19 aprile, 2010

Il giardino delle rose senza tempo.

Sembra quasi un matrimonio, e in effetti, lo è. Solo, sono passati cinquant'anni da quel giorno e io non c'ero nemmeno, ma oggi sono qui, in questa casa che è sempre uguale in tutto questo tempo, le rondini di ceramica appese fuori, i gradini di graniglia dai quali sono caduta un centinaio di volte, il portico laggiù, e questo giardino. I miei figli mi dicono, Ma Come, Entri Senza Suonare? Sì. Non si suona in questa casa, mai, si entra dal cortile, il campanello sono i passi sulla ghiaia, e allora vedi che tra un minuto esce qualcuno. Io sono diventata grande, in questo giardino, con queste persone, e molte di quelle che dovrebbero esserci non ci sono o non ci sono più, e questo mi fa sentire come un peso sul cuore. Io ci ho passato i miei pomeriggi qui, ci ho imparato ad andare in bicicletta senza rotelle, ci ho giocato a nascondino e a guardie e ladri, ero l'unica bambina, maschiaccio con le ginocchia sbucciate, sempre. Io ho annusato queste rose che sono le stesse di allora, le ho colte e sistemate nei vasi, ho raccolto prugne e more, distrutto un'altalena, portato un cagnolino trovato in un fosso. Ci sono anche le mie cugine grandi, quelle delle domeniche pomeriggio, quelle che mi regalavano i loro libri di scuola e i loro pastelli, con le quali sfogliavamo Sorrisi e Canzoni e imparavamo le canzoni a memoria, abbiamo dormito in quattro in un letto per un mese intero, una volta, al mare, mille anni fa, la focaccia di Sori, gli scogli, i sandalini di gomma e i costumi di spugna. Con loro ho la mia vita, le mie radici, loro sono un pezzo della mia storia, i miei giorni che non scordo, i miei ricordi più belli, lucidi e intatti, prima che tutto fosse spazzato via. Chiacchieriamo e ridiamo come allora, c'è un filo sottile, invisibile, lunghissimo, io so di loro, loro sanno di me, i miei cugini che mi abbracciano e sanno già, le molte cose che abbiamo insieme, perchè le mie sono le stesse loro. E' stato tornare a casa, ha detto Elena, in quelle case perdute che non ci sono più, per nessuno di noi, per fortuna che rimane questa, di questi zii felici di questi cinquant'anni insieme, questa casa coi nani in giardino, la ghiaia e le rose, antiche, profumate, mai sfiorite.

18 aprile, 2010

Difficilissimo.

Gli ingegneri, si sa fin troppo bene, brutta, bruttissima razza essi son. Precisissimi, petulantissimi, ordinatissimi, brontolonissimi, egocentratissimi.  Ma, mio malgrado, adorabilissimi. Dacchè io ne sono circondata, da una ventina d'anni in qua, e poichè mi par di avere, che so, una specie di calamita, che me li fa adorare tutti, indistintamente, sia quelli Senior che quelli Junior, e anche le Fidanzate,  mi son fatta un ragionamento da me medesima stessa. Perchè li adoro in siffatto modo? Perchè, se zuccona son, se letterata son, se per me far di conto è impresa improba, se disordinata son, se la precisione per me è una scienza astratta, se per me sei per sei potrebbe sì far trentasei ma non è mica detto, dipende, perchè quindi, io li amo e mi ci appiccico? Mistero della fede. Stamattina, al primo ingegnere che mi è capitato a tiro, tra le briciole della colazione e la scatola dei biscotti, ho sottosposto un problema non da poco. Devo fare una scarpina, l'ho trovata da TryToKnit  ma la voglio fare più piccola e non so nemmeno da che parte si inizia a calcolare con esattezza tutta la questione, farei a naso, ma sai com'è, e poi è l'alba della domenica mattina, sveglierei Lei, ma insomma, lei fa ponti e poi dormirà ancora, mi sa, e allora, tu sai per caso come si fa? Come, Non Lo So? tuona l'Uno e Trino, e in men che non si dica, voilà, ecco il rimpicciolimento della scarpina già calcolato in tutta scioltezza. Mica ci vuole un ingegnere, basterebbe sapere i rudimenti della matematica. Già. Ma ognuno dà del suo, si dice da queste parti ed è stato buffo spiegare il perchè e il percome, vedi? devo mettere 6 maglie e fare 22 giri, insomma, a un uomo, queste cose non suonano mica tanto familiari, men che meno a un ingegnere. Bene, siamo solo alla prima lezione. Alla prossima, chiederò al mio Illustrissimo Sposo di imparare ad avviare le maglie. Secondo me, impara prima lui a fare la maglia,  di me a fare le proporzioni. Resta una domanda. Io adoro gli Ingegneri, ma com'è, come non è, pure gli ingegneri adorano me. Che vogliano anche loro diventare disordinati, farfalloni e Principi  del Pressappoco? Indagherò. 

Aggiornamento, sigh.


Nonostante le amorevolissime cure, il latte speciale, le telefonate al veterinario, la cuffia di lana che era diventata la sua tana, le coccole, le carezzine sulle orecchie invisibili, il coniglietto Giulio è nel Paradiso dei Coniglietti. Il dottore aveva detto che era pressochè impossibile che potesse resistere senza la mamma, ma noi ci abbiamo provato, anche a cercarla, di qua dalla siepe e anche di là, in fondo al pratino, sotto il ciliegio, ma nulla. Ciao ciao, coniglietto Giulio, io non ero la signora McGregor e mai e poi mai avrei fatto di te un pasticcio di coniglio. 

'Now my dears,' said old Mrs. Rabbit one morning, 'you may go into the fields or down the lane, but don't go into Mr. McGregor's garden: your Father had an accident there; he was put in a pie by Mrs. McGregor.'  Beatrix Potter, The Tale of Peter Rabbit.

16 aprile, 2010

Il coniglietto Giulio.

Lo sapevo che non sarebbe stata una mattina come le altre. Così come sapevo che l'abbaiare petulante di Tiffany  non era così normale e che così stizzosa e preoccupata non l'avevo mai sentita. Sulle prime mi sembrava un topo. Io non amo i topi, non ho mai letto Topolino, non ho nemmeno il mouse. E già pensavo a chiudere le porte, perchè quel fagottino beige rintanato lì, fra il vasetto del basilico e quello delle rose, con abile mossa avrebbe potuto entrare in casa, e lì sì, ci sarebbe stato da ridere. Poi. Avvicinandomi con circospezione, quale non fu la mia somma sorpresa a vedere quelle due orecchiette puntute, e quelle zampine rosa confetto e quel codino già accennato, un minuscolo ciuffetto candido. Un coniglietto! Minuscolo, appena nato, forse, con gli occhi ancora chiusi, ma che respira e mi succhia il palmo della mano. Che fare? Ho prontamente chiamato l'Amica del Villaggio, la più vicina, al momento, ho anche pensato a scomodare quella delle Provette, ma a quest'ora Ella ha a che fare con gli umani, altro che coniglietti persi nei giardini. L'ho subito immortalato, appena prima di costruire per lui una casetta calda, dentro a una cuffia della Princi, con una tonnellata di cotone tutt'intorno che non gli faccia sentire la mancanza della mamma e lo faccia stare al caldo. Resta da capire cosa dargli da mangiare, se riportarlo in giardino, dove forse lo stanno cercando, o magari la sua casa è sulla collina e allora l'affare si complica, chi mai troverà la tua casa, coniglietto Giulio, nella sterminata collina dietro a Villa Villacolle. Per ora potrai stare con noi. Ti nutrirò col trifoglio, mi han detto, niente latte che è veleno per i coniglieti disubbidienti come te, che forse disubbidiente non sei nemmeno, ma è stata lei a sottrarti alla tua casa, per avere un amico con cui giocare, mi sa. La saggia Beverly annusa e sta zitta. Il gatto transgender guarda la scena con aria di sufficienza e torna a sonnecchiare sotto il rosmarino fiorito. Vado a documentarmi. Dovrò trovare delle more, è questo che recita il Sacro Testo. Ma come, quale. La Storia Di Peter Coniglio! Ci ho tirato sù un Giurisprudente, vuoi che non ci riesca con un Giulio?

Il sole che c'è.


E' mattina presto, non troppo, ma è presto, in quei sacri quindici minuti in cui riordinare le idee e dire ok, inizio da qui, stamattina, ma prima leggo i giornali e prendo un respiro lungo, come prima di un tuffo, come prima di andare a cercare qualcosa sott'acqua, che ti sei appena sistemata la maschera sulla faccia, ho perso una cosa, proprio lì, e ho le pinne rosa per risalire più in fretta. Mattina presto con una palla di sole davanti alla finestra socchiusa, entra un profumo di fiori che non mi spiego, il lillà non è ancora fiorito ma ci siamo quasi, mi sa, l'ho guardato ieri, lo guardo ogni giorno me ne sono occupata personalmente, l'ho accudito, ripulito, liberato dai rametti secchi e le foglie avvizzite, esploderà, tra poco, lo so. Il sole guarda. La casa è un groviglio di disordini e polvere sparsa, sono stata assente due giorni, e significa un sacco, nella casa in collina, ma niente ci fa, basterà una buona musica nelle orecchie e un giro rapido ed efficiente, son maestra in questo. Il sole ascolta. Ci sono giorni in cui proprio non ti riesce di essere triste o preoccupata o ansiosa, che bisogno c'è, alla fine, e ti senti leggera e voli, quasi, canticchi pianissimo, perchè hai in mente da ieri una canzone in tedesco che canta la Princi col coro, e per forza che il tedesco non lo sai, e allora fai solo mmmhhh, mmmhh, ma la sai bene, è una canzone così dolce, e ti fa sorridere e commuovere, ogni volta, e gliela fai cantare spesso, e spiegare la storia, l'ha scritta Schumann, per i figli di Brahms, è la storia di una coccinella, che meraviglia di regalo è mai questo. Il sole aiuta. Sarà una giornata limpida e luminosa, lo si capisce da subito, se guardi bene, non c'è cosa fuori che faccia pensare il contrario. E anche se ti guardi, in fondo, con questi capelli da colonia elioterapica, con questi occhi che hai stamattina, quelli veri, non quelli pesti e opachi e orrendi e senza anima come hai le mattine che sei ferma e pesta e opaca e orrenda e senza anima, gli occhi di oggi ridono da soli, sorridono alle cose, sono occhi così, quest'oggi, felici, si può dire? felici di questo niente e di questo sole, che guarda e vede e ascolta, il sole che mescolava con me il caffelatte, che spuntava arancione dalla colline, il sole che adoro, il sole che cerco, il sole che sa.

Odore di dicembre.

  Che non è pino, non è neve, non è gelo, non è niente. Non c'è dicembre in questi giorni, non c'è niente del genere, non ci sono le...