, anche se pensi ad altro, e le note ti squassano e fanno ballare i tuoi pensieri, non già di gioia, ma li scuotono e li buttano in aria e li fanno spiaccicare sul pavimento, senza riprenderli, non sei un bravo giocoliere, ti hanno insegnato qualche volta, con le arance, ma mai una volta che ne prendessi una, così i pensieri girano e girano e poi sbattono per terra, e quando pensi di farcela, quando pensi di aver trovato il giusto ritmo, niente, non fai le cose per bene, la gravità, la distrazione, e le arance voilà, ti scappano di mano e rotolano sotto il tavolo e devi ricominciare da capo. Non amo i violini, una volta ho visto un matrimonio di due che neppure conoscevo, ero in vacanza e passavo di lì, c'era un violinista in frac che suonava sul sagrato, fra le gardenie e i paggetti, di quei matrimoni da tv, e io piangevo, se c'è da piangere non mi tiro indietro, ma di certo era il violino. La prossima volta che passerò dal Corso lo dirò al violinista slavo, gli dirò che la smetta con quelle sue note, che mi rotolano nella testa e mi spaccano il cuore, che mi pesano dentro alle tasche come i sassi del fiume, che mi fan bruciare gli occhi e l'anima, ma forse la sua malinconia è molto più grande della mia e allora me la racconti, a consolarmi, ad alleggerirmi, lascerò una monetina nella sua custodia rovinata.

28 marzo, 2012

Guido io.

Ha deciso così. Non perde occasione per guidare, non vede l'ora di dare questo esame, lo capisco. E' sceso di corsa dalle scale, preso le chiavi, detto Non Cucinare, Siamo Solo in Due e Fa Tristezza, Andiamo Fuori. Siamo usciti vestiti così come eravamo, per fare un McDrive non serve mica un abito Versace, per dire. Guida bene. Parla poco, è concentrato, ma mi racconta di un tema che ha fatto sulla ricerca della felicità, o meglio, non fatto, iniziato soltanto. Poi, dice, Era Un Giorno Tappo e Avrei Scritto Cose Strane e Ho Cambiato Tema. Parla in slang, parla strano, dice Il Gatto è Preso Male, e io ci si mette un pò  un pò a capire il significato ma poi ti ritrovi ad usarle anche tu e ridi da sola, come una scema. Guida piano, senza strattoni, ha deciso che stasera aveva voglia di fare un giro in macchina, e non voleva che stessi lì a spignattare.E' un ragazzo ma gesti da uomo fatto, di una dolcezza e di una carineria è tipica sua, un pò di altri tempi, non so come dire. Forse, ha imparato da suo padre, e dai suoi fratelli grandi.  La sera è calma e bellissima, sembra giugno ma non lo è, c'è odore di fiori e di rami nuovi, l'albero rosa è una nuvola così bella che viene voglia di fermarsi a guardarla. Ci saranno delle stelle, fra poco, e una luna crescente che serve per piantare il basilico, l'ho letto dietro alle bustine dei semi all'Esselunga. E' una bella sera, semplice nel modo giusto, c'è una partita alla tv e qualcosa da finire sui ferri, la cena sul divano, a gambe incrociate e un pò da zingari, è quanto ti possa far sentire più libero e in pace. No, ce n'è un'altra. Ed è quando tuo figlio ti dice, Mamma, Andiamo, Guido Io.

26 marzo, 2012

Cento sfumature di viola.

Sono dappertutto. Esplose, in questi ultimi giorni. Nel prato, nei filari vicino a casa, un cespuglietto è perfino nato fra i mattoni del muretto. Nascono così, un pò a sopresa, staranno pochi giorni, appena prima dell'erba nuova, sono lì, preziose fra le foglie secche, semplici, bellissime. Certo che non sono tutte uguali, le viole, e soprattutto, non sono dello stesso viola.  Amo le viole, forse perchè amo tanto e da sempre il colore viola. Che scoperta. Ne ho fatto un mazzolino l'anno scorso per il compleanno di un figliolo, le raccolgo spesso, le lego con un filo, hanno un gambo così delicato e poi sono belle se tutte insieme, non come le rose, che a separarle nell'acqua stanno meglio. Certo, durano poco, e nemmeno si possono seccare, se non fra le pagine dei libri, per poi ritrovarle quando quel libro lo rileggi, o se ti cade rimettendolo a posto, mi è successo giorni fa, avevo preso l'Innocente, e dentro ci ho trovato tre violette, ancora un pò viola, lì chissà da quanto. Non saprei trovare un significato filosofico a questa magia delle violette, che fanno bello qualsiasi prato, che sanno di pulito e di nuovo. In effetti, non c'è. Quel che c'è è che sono loro le vere protagoniste di questi bei giorni, dei primi giorni dell'ora legale che dà un'aria già di vacanza, che ti fa venir voglia di stare sul terrazzo a prendere il caffè, di constatare che forse, ahimè, il gelsomino non ce l'ha fatta e non ha passato il rigido inverno e bisognerà vedere nei giorni prossimi se si riprende oppure no. Nel frattempo, ci sono loro, le viole del pratino, a dirti del sole e di quel profumo bello che si sente la sera, a ricordarti che è ora di sistemare la bici e forse di rifare un cestino, ovvio, viola, dacchè il tuo si è scolorito e sfilacciato. Si inizia così, un giorno semplice pieno di cose, la Ginnasiale accompagnata all'alba verso la sua lunghissima gita scolastica, cose da fare ma con calma studiata, l'ora nuova è bella ma ha bisogno di essere metabolizzata con cura. Magari, anche con un bel mazzolino di viole appena colte, col gambo un pò lungo se no non stanno in nessun vasetto, da tenere sul tavolo e annusare ogni tanto quando passi di lì, da regalare, o da tenere in mezzo a un libro e ritrovare dopo un pò. La felicità, a volte, è piccola cosa.

20 marzo, 2012

La Leggenda del Sole che Si Muove.


D'inverno, le poche volte che c'è, me lo trovo davanti. A colazione. Seduta al mio solito posto, quello che ha il lavandino dietro e che guarda fuori, il terrazzo, poi il giardino e poi ancora, la collina. E là in fondo, il sole. Mi siedo sempre qui, anche le rarissime volte che sono sola, anche quando siamo in mille, le cene di Santa Lucia, i pranzi della domenica dove ognuno porta qualcosa. Dal mio posto al tavolo della cucina vedo lo scorrere del mondo, quello che si vede dalla mia finestra, mica quello vero e intero, il mondo mio, quello che ho qui. E vedo le stagioni, l'erba nuova, la neve, i pettirossi, il ciliegio, quest'anno ha fatto troppo freddo e forse ha sofferto un pochino, la sua nuvola pastello è un pò in ritardo, ma arriverà. Oltre la collina c'è il sole. Posso sapere anche che ora è, minuto più, minuto meno, mentre sciolgo il caffè solubile nel latte, o ci soffio sopra perchè è troppo caldo, o semplicemente, mescolo e guardo fuori, come rapita, non so, non saprei dire che cosa penso veramente, ci sono luoghi di questa casa che sono ipnotici, per me. Passando i giorni, il sole si sposta. E lo so che non è lui ma sono io, che il sole è sempre lì ed è la Terra che gira, quante volte l'ho spiegato ai miei bambini, sono quelle cose che non sono chiare nemmeno a te, ma che le dai per assunte, così, la Terra Gira, fine. Il sole dalla mia finestra, invece, è lui a girare, è lui a muoversi, ogni mattina sempre un pò più in là e io mi devo spostare e spostare la sedia, ogni mattina un pò di più, per essere sicura di vederlo per prima appena spunta il suo sorriso arancione dietro l'albero grande in cima alla collina. Ognuno ha il suo sole privato, quello che vede ogni mattina salire in alto e ogni sera andare giù e non si spiega un tale miracolo, una tale straordinaria, lussuosa meraviglia, un tale ineguagliabile spettacolo. Il mio Sole della finestra  è uguale al mio sole del Cielo, che è lo stesso che sale e lo stesso che va giù, lo stesso che scalda e brucia e asciuga i panni stesi sul terrazzo, e fa sbocciare in pochissimo le gemme delle ortensie. E mi piace pensare che quel che vedo spostarsi un pò più in là, sia uno spettacolo privato solo per me e per il mio giardino, il Sole che Si Muove, ogni mattina, stessa rete, stesso canale, personaggi ed interpreti, il Sole e io.

19 marzo, 2012

Frescamattina.

Ha dato una spruzzata d'acqua stamattina verso le 7. La cucina già in pieno fermento, la caffettiera quella grande, le capsule Nespresso finiscono sempre nel week end e forse è meglio fare la caffettiera viola stamattina, tutti i figlioli fan colazione la mattina del lunedì, tutti o quasi, dacchè l'Ingegnere Jr. forse s'è dimenticato che ha una casa e che la sua casa è questa qua, ma ha sempre troppe cose da fare e poi la Fidanzata quella maiuscola e tutta una serie di inghippi, meno male che ogni tanto so che sta bene perchè twitta, e allora ok. La mia cucina al lunedì mattina è una specie di mercato, inutile accende la radio perchè non si sentirebbe neppure, è tutto un via vai di zaini e di fogli e di merende e di monete per la macchinetta a scuola, e di libri e di accordi, allora li prendi tu, io torno a pranzo con, io vado a pranzo da, ci vediamo venerdì, baci baci. Il silenzio che ne segue, appena chiusa la porta, è quanto di più prezioso per riordinare le idee, per sedersi un attimo e dire Da Dove Comincio, la settimana che inizia oggi sarà una specie di corsa a ostacoli, c'è bisogno di raccoglimento e di organizzazione, di logistica perfetta e di un notevole cul@, non so se rendo l'idea, per far filare tutto come deve. Si farà, ce la si è fatta ogni volta, ogni volta che si è guardato con orrore il calendario con tutte le caselline occupate, scritte a pennarello rosso per non scordare nulla, oggi di qui, domani di là, dopodomani chissà, alla fine ce la si è sempre cavata. Fresca la mattina lassù nella casa in collina, siamo già alla seconda metà di marzo, era Natale due giorni fa, lavori pesanti e tonnellate di cose da riordinare, piegare, stirare. Mi piace il disordine allegro che fanno i  miei figli al mattino, le loro facce assonnate e bellissime, il loro profumo che riconoscerei fra milioni, anche adesso che sono grandissimi. Li bacio sulla porta come se avessero ancora cinque anni e lo zaino dei Pokèmon e le treccine bionde col nastrino di raso. Oggi, anni fa, avrebbero portato a casa un lavoretto, l'impronta di una manina nel gesso che ancora il loro padre conserva, nel cassetto di mezzo della scrivania di castagno, disegni sghembi colorati coi pastelli, scritture incerte.  Troppo grandi per un lavoretto, impegnàti, pensierosi, il lavoro, l'università, la maturità, l'interrogazione su Leopardi alla seconda ora. Ma  oggi, un bacio per la festa del papà si può mandare in tanti modi. Anche con un tweet.

15 marzo, 2012

Si capisce.

Si capisce eccome. Da piccolissime cose, quei piccolissimi particolari che fanno di un giorno qualunque un giorno speciale, di un momento senza scosse in un momento se non beato, almeno calmo, come il mare calmo che adoro, quello vellutato che non si muove quasi, che a passarci sopra ti sembra di rovinarlo un pò, come sul pavimento appena lavato, hai voglia a urlare E' Bagnato! ci passano sopra in mille e ci lasciano le impronte che non è mica tanto bello se ci pensi, non solo perchè ci devi ripassare e lavare il pavimento non è il massimo, anche se nella mia cucina, da qualche giorno c'è la sindone di un piatto di pasta volato sul soffitto e piombato per terra, sissignori, a Villa Villacolle ogni tanto si hanno gli scleri e per non frantumare il piatto sulla testa di uno o dell'altro figliolo, a rotazione, ecco che il piatto volavolavola, insomma, bei momenti. Si capisce che è primavera perchè si iniziano a compare i fiori. Nulla di ricercato, si fa la fila alla cassa e nei secchi bianchi dell'Esselunga è tutto un fiorire di tulipani e roselline, il tavolo della mia cucina è più bello se ci sono i fiori freschi, e mi piace averli lì. Quelli che ho comprato ieri non sono fiori recisi ma una bella pianta di calle viola, io non sono brava con le piante ma mi ci voglio impegnare, qualche settimana fa è stata la volta di Brigida, una pianta di orchidee fucsia che resiste e resiste, con la quale chiacchiero ogni mattina mentre le spruzzo l'acqua con lo spruzzino, così mi han detto, e mentre le racconto meraviglie, e le dico che è proprio in buona compagnia con tutti quei piccoli cactus e quella pianta strana che ho portato dalla Sicilia avvolta nel tovagliolino e che è bella rigogliosa e sta benissimo a guardar fuori dalla mia finestra. Ieri ho comprato Domitilla, che è un pò più spocchiosa di Brigida, nel senso che ho letto bene il bigliettino e non vuole tanta acqua, forse nemmeno con lo spruzzino, ma oggi chiederò all'Amica delle Perle, che ne sa, e anche a Fosca, che loro due c'hanno una foresta di orchidee e se la tirano un sacco e mi hanno fatto divieto di toccare le piante di Cuore di Maglia, che guai mai se le annaffio troppo o, peggio, me ne dimentico. In tutto ciò, stamattina ho letto un tema di mia figlia. Si intitolava Un Cassetto Che Non Apro Mai. Quanta bellezza, quanto spessore, quanta meravigliosa innocenza. Certo, non mi serve un tema per sapere il cuore bello della mia figliola, ma leggerlo lì è stato come guardarlo, il suo cuore, tenerlo in mano per un pò e sentirne il profumo. Una mattina come tante, dei fiori nuovi cui badare, la fotocopia di un tema da conservare e  fuori, il sole. Tutto regolare, almeno fino al prossimo piatto che volerà. Molto American Beauty, mi hanno detto. E allora, ok.

12 marzo, 2012

Spot.

Considerando che due dei miei figli si chiamano proprio così, direi che è una bella coincidenza.
Ma che la mia Amica Biancaneve mi abbia pensato quando l'ha vista e mi abbia telefonato per dirmelo, no, non è una coincidenza per niente. 
E' molto, molto di più.
Grazie Biancaneve, precisa, preziosa, perfetta.

Frecciarossa e macarons.

Alla fine, rieccoci qua. Ci si è presa una piccola, piccolissima vacanza, si è preparata una valigia veloce, non era del tutto vacanza, e nemmeno lavoro, ma si sono messe insieme tante cose, viste tante persone, qualcuna mancata, qualcuna incontrata  per la prima volta, qualcun'altra rivista con gioia, a salutarsi un pò ballando come si faceva a scuola, perchè quando sei in giro con le tue Amiche Maiuscole, diciamocela tutta, un pò in gita ti ci senti davvero, libera, come dire, rilassata, anche se si è camminato un sacco e preso autobus e taxi e fatto foto e visto monumenti e negozi, e perfino un giro al Quirinale, e tutte quelle cose che fanno i turisti e lavorato anche un pochino, emozionatissima ma nemmeno tanto in uno studio televisivo, che roba però. Ogni vacanza che si rispetti inizia già dal viaggio, abbiamo invaso la carrozza del Milano Roma del venerdì mattina con i nostri sacchettini a fiorellini tutti uguali, tirato fuori ogni bendiddio dalle borse colorate, gomitoli e smalti e rossetti per darci un tono, e chiacchierato, chiacchierato e riso, e programmato e organizzato, noi parliamo forte, non so, il sottovoce non ci appartiene, siamo caciarone e casinare, che a salutare la Mirella al binario sul treno per Firenze abbiamo avuto addosso le occhiatacce di molti, ma a noi niente ci fa, alla fine. Abbiamo fatto le turiste e anche un pò le donne serie, abbiamo giocato alle signore in un locale magnifico al Colosseo, i piattini di ceramica e il thè fumante Marriage  Fréres, macarons delicatissimi e chiacchiere, perfino Marzipan mi ha raggiunto per un saluto, che sorpresa. Abbiamo avuto tre giorni splendidi, un venticello fresco e un cielo lucido, abbiamo conquistato Santi e Santi ha conquistato noi, ma questo lo sapevamo già e allora non vale. Ci siamo ritrovate insieme, noi, come qualche volta ci succede, mariti e figliolanze a casa, noi e basta, in fila per due, a scambiarci le collane e le spazzole e i vestiti, a ridere come sceme, a zonzo per una Roma sempre così speciale. Ora, lavatrici e stiraggi incombono su ciascuna di noi,   è una piccola tassa da pagare per essere state così bene, il canone per la beatitudine noi lo si paga sempre alla scadenza, da oggi in poi si farà un lunghissssssssimo bonifico per saldare tutto. Restano i biglietti della metro stropicciati nelle tasche, la conferma che insieme si sta proprio sempre così bene, e che il Frecciarossa Milano Roma mai ha avuto passeggeri più coreografici di noi. Me pare er minimo.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...