13 maggio, 2006

I bambini non muoiono.


Sono di zucchero. E di pane, anche. Un pò di burro. Sono latte e biscotti, sono pappa spiaccicata e sparsa. Sono gengive lucide e occhioni, sono respiro di notte, sono la luce accesa per non avere paura. Sono il triciclo e la bici a rotelle, il bavaglino col nome, i sandaletti coi buchi e la sabbia che pizzica. Sono secchiello e paletta, il cappellino per il troppo sole, bikini a quadretti e tonnellate di crema. Vomitano nelle curve, camminano a gattoni, sono a puntini col morbillo. Scrivono mamma sei bellisima con una sola s, raccolgono fiori senza il gambo.Sono il ciuccio attaccato col cordino, le gocce per il naso, la citronella per le zanzare. Sono la febbre a 40, sono il primo giorno d'asilo, sono l'autoscontro, quello piccolo, al Luna Park. Sono succo di frutta e Plasmon, sono nascondersi dietro le tende, sono scivolo e altalena, sono Lego e bambole che fanno la pipì. Sono abbracci e coccole, sono carezze di borotalco, sono bagnetti e accappatoi con le papere. Sono la tenerezza, il caldo e il morbido, il dolce e l'assoluto. Sono manine appiccicose e piedi infangati, sono paura del tuono e Strega Comanda Color. Sono formaggini e camomilla, mal di pancia e sbadigli, a strofinarsi gli occhi prima di dormire. I bambini non li ammazzano. Non con le pale nei viottoli di campagna, non coi sassi o chissà che, nel lettone. I bambini non li ammazza la mamma a scrolloni, il papà perchè piangono troppo. I bambini nascono, il fiocco alla porta e le smorfie dal vetro, a scommettere a chi somiglia. Non li fanno fuori a calci e pugni quando ancora sono lì, nella mamma, e li sotterrano e poi li vestono, come vivi, ma vivi non sono e morti nemmeno, può morire una cosa che non ha visto un solo secondo del mondo che c'è? I bambini non li rubano, non li vendono, non li trattano da grandi per far loro del male, i bambini non li uccidono, i bambini non muoiono, vero mamma?
Invece sì, amore mio.

Il sabato del massaggio.


Non è una cattiva idea. Anzi, non la è proprio per niente. Dedicare questo fine settimana a una piccola remise en forme, visti i precedenti e i successivi, ivi compresa l'imminente vacanza, è una cosa che fa bene al cuore, allo spirito, e perchè no, al giro coscia. Tornita dalle massacranti ore che abbiamo passato in piscina a sguazzare, in palestra a pestare, sollevare pesi e macinare chilometri sul tapiro, sotto lo sguardo assatanato del nostro Personal Trainer, la coscia non avrà che da ringraziarci se la cospargeremo prima di scrub, poi di fango alle alghe o a qualche altra diavoleria, e infine della sua bella cremina rassodante. Meglio sarà, a tale proposito, fuggire dal peccato incombente e dalla vanificazione pressochè totale di tale pratica: il Week End. Esso nasconde insidie ben note: l'aperitivo in terrazza, quello classico, olive e Martini a celebrare la semplicità e la classe, un Mamma Mi Fai Pane e Nutella, una focaccia di Recco, un dejeuner sur l'erbe...Fuggire, fuggire da simili barbare tentazioni, eroicamente. E se proprio non se ne può fare a meno, ma sì, un'oliva male non fa. Avendo cura di occultare furtivamente le prove. Il nòcciolo, accidenti!!!

12 maggio, 2006

Da un'altra parte.


Potrebbe essere dovunque. A Parigi come in un cinema, a una recita scolastica, fosse anche un mercato o in fila alla posta. Ovunque, tranne il posto dove sei. E magari avevi anche voglia di uscire, in fondo è venerdì e si è già un pò in vacanza. Ma improvvisamente tutto svanisce, la tua allegria, la tua voglia di sorridere e di fare qualcosa. Rimani lì, a niente fare, a sfogliare una rivista controvoglia, a voler andare sì ma dove, a stare lì. L'entusiasmo che hai adesso potrebbe essere lo stesso che ci metti per comprare un'aspirapolvere o portare il piumone in tintoria. Meno di zero. Cosa fare in questi casi non è scritto da nessuna parte, nessun manuale, nessun libretto di istruzioni. Se esistesse, lo comprerei.

11 maggio, 2006

Nata di maggio.


Arrivata da poche ore. Aspettata da uno stuolo di fratelli e sorelle, lenzuola candide e tutine, pugnetti chiusi e smorfie buffe, borotalco e mustela. La tenerezza più grande del mondo, il solo momento in cui una donna si sente invincibile e perfetta, immortale quasi. E brava, bravissima, per avergli fatto due mani e due piedini di zucchero, e cinque dita in ciascuna mano e un cuore e un cervello e i capelli e gli occhi e il fegato, e le orecchie. Tutto quel che serve per il mondo. A Benedetta, alla sua mamma, al suo papà e a quel meraviglioso plotone di fratelli e sorelle, un pensiero speciale, stasera. Adesso che compie già cinque ore, che c'è stato il sole tutto il giorno, benvenuta a questo mondo. E che tu abbia una vita semplice e leggera, serena e dolcissima, rosa di maggio, è quello che sei.

C'era una volta un re...


"...seduto sul sofà, che disse alla sua serva, raccontami una storia, la storia incomincio'... "Non so come incomincia, in realtà, ma so come continua e ho come il presentimento di come finirà. Brutto da dire, questa Storia ha perso lucido, si è come scolorita, spenta. E' una Storia dolorosa. Una delle famiglie dorate italiane e mondiali, i Kennedy di casa nostra, in un certo senso che come i Kennedy, hanno alternato grandi fasti a grandi miserie, non in senso economico, si intenda bene, splendori a bassezze, perle a fango. Una Storia di eleganza e compostezza, di suicidi da viadotti, di divorzi, di sindacati e cassaintegrati, di felpe e di coca, di Juventus e di Ferrari, di figli veri e presunti, di orologi su polsini e cravatte fuori dal maglione. La Storia che sappiamo tutti, che abbiamo letto sui giornali di gossip, con un pò di quel morbido sadismo, bonario peraltro, che accompagna queste cose, lo si sa. Fango sui diamanti, insomma, ancora una volta, per un'altra puntata di questa Storia Infinita e Infinitamente Triste. L'affaire Juventus non mi convince tanto. Forse perchè ho il cuore troppo tenero e perchè a fondo non ci sono andata, forse perchè ho sposato un uomo che era già sposato con la Juventus, e quindi non potrei essere imparziale, ma non mi addentrerò nella questione, non è campo mio, ecco. Ma ieri sera in televisione, ho visto l'uomo distrutto che tutti dicono essere potentissimo e corrotto, che hanno vilipeso e polverizzato in una mezz'ora, come è divertente fare quando le cose non girano più...Altare e polvere di una dirigenza fortemente voluta dal Re. Cosa c'è dietro? Sono forse i figlioli discoli che litigano per un trenino? Chi è il burattinaio di questo teatrino viaggiante, chi il regista di questi ritrovamenti in letti scomodi, ad annusare illegalità, chi l'intercettatore di una richiesta in fondo legittima, Voglio il Migliore? Nessuno lo saprà mai. Quello che sconvolge è la prima pagina, la vendetta, la soddisfazione alla rovina altrui, una partita a scacchi con persone vere, io mangio la Torre, tu mangi il Cavallo. Scacco al Re.

10 maggio, 2006

Lo sguàzzaro.

La parola non compare in nessun dizionario della Lingua Italiana, lo ben so. Ma rende l'idea. E' un lombardismo, un diminutivo della parola sguàzzarone, che sta ad indicare, nel linguaggio comune della bassa Pianura Padana o, per meglio dire, dell'Oltrepò Pavese, famoso in tutto il mondo per vino, riso e fanciulle sventole, un acquazzone. Quello che c'è stato oggi verso le 16 dalle mie parti era, per l'appunto, uno sguàzzaro. Non una pioggia, non un temporale, non una grandinata, non una bufera. Lo sguàzzaro si compone in massima parte di goccioloni grossi come uova, che fanno sbat sbat sui vetri, un leggero fumo sull'asfalto, bolle nelle pozzanghere. Per godere appieno dei benefici ci si deve trovare senza ombrello: lo sguàzzaro, si sa, arriva d'improvviso. L'effetto più straordinario lo si ottiene se ci si trova sotto una bella tettoia di plexiglass o alla fermata di un autobus. In moto è veramente il top. Ma anche a piedi si riesce a fare un bel lavoro. Ci si ritirerà senza un solo millimetro quadrato asciutto, i capelli grondanti, i pantaloni incollati e un odore di pioggia. La pioggia sa di fungo, lo sanno tutti. E un pò di metano, anche. Urge quindi un bagno rigenerante o una doccia veloce, avendo cura di scegliere un fragranza fresca e profumata. Asciugarsi con cura. Spioverà.

La nespola.


Attraente, certo non è. La vedi lì, sul banco del mercato, e dici ma sì, compriamola, ma senza un vero slancio, in verità. La compri perchè le arance non ci sono più e le pesche non ci sono ancora e le ultime fragole che hai comprato erano muffosette e mollissime. Le metti con cura in una ciotolina e le porti a tavola. Poi, scopri che in effetti la nespola ha i suoi fans. I ragazzi si ricordano di quando piccini facevano a gara a piantare i noccioli lucidi e bellissimi, per vedere quale per primo avrebbe messo le foglioline. E poi, accidenti, la nespola è pure buona. Bipartisan essa pure, come la Macina, umile e senza pretese, povera di calorie, non bella ma un tipo, come dire. Qualcuno ci ha fatto pure la marmellata. Una meraviglia. Forse anche il nuovo Presidente della Repubblica sarebbe felice se, per festeggiare e complimentarmi, gliene mandassi un cestino. Ma non so l'indirizzo. Se scrivo Montecitorio e basta, arriverà?

Sospesi.


Si sta così. Indecisi, non definiti. Sospesi, appunto. Tanto per cominciare, Marini o Napolitano. E già lì. E poi, primavera o autunno inoltrato? Anche se qualcuno di folle sibila contro tutti che è già estate. Integrale o di semola. Fast food o giapponese. Fusilli o penne. Intero o bikini. A mano o tracolla. Sandalo o sneakers. Margherita o napoletana. Gucci o Chanel. Libellula o camelia. Aereo o traghetto. Lampada o lettino. Aquagym o PowerPlate. Bufala o fiordilatte. SUV o station wagon. Parigi o Londra. Modulo o tempo pieno. Classico o scientifico. Pomellato o Damiani. Fax o mail. Righe o quadretti. Jeans o tailleur. Pamplelune o Issey Miyake. Palpitant o Beige Naturel. Cavalli o Parasuco. Spremuta o succo. Caffè o marocco. Omnitel o Tim. Orzo o farro. A mano o in lavatrice. Pritt o Coccoina. Nokia o Samsung. Ordinaria o prioritaria. Biro o matita. Gomma o bianchetto. Coca o Pepsi. Ricotta o Jocca. Bianco o nero. Rai o Mediaset. Pesca o pera. Golf o tennis. Vitamine o lievito di birra. Normale o brasiliana. Tinta o hennè. Città o campagna. Diesel o benzina. Gasata o naturale. Carta o bancomat. Pinzatrice o graffetta. Mutanda o boxer. Bagno o doccia. Cinema o teatro. Normale o balsamico. Zenzero o curry. Decolletée o ballerina. Rolex o Swatch. Juve o Milan. Fotocopia o scanner. Sù o giù. Mah! Per me che non sono per le indecisioni, che il dover scegliere mi crea un'ansia sottile e un pò di batticuore, che nei negozi non provo mai, se non gli occhiali, a centinaia, per me che visto e piaciuto è una regola aurea, beh, diciamo che tutta questa sospensione un gran bene non mi fa. Proprio per niente, oserei dire.

09 maggio, 2006

Dimenticare.

"I giorni. I giorni e le notti che ho lasciato scorrere via, consumato, nel tentativo di dimenticare. Tutto per convincere me stessa che niente era successo o che, comunque, non aveva lasciato tracce visibili. La disperazione al femminile è così sottile, non si nutre di alcool, sigarette e notti assurde, è fatta di piccoli ricordi pungenti, nostalgie improvvise. Il tuo maglione azzurro, il tuo giocherellare con le chiavi, il suono della tua voce. Ho voluto dimenticare per il gusto fuori moda di sentirmi ancora una volta "donna dal cuore spezzato" al contrario di quello che sono, buffa sedicenne ferita per quanto lo posso essere e credo non molto, benchè il mio modo di soffrire sia così credibile e autentico. Quasi vero. Ma ci sono riuscita ad annullarti per quello che eri, così quando ti incontro sei sempre tu ma non così tu, e le tue mani non sono più tenere ma solo mani incerte di mezzo bambino. E ora litigo con me stessa perchè ho raggiunto il mio scopo, ho perso tanto di te e in poco tempo, sarebbe passato lo stesso ma per mesi ancora ti avrei guardato con dolcezza, magari solo per giorni, ma che bei giorni di amore finito sarebbero stati. Ancora una volta ho imparato qualcosa e soffro perchè non soffro più e forse la prossima volta sarò meno assurda e più pratica. Speriamo di no."
Beatrice Masini, Cormano, Milano.
Era il 1977. O 79, non ricordo. Le ragazze, all'epoca avevano le gonne a fiori, le camicie di Fiorucci e la cinghia per i libri, quella di elastico. Leggevano Doppiovù e l'edizione italiana di Glamour, che si chiamava Lei. L'ho comprato dal primo numero. Perchè fra le rubriche ce n'era una che raccoglieva gli scritti delle lettrici e pubblicava i più belli. Ne hanno pubblicato qualcuno anche a me. Molti però erano di questa ragazza. mia coetanea. Non la sopportavo molto, perchè un mese sì e uno no, gli scritti erano quasi sempre a firma sua. Il suo nome mi è rimasto in testa. Così come questo, il più bello, secondo me. che ho letto e riletto centinaia di volte, fatto mio e scritto sui diari delle mie compagne quando venivano mollate dal fidanzato di turno. Ma, benchè la rivista Lei sia sparita nel giro di due anni, devo riconoscere un discreto fiuto alla redazione.
Beatrice Masini, quella che come me mandava gli scritti alle riviste perchè era carino vederli pubblicati, per ritagliarli e incollarli da qualche parte, è diventata una scrittrice. Ed è lei la traduttrice di Harry Potter.
Non so se mi spiego.
E, a mille anni da quel Dimenticare, che forse neppure lei si ricorda più, complimenti. Complimenti vivissimi.
Qualcuno glieli faccia arrivare, per favore.

Aces in their places.


In fondo, è stata una mattinata avventurosa. Gli attacchi di Chinotto, il nascondersi nella stampante, la visita dal veterinario per le vaccinazioni, insomma, Philadelphia è sfinita. Quale posto migliore di una poltrona morbida e accogliente, per riprendersi?

Parlami.

Parlami.Non importa di cosa. Parlami col vento che sbatte sulle finestre, con il rumore delle foglie e il ronzio tranquillo della lavastoviglie giù in cucina. Parlami di quel che sai e che anche io, di quello che immagini, che vorresti. Dei sogni, quelli che svaniscono al mattino e quelli che invece si ritagliano e si conservano, piegati in quattro nel portafoglio, tra i soldi, la carta di credito e un biglietto del metrò di Londra. Parlami delle volte che hai paura e fai finta di no, che vorresti un pò piangere ma che non si deve, delle cose che ti fanno male e di quelle volte che invece sei così felice che non ti sembra vero che sia proprio tu, qui e adesso. Ti ascolto. Ti ascolto anche se ho sonno ed è già tardi, ti ascolto anche se piove, se devo andare, se sto facendo tre cose insieme e mi chiamano in dieci e ho la testa da mille altre parti diverse da qui, anche se non ho voglia di rispondere e forse rispondere non so, anche se devo pensare, anche se mi viene da urlarti di tutto, anche se. Tu, parlami.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...