21 maggio, 2007

La resa dei conti.


Ah, è così. Te ne sei andata andata alla chetichella, con sposo e figliolanza ridotta, che il Grandegrande è sotto esami e il Grandeebasta deve studiare e giammai lascerebbe una settimana la sua fanciulla. Hai passato una settimana da catalogo, isole e mare e vento e mare e tramonti e mare e vela e mare e pace e mare. E' andato tutto liscio e perfetto come pochissime cose nella vita. Ah, è così? Molto bene benissimo, adesso che torni, cara la mia signora, vedi di darti da fare e senza tanti preamboli bùttati nella centrifuga della vita consueta. Anzi, già che ci siamo rendiamo le cose un pò più difficili. Hai messo fuori uso il cellulare durante la vacanza? Non c'è problema, eccotene un altro in sostituzione, ma senza i tuoi numeri, bella mia, che cosa vuoi, anche due etti di Zibello, lasci pure anche se sono due etti e trenta? Ma dirò di più. Mentre stai usando un altro apparecchio, facciamo in modo che te lo rubino pure dalla macchina, dove lo avevi lasciato incustodito. Ah, ecco, si comincia a ragionare. Niente telefono, niente numeri abituali, qualcosa come trecentocinquantadue cose da fare, di lavoro, ovvio, e anche di organizzazione, ti sei forse dimenticata che la PrinciPrinci fa la Comunione domenica che viene? E dove sono tutti i numeri che ti servono? Maccerto, nel telefono in coma irreversibile, mi sa. E le lavatrici da fare, che le magliette di Amaranta si devono lavare tutte insieme, e la spesa, che il frigorifero erano mesi che non restava così desolatamente vuoto. Hai perso dei messaggi, dei numeri e delle cose. I codici delle carte, del bancomat, della Postepay dei tuoi figli quando vanno in gita. Bel rientro, non c'è che dire. Confesso che questa mattina, con la spesa a rosolare in macchina, la fila alla posta per ritirare due stupide raccomandate, la sensazione che il mondo intero cercasse me medesima per comunicare l'inizio di chissà quale sciagura, alla quale io e solo io avrei potuto porre rimedio, beh, mi è venuto anche da piangere, non mi vergongo mica a dirlo, sa? Che ne sarà di me, ora? E' presto detto. Mi comprerò un altro telefono e denuncerò il furto. E già che ci sono, faccio un appello. Via mail, rimandate i vostri numeri a questa sciagurata che li ha persi tutti e in meno di un istante. Sbadata e sulle nuvole, forse ancora alle isole. Ma con un abbronzatura stile Diabolik e, già che ci sono, un telefonino nuovo di zecca. Sopravviverò. Con classe, s'impone.

19 maggio, 2007

Canzoni d'amore.


Questo ti viene voglia di fare. Anche se non sai da che parte cominciare, anche se forse sei anche stonato o non sai bene i segreti delle note e dei bemolle. Questo ti viene voglia di scrivere, canzoni. Anche cantare sembra troppo poco. Hai cielo di sopra e di fianco e tutt'intorno. E di qui e di là, qualcuno ha srotolato per te un enorme e meraviglioso tessuto lucido. Della terra nemmeno l'ombra, per un pò, almeno. Solo mare e mare e mare.
Le cose che hai in mente prendono una forma differente, un colore che non sai, che non hai ancora visto, che ancora non conosci ma sai che ti piace e che ti piacerà ancora e ancora.


E ti scopri a pensare, ma in quale posto del mondo sono finita, in quale straordinaria cornice stanno chiacchierando i miei bambini, che cosa resterà a loro e a noi, di queste isole disabitate, non selvagge ma molto di più, con i negozi che vendono tutto di niente, con le chiese, le rovine, le case abbandonate, con i gerani selvatici ancora alle finestre.

Quel che resta non lo so. Ma ho imparato tante cose. Nodi e ricette, venti e andature. Ho imparato che si deve avere un'anima pulita per cose come queste, non dare nulla per certo, e guardare, guardare, guardare. Nel fondo di una grotta celeste, in una spiaggia deserta, in un'isola di 15 abitanti, c'è davvero tutta la pace, tutta la verità e tutto il segreto della vita.



Farò così. Scriverò al nostro Capitano e al suo Assistente, e leggerò quel libro, e dirò loro che quella passata è stata una settimana che non dimenticherò, che davvero conserverò nella scatola dei Giorni Perfetti, nonostante la Bora di ieri, e che penserò spesso a loro quando dovrò mettere in pratica tutte le cose che ho imparato. Beh, sarà una lettera o una mail, ma non credo sia molto distante da una canzone d'amore. Pensata tutta la settimana e scritta. Ora.


10 maggio, 2007

Senza titolo.


Oh, sì, me lo dicono da sempre, sono così brava con le parole, io. Qualche volta, a scuola, quando ci davano i tre titoli dei temi, spesso li facevo tutti e tre, per poi distribuirli a chi era in difficoltà. Parlo anche coi sassi, improvviso spesso, ho parlato in pubblico centinaia di volte, mai che avessi paura o fossi tesa. Dopo, magari, mai prima. Non fatemi fare di conto, ma le parole io le amo, amo il loro suono, le vedo, certe volte, amo i discorsi, la grammatica, i verbi, le poesie, le cose. Ma adesso no. Adesso sono qua che ci penso, veramente ci ho pensato tutto ieri, anche al concerto. Ho pensato ad un torrido ferragosto del 2000, c'era il Giubileo, anche, eravamo a pranzo in una splendida casa sulle colline di Perugia. Abbiamo cucinato in sei, quei pranzi chiassosi e incasinati che fino all'ultimo non si sa bene che cosa si mangerà, che uno affetta e l'altro mescola, e l'altro assaggia, che abbiamo riso come matti, e bevuto, anche, coi figli che giocavano e un pò si menavano, ma bastava chiudere la porta e non sentirli. Ci ho pensato tutto ieri. Alle vacanze, al mare, alla festa di Bea, ai discorsi, a quel sentirsi così uguali, anche se proprio amiche forse non siamo, ma vicine, questo sì, accomunate da altre amicizie, e qualcuno mi spieghi che la proprietà transitoria non si può forse applicare anche qui. E così, stasera, che ho notizie di te dai messaggi non tuoi, che ho saputo del cancro e so che lo sanno anche i tuoi figli e tuo marito, e te, stasera io, che scrivo da un tempo che non so e che so sempre, sempre trovare le parole anche quando non mi vengono, stasera che scrivo confusa e senza rileggere e correggere, stasera che sono qui a pensare che sei una come me, sei una di noi anche se lontana, e che sei tu ma potrei essere io, e i figli miei e mio marito, stasera io, proprio io non so che cosa dire. Io, Grazia, non so che cosa dire.

Per caso.

E' così che ho scoperto che c'era. Ho visto un manifesto, in un posto nemmeno tanto in vista, dalle parti della stazione. Giovanni Allevi, Joy Tour. Ho calcolato che sì, il 9 maggio ancora non era passato e che, anzi, era proprio la sera stessa. Sì, si va. Perchè sono mesi che lo ascolto, mi piace, mi fa sentire in pace e leggera, non so, non sono affatto una che ne sa di musica, ma lui mi piace, anche per com'è lui, un pò giullare un pò filosofo. La Princi, al settimo cielo. Si è vestita e cambiata, cambiata e vestita, pettinata e ripettinata, per essere carina, dice, con quel rossore da emozione che ha di solito quando deve fare qualcosa di importante. Piace anche a lei. E tanto, anche. Una folla da paura. Esclusi gli amici incontrati lì, composta perlopiù da gente che non mi piace: pseudo intellettuali, pseudo impegnati, pseudo radical-chic, pseudo sinistrorsi, pseudo griffati che sembra che no, pseudo profondi, finto tolleranti, finto benefattori, autentici incomunicanti, non avvezzi agli entusiasmi, impostati anche sotto la doccia. Ecco, loro. Ma che m'importa, sono qui per la musica, sono qui, con mio marito e mia figlia, che si è portata il quaderno di musica, per farlo autografare da Lui, qualora, caso mai. Arriva, puntuale. E io mi innamoro. Le sue dita sono di schiuma sull'onda, scivolano, leggere e perfette, e la musica che ci viene a trovare è puro incantesimo. La fa uscire, note vibranti e dolcissime, e la accompagna fino a quando l'ultima bollicina si sente ancora, lontanissima. E sembra che, alla fine di ogni brano, un pò gli dispiaccia di farla andare via, ma come, così presto, non doveva durare per sempre questa festa, non dovevamo volteggiare ancora e ancora, invece di ritrovarci di nuovo, appiccicati a queste poltroncine cremisi nemmeno tanto comode? L'ho adorato, da subito. Timidissimo, semplicissimo. E bravo, bravo, bravo. La Princi non ha avuto il suo autografo, le scienziate-guardarobiere-maschere del teatro, ci hanno guardato con sufficienza quando abbiamo chiesto la via dei camerini, come si fa in tutti i teatri. del globo terracqueo, a fine spettacolo. Ma qui, mica siamo in una città come le altre, qui regna la quintessenza del provinciale più basso, del non farsi vedere entusiasti per una cosa che sia una, del non comparire, del low profile ad ogni costo. Pazienza. Le ho recuperato, non senza storie, un manifesto del concerto, che sarebbe diventato il fondo della gabbia del canarino di qualche scienziata-ecc-ecc., e che mi hanno fatto cadere dall'alto, come se si trattasse della copia originale dell'Editto di Costantino, e che ora, troneggia beato in camera sua, della Princineve. Purtroppo non ho trovato su You Tube nessun video all'altezza. Son cose da scoprire da soli, ascoltare in pace e leggerezza, serenità e candore. Per sentirsi in pace, leggeri, sereni e candidi. E al diavolo le guardarobiere. O pseudo tali.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...