C'è un cielo così strano, quando è di nebbia. C'è una luce rarefatta, finta, come finta? sì, finta. Perchè la nebbia la filtra e te la fa arrivare non proprio brillante com'è. Ho perso le parole, mi ci sono inciampata e non riesco a dire quello che voglio. Mi succede di rado. Sarebbe un pomeriggio da divano e nient'altro. Mi piacciono così tanto i pomeriggi da divano, con intorno soltanto le cose che posso fare da qui. Leggere, dormire, un bel niente. Mi sa che è l'inizio dell'influenza, o che ne so, forse ho Saturno contro, i pianeti messi di traverso, o di traverso sono soltanto io. Non mi concentro, non ne infilo una, non mi riesce di formulare un pensiero corretto che sia uno, non che abbia sonno, ma è come se la nebbia di fuori mi sia calata anche nel cervello. Forse un Cebion mi salverà la vita, una coperta leggera e un momento di ferma, facciamo mezz'ora. Il tempo che mi serve a ripigliarmi un pochino, a non sentirmi un frullatore nella testa e gli occhi pesti.,che anche a girarli mi fanno male. La luce di fuori è sempre strana, le foglie appiccicate una all'altra, non è vero che scricchiolano se ci cammini sopra, oggi no, fa freddo, più freddo, mi sa che ho la febbre e mi ronzano le orecchie, mi succede sempre così quando c'è il cielo che cade.31 ottobre, 2009
Il cielo che cade.
C'è un cielo così strano, quando è di nebbia. C'è una luce rarefatta, finta, come finta? sì, finta. Perchè la nebbia la filtra e te la fa arrivare non proprio brillante com'è. Ho perso le parole, mi ci sono inciampata e non riesco a dire quello che voglio. Mi succede di rado. Sarebbe un pomeriggio da divano e nient'altro. Mi piacciono così tanto i pomeriggi da divano, con intorno soltanto le cose che posso fare da qui. Leggere, dormire, un bel niente. Mi sa che è l'inizio dell'influenza, o che ne so, forse ho Saturno contro, i pianeti messi di traverso, o di traverso sono soltanto io. Non mi concentro, non ne infilo una, non mi riesce di formulare un pensiero corretto che sia uno, non che abbia sonno, ma è come se la nebbia di fuori mi sia calata anche nel cervello. Forse un Cebion mi salverà la vita, una coperta leggera e un momento di ferma, facciamo mezz'ora. Il tempo che mi serve a ripigliarmi un pochino, a non sentirmi un frullatore nella testa e gli occhi pesti.,che anche a girarli mi fanno male. La luce di fuori è sempre strana, le foglie appiccicate una all'altra, non è vero che scricchiolano se ci cammini sopra, oggi no, fa freddo, più freddo, mi sa che ho la febbre e mi ronzano le orecchie, mi succede sempre così quando c'è il cielo che cade.29 ottobre, 2009
Pace fatta.
28 ottobre, 2009
Senza titolo.
Trovata così, nel cortile di una vecchia cascina, usata da deposito per vecchi mobili, carabattole che non vuole nessuno, scatole di latta, cestini di vimini, vecchie sedie, salotti di velluto stracciato, tavolini che stanno sotto gli acquazzoni, servizi di piatti spaiati, tazzine, portadolci, casseruole, ferri da stiro, una Olivetti, lampade e lampadari a goccia senza gocce, nè lampadine, nè niente. Sono andata lì per il mio progetto, ho scelto qualche mobile qua e là, un armadio, dei banchi, delle cose. Starò sospesa. Dirò e non dirò, come quando ho cose tanto belle da dire e che non dico, non so, per paura che scòppino, bolle di sapone, palloncini persi per aria, sogni schiacciati. E' così simpatico quest'omino, mi racconta sempre un sacco di storie, questo armadio viene da e questo organo, anche. Questo tavolo déco, non ha una gamba, ma non è bellissimo? Lo è, infatti. Questi posti mi affascinano, luoghi dove si accatastano tante vite e tante storie, e si intrecciano mille destini, mille facce, mille esistenze passate, forse, sparite, probabile. Mi piacerebbe sapere chi si è seduto in questo banco da chiesa, e quali preghiere e quali peccati, e quali mani hanno acceso questa lampada elegante, in quale salotto, da quale promessa sposa, o zitella iniacidita, o maestra di pianoforte, col ricamo in quel cestino di vimini, e la borsetta a mezza punto. E quale rosolio ha versato in questi bicchierini sbeccati e pieni di acqua piovana e di foglie, e di terra, e quali biscotti ha conservato questa scatola di latta con la Mole, offerti al notabile del paese, seduto all'orlo di questa seggiolina sbrecciata, che ci esce l'imbottitura da una parte, e questo appendiabiti, ha forse accolto il mantello del medico condotto, con quella borsa di cuoio, che veniva in visita alla signora malata, il viso sofferente tra i cuscini ricamati, intristiti dal tempo e dai topi, forse, ma una volta candidi e perfetti, resi immacolati dalle sapienti mani della servitù, che accompagnava il piccolo di casa all'asilo, la merenda in quel cestino con la chiusura rossa, e quel camion di latta, con la scritta Shell che si vede a malapena. Volevo una lavagna di scuola e un banco, di quelli di legno, in un pezzo solo, con il buco per il calamaio. L'omino della cascina non ce l'aveva. E quando ho visto questa insegna, abbracciata da mille rami di rovi umidi e foglie di vite vergine e tralci e terra, bagnata, pesantissima, l'ho portata via con me. Perchè nessun segno del destino è più forte di questo. Arresa.

Avviso ai naviganti: non è un post a sfondo fetish, nemmeno per sogno. La realtà è che mi sono arresa. Tutti a dirmi ti ammalerai, lo vedi, hai già un pò di tosse, per forza, fa un freddo polare e tu giri ancora senza calze. Vero. Fino a due giorni fa. Poi, alla fine, un briciolo di buon senso e a malincuore ho capitolato. Non che le calze non mi piacciano, anzi, a pizzi, trine, righine e fiorellini, monastiche o da Grande Raccordo Anulare, coprentissime o velatissime, mi piacciono eccome. Solo, rimetterle dopo l'estate, con ancora un accenno di abbronzatura, mi sembra un delitto, ecco. E con la gonna e il cappottino, chi ti vede in ballerine e gamba nuda, potrebbe anche chiamare il 118. Ben perciò, ecco che ieri mi sono vestita di tutto punto, calze comprese. La cosa che più mi disturba, però, è l'avere imprigionato sotto un velo di filanca nera, quel portafortuna greco, che ho da mesi legato alla caviglia, quello coi campanellini, che non potrei fare un colpo al museo in stile Eva Kant, perchè appena mi muovo sono tutto uno scampanellio. Ma non lo tolgo, no che non lo tolgo, sono esperta di queste cose e i portafortuna acquistati per euro 2 nelle isole greche non si strappano per tirarli via, ma si aspetta pazienti che si sfilaccino e si tolgano da soli, sennò i tre desideri mica si avverano, lo sanno anche i sassi. Perciò, e va bene le calze, però quel cordino viola stinto, con l'occhio del mare e le perline di legno, nonostante la calza, rimane al posto suo. la campanellina non si sente quasi, ma l'effetto desiderio è assicurato. Mica posso andare contro il volere degli déi.
27 ottobre, 2009
Di nebbia, mercurio e stelline.
Lo so bene che è impopolare,ma a me la nebbia piace, e anche tanto. Sarà perchè ci sono nata, ricordo certe nebbie a lenzuolo, che non si vedeva neppure la casa di fronte, e il pulmino giallo che mi portava a scuola appariva solo all'ultimo, mica dal fondo della strada, eppure era giallo, colore che non sopporto, che non è nella mia palette di colori, di giallo non ho proprio niente, anche se compro cose gialle, in realtà, ma le regalo, alla Cognata del Mio Sposo, che in realtà era mia, insomma una faccenda complicata, ma così. La nebbia di stamattina era bellissima, era la prima, o la seconda, non so e mi rende tutto così bello e magico, che perfino il suono delle campane mi arriva come incartato, nella velina, quella che scriccchiola un pò, da avvolgerci le tazzine nel trasloco, viola, magari, quella da incartarci i regali, quelli che vedi e anche quelli che non vedi, che non occorre incartare, che sono i baci, le carezze, le parole e i silenzi e i pensieri, anche quelli, che lanci lontano, che non riesci ad afferrare e a dar loro un senso, come quella volta che ho rotto il termometro e il mercurio e scappato via sulle mattonelle, e io cercavo di fermarlo ma nemmeno tanto, perchè volevo vedere lo spettacolo che non mi sarebbe ricapitato di certo, tutte quelle palline impazzite e anche il Liceale di pochissimi anni lo guardava dal lettino, era a lui che misuravo la febbre quella volta, e mi ha chiesto Ma Sono Stelline? massì, le stelline del termomentro, e da quella volta mai che si sia fatto pregare per farsi misurare la febbre, e si teneva stretto quel termometro sotto il braccio e so che in cuor suo sperava che di stelline ne uscissero ancora e che la sua mamma, fatina distratta, ne facesse uscire ancora, nonostante gliel'avesse menata per mesi, col cucchiaio dell'antibiotico, Ti Ricordi Le Stelline, un attimo prima che esso, l'antibiotico, venisse sputato nel ficus banjamin. Divago, stamattina, che passo dalla nebbia all'antibiotico e di cose da fare ne ho una tonnellata e una tonnellata ne ho fatte di già, ma mi sono fermata un attimo a leggere le notizie, e ho bevuto un caffè solinga nella mia cucina, e che guardavo di fuori e pensavo che forse si potrebbe mettere l'erica nei vasi perchè la salvia e il basilico sono disintegrati come i cachi che ho comprato ieri all'Esselunga e sono volati giù dal nastro della cassa e la cassiera lo so mi voleva strangolare lì per lì, e avrebbe anche potuto accoltellarmi, tanto poi arriva l'omino con la segatura e cancellava ogni traccia, me che oca che sono questa mattina, che mi specchio nello specchio (ovvio, e dove se no) del forno e volteggio e canticchio e di stirare nemmeno per l'anticamera, farò una torta, massì, e missà che un pò di quel mercurio, quella volta là, mi è finito nel cervello, ecco, ora si spiegano molte cose.26 ottobre, 2009
Cadeaux.
Laggìta.
23 ottobre, 2009
21 ottobre, 2009
Bonjour, l'automne.
Che bella mattina che è. Silenziosissima, come sa essere bello il silenzio quando ti fa sentire in pace, contenta, di nulla in specifico, ma ci si sente così, e che ci vuoi fare. Si ascolta con sodisfazione questo benessere, questa sottile serenità, certo il frutto di tanti esercizi, esito di tanti lividi, magoni e pianti, momenti in cui ci si è sentiti così soli e disperati e immobili e assurdi. Lontani, alla fine, si è lavorato su di sè, si è imparato, si è cancellato, accantonato, chiusi capitoli e questioni, ci si è fatti più forti, si sono dette cose, ascoltate altre, si è cambiato registro, uniforme. Mai il sorriso. E' un cammino faticoso, come quando fai in salita un sentiero che ti porterà a uno spettacolo meraviglioso, non so come dire, sarà la piacevole malinconia di questa mattina autunnale da catalogo, la pioggerellina, che non sai bene se è pioggia o nebbia, e che mi rende così romantica e melensa, e mi fa pensare e pensare. A cose belle, però. Che non necessariamente son tutte metafisiche e filosofeggianti, echeppalle, ma va bene l'alternarsi continuo, il senso del cosmo e quegli stivali da viale su cui ho messo il cuore giorni fa, verificare il proprio stato emotivo e scervellarsi a ricordare il nome di quel mascara che fa gli occhi da pantera. Così, si dipana questa mattinata autunnale, nella casa in collina silenziosa e ancora un pò in disordine, scarmigliata, scalza e vestita da casa, una felpa di Bali che racchiude un cuore d'autunno, un cuore sfacciato, un cuore che ride.20 ottobre, 2009
Il ritardo.
E non già quello che a tempo debito porterà un frugolo, dacchè, in grazia di Dio, abbiamo già dato a sufficienza, anche se mi spupazzo i figlioli delle mie Regie Vicine di casa, e li annuso e li tengo in braccio e mi sforzo di ricordare quando ne avevo anche io di piccini così, e mi viene un pò di nostalgia, ora che ho omoni e donnine, invece di pollicini morbidi col facciotto cicciardo. Orbene. Il ritardo è quello in cui ti svegli nel cuore della notte, apri l'angolo di un occhio soltanto, e lo posi sulla sveglia accanto a te. 7.35. Ah, ok. Cooooooooosa? Fai un salto nel letto, scuoti lo Sposo, altro che risveglio a baci come nei film, non abbiamo sentito, forse abbiamo sentito ma abbiamo finta di nulla, forse non è neppure suonata, impossibile, è che ci siamo addormentati secchi, e abbiamo un'ora o giù di lì di ritardo sulla tabella, qui c'e scritto che si deve essere in piedi alle 6.30, altrochè. La Princi esprime il suo personale disappunto per non avere a disposizione quella mezz'ora per decidere il vestiario e se la felpa blu o il maglioncino rosso, e che collana, e che sciarpa, dacchè, sempre in grazia di Dio, ne ha una trentina. Il Liceale esprime il suo personale disappunto bofonchiando qualcosa in una lingua incomprensibile, prendendo a caso nel mucchio dei suoi abiti ammonticchiato di malagrazia sulla poltrona accanto al suo lettino e in in 18 secondi è già lì, spazzolino in bocca e zaino in spalla. Il mio Sposo esprime il suo personale disappunto imprecando in maniera silente, impercettibile ai più, ma io che lo conosco più che bene, so che le imprecazioni silenziose son le più pericolose, e attendo la deflagrazione da un momento all'altro. La scrivente piomba in cucina, nel lavello ancora i piatti della cena, che è una cosa che odio rassettare la mattina presto; realizza che ha dimenticato di esporre il sacco dell'indifferenziata, che sono finiti i croissant per l'intervallo delle 10, che deve dare 7,50 per non so quale obolo a non sa quale figlio, che ha scordato di firmare questo, che deve andare alla posta e che e che. Ben perciò, la scrivente medesima, non sa se esprimere il proprio personale disappunto urlando, vomitando, o tornando a dormire.
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