Ma Come Fai Mamma. Già. Come faccio non lo so neppure io, bambina. Ci sono cose di miliardi di anni fa che ricordo alla perfezione e altre invece no, che è passata solo mezz'ora o un giorno soltanto. Io conosco le piante. Le erbe. I fiorellini del prato.Beh, non tutti, certamente. Un bel pò. Quanto basta per far meravigliare la PrinciRubaScialli. Lo vedi? Questa è la coda di cavallo, e quest'altra la Borsa del Pastore, non so il nome latino, ma lo so in emiliano, va bene lo stesso? Appartengo a quella generazione di alunni volonterosi, non troppo studiosi, le scuole medie negli anni 70, gran rivoluzione intorno ma noi belli sciallàti alla Scuola Media Statale GiuseppeMariaGiulietti, che ci mettevi tre ore a fare l'intestazione dei quaderni, meno male che ho un nome cortissimo. Ebbene, alla scuola Media Eccetera si faceva l'erbario. Che tradotto voleva dire: Bene, ragazzi, ora andate a casa, stremate genitori e nonne e fatevi accompagnare su per i bricchi a cercare le erbe più astruse, mettetele con precisione tra due fogli di giornale, piazzateci sopra cinque o sei volumi di Conoscere, che era Wikipedia, solo da sfogliare, e aspettate una settimana. Poi, incollatele con attenzione sul quaderno e descrivetele con parole vostre. Meraviglia. A me che non sono scientifica per nulla questa cosa mi piaceva assai e mi dispiace così tanto che il mio erbario e quello di mio fratello siano andati perduti in qualche trasloco. Il quaderno diventava spessissimo, pieno di colla e e profumava di fieno e lavanda. Li avrei conservati volentieri, per mostrarli ai miei figli, per riguardarli io, vedere la mia calligrafia di allora, ho perso anche il quaderno della prima elementare, il 1 ottobre 1969, San Remigio: una pagina di i, e il disegno di un imbuto sghembo colorato di viola, avrebbero dovuto capire da allora che qualcosa non andava, e forse a cercar bene nel mio erbario avrebbero trovato ben pressato e descritto, una rarissima specie di fungo allucinogeno. O qualche altra erba misteriosa. Fatto sta ed è che ora me la tiro un sacco, con la Princi, a declamare il nome di fiorini e erbettine, anche se di qualcuno so soltanto il nome in dialetto. Ma alla Gelmini, mi sa che non gliene importerebbe granchè. Così, con questi pensieri agresti e semplici , testè mi accingo ad iniziare come si deve una bella giornata d'autunno pieno, e a pensare che forse di erbe ho abusato, il cielo mi ascolti, se di mattina presto mi viene in mente l'erbario e le ricerche e l'enciclopedia Conoscere. Tutta colpa di quell'imbuto viola.
13 ottobre, 2010
12 ottobre, 2010
Da che parte vuoi stare.
Mi gira in testa da qualche giorno, è una bella canzone, io non ci vado pazza per Ligabue, ma so che le sue canzoni fanno innamorare, di loro, dico, che le canti per giorni e giorni, sono un pò tutte uguali, ma forse, proprio per questo sono belle. Che bel sole d'ottobre spunta piano di là dalla collina, che bel profumo, che bel niente tutto intorno, e quante cose, quante storie devo scrivere, ci sarà una sorpresa il primo dicembre, come l'anno scorso, del resto, e allora sono qui che penso e penso, inventare storie non è mica così facile, è bello sì, perchè ci puoi mettere dentro tutto quello che vuoi, personaggi ed interpreti, anche se alla Holden mi avevano detto che non ero tanto brava coi personaggi, che mi dilungavo troppo, troppe caratteristiche, troppi aggettivi, una menata, perciò. Sto dalla parte di chi va piano, di chi fa le cose per puro piacere, di chi si inventa ogni giorno un sogno nuovo da tenere lì, e quando saranno troppi, lo scuoterò fuori nel prato, li guarderò volare via, ma non mi importerà, perchè ne avrò già almeno tre da rimettere dentro. Sto dalla parte delle cose semplici, della normalità, mi tengo alla larga dalle persone pesanti e che opprimono, e che mi mettono di cattivo umore, ce ne sono un sacco, non ci vuole uno scienziato a capirlo, ma forse uno bravo può aiutare, e allora ok. Sto dalla parte delle cose mie, di questa casa che amo, perfino il suo disordine, la polvere sotto i letti, le fodere dei divani un pò consunte, il pavimento rigato, perchè tutto questo la rende unica nel suo genere, una bolla di pace dentro una confusione cosmica, un'isola bella, un abbraccio costante. Sto dalla parte di chi ci abita, sono pronta a sbranare chi fa loro del male o anche soltanto chi li ferisce, in qualche modo. E infine, sto dalla parte mia, tifo per me, sono giorni che forse ho capito quale è la mia parte e da che parte devo andare per trovarmi, è un concetto complicato e che non riesco a spiegare, ma che ho ben chiaro in mente e l'ho scoperto da poco, non so come e non so l'attimo esatto, ma lo so, io lo so, e allora che continuino questi bei giorni di pace e di sottile allegria, le foglie rosse e il sentirsi a posto, la me di sempre, la me che ero, sto da questa parte, che è la mia, perchè son le cose imperfette che fanno la meraviglia.
10 ottobre, 2010
La beatitudine del numero 10.
E già il fatto che l'abbia scritto in cifre, quel numero 10, la dice lunghissima. Io non amo i numeri, non li ho mai amati, non faccio le somme delle targhe, non guardo i numeri della radiosveglia al contrario, son mica malata, eppure c'è gente che, non gioco nemmeno al super Enalotto, troppa fatica pensare ai numeri, non ci so fare, non è mia materia, ho sempre confuso 7 x 8 e 9 x 7, e ancora adesso ci devo pensare un attimo, che le tabelline le ho pure insegnate ai miei figli ma loro le sanno diverse, le sanno sulle dita, che è come non saperle, alla fine, o almeno credo. La beatitudine del numero dieci si può così riassumere, che non è che abbia scoperto l'uovo sodo, mi avranno già sfranticato l'anima in mille a dire, Ma Lo Sai Che Gorno è Oggi?, ma sì, lo sanno anche i sassi. Però è bello e mi piace, e devo dire che sto bene, ma proprio bene, io, Beata Fragola del Pratino Luminoso, delle Ortensie Rossastre che coglierò presto, una domenica perfetta di ozio e niente fare, le più belle del calendario, il sole pallidissimo di fuori, che fa asciugare lo stesso le lenzuola, chissà come fa. E' un giorno speciale, e se non lo fosse, ci sarebbe da renderlo, un giorno adatto per scrivere una lettera, ma di quelle con la carta bella e la stilografica, un giorno perfetto per inventare qualcosa, per pensare a una storia, per fare una torta. Un giorno qualunque che diventa regale, un suono rotondo e magnifico, dieci è il voto più alto, dieci è il capitano, dieci i Comandamenti, chissàperchè non undici o nove o sei. Coi numeri non c'ho mestiere, ma questo dieci mi ha affascinato già da ieri sera, che non era ancora mezzanotte, farò quindi quel che mi pare, quel che mi va, è un bel giorno per essere felici e basta, sereni e basta, tranquilli di una calma ritrovata, di una specie di sbronza leggera, a insegnare le canzoni dei Beatles alla PrinciChe CresceTroppoInFretta, e a bearsi del niente, Fragola del Pratino, della foglia in bilico sul ramo, dell'ortensia rossastra e bellissima che è un peccato lasciare lì.
08 ottobre, 2010
Loro lo sanno.
Sì che lo sanno. Quando non ne ho voglia, quando dico Non Esco e loro insistono perchè sanno che uscire è una medicina, qualche volta, e qualche volta è stare in casa a guarirti, e loro sanno sempre se insistere o no, se provarci o no. Sanno che ci sono dei giorni in cui se non mi sentono vuole dire che sto benissimo e altri invece che se non mi sentono vuol dire che sto malissimo e allora mi chiamano, con una scusa, o passano di qua, che non è proprio di strada per nessuna di loro, ma lo dicono lo stesso, passavo di qua, e Dove Andavi? chiedo e loro fanno le vaghe, ma, sì, boh, ecco. Loro sanno le volte che sto zitta e penso, le volte che parlo senza fermarmi, le volte che. Ieri è stato un bel pomeriggio, dopo una mattina triste, e loro lo sapevano, sapevano anche questo. Mi hanno preparato un grande pacco colorato e molte feste e molte battutacce per farmi sorridere, e alla fine ce l'hanno proprio fatta, che mi lacrimavano gli occhi proprio come quando si ride fino a non farcela più. Loro sono un esercito napoleonico, una forza della natura, una squadra efficientissima, ognuna con un compito precisissimo, chirurgico, insostituibile e non intercambiabile. Hanno personalità diversissime ma anime uguali, affini, vicinissime alla mia. Sono belle e furbe, acute, intelligenti, informate sui fatti, sanno parlare e stare zitte, sanno difendere e sostenere, sanno dire con franchezza Hai Fatto Una Cazzata, che non è da tutti, in fondo, perchè molti ti danno ragione e chissenefrega. Sanno e basta. E sanno anche trovare dei regali bellissimi, utilissimi nella vita, la coccinella sbucciapatate, per esempio, la grattugia col manico, e infine, che il Cielo mi assista, anche il famigerato porta banana da viaggio, di un bel colore fucsia, che ho scartato ieri con beata innocenza in un pubblico luogo, con le signore agli altri tavoli che guardavano curiose, può sembrare quel che non è, ma loro lo han fatto apposta, burlone che non sono altro, mattacchione donne fatte con l'animo diabolico da sedicenni, perfino un pò maiale, mi aiuti a dire, serpenti a sonagli, le mie amiche del cuore.
07 ottobre, 2010
Trenta.
Se ci pensi non li riesci mica a mettere in fila tutti. Uno dietro l’altro, trenta Natali e trenta Pasque e trenta compleanni e ferragosti, trenta di tutto, di niente, trenta volte senza. Il senza che c’è, il niente che c’è, l’assenza che c’è, il vuoto che c’è, se provi a pensarci è diverso da come dicono. Il tempo dovrebbe diminuire, non far più grande, dovrebbe essere meglio, passando i giorni, passando le stagioni, trenta non sono uno scherzo, è una vita, sono due, è l’eternità. Non sono poi così diversa adesso, sono io, così, io senza, ma sarei curiosa di sapere come sarei stata con, invece, cosa sarebbe successo, che giro avrebbe fatto la mia vita, cosa sarebbe cambiato nella me di adesso, come sarei, così come sono, diversa, sarei curiosa di sapere se riesce a vedermi e se mi ha sentito, qualche volta delle mille che ho parlato con lui, e come sarebbero state le cene tutti insieme, che brutto è stato preparare la tavola con un posto in meno, e poi, mi avresti insegnato a guidare? E come sarebbe stato tutto, il mio matrimonio, che faccia avrebbe avuto a prendere in braccio il mio primo figlio, come sarebbe stato Natale con te, mi avresti lasciato farmi quattro buchi alle orecchie? E andare in vacanza da sola? Trenta. Non si cancella e non si impara, forse si soffre meglio ma non si smette mai, la mancanza diventa un soprammobile, un vaso di piombo che lucidi ogni tanto, il piombo lucido non ci diventa, e pesa e pesa, il dolore diventa vuoto e sconfinato, senza margini e contorni definiti, sono grande abbastanza adesso ma sono sempre io, e trent’anni non mi hanno cambiata se ora come allora penso a te com’eri e non so più chi sei, chi saresti adesso, ma amavo quel che eri e così ti tengo, vicino e stretto, forse con te sarei stata migliore, la me che sono adesso l’ha fatta la tua assenza, il tuo volare via quella sera d’ottobre, la mia gonna blù e il nastrino bianco che ti ho messo sul cuore.
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